L’accertamento di conformità

Consiglio di Stato, Sentenza|29 marzo 2022| n. 2297.

Precisa in sentenza il Consiglio di Stato come l’art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001, nel disciplinare l’accertamento di conformità, ossia quello strumento attraverso cui si consente la sanatoria di opere realizzate in assenza di titolo edilizio, ma conformi alla normativa applicabile, richiede che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della istanza di sanatoria (cd. doppia conformità), non potendosi accogliere l’istituto della c.d. sanatoria giurisprudenziale. Tale approdo, che impone la verifica della doppia conformità, deve considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto adempimento finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità. L’esigenza di tutela sottesa all’art. 36 cit. è infatti quella di evitare interventi repressivi, qualora l’illecito in concreto commesso sia lesivo del solo interesse pubblico (strumentale) della sottoposizione al previo controllo amministrativo dell’attività edilizia, senza compromissione dell’interesse pubblico (finale) dell’ordinato sviluppo del territorio, nel rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia all’uopo applicabile. In tali ipotesi, si consente la permanenza delle opere mediante la formazione postuma, una volta commesso l’illecito e a sua sanatoria, del titolo edilizio idoneo a legittimare l’intrapresa attività edificatoria. Il richiedente l’accertamento di doppia conformità può dunque ottenere una concessione in sanatoria che consenta, ex post, di “conservare” quanto in precedenza già costruito senza titolo, previa verifica della doppia conformità, ma non anche di realizzare opere future, essendo ciò incompatibile con la struttura e la funzione del procedimento di sanatoria.

Sentenza|29 marzo 2022| n. 2297. L’accertamento di conformità

Data udienza 25 novembre 2021

Integrale

Tag- parola chiave: Immobili abusivi – Sanatoria edilizia – Doppia conformità – Disciplina urbanistica ed edilizia – Dpr 6 giugno 2001 n. 380, articolo 36

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5969 del 2015, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati An. In., Gi. Ma. La. e Ce. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
nei confronti
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ba. e St. Po., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda) n. -OMISSIS-/2014, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 novembre 2021 il Cons. Francesco De Luca e udito per le parti l’avvocato St. Po.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, il Sig. -OMISSIS- appella la sentenza n. -OMISSIS- del 2014, con cui il Tar Sardegna ha rigettato il ricorso e i motivi aggiunti di primo grado, diretti ad ottenere l’annullamento:
2. a) del silenzio rifiuto serbato dall’Amministrazione resistente sulla domanda di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 DPR n. 380/01, relativamente ad un edificio, già oggetto di concessione edilizia n. 60/2005 successivamente annullata, sito in (omissis);
3. b) della determinazione n. 2547 del 30.11.2010, prot. n. 25778, con cui il Comune di (omissis) ha rigettato la domanda di accertamento di conformità presentata dalla parte ricorrente, nonché dell’ordinanza di demolizione n. 119/2010, prot. n. 27606 relativa al medesimo edificio siti in (omissis);
4. c) del verbale di accertamento tecnico comunale n. 10213 del 10.5.2011, dell’inottemperanza dell’ordinanza di demolizione n. 119/2010 cit., nonché dell’ordinanza di demolizione n. 62 del 15.6.2011, relativamente all’immobile distinto al catasto urbano di (omissis) al foglio (omissis), mapp. (omissis), sub (omissis);
5. d) del verbale di accertamento tecnico comunale n. 21794 del 14.10.2011 di accertamento dell’inottemperanza dell’ordinanza di demolizione n. 62/2011;
6. e) dell’ordinanza di acquisizione al patrimonio comunale n. 45 del 16.4.2012;
7. f) di tutti gli atti connessi.
Secondo quanto dedotto in appello:
– il Sig. -OMISSIS- ha ottenuto dal Comune di (omissis) il rilascio della concessione edilizia n. 60 del 2005, avente ad oggetto la realizzazione di un edificio nella via (omissis), insistente su un più ampio lotto di complessivi mq 3.945 catastali, avente destinazione urbanistica B5 (di completamento residenziale) ai sensi del Piano regolatore generale;
– sul medesimo lotto preesisteva un altro complesso residenziale, di superficie coperta pari a mq 1.488,44, realizzato dal ricorrente nel 1989/1991 sulla base delle concessioni edilizie n. 79 del 5.9.1989 e n. 67 del 21.6.1991;
– il Sig. -OMISSIS-, proprietario confinante, ha impugnato la concessione edilizia n. 60/2005 con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica;
– con decreto presidenziale del 29.10.2009, reso sulla base del parere espresso da questo Consiglio di Stato -motivato sul rilievo per cui la nuova superficie coperta, assentita con concessione edilizia n. 60/2005, sommata a quella degli altri corpi di fabbrica preesistenti, risultava tale da determinare il superamento del rapporto massimo di 0,5 tra superficie complessiva del lotto e superficie coperta previsto dall’art. 12, sub 6, NTA del Piano Particolareggiato, in applicazione del principio del lotto urbanisticamente unitario – il ricorso straordinario proposto dal Sig. -OMISSIS- è stato accolto e, per l’effetto, il titolo edilizio impugnato è stato annullato;
– di conseguenza, l’Amministrazione comunale ha adottato l’ordinanza n. 36 del 2020, disponendo la demolizione delle opere di cui alla concessione edilizia n. 60/2005, da ritenere abusive in quanto realizzate sulla base di un titolo ormai annullato in sede straordinaria;
– in data 29.7.2010 il Sig. -OMISSIS- ha presentato istanza di accertamento di conformità, rilevando che, sebbene l’Amministrazione comunale avesse impresso ad una parte del lotto (per 1013 mq) la destinazione a viabilità pubblica in base al Piano particolareggiato, la relativa acquisizione (comunque da indennizzare) non risultava mai avvenuta; la superficie di mq 1013 era infatti di proprietà del ricorrente, che aveva destinato la relativa porzione territoriale a viabilità per propria libera scelta; per l’effetto, l’Amministrazione avrebbe dovuto verificare la conformità del nuovo edificio, in relazione al rispetto della superficie massima insediabile sul lotto, avendo riguardo alla sua superficie complessiva comprensiva della porzione destinata a viabilità pubblica; il che avrebbe consentito di rispettare l’indice di massima superficie edificabile;
– il Comune ha comunicato all’istante il preavviso di rigetto, ritenendo ostativa la destinazione a viabilità pubblica della porzione di lotto di mq 1043, da scomputare dal calcolo della superficie coperta assentibile; l’istante ha controdedotto al preavviso di rigetto;
– stante la condotta inerte tenuto dal Comune, il Sig. -OMISSIS- ha proposto il ricorso di primo grado dinnanzi al Tar Sardegna, al fine di ottenere la condanna dell’Amministrazione a provvedere sull’istanza di accertamento di conformità;
– in pendenza di giudizio, il Comune con determinazione n. 2547 del 2010 ha rigettato la domanda di accertamento di conformità, insistendo nelle ragioni ostative già illustrate nel preavviso di rigetto; con successiva ordinanza n. 119/2010 il Comune ha disposto la demolizione del fabbricato in parola;
– tali provvedimenti sono stati impugnati con motivi aggiunti proposti nell’ambito del giudizio pendente dinnanzi al Tar Sardegna;
– con verbale n. 10123 del 2011, redatto dal tecnico comunale, è stata accertata l’inottemperanza dell’ordinanza di demolizione n. 119 del 2010 e con successiva nota n. 122242 dell’8.6.2011 il Comune ha avvisato l’interessato circa la sussistenza delle condizioni per l’acquisizione del fabbricato abusivo al patrimonio comunale;
– con ordinanza n. 62 del 2011 l’obbligo di demolizione è stato esteso nei confronti di un acquirente di uno degli appartamenti componenti l’edificio de quo;
– con ulteriori motivi aggiunti il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza n. 62/2011, con cui l’Amministrazione, in sostituzione rispetto a quanto disposto con la pregressa ordinanza n. 119/10, aveva provveduto ad una nuova regolazione del rapporto sostanziale;
– con verbale n. 21794 del 14.10.2011 il tecnico comunale ha accertato la mancata ottemperanza dell’ordinanza di demolizione n. 62/11 e con successiva nota l’Amministrazione ha avvisato gli interessati della sussistenza delle condizioni per l’acquisizione al patrimonio comunale del relativo fabbricato abusivo;
– con ulteriori motivi aggiunti il ricorrente ha chiesto l’annullamento di tali ultimi provvedimenti;
– con ordinanza n. 45 del 2012 il Comune ha disposto l’acquisizione dell’immobile al proprio patrimonio;
– anche tale atto è stato impugnato con ultimi motivi aggiunti;
– in sede penale il ricorrente è stato condannato con sentenza del Tribunale di Oristano per il reato di cui all’art. 44, lett. b), DPR n. 380/01; con successiva sentenza della Corte di Appello di Cagliari il medesimo reato è stato dichiarato prescritto;
– il primo giudice ha dichiarato l’improcedibilità delle censure dirette contro l’ordinanza n. 119/10 (in quanto superata dall’ordinanza n. 62/2011), nonché contro il verbale tecnico comunale n. 10213/2011 e la nota comunale n. 12242/11 (in quanto superati e sostituiti per l’effetto dell’emissione della nuova ordinanza n. 62/2011), mentre ha rigettato le censure dirette contro i rimanenti atti amministrativi.
1. Il ricorrente ha appellato la sentenza pronunciata dal Tar, deducendone l’erroneità, in specie in relazione al capo decisorio con cui il primo giudice ha ritenuto legittimo il diniego di accertamento di conformità, stante l’impossibilità di computare, ai fini del calcolo della superficie complessiva del lotto, la porzione destinata a viabilità di mq 1043.
2. Il Sig. -OMISSIS-, interventore ad opponendum nel giudizio di primo grado, si è costituito nel presente grado di giudizio, resistendo all’appello.
3. Le parti hanno argomentato a sostegno delle rispettive conclusioni con il deposito di memorie conclusionali. L’appellante ha pure replicato alle avverse deduzioni.
4. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 25 novembre 2021.

DIRITTO

1. Pregiudizialmente, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità opposte dal Sig. -OMISSIS- nella propria memoria conclusionale.
1.1 In particolare, secondo l’odierno appellato, l’appello e, ancora prima, il ricorso di primo grado e i successivi motivi aggiunti, sarebbero inammissibili, in primo luogo, perché diretti a rimettere in discussione le statuizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica del 29.10.2009 di accoglimento del ricorso straordinario proposto avverso la concessione edilizia n. 60/2005 cit., che avrebbe già accertato la violazione del rapporto di copertura previsto dal Piano Particolareggiato comunale. Il Tar Sardegna avrebbe errato nel rigettare tale eccezione -comunque riproponibile in appello in quanto rilevabile d’ufficio, in quanto le contestazioni attoree, tendendo a rimettere in discussione la decisione presidenziale e l’accertamento ivi contenuto, violerebbero il relativo giudicato.
L’appello sarebbe parimenti inammissibile per difetto di interesse, in quanto l’appellante non avrebbe impugnato la deliberazione del Consiglio comunale n. 58 del 2014, con cui l’immobile è stato destinato ad edilizia residenziale pubblica, né le determinazioni con cui gli alloggi ivi insistenti sono stati assegnati a diversi soggetti. Per l’effetto, non potendo l’appellante tornare nella disponibilità del fabbricato in caso di esito favorevole del giudizio, non potrebbe riscontrarsi nella specie alcun interesse al relativo ricorso.
1.2 Le eccezioni di inammissibilità non possono trovare accoglimento.
1.3 In particolare, fermo quanto si osserverà infra nella disamina del merito della controversia, l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del giudicato formatosi sul decreto presidenziale del 29.10.2009 – recante l’accoglimento del ricorso straordinario proposto contro la concessione edilizia n. 60/2005 cit. – è preclusa, in quanto oggetto di statuizioni giudiziali, rese dal primo giudice, non impugnate in appello.
Il Tar, infatti, prendendo posizione su un’analoga eccezione sollevata in primo grado, ha escluso la violazione del ne bis in idem, in quanto “di fronte al Capo dello Stato si è discusso della concessione edilizia n. 60/2005 inizialmente ottenuta dall’odierno ricorrente, mentre in questa sede lo stesso impugna il diniego della successiva richiesta di concessione in sanatoria (ancorata a presupposti normativi in parte differenti), nonché i conseguenti atti di demolizione e acquisizione del bene al patrimonio comunale, sui quali, peraltro, solleva anche censure autonome e non di mera illegittimità derivata; pertanto i due giudizi, benché tra le stesse parti e sul medesimo bene, riguardano un thema decidendum formalmente e sostanzialmente diverso”.
Per l’effetto, tenuto conto che tale capo decisorio non è stato impugnato, il Sig. -OMISSIS- non può, attraverso la riproposizione di un’eccezione rigettata dal primo giudice, nuovamente mettere in discussione l’ammissibilità del ricorso di primo grado per violazione del divieto del bis in idem, essendo maturato sulla relativa questione il giudicato interno, con conseguente irretrattabilità della decisione al riguardo assunta dal primo giudice.
Non potrebbe argomentarsi diversamente neppure valorizzando la natura dell’eccezione di inammissibilità per violazione del divieto del bis in idem, non riservata all’iniziativa della parte, ma rilevabile anche d’ufficio dal giudice procedente.
La possibilità di opporre in grado di appello eccezioni rilevabili d’ufficio, ammessa dall’art. 104, comma 1, c.p.a. deve, infatti, essere coordinata con i principi che presiedono alla formazione del giudicato – strumentali alla realizzazione delle esigenze di certezza giuridica – e con gli oneri di riproposizione dettati dall’art. 101, comma 2, c.p.a.
L’appello non configura infatti un novum iudicium ma una revisio prioris istantiae (tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. IV, 3 febbraio 2020, n. 844), con la conseguenza che il thema decidendum su cui è chiamato a statuire questo Consiglio è definito, anziché dal ricorso dinnanzi al Tar, dal ricorso in appello, cui deve aversi riguardo al fine di garantire la corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
In particolare, la parte è chiamata a dedurre specificatamente i fatti costitutivi delle proprie domande ed eccezioni, in forma di specifica critica delle sfavorevoli statuizioni rese dal primo giudice.
La riproposizione dell’eccezione, invece, ai sensi di quanto previsto dall’art. 101, comma 2, c.p.a., è ammessa solo in relazione a questioni non decise dal primo giudice, in relazione alle quali, difettando una statuizione da impugnare, l’onere esigibile dalla parte processuale non potrebbe essere quello della contestazione di una (inesistente) decisione di primo grado, ma soltanto quello della tempestiva riproposizione dell’eccezione non esaminata dal Tar affinché il giudice di appello, per la prima volta, statuisca sulle relative deduzioni.
A fronte di una sentenza di rigetto dell’eccezione, pertanto, la parte che sia risultata soccombente in relazione a tale questione, è onerata alla tempestiva impugnazione dell’eccezione rigettata, altrimenti consolidandosi le statuizioni di prime cure, con conseguente passaggio in giudicato (interno) del relativo capo decisorio.
Come precisato da questo Consiglio (tra gli altri, sez. III, 19 agosto 2021, n. 5931), infatti, il divieto del c.d. ius novorum in appello non si estende alle eccezioni e questioni processuali e sostanziali che siano rilevabili anche d’ufficio, fatti salvi, tuttavia, gli effetti del giudicato interno sulla statuizione recata sul punto dalla sentenza di primo grado (fermo lo speciale regime delle questioni di giurisdizione e competenza delineato dagli artt. 9 e 15 c.p.a.).
Di conseguenza, si conferma che, in assenza di impugnazione del capo decisorio con cui il Tar ha rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del ne bis in idem, la relativa decisione è divenuta ormai irretrattabile (per la formazione del giudicato interno), non potendo essere nuovamente delibata in sede di gravame; ne deriva l’inammissibilità della riproposizione della eccezione de qua, come correttamente rilevato dal ricorrente nella propria memoria di replica.
1.4 Non può essere accolta neppure la seconda eccezione di inammissibilità opposta dal Sig. -OMISSIS-, tenuto conto che la decisione dell’Amministrazione comunale di destinare l’immobile per cui è causa ad edilizia residenziale pubblica e le conseguenti determinazioni di assegnazione dei relativi alloggi risultano ancora sub judice; il che consente di escludere la sopravvenuta emersione di un assetto amministrativo definitivo, ostativo alla piena realizzazione dell’interesse sotteso alla proposizione dell’odierno appello.
In particolare, l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse presuppone il sopravvenuto mutamento, in pendenza di giudizio, dell’assetto di interessi attuato tra le parti, in maniera da impedire la realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso al ricorso, rendendo inutile la prosecuzione del giudizio – anziché per l’ottenimento – per l’impossibilità sopravvenuta del conseguimento del bene della vita ambito dal ricorrente.
Questo Consiglio, in particolare, ha subordinato la dichiarazione di improcedibilità ad una sopravvenienza (fattuale o giuridica) tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza, per avere fatto venir meno, per il ricorrente, qualsiasi residua utilità, anche soltanto strumentale o morale, derivante da una possibile pronuncia di accoglimento (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 29 gennaio 2020, n. 742).
Nel caso di specie, il Sig. -OMISSIS- pretende di desumere la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso in capo all’odierno appellante dalla decisione dell’Amministrazione di assegnare l’immobile per cui è causa ad edilizia residenziale pubblica e dai successivi atti di assegnazione dei relativi alloggi.
Secondo la prospettazione dell’appellato, in particolare, tale decisione amministrativa precluderebbe al ricorrente, a prescindere dall’esito dell’odierno giudizio, di riottenere la disponibilità dell’immobile de quo, ragion per cui la proposizione e la coltivazione dell’appello sarebbe priva di utilità per la stessa parte appellante.
Invero, la legittimità della complessa operazione amministrativa di destinazione dell’immobile ad edilizia residenziale pubblica è ancora sub judice, in quanto censurata dallo stesso Sig. -OMISSIS- (come dedotto nella memoria conclusionale dell’appellato, in specie alle pagg. 5 e 6 in cui si richiama l’avvenuta proposizione di un ricorso e di motivi aggiunti “sul presupposto dell’illegittimità della destinazione del bene a uso pubblico”, rigettati con sentenza n. 217/2017 appellata davanti a questo Consiglio di Stato con ricorso iscritto al n.r.g. 4234/2017); per l’effetto, non si è in presenza di un assetto amministrativo, sopravvenuto in pendenza del giudizio, rimasto inoppugnato e, dunque, ormai consolidatosi in danno del Sig. -OMISSIS-:
è ancora possibile che la sopravvenuta decisione comunale, di imprimere all’immobile una destinazione incompatibile con la realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso all’odierno appello (tendente a riottenere la disponibilità del manufatto, oggetto degli atti gravati in prime cure), sia annullata, con effetti suscettibili di estendersi anche alla posizione del Sig. -OMISSIS-.
La circostanza che l’impugnazione dell’atto di destinazione ad edilizia residenziale sia stata proposta dal Sig. -OMISSIS-, anziché dal Sig. -OMISSIS-, non è infatti idonea ad impedire l’estensione degli effetti caducatori di una eventuale pronuncia di annullamento anche in favore del Sig. -OMISSIS-.
Come rilevato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, “I casi di giudicato amministrativo con effetti ultra partes sono, quindi, eccezionali e si giustificano in ragione dell’inscindibilità degli effetti dell’atto o dell’inscindibilità del vizio dedotto:
in particolare, l’indivisibilità degli effetti del giudicato presuppone l’esistenza di un legame altrettanto indivisibile fra le posizioni dei destinatari, in modo da rendere inconcepibile – logicamente, ancor prima che giuridicamente – che l’atto annullato possa continuare ad esistere per quei destinatari che non lo hanno impugnato.
Utilizzando tale criterio, dottrina e giurisprudenza hanno individuato alcune eccezionali ipotesi di estensione ultra partes degli effetti del giudicato. Tale estensione dipende spesso da una pluralità di fattori concorrenti, fra i quali rileva non solo la natura dell’atto annullato, ma anche, cumulativamente, il vizio dedotto, nonché il tipo di effetto prodotto dal giudicato della cui estensione si discute.
Più nel dettaglio, secondo l’orientamento tradizionale, gli effetti inscindibili del giudicato amministrativo possono dipendere:
1. a) in alcuni casi (ma raramente), solo dal tipo di atto annullato; b) altre volte, più frequenti, sia dal tipo di atto annullato, sia dal tipo di vizio dedotto; c) altre volte ancora, dal tipo di effetto che il giudicato produce e di cui si invoca l’estensione.
Si ritiene, in particolare, che produca effetti ultra partes:
1. a) l’annullamento di un regolamento (l’efficacia erga omnes in questo caso trova una base normativa indiretta nell’art. 14, comma 3, d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, che, proprio presupponendo tale efficacia, prevede che il decreto decisorio di un ricorso straordinario che pronunci l’annullamento di un atto normativo deve essere pubblicato nelle stesse forme dell’atto annullato);
2. b) l’annullamento di un atto plurimo inscindibile (ad es. il decreto di esproprio di un bene in comunione);
3. c) l’annullamento di un atto plurimo scindibile, se il ricorso viene accolto per un vizio comune alla posizione di tutti i destinatari (ad es. il decreto di approvazione di una graduatoria concorsuale travolto per un vizio comune);
4. d) l’annullamento di un atto che provvede unitariamente nei confronti di un complesso di soggetti (ad es. il decreto di scioglimento di un Consiglio comunale).
In tutti i casi indicati, tuttavia, l’inscindibilità riguarda solo l’effetto di annullamento (l’effetto caducatorio), perché è solo rispetto ad esso che viene a crearsi la sopra richiamata situazione di incompatibilità logica che un atto inscindibile possa non esistere più per taluno e continuare ad esistere per altri”.
L’eventuale accoglimento dell’impugnazione proposta dal Sig. -OMISSIS- avverso la decisione comunale, recante l’assegnazione dell’immobile de quo ad edilizia residenziale pubblica, non potrebbe che produrre i propri effetti nei confronti di tutti coloro che abbiano una relazione qualificata con la res oggetto dell’atto annullato.
Il giudicato di annullamento si formerebbe, infatti, sul rapporto reale, riguardante la res litigiosa, rimuovendone la destinazione ad edilizia residenziale pubblica e riespandendo, per l’effetto, le facoltà dispositive della parte proprietaria; con la conseguenza che la rimozione del vincolo di destinazione opererebbe anche nei confronti della parte che, all’esito dell’odierno giudizio, dovesse risultare la proprietaria del manufatto per cui è causa.
Avuto riguardo al caso di specie, risulta infatti che il Sig. -OMISSIS- ha impugnato in primo grado, anche, l’atto di acquisizione al patrimonio comunale del manufatto de quo, sicché l’ipotetico annullamento di tale provvedimento comporterebbe la ricostituzione in capo al ricorrente del pieno diritto di proprietà; il Sig. -OMISSIS-, dunque, quale proprietario del bene risentirebbe degli effetti (per lui favorevoli) caducatori discendenti dall’ipotetico accoglimento del ricorso avverso la destinazione del medesimo bene ad edilizia residenziale, in quanto riacquisterebbe una res non più vincolata all’edilizia residenziale pubblica, con conseguente riespansione della propria sfera proprietaria.
In siffatte ipotesi, stante l’inscindibilità del rapporto reale, l’effetto del giudicato di annullamento di un atto limitativo delle facoltà proprietarie (stante l’imposizione di un vincolo di destinazione sulla res litigiosa) è suscettibile di produrre effetti nei confronti di tutti coloro che si trovino in una relazione qualificata con il bene, in primis la parte proprietaria.
Alla luce delle considerazioni svolte, non emergendo un sopravvenuto assetto di interessi definitivo, ostativo al conseguimento delle utilità ambite dal Sig. -OMISSIS- con l’accoglimento dell’odierno appello (riacquisto della piena proprietà di un immobile con riespansione, altresì, delle facoltà di suo godimento), non potrebbe riscontrarsi nella specie alcuna causa di sopravvenuta carenza di interesse al ricorso.
1. Ciò premesso in ordine alle questioni di rito, è possibile soffermarsi sul merito della vertenza.
L’appello è diretto esclusivamente a contestare il capo decisorio con cui il Tar ha rigettato le doglianze riferite al diniego di accertamento di conformità, ritenendo corretto l’operato amministrativo, tradottosi nell’esclusione, dal computo della superficie complessiva del lotto, della porzione destinata a pubblica viabilità. La riforma di tale capo decisorio travolgerebbe, in ragione dell’effetto espansivo interno della relativa pronuncia, tutti i capi dipendenti riguardanti gli atti comunali assunti sul presupposto del diniego di sanatoria (ivi compresi, l’ordine di demolizione, l’accertamento dell’inottemperanza dell’ordine demolitorio e il provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale).
2.1 Secondo quanto dedotto dal ricorrente, il Tar avrebbe errato, in primo luogo, nel ritenere nella specie inconferente il principio del lotto urbanisticamente unitario.
Invero, la stessa Terza Sezione di questo Consiglio di Stato, nello statuire sul ricorso straordinario avverso la concessione edilizia n. 60/2005, avrebbe ritenuto violato il principio del lotto unitariamente unitario.
I frazionamenti, insuscettibili di minare l’unitarietà del lotto, non sarebbero soltanto quelli materiali, ma anche quelli giuridici, discendenti tanto dai passaggi di proprietà o catastali, quanto dalla disciplina attuativa urbanistica, rimanendo, comunque, il lotto unitario; per l’effetto, quando si discorre di frazionamento, si dovrebbe comprendere anche quello urbanistico derivante dal piano particolareggiato in esame.
Di conseguenza, dovrebbe ritenersi coperta dalla cosa giudicata l’applicazione nella specie del lotto urbanisticamente unitario:
in applicazione di tale principio, le capacità insediative di un’area non soltanto non potrebbero ampliarsi, ma non potrebbero neppure essere ridotte; applicando il principio del lotto urbanisticamente unitario, non potrebbe, quindi, prendersi in considerazione il sub-frazionamento operato dal Comune con il Piano particolareggiato.
2.2 Il Tar avrebbe errato pure nell’escludere ogni rilievo alla zona urbanistica di riferimento – B5 di completamento residenziale – rilevante nella specie, caratterizzata dalla possibilità di costruire a prescindere da una convenzione di lottizzazione o da un’ulteriore pianificazione.
Il completamento dell’urbanizzazione non sarebbe né coerente né incoerente con la zonizzazione di completamento residenziale o con altra, ma solo con le concrete esigenze del territorio.
Tenuto conto della classificazione della zona quale zona B di completamento, l’indice di piano ivi previsto dovrebbe assumere natura fondiaria e non territoriale, in quanto l’indice di edificabilità territoriale sarebbe caratteristico delle zone C di espansione e di quelle assimilate. Per l’effetto, ai fini del calcolo di tutti gli indici, nella superficie fondiaria dovrebbero comprendersi anche le strade risultanti dal frazionamento disposto dal piano particolareggiato.
2.3 L’appellante insiste nel ritenere che il lotto urbanisticamente unitario non possa essere frazionato, con la conseguenza che il fondo da prendere in esame non sarebbe quello delineato dal Piano Particolareggiato, ma quello di proprietà del ricorrente, ricadente nella zona B di completamento con un indice fondiario non modificabile dallo strumento attuativo.
Il piano particolareggiato non potrebbe identificare un fondo differente dal compendio originario, facendosi questione di un indice che per le sue caratteristiche dovrebbe investire l’intera area classificata B dallo strumento urbanistico generale.
2.4 Il Tar avrebbe pure errato nel ritenere che l’area in esame, in quanto oggetto di vincoli di destinazione di natura espropriativa ormai decaduti, non legittimasse l’edificazione di alcuna volumetria, dovendosi, invece, avere riguardo alle possibilità legali ed effettive di edificazione sussistenti al momento dell’imposizione del vincolo; per l’effetto, rimarrebbe la classificazione come area B di completamento residenziale.
Non potrebbe argomentarsi diversamente sulla base dell’art. 9, comma 3, DPR n. 327/07 e dell’art. 9 DPR n. 380/01, trattandosi di disposizioni che non classificherebbero l’area, come dimostrato dal fatto che in caso di espropriazione di applica il criterio residuale dell’edificabilità di fatto.
In ogni caso, gli indici di edificabilità che si azzererebbero sarebbero quelli in senso proprio, riferiti al rapporto tra mc e mq, ma non anche quello di copertura, rilevante nell’odierno giudizio: l’area destinata a viabilità sarebbe superficie esistente e ineliminabile sul piano fattuale, per l’effetto da computare al fine di determinare il rapporto tra superficie esistente e copertura consentita.
2.5 La parte ricorrente argomenta le proprie deduzioni anche sulla base di un precedente di questo Consiglio (n. 3106/2013), da cui troverebbe conferma il principio per cui non potrebbe sottrarsi ad un’area classificata “B” di completamento l’edificabilità riconnettibile alle superfici destinate spontaneamente a viabilità dall’originario unico proprietario, rimaste ancora di sua proprietà per mancata loro acquisizione al patrimonio comunale.
1. Le censure, afferenti al medesimo capo decisorio, suscettibili di trattazione unitaria per ragioni di connessione, sono infondate.
2. L’infondatezza discende, per una prima ed autonoma ragione, dall’accertamento di merito recato dal decreto presidenziale del 29.10.2009, con cui è stato accolto il ricorso straordinario proposto contro la concessione edilizia n. 60/2005 cit.
4.1 Come osservato sopra, tale decreto non può essere più invocato nel presente grado di giudizio per censurare la violazione dell’effetto preclusivo discendente dal pregresso giudicato, avendo il Tar, con capo decisorio ormai irretrattabile perché non impugnato, negato che la parte ricorrente in primo grado avesse riproposto la stessa domanda rigettata in sede straordinaria, in violazione del divieto del bis in idem.
La possibilità, dunque, di fare valere tale decreto quale causa di inammissibilità del ricorso di primo grado (perché afferente ad una domanda già rigettata con pronuncia operante inter partes), non può formare oggetto di ulteriori doglianze esaminabili dal Collegio.
La preesistenza di un giudicato formatosi inter partes, tuttavia, può essere invocata in funzione conformativa dell’odierna decisione, essendosi in presenza di una questione – pure emergente dalle deduzioni dell’appellata, che ha valorizzato il pregresso accertamento svolto in sede straordinaria – non esaminata e decisa dal primo giudice: il Tar si è infatti limitato, nel rito, a riconoscere l’ammissibilità del ricorso per diversità delle domande proposte in sede straordinaria e giurisdizionale, ma non ha negato, nel merito, l’esistenza di un pregresso accertamento, reso in sede straordinaria, suscettibile di condizionare l’odierno giudizio ai fini della decisione delle diverse domande ivi proposte.
L’effetto conformativo del giudicato di annullamento è apprezzabile:
– tanto sul piano amministrativo, imponendo all’Amministrazione soccombente di assumere le determinazioni di competenza (relative alla stessa vicenda amministrativa in cui è stato adottato il provvedimento annullato in giudizio o ad altre vicende alla prima oggettivamente connesse) nel rispetto dei criteri direttivi discendenti dalla pronuncia di annullamento;
– quanto sul piano processuale, imponendo al giudice investito di una successiva causa vertente tra le stesse parti e riferita al medesimo rapporto amministrativo di conformarsi al precedente accertamento giurisdizionale, ove emergano questioni giuridiche o fattuali fondate su punti fondamentai comuni ad entrambe le controversie.
Come precisato dalla giurisprudenza ordinaria – con argomentazioni riferibili anche al processo amministrativo, in quanto espressione di principi processuali comuni in materia di giudicato – “qualora due giudizi tra le stesse parti si riferiscano al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo” (Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2018, n. 11754).
Nel caso di specie, sussistono i presupposti perché il giudicato formatosi sul decreto presidenziale reso in sede straordinaria possa operare in funzione conformativa anche nell’ambito dell’odierno giudizio (sebbene relativo ad atti differenti, assunti pure sulla base di presupposti parzialmente diversi, come rilevato in maniera irretrattabile dal Tar nel rigettare l’eccezione di inammissibilità per violazione del ne bis in idem).
4.2 Al riguardo, in primo luogo, non può dubitarsi dell’idoneità del decreto presidenziale, reso a definizione di un procedimento per ricorso straordinario, di produrre effetti giuridici assimilabili a quelli del giudicato amministrativo, sia in funzione preclusiva della riproposizione delle medesime domande già decise in sede straordinaria, sia (per quanto di maggiore interesse nella presente sede) in funzione conformativa in relazione alla decisione di successive e diverse domande, proposte in sede giurisdizionale, aventi ad oggetto questioni giuridiche o fattuali su punti fondamentali comuni.
Questo Consiglio, infatti, ha riconosciuto la natura sostanzialmente giurisdizionale del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, al fine di assicurare un grado di tutela non inferiore a quello conseguibile con il ricorso innanzi agli organi di giustizia amministrativa ed in tale considerazione ha rilevato che “il decreto decisorio sul ricorso straordinario, una volta divenuto definitivo, è assimilabile al giudicato amministrativo” (Consiglio di Stato Sez. V, 22 aprile 2020, n. 2554).
Tali principi trovano, in particolare, applicazione in relazione ai decreti presidenziali pronunciati successivamente all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, con cui sono state introdotte significative modifiche alla disciplina del ricorso straordinario, in specie con la previsione, da un lato, del carattere vincolante del parere reso dal Consiglio di Stato -essendo prescritto che il decreto del Presidente della Repubblica, che decide sul ricorso straordinario, deve essere adottato su proposta del Ministero competente, “conforme al parere del Consiglio di Stato” – dall’altro, della possibilità per il Consiglio di Stato di sollevare la questione incidentale di legittimità costituzionale, manifestando in tale modo la natura sostanzialmente giurisdizionale del rimedio giuridico in esame.
Né potrebbe differirsi la mutata natura del ricorso straordinario all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (D. Lgs. n. 104/10) che, tra l’altro, ha limitato la possibilità di ricorrere in sede straordinaria in relazione alle controversie devolute alla giurisdizione amministrativa (con conseguente individuazione nella giurisdizione del presupposto di ammissibilità del ricorso straordinario al pari di quanto avviene per il ricorso “ordinario” al giudice amministrativo), ha esteso la legittimazione a presentare opposizione alla trattazione della controversia in sede straordinaria (in tale maniera garantendo la pienezza del contraddittorio), nonché ha compiutamente regolato la trasposizione alla stregua di una transatio iudicii (con conseguente emersione di procedimenti analoghi nella natura giuridica).
Le innovazioni introdotte con il codice del processo amministrativo, infatti, più che determinare la modifica della natura giuridica del rimedio in esame – da rimedio amministrativo a rimedio di giustizia, funzionale all’emissione di una decisione avente natura sostanzialmente giurisdizionale-, hanno accentuato ulteriormente la natura sostanzialmente giurisdizionale del rimedio, già discendente dalle modifiche introdotte dalla L. n. 69/09.
La stessa giurisprudenza ordinaria (cfr. Cass. Sez. Un., 19 dicembre 2012, n. 23464), sebbene abbia valorizzato le modifiche normative intervenute nel 2009/2010 per argomentare in merito alla configurazione del decreto presidenziale, emesso all’esito del procedimento per ricorso straordinario, quale decisione di giustizia, ha evidenziato come “Il codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104) ha ulteriormente accentuato il carattere giurisdizionale del ricorso straordinario in varie disposizioni”, con la conseguenza che le innovazioni introdotte dal D. Lgs. n. 104/10, come osservato, non sembrano avere determinato, avendo soltanto accentuato il carattere giurisdizionale del ricorso straordinario già desumibile dal previgente assetto normativo, come delineato dalla L. n. 69/09.
Del resto, è con la L. n. 69/09 che, non soltanto è stata imposta l’emissione di un decreto presidenziale conforme al parere del Consiglio di Stato, consentendo dunque alla decisione conforme al parere di ripetere da quest’ultimo la natura di atto giurisdizionale in senso sostanziale, ma è stata pure prevista la possibilità per il Consiglio di Stato in sede straordinaria di sollevare questione di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 23 L. n. 87/1953, il che è proprio dei giudizi dinnanzi all’autorità giurisdizionali.
La stessa Adunanza Plenaria di questo Consiglio (n. 9 del 2013), pure valorizzando la rilevanza della riforma recata dal c.p.a:
– da un lato, ha precisato che “La matrice sostanzialmente giurisdizionale del rimedio è corroborata dalle indicazioni ricavabili dal codice del processo amministrativo di cui al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104”, evidenziando, dunque, come il c.p.a., anziché determinare il mutamento della natura giuridica del rimedio, abbia corroborato la sua natura sostanzialmente giurisdizionale, per l’effetto già riconosciuta dalla previgente disciplina;
– dall’altro, ha ritenuto come assuma “rilievo decisivo lo jus superveniens che ha attribuito carattere vincolante al parere del Consiglio di Stato, con il connesso riconoscimento della legittimazione dello stesso Consiglio a sollevare, in detta sede, questione di legittimità costituzionale”, tenuto conto che, “[u]na volta acquisito che la paternità effettiva della decisione è da ricondurre all’apporto consultivo del Consiglio di Stato connotato da una suitas giurisdizionale e che, pertanto, il provvedimento finale è meramente dichiarativo di un giudizio formulato da un organo giurisdizionale in modo compiuto e definitivo, si deve convenire che l’atto finale della procedura è esercizio della giurisdizione nel contenuto espresso dal parere del Consiglio di Stato che, in posizione di terzietà e di indipendenza e nel rispetto delle regole del contraddittorio, opera una verifica di legittimità dell’atto impugnato”; dimostrando, in tale maniera di riconoscere portata decisiva e, dunque, determinante alle innovazioni introdotte con la L. n. 69/09 in ordine alla natura vincolante del parere di questo Consiglio in sede straordinaria e alla possibilità nella medesima sede di sollevare questione di legittimità costituzionale.
Con successiva pronuncia l’Adunanza Plenaria (14 luglio 2015, n. 7) ha pure precisato che “la valenza sostanzialmente giurisdizionale del decisum è ora fondata sulla riconduzione, già in astratto, della paternità esclusiva della decisione all’autorità giurisdizionale. Ne deriva l’assenza di detto requisito sostanziale per le decisioni adottate in un regime caratterizzato, prima dell’entrata in vigore dell’articolo 69 della legge n. 69/2009, dalla concorrente paternità in capo all’autorità amministrativa, legittimata a esprimere, attraverso un aggravamento procedurale, un avviso contrario a quello sostenuto nell’apporto consultivo del Consiglio di Stato”, ad ulteriore conferma di come il discrimine nel trattamento giuridico del rimedio di giustizia sembri dato dalle innovazioni introdotti con la L. n. 69/09, assumendo il D. Lgs. n. 104/10 valenza rafforzativa di una natura sostanzialmente giurisdizionale del ricorso straordinario già riconosciuta con la L. n. 69/09.
Per l’effetto, posto che, al fine di riconoscere la natura giurisdizionale alla decisione presidenziale assunta in sede di ricorso straordinario, occorre avere riguardo alla data di deposito del decreto, e non a quella in cui è stato depositato il ricorso introduttivo del giudizio (Cass. civ. Sez. V, Ord., 17 maggio 2019, n. 13389), il decreto presidenziale, con cui è stata annullata la concessione edilizia n. 60 del 2005, deve ritenersi idoneo al giudicato, in quanto depositato in data 29 ottobre 2009, successivamente all’entrata in vigore dell’art. 69 L. n. 69/09 (4 luglio 2009).
Di conseguenza, tale decreto risulta idoneo a produrre effetti analoghi al giudicato amministrativo nei rapporti tra il Sig. -OMISSIS-, il Comune di (omissis) e il Sig. -OMISSIS-, costituenti le parti tra cui è stata assunta la relativa decisione di giustizia (circostanza confermata dal doc. 1 in allegato al ricorso principale di primo grado, recante, altresì, la nota ministeriale di trasmissione del decreto presidenziale al Comune, al Sig. -OMISSIS- e al Sig. -OMISSIS-, rispettivamente amministrazione resistente, controinteressato e ricorrente).
4.3 Definita l’idoneità del decreto presidenziale del 29.10.2009 a produrre effetti giuridici assimilabili a quelli del giudicato amministrativo, occorre procedere alla ricostruzione del suo ambito oggettivo, al fine di individuare l’effetto conformativo suscettibile di prodursi nell’ambito dell’odierno giudizio.
Al riguardo, al fine di delimitare la portata del giudicato e, dunque, individuare la regula iuris ritraibile dal precedente in esame, occorre procedere ad una lettura congiunta di dispositivo e motivazione, da correlarsi con la causa petendi introdotta dal ricorrente, intesa come titolo dell’azione proposta, e del bene della vita che ne forma l’oggetto (“petitum” mediato): il giudicato, in particolare, si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, comprese le questioni e gli accertamenti che rappresentano le premesse necessarie e il fondamento logico-giuridico ineludibile della pronuncia – che ne costituiscono il giudicato implicito – e che si ricollegano, quindi, in modo indissolubile alla decisione – che costituisce il giudicato esplicito – formandone l’indispensabile presupposto (cfr. Consiglio di Stato Sez. V, 28 gennaio 2021, n. 832; Id., Sez. II, 16 marzo 2021, n. 2248).
Tenuto conto di tali coordinate ermeneutiche, il decreto presidenziale del 29.10.2009 ha accolto il ricorso straordinario proposto avverso la concessione edilizia n. 60 del 2005 richiamano il parere n. 965/2009 espresso da questo Consiglio di Stato, con cui era stata ritenuta fondata la doglianza incentrata sulla “violazione dell’art. 12 sub 6 delle Norme di Attuazione del piano particolareggiato per la zona B5 e della tavola 21 – isolato 22° del P.P. Violazione dell’incide massimo di copertura (0,5). Violazione ed errata applicazione dell’art. 35 delle N.T.A. del Piano Particolareggiato. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti”.
Questo Consiglio, in particolare, nel ricostruire la portata di tale motivo di ricorso, ha evidenziato come “l’istante sostiene che con la concessione impugnata sarebbe stato superato l’indice massimo di copertura di 0,5 tra superficie coperta e superficie fondiaria previsto dall’art. 12 sub 6 delle norme di attuazione del Piano Particolareggiato per le zone B4 e B5, approvato con deliberazione consiliare n. 108 del 12.9.95. Ciò in quanto la superficie coperta complessiva andrebbe calcolata aggiungendo a quella in precedenza utilizzata quella delle costruzioni assentite con l’impugnata concessione n. 60, in conseguenza della quale il rapporto massimo di copertura supererebbe il prescritto indice di 0,5”.
Questo Consiglio, ha dunque, rilevato che:
– la concessione edilizia n. 60 “attiene al lotto n. 7, con superficie di mq 1578, dell’isolato 22 A del Piano Particolareggiato. Sul lotto risultano edificati due corpi di fabbricato (A e D), assentiti con concessione edilizia n. 79/89, occupanti complessivamente una superficie coperta di mq 787,44”;
– in forza dell’indice di copertura previsto per la zona dal Piano Particolareggiato (0,5 mq/mq), nel lotto, da considerare unitario, sarebbe stato, dunque, possibile realizzare una copertura di mq 789;
– la superficie coperta risultava pari a mq 787,44 già realizzati, ragion per cui l’intervento di cui alla concessione edilizia avrebbe determinato il superamento dell’indice di copertura;
– infatti, qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua o la superficie coperta residua deve essere calcolata previo decurtamento della volumetria realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali e/o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell’indice venga alterato con l’iper saturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo.
Risulta, dunque, incontrovertibile, in quanto integranti questioni e accertamenti che rappresentano le premesse necessarie e il fondamento logico-giuridico ineludibile di una decisione idonea a produrre effetti sostanzialmente giurisdizionali, che:
– l’art. 12, sub 6, MTA del Piano Particolareggiato per le zone B4 e B5, approvato con delibera consiliare n. 108/95, prescriveva un indice massimo di copertura di 0,5 tra superficie coperta e superficie fondiaria (circostanze alla base del motivo accolto con il decreto presidenziale, dunque positivamente valutate con tale decisione di giustizia);
– la superficie da computare ai fini del calcolo dell’indice di copertura era di 1578 mq;
– la superficie già realizzata prima dell’adozione della concessione edilizia n. 60/05 risultava di 787,44, prossima a quella massima assentibile di mq 789, pari alla metà della superficie computabile ai fini del rispetto dell’indice di copertura (0,50 mq/mq);
– le opere assentite con la concessione edilizia n. 60 cit. avrebbero comportato la violazione di tale indice.
Gli accertamenti riguardanti l’estensione della superficie da computare al fine di rispettare l’indice di copertura delineato dall’art. 12, sub 6, MTA del Piano Particolareggiato per le zone B4 e B5 afferiscono ad una questione relativa ad un punto fondamentale comune all’odierno giudizio, vertente pur sempre sul rapporto amministrativo corrente tra il Comune di (omissis) e il Sig. -OMISSIS- in ordine alla legittimità delle stesse opere edilizie (manufatto realizzato sulla base della concessione edilizia n. 60 cit., successivamente oggetto di istanza di accertamento di conformità).
Deve, dunque, ritenersi che tali accertamenti, in quanto coperti dal giudicato, non possano essere più rimessi in discussione nella presente sede, vincolando la decisione che il Collegio è chiamato ad assumere a definizione dell’odierno giudizio.
4.4 L’effetto conformativo del decreto presidenziale conduce al rigetto dell’appello, non sussistendo i presupposti per pervenire, in riforma della sentenza gravata, a riscontrare l’illegittimità del diniego di sanatoria impugnato con i primi motivi aggiunti di primo grado.
La parte ricorrente, infatti, censura l’erroneità della sentenza gravata, evidenziando come la superficie fondiaria da prendere in esame ai fini del calcolo dell’indice di copertura debba essere pari a mq 3.945, attesa la necessità di comprendervi anche la superficie di mq 1.013 destinata a viabilità ancora facente parte del lotto fondiario, urbanisticamente unitario.
Tali deduzioni, tuttavia, tendono a rimettere in discussione tra le stesse parti un accertamento già svolto in sede straordinaria, che, seppure riguardante un diverso provvedimento (concessione edilizia), afferisce comunque al medesimo bene immobile (opere realizzabili sulla base della concessione edilizia n. 60 cit.) e allo stesso indice di copertura rilevante nel presente giudizio: trattasi dell’accertamento in merito all’estensione della superficie da computare per determinare il limite di copertura operante nell’area per cui è causa.
Con il decreto presidenziale, in particolare, è stata già determinata tra le parti la necessità di computare una superficie di 1578 mq; trattasi di una premessa necessaria, costituente il fondamento logico-giuridico ineludibile del decreto presidenziale, di cui costituisce l’indispensabile presupposto, pertanto da ritenere compresa nella portata oggettiva del relativo giudicato.
Non potendo più controvertersi su tale questione, deve assumersi anche nella presente sede un’estensione della superficie rilevante per il calcolo dell’indice di copertura pari a 1578 mq.
Tale rilievo osta all’accoglimento dell’appello, avendo l’Amministrazione comunale correttamente negato l’accertamento di conformità delle opere de quibus, in quanto, in ragione dell’indice di copertura nella specie applicabile (0,5), considerata la superficie già edificata comunque da computare in ragione del principio del lotto urbanisticamente unitario (784,44 mq), nonché la superficie del lotto (rilevante per il calcolo dell’indice di copertura) già accertata nel pregresso giudicato (1578 mq) le opere oggetto dell’istanza ex art. 36 DPR n. 380/01 (e art. 16 L.R. n. 23/85) non avrebbero potuto essere sanate, in quanto occupanti una superficie coperta superiore al limite fissato dalla pertinente disciplina urbanistica applicabile all’area.
4.5 Come precisato da questo Consiglio, “l’articolo 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, nel disciplinare l’accertamento di conformità, ossia quello strumento attraverso cui si consente la sanatoria di opere realizzate in assenza di titolo edilizio, ma conformi alla normativa applicabile, richiede che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della istanza di sanatoria, non potendosi affatto accogliere l’istituto della c.d. sanatoria giurisprudenziale, la cui attuale praticabilità è stata da tempo esclusa dalla giurisprudenza medesima. Tale approdo, che richiede la verifica della ‘doppia conformità’, deve considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto adempimento finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità” (tra le altre, Cons. Stato Sez. VI, 19 agosto 2021, n. 5948).
L’esigenza di tutela sottesa all’art. 36 DPR n. 380 del 2001 in commento è infatti quella di evitare interventi repressivi, qualora l’illecito in concreto commesso sia lesivo del solo interesse pubblico (strumentale) della sottoposizione al previo controllo amministrativo dell’attività edilizia, senza compromissione dell’interesse pubblico (finale) dell’ordinato sviluppo del territorio, nel rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia all’uopo applicabile. In tali ipotesi, si consente la permanenza delle opere mediante la formazione postuma, una volta commesso l’illecito e a sua sanatoria, del titolo edilizio idoneo a legittimare l’intrapresa attività edificatoria.
4.6 Avuto riguardo al caso di specie, poiché le opere oggetto dell’istanza di sanatoria occupavano una superficie superiore a quella assentitile sulla base della disciplina urbanistica recata dall’art. 12, sub 6, MTA del Piano Particolareggiato per le zone B4 e B5 – determinata in conformità all’accertamento pregresso recato dal decreto presidenziale del 2009, avente tra le parti effetti assimilabili al giudicato -, tali opere non avrebbero potuto essere realizzate, in quanto incompatibili con la disciplina urbanistica vigente al momento dell’esecuzione; con la conseguenza che le stesse opere non avrebbero neppure potuto essere sanate ex art. 36 DPR n. 380/01, come legittimamente disposto dall’Amministrazione comunale.
1. L’appello risulta, comunque, infondato anche per altre e autonome ragioni.
5.1 In primo luogo, il ricorrente intende proporre un’interpretazione della nozione di lotto urbanisticamente unitario che non trova fondamento nella giurisprudenza amministrativa e nella ratio sottesa al relativo istituto.
Questo Consiglio (tra gli altri, sez. V, 3 aprile 2019, n. 2215), infatti, ha precisato che:
– un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore (nuovo) permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera e il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto in seguito catastalmente divisa, dovendosi considerare irrilevanti i frazionamenti delle proprietà private medio tempore intervenuti: pertanto, quando un’area edificabile viene successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile nell’intera area permane invariata, sicché, qualora siano già state realizzate sul lotto originario una o più costruzioni, i proprietari dei vari terreni, in cui detto lotto sia stato successivamente frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che eventualmente residua tenuto conto di quanto originariamente costruito;
– in altri termini, qualora un lotto urbanisticamente unitario sia già stato oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua, o la superficie coperta residua, va calcolata previo decurtamento di quella in precedenza realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell’indice venga alterato con l’ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo;
– l’istituto dell’asservimento in senso tecnico si è configurato in seguito all’entrata in vigore del d.m. n. 1444/1968, con il quale sono stati introdotti nell’ordinamento, in attuazione dei precetti recati dall’art. 17 l. n. 765/1967 (introduttivo dell’art. 41-quinquies l. n. 1150/1942), limiti inderogabili di densità edilizia;
– in caso di edificio preesistente realizzato in epoca anteriore all’adozione del primo piano regolatore generale di un comune, con il quale per la prima volta nel territorio comunale siano stati introdotti indici di densità edilizia – territoriale (riferito a ciascuna zona omogenea) e fondiaria (riferito al singolo lotto) -, in assenza di limiti di volumetria non è configurabile un’ipotesi di asservimento in senso tecnico, ma è astrattamente configurabile un vincolo di c.d. asservimento pertinenziale, connotato dalla destinazione dell’area non edificata del lotto a servizio dell’edificio realizzato, in termini di complementarietà funzionale, dovendosi in tal caso aver riguardo al dato reale costituito dagli immobili preesistenti su detta area e delle relazioni che intrattengono con l’ambiente circostante;
– qualora la normativa urbanistica imponga limiti di volumetria, il relativo vincolo sull’area discende ope legis, senza necessità di strumenti negoziali privatistici (atto d’obbligo, trascrizione, cessione di cubatura, ecc.), che devono invece sussistere quando il proprietario di un terreno intenda asservirlo a favore di un altro proprietario limitrofo, per ottenere una volumetria maggiore di quella che il suo solo terreno gli consentirebbe, oppure quando siffatto asservimento sia, per così dire, reciproco, nel senso che i proprietari di più terreni li asservino unitariamente alla realizzazione di un unico progetto;
– dal provvedimento edilizio abilitativo, il cui rilascio attualizza le potenzialità edificatorie di un lotto, determinandone la cubatura assentibile in relazione ai limiti imposti dalla normativa urbanistica, sorge un vincolo di asservimento per cui, una volta esaurite le predette potenzialità, le restanti parti del lotto sono sottoposte ad un regime di inedificabilità che discende ope legis dall’intervenuta utilizzazione del lotto medesimo (v. Cons. Stato, Ad. Plen., 23 aprile 2009, n. 3).
In particolare, l’operatività delle sopra esposte coordinate normative e giurisprudenziali dipende dall’accertamento delle seguenti circostanze, cumulativamente concorrenti:
(i) che il lotto originario sia unitario e unitariamente utilizzato, restando irrilevante il successivo evolversi dell’assetto della situazione proprietaria (atti di trasferimento), catastale (frazionamenti, piani particellari, accatastamenti, escorporazioni, ecc.);
(ii) che esista una norma di piano disciplinante la densità edilizia, oppure, in sua assenza, venga altrimenti individuato un vincolo di asservimento pertinenziale di un’area rispetto alla costruzione a suo tempo realizzata.
5.2 La ratio sottesa alla definizione del lotto urbanisticamente unitario è, dunque, quella di evitare un’elusione della normativa sugli indici di edificabilità, impedendo che, a seguito della costruzione su una parte marginale di ogni area, si provveda ad un suo frazionamento in vista della richiesta di un nuovo titolo abilitativo legittimante l’edificazione sulla porzione rimasta libera, per poi procedere ad ulteriori frazionamenti in modo da edificare ogni volta sulle porzioni di area via via rimasti sgombri, computando gli indici di edificabilità in relazione, anziché al lotto originario, alle singole porzioni territoriali frazionate.
La natura unitaria del lotto, per l’effetto, rileva per rendere insensibili i frazionamenti proprietari e catastali rispetto all’applicazione degli indici di edificabilità – che devono operare in relazione al fondo originario, unitariamente considerato e utilizzato -, ma non ostacola l’esercizio del potere di pianificazione territoriale, anche in funzione riduttiva della capacità edificatoria di un fondo (Consiglio di Stato, sez. IV, 22 novembre 2017, n. 5419), pure mediante il suo parziale assoggettamento a vincoli di destinazione pubblica.
Qualora il lotto sia sottoposto ad una differenziata disciplina urbanistica (discendente anche dai relativi strumenti attuativi), incentrata sulla previsione di vincoli di destinazione pubblica, la possibilità di considerare l’intera superficie realmente espressa dal lotto, lungi dal poter essere sempre riconosciuta – come sembrerebbe sostenere l’appellante che, facendo leva su una non condivisibile nozione di lotto urbanisticamente unitario, tende infondatamente a ritenere irrilevanti frazionamenti urbanistici nelle more disposti dagli strumenti di pianificazione attuativa – è subordinata alla tipologia di indice di edificabilità concretamente rilevante.
5.3 Nel caso di specie, si discorre dell’indice di copertura, espresso in termini di rapporto tra la superficie coperta e la superficie fondiaria: trattasi di definizione già assunta alla base del decreto presidenziale del 2019 cit., con cui -come osservato- è stato accolto un motivo di impugnazione incentrato proprio sulla violazione dell’indice di copertura di 0,5 (definito come rapporto “tra superficie coperta e superficie fondiaria previsto dall’art. 12 sub 6 delle norme di attuazione al Piano Particolareggiato per le zone B4 e B5…” – parere n. 965/09 cit.), e, comunque, coerente con le previsioni del Regolamento edilizio-tipo approvato in sede di Intesa Stato-Regioni, in attuazione dell’art. 4, comma 1-sexies del d. P.R. 6 giugno 2001, n. 380, pubblicato sulla G.U. n. 268 del 16 novembre 2016, comunque invocabile quale parametro esegetico nell’interpretazione della pertinente disciplina edilizia.
Come rilevato da questo Consiglio, tale intervento è stato reso necessario al fine di “omogeneizzarne gli ambiti definitori, ponendo ordine nel variegato linguaggio utilizzato nella prassi degli uffici comunali, rispondente o meno a specifiche indicazioni regolamentari o urbanistiche locali” (Consiglio di Stato, sez. VI, 10 gennaio 2020, n. 241). Il riferimento a tali definizioni uniformi risulta, quindi, utile al fine di individuare il paradigma cui ricondurre, almeno astrattamente, la fattispecie concreta, alla stregua di quanto emergente dalla documentazione in atti.
Per quanto più di interesse, anche il Regolamento edilizio-tipo conferma che l’indice di copertura è dato dal “rapporto tra la superficie coperta e la superficie fondiaria”.
Al fine di assicurare il rispetto di tale indice, occorre, dunque, computare la superficie fondiaria, cui applicare il rapporto di copertura (come definito dalla disciplina urbanistica di riferimento), per individuare il limite di superficie suscettibile di essere coperta con l’edificazione.
Diversamente da quanto ritenuto dall’appellante, tuttavia, la superficie fondiaria non corrisponde alla complessiva superficie reale del fondo oggetto di trasformazione urbanistica, ma soltanto alla superficie reale destinata all’uso edificatorio, al netto delle aree per dotazioni territoriali (in termini, cfr. Regolamento Tipo Edilizio cit.).
Del resto, come chiarito da questo Consiglio (sez. IV, 13 novembre 2018, n. 6397), la superficie territoriale e la superficie fondiaria rilevano differentemente in ambito urbanistico, a seconda che si faccia questione di una conformazione di un’intera zona omogenea ovvero di una singola area (o di un singolo lotto – Consiglio di Stato, sez. VI, 3 aprile 2019, n. 2215): difatti, mentre l’indice di densità territoriale (che definisce la quantità massima di superficie o di volume edificabile su una data superficie territoriale), è riferibile a ciascuna zona omogenea dello strumento di pianificazione, tendendo a definire il complessivo carico di edificazione che può gravare su ciascuna zona e venendo rapportato all’intera superficie della zona, ivi compresi gli spazi pubblici o, per quanto più di interesse, quelli destinati alla viabilità, l’indice di densità fondiaria (che definisce la quantità massima di superficie o di volume edificabile su una data superficie fondiaria) è riferibile alla singola area, definendo il volume massimo edificabile sulla stessa. Tale ultimo indice risulta applicabile all’effettiva superficie suscettibile di edificazione, con esclusione delle aree destinate ad uso pubblico.
L’indice di copertura, dunque, definendo un limite di estensione della superficie suscettibile di edificazione, non può essere computato tenendo conto, altresì, delle porzioni territoriali destinate ad uso pubblico.
5.4 Avuto riguardo al caso di specie, il lotto di proprietà dell’odierno ricorrente risultava soltanto in parte suscettibile di edificazione, risultando una sua porzione assoggettata dal piano particolareggiato ad un vincolo di destinazione a pubblica viabilità; con la conseguenza che tale porzione, in quanto insuscettibile di edificazione, non avrebbe potuto essere computata nell’ambito della nozione di superficie fondiaria e, dunque, non avrebbe potuto rilevare per il calcolo del rapporto di copertura per cui è controversia.
Il Comune, per l’effetto, una volta evidenziato che il piano particolareggiato di zona B aveva individuato in modo definitivo la viabilità, gli isolati e confermato l’indice di copertura nel 50% di superficie copribile, ha legittimamente escluso la possibilità di computare la superficie della viabilità ai fini delle volumetrie o degli standard di superficie coperta, non trattandosi di superficie fondiaria.
Di conseguenza, dovendo scomputarsi tale porzione territoriale, considerata la superficie già legittimamente realizzata in forza di titoli edilizi precedentemente rilasciati (787 mq), la superficie occupata dalle opere oggetto dell’istanza di sanatoria, sommata all’edificato esistente (in applicazione del principio del lotto urbanisticamente unitario), risultava superiore rispetto a quella ammissibile in base all’indice di copertura confermato dal Piano Particolareggiato; il che manifestava una violazione della relativa disciplina urbanistica ostativa all’accoglimento della domanda di accertamento di conformità 5.5 Non potrebbe diversamente argomentarsi neppure ritenendo che il vincolo di destinazione posto dal piano particolareggiato, risultando preordinato all’esproprio, fosse medio tempore decaduto.
La scadenza di un vincolo espropriativo non determina, infatti, la reviviscenza della previgente destinazione urbanistica (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 novembre 2019, n. 8125), ma, nelle more dell’adempimento in capo all’ente locale dell’obbligo di normazione dell’area (la cui inosservanza potrebbe, peraltro, essere censurata in giudizio dalla parte privata), ne comporta una limitata edificabilità, nella misura stabilita dall’articolo 9 del DPR n. 380/2001 ovvero dalle diverse disposizioni di legge regionale ove esistenti.
Per l’effetto, non potendo ritenersi che la porzione territoriale soggetta a vincolo espropriativo decaduto (di pubblica viabilità) sia sussumibile sotto la disciplina urbanistica dettata per la zona B5, operante soltanto per le rimanenti porzioni del fondo, non potrebbe estendersi l’applicazione dell’indice di copertura dello 0,5 anche ad una porzione territoriale soggetta a differenti indici di densità edilizia, come emergenti dalla disciplina dettata dall’art. 9 del DPR n. 380/2001 (o dalle diverse disposizioni di legge regionale ove esistenti) ovvero dalla nuova normazione dell’area assunta dall’Amministrazione comunale.
In altri termini, la superficie espressa dall’area per cui è causa, già gravata da un vincolo di destinazione pubblica, una vota decaduto il vincolo, non avrebbe potuto comunque essere sommata a quella generata dalla rimanente porzione del lotto, al fine di verificare il rispetto dell’indice di copertura dello 0,5: si fa, infatti, questione di una porzione territoriale non classificabile come B5, in quanto sottoposta al differente regime di cui all’art. 9 DPR n. 380/01, come tale non assoggettabili ad indici di densità edilizia (quale l’indice di copertura dello 0,5 per cui è causa) previsti per differenti zone territoriali (B5).
1. Alla luce delle considerazioni svolte, l’appello deve essere rigettato per concorrenti ed autonome ragioni.
L’impugnazione in esame, infatti, da un lato, è argomentata sulla base di un presupposto (dato dall’estensione della superficie computabile per la verifica dell’indice di copertura) contrastante con quello già accertato con effetti di giudicato inter partes dal decreto presidenziale del 2009 (assunto sul presupposto di una superficie rilevante estesa per mq 1578); dall’altro, comunque, è incentrata su deduzioni che non trovano riscontro nella giurisprudenza e nella disciplina urbanistica di riferimento, tenuto conto che:
– i principi in tema di lotto urbanisticamente unitario non impongono, a prescindere dall’indice di edificabilità preso in esame, il computo dell’intera superficie realmente espressa dal lotto, ma sono funzionali ad evitare che frazionamenti proprietari o catastali possano incrementare la volumetria e la superficie coperta; il che si verificherebbe se si considerassero atomisticamente, ai fini del calcolo degli indici di edificabilità, le singole porzioni territoriali medio tempore frazionate dalle parti private;
– tali principi, pertanto, da un lato, impongono di tenere conto della superficie coperta e del volume già generato da preesistenti edificazioni insistenti sul lotto unitario, come ritenuto da questo Consiglio nel parere reso in sede di procedimento per ricorso straordinario; dall’altro, non permettono di ritenere irrilevanti le differenti destinazioni urbanistiche impresse dalla disciplina (anche attuativa) urbanistica di riferimento, riguardando i soli frazionamenti proprietari e catastali;
– la possibilità di computare l’intera superficie realmente espressa dal lotto urbanisticamente unitario discende, pertanto, anziché dai principi del lotto urbanisticamente unitario, dalla tipologia di indice di edificabilità preso in esame;
– l’indice di copertura, rilevante nel caso di specie, misura il rapporto tra la superficie coperta e la superficie fondiaria, intendendosi per tale la sola superficie suscettibile di edificazione, con esclusione delle porzioni territoriali soggette a vincoli di destinazione a uso pubblico, quale la pubblica viabilità;
– anche in presenza di un vincolo espropriativo, la sua decadenza non consentirebbe la reviviscenza dell’originaria disciplina urbanistica e, dunque, non permetterebbe di applicare alla relativa porzione territoriale, ancora da normare, gli indici di edificabilità previste per altre zone del territorio comunale.
Per l’effetto, nel caso di specie:
– la differenziazione tra gli indici di densità edilizia non avrebbe potuto essere condizionata dalla circostanza per cui la zona di riferimento fosse classificata come B5: la distinzione tra indice di densità fondiaria e indice di densità territoriale, come osservato, varia, anziché in ragione della zona presa in esame, dalla diversa funzione da ciascuno di essi svolta, tenuto conto che l’indice di densità territoriale definisce il complessivo carico di edificazione suscettibile di gravare su ciascuna zona omogenea, mentre l’indice di densità fondiaria definisce il volume massimo edificabile sulla singola area stessa, determinata al netto delle porzioni sottoposte a vincoli di destinazione pubblica, quale la destinazione a viabilità per cui è causa;
– lo strumento di pianificazione attuativa, che ha definito la porzione territoriale del lotto di proprietà del ricorrente destinata a viabilità, non è stato tempestivamente impugnato, né potrebbe essere disapplicato in via ermeneutica nell’odierno giudizio, sia perché non emerge una incompatibilità con una norma primaria regolante la materia, in grado di imporsi (in sostituzione di quella secondaria) come fonte di regolazione del rapporto controverso, sia perché la disapplicazione in materia urbanistica non potrebbe operare in relazione alle prescrizioni che in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata, nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione, la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici, la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo (Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 febbraio 2016, n. 475), quali sono quelle dettate dal piano particolareggiato per cui è causa, incidenti su una porzione del lotto di proprietà del ricorrente, destinato a pubblica viabilità;
– la sottoposizione di una porzione del lotto al vincolo di destinazione a viabilità pubblica impediva di computare tale porzione territoriale nell’ambito della superficie fondiaria rilevante per determinare il limite massimo di copertura del lotto;
– decaduto il vincolo espropriativo, non poteva comunque conservarsi, in relazione alla relativa porzione territoriale, la classificazione come area B di completamento residenziale, operando la disciplina di cui all’art. 9 DPR n. 380/01, con conseguente impossibilità di estendere alla porzione territoriale gravata da un vincolo espropriativo decaduto l’indice di copertura previsto per altre aree normate dallo strumento di pianificazione urbanistica;
Ne deriva che la porzione del lotto di proprietà del ricorrente -dapprima, sottoposta a vincolo di destinazione pubblica, successivamente, ad un regime edilizio ed urbanistico differente da quello delineato per la zona B5 dagli strumenti di pianificazione territoriale comunali- non avrebbe potuto essere computata al fine di determinare la superficie fondiaria da assumere a fondamento del calcolo della massima copertura edificabile Non potrebbe, peraltro, neppure invocarsi il precedente di questo Consiglio di Stato (n. 3106/13), che non ha affermato il principio per cui, ai fini del calcolo dell’indice di copertura, è irrilevante la destinazione a pubblica viabilità impressa dallo strumento di pianificazione attuativa ad una porzione di un lotto unitario, ma semplicemente ha accertato che il lotto oggetto del relativo giudizio non risultava asservito in favore dell’edificazione in precedenza realizzata per effetto di un piano di lottizzazione sui lotti circostanti.
Tali rilievi non sono conferenti rispetto al caso di specie, dove non si discute sull’asservimento del lotto di proprietà del ricorrente rispetto all’edificazione assentita su lotti circostanti, ma di imposizione di un vincolo destinazione su una porzione di un lotto unitario, idonea, come osservato, a ridurre l’estensione della superficie fondiaria computabile per definire il limite di superficie suscettibile di essere coperta per effetto dell’edificazione.
Tale limite, da determinare scomputando la porzione di lotto destinata a viabilità dalle disposizioni del citato piano particolareggiato, risultava superato dall’edificazione delle opere per cui è causa, con conseguente emersione di una violazione urbanistica (dell’indice di copertura) ostativa alla sanatoria richiesta in sede amministrativa.
1. Alla luce delle considerazioni svolte, l’appello deve essere rigettato e, per l’effetto, deve essere confermata la sentenza impugnata.
La particolarità della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio del grado di appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa interamente tra le parti le spese di giudizio del grado di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti processuali.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 novembre 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere, Estensore

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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