Bancarotta fraudolenta e la qualifica di amministratore di fatto

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|10 febbraio 2022| n. 4865.

In tema di bancarotta fraudolenta, la qualifica di amministratore di fatto di una società non può trarsi solo dal conferimento di una procura generale “ad negotia”, ma richiede l’individuazione di prove significative e concludenti dello svolgimento delle funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività imprenditoriale, anche a mezzo dell’attivazione dei poteri conferiti con la procura stessa. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la decisione del giudice di merito che aveva ricondotto all’imputato la qualifica di amministratore di fatto in quanto titolare di una procura generale e della gestione di alcuni conti correnti della società che non risultava avesse generato passività).

Sentenza|10 febbraio 2022| n. 4865. Bancarotta fraudolenta e la qualifica di amministratore di fatto

Data udienza 25 novembre 2021

Integrale

Tag – parola: Bancarotta – Amministratore di diritto – Elementi sintomatici – Conferimento di procura per la sola movimentazione dei conti senza generare passività – Insufficienza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente

Dott. PEZZULLO Rosa T. – Consigliere

Dott. CATENA Rossella – rel. Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano emessa in data 19/10/2020;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rossella Catena;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Senatore Vincenzo, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, riportandosi alla requisitoria scritta;
uditi difensori di fiducia del ricorrente, avv.to (OMISSIS) ed avv.to (OMISSIS), che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.

Bancarotta fraudolenta e la qualifica di amministratore di fatto

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data 15/05/2018 – con cui (OMISSIS) era stato condannato a pena di giustizia per i delitti di bancarotta fraudolenta per distrazione, bancarotta documentale e per aver cagionato, per effetto di operazioni dolose, in qualita’ di amministratore di fatto, procuratore speciale dal 30/10/2003 al 11/10/2006, il fallimento della (OMISSIS) s.r.l., dichiarato con sentenza del Tribunale di Milano in data 23/03/2009, ai sensi degli articoli 110 c.p., Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216, comma 1 e 2, articolo 219 comma 2, n. 2, articolo 223, comma 2, n. 2, – rideterminava in anni cinque la durata delle pene accessorie di cui all’articolo 216, u.c., L. Fall..
2. (OMISSIS) ricorre in data 26/02/2021, a mezzo dei difensori di fiducia avv.to (OMISSIS) ed avv.to (OMISSIS), deducendo otto motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 2.1 inosservanza di norme sancite a pena di nullita’, inammissibilita’, inutilizzabilita’, decadenza, in riferimento all’articolo 522 c.p.p., ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera c), in quanto gia’ la sentenza di primo grado ha considerato come il capo di imputazione formulato in relazione alla bancarotta fraudolenta per distrazione si fondasse su una duplicazione delle somme: cio’ in quanto i conti correnti personali di (OMISSIS) e di (OMISSIS) dovevano essere ritenuti riferibili alla societa’ e solo formalmente intestati ai predetti, sicche’ le somme indicate come distratte in favore dei coimputati erano, in realta’, somme transitate da un conto all’altro della societa’, operazioni equiparabili, nella sostanza, ad altrettanti giroconti, per cui i relativi importi non potevano considerarsi autonomamente distratti, dovendo, pertanto, essere scomputati dall’importo globale individuato per ciascun anno di riferimento della condotta distrattiva. Il Tribunale, quindi, sulla scorta di tale circolarita’ della movimentazione bancaria, ha considerato solo i flussi accreditati sui conti societari provenienti da aperture di credito o da finanziamenti bancari, effettivamente utilizzati dalla societa’ per finalita’ che il curatore non ha potuto ricostruire o accertare e che, pertanto, sono stati ritenuti oggetto di distrazione, quanto meno nei limiti in cui le banche erano rimaste creditrici. In tal senso si palesa la diversita’ tra il fatto indicato nel capo di imputazione e quello descritto in sentenza, essendo diverso l’oggetto materiale del reato, non rientrando nel capo di imputazione le somme finanziate dagli istituto di credito o, almeno, non essendo stata provata la loro inclusione nello schema dei versamenti ricostruiti dalla Guardia di Finanza nelle schede allegate al p.v.c., queste ultime oggetto dell’istruttoria dibattimentale; ne’ il (OMISSIS) avrebbe potuto esercitare le proprie prerogative difensive, poiche’, a differenza di quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, egli non aveva la disponibilita’ di tutti i conti correnti societari, ed il debito si era accumulato proprio sui conti di cui egli non aveva la disponibilita’ e di cui non e’ stata disposta l’acquisizione in dibattimento; non a caso, l’imputato ha solo potuto accedere al fascicolo fallimentare, allo scopo di dimostrare come le insinuazioni al passivo fallimentare si fossero verificate in relazione a conti su cui egli non poteva operare, in quanto aperti dal (OMISSIS), senza, tuttavia, aver mai potuto esaminarne gli estratti conto, con la conseguenza che egli avrebbe dovuto essere assolto dalla relativa imputazione, risultando la motivazione della Corte territoriale, sul punto, del tutto inconferente;

 

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2.2 violazione di legge, in riferimento agli articoli 2651 e 2639 c.c., ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b), in relazione alla possibilita’ di individuare in capo al ricorrente il ruolo di amministratore di fatto dopo il 02/08/2004, data alla quale risale la sostituzione del precedente amministratore con (OMISSIS) e, comunque, nel periodo in cui si sarebbero verificate le distrazioni, ossia dal maggio 2006, epoca in cui il (OMISSIS) aveva acceso il primo conto corrente, sino alla data della dichiarazione di fallimento. Pur risultando pacificamente che il ricorrente avesse continuato a gestire in maniera poco ortodossa alcuni conti correnti societari – rispetto ai quali, tuttavia, non e’ stato individuato alcun debito a carico della societa’ – sulla base di uno specifico accordo con il (OMISSIS), come riconosciuto dal primo giudice, la motivazione della Corte di merito sembra non condividere detta impostazione, ritenendo che, anche dopo il 2004, il ricorrente non si sarebbe limitato a movimentare detti conti correnti; tuttavia, la Corte territoriale non ha offerto, sul punto, alcuna motivazione rafforzata e, anzi, si e’ contraddetta in relazione alla ricostruzione della condotta distrattiva, limitandosi a dare rilevanza al dato – del tutto neutro e diversamente giustificabile e, quindi, privo di qualunque precisione indiziaria della presenza del ricorrente durante il controllo della Guardia di Finanza. La stessa procura ad negotia di cui il ricorrente era munito dal 30/10/2003, di ampio contenuto, non solo non appare sufficiente ai fini dell’individuazione del ruolo di amministratore di fatto, ma non consente di individuare quali sarebbero stati i concreti atti di gestione posti in essere dall’imputato, elemento a cui si a’ncora il ruolo di amministratore di fatto, anche alla luce della giurisprudenza di legittimita’. In sostanza, quindi, il (OMISSIS) aveva mantenuto un dominio non sull’intera attivita’ della societa’, ma solo su di una parte di essa, ossia un godimento corrispondente ad un usufrutto di ramo di azienda, ai sensi dell’articolo 2561 c.c.; tale istituto, in particolare, individua in capo all’usufruttuario specifici obblighi di gestione, l’inadempimento dei quali avrebbe determinato il concorso del (OMISSIS), quale extraneus, nella condotta distrattiva dell’amministratore di diritto; in ogni caso, il ricorrente ha gestito il ramo d’azienda in maniera del tutto ininfluente ai fini dell’aggravamento del dissesto, tanto e’ vero che questo e’ stato causato unicamente dalla condotta del (OMISSIS);

 

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2.3 vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), in riferimento alla attribuzione al ricorrente della condotta distrattiva, contrastante con la cronologia delle vicende societarie descritte nella premessa del ricorso, da cui si evidenzia come i debiti fossero tutti sorti in un’epoca in cui amministratore della societa’ era il (OMISSIS), avendo gia’ la difesa evidenziato nei motivi di appello come le movimentazioni bancarie rilevanti erano quelle riconducibili all’apertura del rapporto di conto corrente con la Cassa di Risparmio di Milano e Lombardia nel maggio 2006, garantito da una fideiussione bancaria personale del (OMISSIS) fino a concorrenza di 300.000,00 Euro. Al contrario, la Corte territoriale, sulla base di un sillogismo eristico, ha fondato l’affermazione di responsabilita’ dell’imputato su una vera e propria responsabilita’ oggettiva, ritenendo il (OMISSIS) concorrente del (OMISSIS), senza peraltro offrire alcuna ricostruzione del contributo psicologico; cio’, infatti, avrebbe implicato la prova della consapevolezza, da parte del (OMISSIS), della condotta illecita del (OMISSIS), oltre che del contributo da lui prestato in concreto, posto che l’amministrazione della societa’ era stata assunta dal (OMISSIS) stesso;
2.4 violazione di legge, in riferimento all’articolo 192 c.p.p., ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b), in quanto la sentenza di primo grado aveva fondato la propria ricostruzione sulla circostanza che la societa’ fosse inattiva, come riferito dal (OMISSIS) al (OMISSIS), e che la mancata restituzione dell’affidamento bancario, dimostrata dall’insinuazione al passivo dell’istituto di credito, in assenza di spiegazione circa la destinazione degli importi e della carenza di documentazione, integrasse la condotta distrattiva. In realta’, il (OMISSIS) era uscito di scena nel 2004, con la consegna al (OMISSIS) della documentazione contabile societaria, per cui non si puo’ ritenere che la societa’ fosse inattiva, posto che il (OMISSIS), due anni dopo, aveva aperto il primo dei conti correnti affidati ed aveva sottoscritto quattro rogiti immobiliari, come dimostrato dalla produzione documentale in sede di gravame. Tali circostanze sono state del tutto pretermesse dalla Corte territoriale, il che mina il ragionamento ricostruttivo, basato, per l’appunto, su di una presunta inattivita’ della societa’, circostanza dimostrata non vera. Ne’ si comprende come la sentenza impugnata possa identificare come distrazioni patrimoniali i debiti bancari, senza aver mai esaminato i relativi estratti conto bancari; senza contare come tali somme non fossero contemplate quale oggetto della distrazione descritta dal capo di imputazione, come descritto in precedenza con il primo motivo di ricorso;

 

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2.5 inosservanza di norme sancite a pena di nullita’, inammissibilita’, inutilizzabilita’, decadenza, in riferimento all’articolo 649 c.p.p., e vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), in quanto la fattispecie di bancarotta impropria e’ stata collegata al debito verso l’erario pari a circa 60 milioni di Euro, pari al 95% del passivo accertato, benche’ il (OMISSIS) fosse stato assolto dalle relative imputazioni di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 5 e 10 basate sulle medesime fonti di prova, ossia, essenzialmente, gli accertamenti della Guardia di Finanza. Non si comprende, quindi, come sia possibile configurare la bancarotta impropria, anche alla luce del principio del ne bis in idem come interpretato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 200 del 2016, trattandosi della medesima condotta, ne’ come la ritenuta inutilizzabilita’ delle presunzioni tributarie, ai fini dell’accertamento dei reati di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, non debba operare anche in relazione allo standard probatorio della bancarotta “tributaria”; le stesse presunzioni tributarie, infine, non potrebbero dimostrare il nesso di causalita’ tra la condotta posta in essere ed il fallimento, risultando la motivazione della sentenza impugnata del tutto carente sul punto;
2.6 inosservanza di norme sancite a pena di nullita’, inammissibilita’, inutilizzabilita’, decadenza, in riferimento all’articolo 223, comma 2, n. 2, L. Fall., e vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), in quanto la fattispecie di bancarotta impropria “tributaria” implica che la condotta si ponga in rapporto di causalita’ materiale e psicologica con il dissesto o con il suo aggravamento, mentre, nel caso di specie, il fallimento e’ stato dichiarato su istanza della Cassa di Risparmio di Milano e Lombardia per un credito di 80.355,33 Euro, risultante da un decreto ingiuntivo esecutivo, per cui non si vede come il debito erariale possa aver determinato il fallimento; in secondo luogo, altro e’ il debito civilistico rispetto al fatto che, dopo il fallimento, la Guardia di Finanza, in base a criteri induttivi, abbia contestato illegittimamente anche sul piano tributario, secondo la consulenza della difesa debiti che sono, quindi, divenuti titolo per l’insinuazione al passivo, su cui il ricorrente non ha potuto in alcun modo interloquire, non avendo, peraltro, il curatore impugnato i relativi verbali di accertamento in base ai quali l’Agenzia delle entrate si e’ insinuata al passivo fallimentare.

 

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Non si puo’ che ricordare l’insufficienza delle presunzioni in campo tributario, concetto gia’ posto a fondamento della sentenza di assoluzione del (OMISSIS) pronunciata dal Tribunale di Milano il 06/11/2012, cosi’ come va sottolineata la circostanza che il p.v.c. nei confronti della societa’ si e’ chiuso nel luglio 2009, dopo la dichiarazione di fallimento, ricostruendo un debito di imposta scaturente anche dai mancati chiarimenti da parte del curatore fallimentare sulle operazioni bancarie, tanto e’ vero che gli avvisi di accertamento in seguito emessi non sono stati impugnati dal curatore fallimentare, con insinuazione al passivo dell’Agenzia delle Entrate in via tardiva, per una somma esorbitante, a dimostrazione del fatto che detti crediti si sono cristallizzati per effetto di un circolo vizioso, risolvendosi in un danno per l’imputato, che non aveva alcun titolo ad impugnare gli avvisi di accertamento, senza che, d’altra parte, sia stata fornita alcuna motivazione circa la consapevolezza, da parte del (OMISSIS), dell’aver contratto i debiti tributari medesimi;
2.7 vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), in riferimento alla bancarotta fraudolenta documentale, in quanto non solo al (OMISSIS) non puo’ essere riconosciuto alcun ruolo di amministratore di fatto, ma anche in considerazione della circostanza che – come devoluto ad entrambi i giudici di merito – il 02/08/2004 le scritture contabili societarie erano state consegnate dal (OMISSIS) al (OMISSIS), il quale le aveva certamente ricevute, in quanto si era riservato di esibirle nel corso della verifica fiscale; nessun concorso del (OMISSIS) con il (OMISSIS) e’ stato dimostrato, al di la’ di un possibile movente, del tutto irrilevante, anche considerato che il (OMISSIS) non aveva posto in essere alcuna condotta distrattiva, per le ragioni in precedenza illustrate, non avendo, quindi, alcun interesse all’occultamento delle scritture contabili;
2.8 vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), in riferimento alla durata delle pene accessorie fallimentari, determinata in anni cinque senza alcuna congrua motivazione.

 

Bancarotta fraudolenta e la qualifica di amministratore di fatto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso di (OMISSIS) e’ fondato e va, pertanto, accolto, per le ragioni di seguito illustrate.
1.Va premesso come il procedimento sia stato connotato da una serie di imperfezioni ed approssimazioni, palesate sin dalla formulazione del capo di imputazione, oggetto di rettifica da parte della sentenza di primo grado, che ha chiarito come l’imputazione fosse stata formulata in base alla riproduzione dei dati numerici delle tabelle riassuntive del p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza e, in particolare, considerando oggetto di distrazione sia le somme accreditate sui conti correnti della societa’ fallita – successivamente non rinvenute o la cui destinazione non e’ stata, comunque, accertata in conformita’ agli scopi societari – sia le somme in uscita dai detti conti correnti e confluite su quelli di (OMISSIS) e di (OMISSIS) (entrambi separatamente giudicati con sentenza di condanna irrevocabile per gli stessi fatti), in assenza di giustificazione.
In sostanza, quindi, come rilevato dal primo giudice, in tal modo era stato duplicato l’ammontare delle somme oggetto di distrazione in riferimento ai singoli anni, calcolando operazioni, in entrata ed in uscita, che avevano ad oggetto le stesse somme di denaro.
Inoltre, come si evince dalla sentenza impugnata, (OMISSIS) non era mai stato amministratore di diritto della societa’ fallita, come affermato dal primo giudice, in quanto nel periodo compreso tra il 04/12/2003 ed il 30/03/2006 amministratore della (OMISSIS) s.r.l. era stata (OMISSIS), sorella del ricorrente.
Tanto premesso, vanno esaminate le doglianze difensive poste a fondamento dei motivi di ricorso.

 

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2. In relazione al primo motivo la sentenza impugnata afferma che il (OMISSIS) era perfettamente al corrente della sussistenza e dell’esatto ammontare dei debiti verso gli istituti bancari insinuatisi al passivo, tanto e’ vero che nelle dichiarazioni spontanee in primo grado ne aveva dato puntuale riscontro, elaborando una specifica linea difensiva sul punto e dichiarandosi estraneo a detti conti, aperti e gestiti dal solo (OMISSIS).
Alla luce di tale motivazione (pagg. 13 e 14 della sentenza), appare difficile individuare in cosa si sarebbe concretata la violazione del diritto di difesa dell’imputato ed, in effetti, la difesa non individua alcuna specifica violazione in tal senso, finendo, quindi, per non contrastare la motivazione della sentenza impugnata, sul punto ineccepibile.
Va ribadito, sotto tale profilo, il condivisibile e pacifico insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619), secondo cui “In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perche’, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e’ del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso riter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione.”
Peraltro, nel caso in esame, la qualificazione giuridica del fatto e’ rimasta inalterata, mentre e’ stato semplicemente rettificato dal primo giudice l’oggetto delle distrazioni contestate all’imputato, all’esito della ricostruzione dei fatti obiettivamente complessi – scaturente dall’istruttoria dibattimentale, la quale si era arricchita anche del contributo fornito dall’imputato che, ben consapevole delle vicende, ha fornito elementi chiarificatori nell’esercizio delle sue prerogative difensive (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 12/06/2020, Bolla Claudio, Rv. 279555).

 

Bancarotta fraudolenta e la qualifica di amministratore di fatto

Quanto al profilo inerente la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, esso va affrontato in seguito, apparendo intrinsecamente collegato ai successivi motivi di ricorso che investono la motivazione circa il ruolo del ricorrente nei fatti di bancarotta a lui ascritti.
3. Venendo, quindi, all’esame delle doglianze difensive in relazione al ruolo di amministratore di fatto svolto da (OMISSIS), le stesse appaiono fondate, come emerge dalla trattazione congiunta del secondo, del terzo e del quarto motivo di ricorso, oltre che dell’aspetto concernente la denegata richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Come si evince dalla motivazione delle sentenze di merito – che, in caso di “doppia conforme” si integrano reciprocamente in un unico contesto argomentativo – la societa’ fallita, avente ad oggetto l’acquisizione e la cessione di immobili, faceva capo, originariamente, alla famiglia (OMISSIS); nel 2002 le quote societarie erano state cedute ad una societa’ di diritto inglese che, nel 2006, aveva ceduto tutte le quote a Domenico (OMISSIS).
La societa’ presentava una ridotta operativita’ tra il 2001 ed il 2007, consistita in tre operazioni di acquisto di altrettanti appartamenti in Milano, l’ultimo dei quali rivenduto e, al momento del fallimento, il passivo era prevalentemente costituito da debiti erariali.
Il compendio probatorio emergeva, essenzialmente, dall’esito della verifica fiscale posta in essere dalla G. di F., iniziata nel 2008, che aveva consentito di acquisire i conti correnti riferibili alla societa’; erano risultate, quindi, movimentazioni bancarie tramite assegni firmati da (OMISSIS), sia in entrata che in uscita, e firme dal medesimo apposte su ricevute di versamenti e disposizioni di bonifico anche nell’epoca in cui amministratore di diritto era il (OMISSIS); il (OMISSIS), inoltre, era stato indicato e poi delegato dal (OMISSIS) perche’ lo rappresentasse nel corso della verifica fiscale e, infine, era titolare di una procura ad negotia dall’ampio contenuto, che gli consentiva di operare sui conti correnti societari.

 

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La G. di F., all’esito della verifica, aveva ritenuto riferibile ad (OMISSIS) il ruolo di amministratore di fatto sulla scorta di tali circostanze e, altresi’, in base alle dichiarazioni del fratello (OMISSIS), il quale aveva riferito come (OMISSIS) gestisse anche i conti correnti a lui intestati e ritenuti dagli investigatori come riferibili alla societa’; su tali conti, in particolare, erano confluite somme ingenti, nonostante (OMISSIS) non fosse titolare di alcuna stabile fonte di reddito; i rapporti bancari, quindi, erano stati ritenuti riconducibili alla societa’, cosi’ come anche i conti correnti intestati al (OMISSIS), tutti caratterizzati da notevole movimentazioni di denaro, consistente in attivita’ di sconto di fatture con contestuale prelievo di somme, numerosissime operazioni di prelievo ed accredito effettuate in contanti.
La Corte di merito, inoltre, dopo aver dato conto dell’assoluzione di (OMISSIS), mera prestanome priva di poteri gestori, ha analizzato il contenuto della procura rilasciata ad (OMISSIS), evidenziandone l’ampiezza, che investiva atti sia di ordinaria che di straordinaria amministrazione nel settore immobiliare; tale procura era stata revocata nel settembre 2006, e, tuttavia, (OMISSIS) aveva continuato ad operare sui conti correnti societari fino alla loro chiusura, nel gennaio 2008, quindi, anche dopo il subentro del (OMISSIS) nel ruolo di amministratore di diritto.
Su questo aspetto la sentenza impugnata ha ritenuto rilevante proprio l’accordo, ammesso dall’imputato, intercorso con il (OMISSIS), secondo cui il (OMISSIS) era estromesso dalla gestione della societa’ in cambio della sola possibilita’ di movimentarne i conti correnti.
In particolare, il ricorrente aveva riferito di aver continuato a gestire i conti correnti della societa’ al fine di ottenere liquidita’ dalle banche, sfruttando il fido messo a disposizione, anche se in modo non proprio ortodosso: egli, infatti, portava allo sconto fatture false o Riba inesistenti, ottenendo in tal modo immediata liquidita’, ripianando, poi, le esposizioni entro la scadenza dei termini di pagamento, in tal modo evitando di mandare in sofferenza i conti della societa’ e generando flussi finanziari circolari, che si compensavano tra loro, tant’e’ che i conti su cui egli aveva operato non avevano mai presentato saldi negativi.
Su tale aspetto la Corte territoriale ha ritenuto che, benche’ il curatore non fosse stato in grado di ricostruire le finalita’ per le quali erano stati utilizzati i crediti concessi dalle banche e movimentati sui conti correnti, considerato l’immobilismo in cui la societa’ si era trovata dopo la cessione delle quote al Giuffreda, fosse da considerare pacifico che le dette somme – nei limiti in cui non erano state restituite alle banche e, segnatamente, per l’importo totale di Euro 1.879.303,76, pari alle somme ammesse al passivo – fossero state oggetto di distrazione.
In sostanza, quindi, il ruolo di amministratore di fatto del (OMISSIS) era desumibile dall’esistenza della procura e dal fatto che egli, pur dopo la revoca della procura e la nomina del (OMISSIS) ad amministratore, avesse continuato ad operare sui conti correnti della societa’.

 

Bancarotta fraudolenta e la qualifica di amministratore di fatto

A questo punto la sentenza impugnata, riferendo le argomentazioni del primo giudice, rileva come sia del tutto ininfluente la circostanza che l’imputato avesse operato, tramite il descritto meccanismo di autofinanziamento, solo su conti il cui saldo non era a debito al momento del fallimento, mentre solo i conti movimentati dal (OMISSIS) avevano generato passivita’, in quanto proprio l’accordo tra i predetti soggetti conferma come entrambi fossero pienamente consapevoli della complessiva attivita’ posta in essere, a prescindere dalle qualifiche formalmente ricoperte; conclusivamente, la Corte territoriale ha affermato che “in sostanza, la scelta del (OMISSIS) di mantenere l’esclusivo controllo su numerosi conti correnti formalmente o sostanzialmente riconducibili alla G.N. non poteva esulare da un’assunzione di responsabilita’ da parte dell’imputato rispetto al generale andamento della societa’, inevitabilmente connesso alle modalita’ di impiego del denaro depositato nei c/c della societa’ medesima.”
La motivazione sin qui sintetizzata appare connotata da apoditticita’ ed approssimazione logica, risultando, quindi, non congrua, oltre che lacunosa quanto alle deduzioni difensive.
Come ribadito da questa Corte di legittimita’, con orientamento incontrastato, l’attribuzione del ruolo di amministratore di fatto richiede la presenza di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attivita’ della societa’; pur non escludendosi, quindi, il concomitante esercizio di poteri o funzioni da parte dell’amministratore di diritto, e’ necessaria la concreta estrinsecazione del ruolo di amministratore di fatto in uno dei settori tipici della direzione aziendale, come, secondo l’esemplificazione individuata dalle pronunce di questa Corte, i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attivita’, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare (Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, Fontani Claudio, Rv. 279497; Sez. 5, n. 12912 del 06/02/2020, Pauselli Gianni, Rv. 279040; Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Bonelli Ronny, Rv. 277540; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, dep. 22/02/2017, Fraticelli M., Rv. 269101).
In relazione a tale aspetto, la Corte territoriale non ha in alcun modo evidenziato in quale o in quali settori si sarebbe estrinsecata l’attivita’ di amministratore di fatto del (OMISSIS), essendosi limitata a ribadire la presenza della procura e la gestione dei conti correnti societari.

 

Bancarotta fraudolenta e la qualifica di amministratore di fatto

Sulla rilevanza della procura, va certamente ribadito che, essa puo’ incidere ai fini della prova del ruolo di amministratore di fatto quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, sia sintomatica della esistenza del potere di esercitare attivita’ gestoria in modo non episodico o occasionale (Sez. 5, n. 2793 del 22/10/2014, dep. 21/01/2015, Semeraro, Rv. 262630).
Cio’ che, tuttavia, va evidenziato, e’ che il solo fatto che vi sia una procura come verificatosi nel caso di specie – non esime dall’individuare prove significative e concludenti circa lo svolgimento delle funzioni di amministratore, anche a mezzo dell’attivazione dei poteri conferiti con la procura; il che, nel caso in esame, non risulta in alcun modo indicato dalle sentenze di merito.
In piu’ vi e’ da considerare che la procura – per come si legge dalla sentenza impugnata – era stata revocata nel settembre 2006, ne’ si comprende se il (OMISSIS) avesse mai in concreto esercitato i poteri da essa contemplati.
Ma vi e’ di piu’: secondo i giudici di merito la circostanza determinante circa il ruolo dell’imputato era stata la gestione dei conti correnti societari, anche se su questa vicenda il (OMISSIS) aveva fornito una sua versione, non smentita dalla Corte territoriale. A tale proposito, infatti, la sentenza impugnata ha convenuto sul fatto che, dopo la nomina del (OMISSIS), l’unica attivita’ posta in essere dal (OMISSIS) fosse consistita nella movimentazione di alcuni conti correnti; tuttavia, anche ammettendo che tale movimentazione non avesse generato passivita’, la gestione del denaro facente capo alla societa’, seppure utilizzata per scopi personali, rappresenta un indice del rilevante potere dispositivo riconosciuto all’imputato.
L’anomalia di tale motivazione sta nel fatto che non si comprende in alcun modo se, ed in base a quali elementi, le sentenze di merito abbiano accertato che i conti correnti societari su cui il (OMISSIS) aveva operato avessero generato passivita’, posto che con i motivi di gravame la difesa aveva specificamente dedotto che i soli rapporti bancari per i quali vi era stata insinuazione al passivo da parte di istituti di credito erano stati accesi dal (OMISSIS), garantiti da fideiussione personale e movimentati esclusivamente da questi, tra il maggio 2006 ed il novembre 2007, mentre i rapporti bancari dei quali il (OMISSIS) aveva ammesso la movimentazione non avevano generato alcuna insinuazione al passivo fallimentare.
La sentenza impugnata, come detto, elude ogni chiara motivazione sul punto, limitandosi a sostenere che, se anche cio’ si fosse verificato, nondimeno la movimentazione dei conti correnti sarebbe dimostrativa del potere di gestione del (OMISSIS).
In realta’, l’imputato ha fornito una propria versione in merito alle ragioni delle movimentazioni bancarie, fondata su di uno specifico accordo intervenuto con il (OMISSIS), che gli avrebbe dato la possibilita’ di movimentare i conti correnti societari pur restando estraneo alla gestione della societa’ medesima. Tale versione dell’imputato non e’ stata ne’ confermata ne’ negata dal (OMISSIS), che si e’ avvalso della facolta’ di non rispondere, una volta esaminato ex articolo 210 c.p.p., come emerge dalla sentenza impugnata.
A cio’ si deve aggiungere che la vicenda processuale va inquadrata in riferimento all’imputazione ascritta al ricorrente, con la conseguenza che non appare sufficiente ritenere plausibile o anche provata la circostanza che egli abbia svolto il ruolo di amministratore di fatto, dovendosi, altresi’, provare la circostanza che in tale ruolo l’imputato, in accordo con il (OMISSIS) – condannato con sentenza irrevocabile per gli stessi fatti – abbia svolto un ruolo attivo nei fatti di distrazione oggetto di imputazione e, in tal senso, non risulta affatto irrilevante individuare attraverso quali conti correnti siano state attuate le distrazioni.

 

Bancarotta fraudolenta e la qualifica di amministratore di fatto

Cio’ soprattutto in quanto la versione del (OMISSIS) non appare prima facie del tutto implausibile, posto che non e’ stata smentita dal coimputato ne’ e’ risultata destituita di ogni fondamento alla luce delle altre risultanze processuali, non avendo affatto la sentenza evidenziato che anche uno solo dei conti correnti su cui l’imputato aveva operato avesse generato passivita’.
Sotto tale aspetto va specificato che la versione difensiva dell’imputato non e’ stata resa, nel caso in esame, nel corso dell’esame dibattimentale, bensi’ nel corso delle spontanee dichiarazioni rese innanzi al primo giudice.
Non vi e’ dubbio che tali dichiarazioni abbiano, essenzialmente, valenza autodifensiva, tale essendo la loro funzione, nella maggior parte dei casi; tuttavia va ricordato che, secondo questa Corte regolatrice, non si puo’ escludere che il loro contenuto possa assumere valenza confessoria o, comunque, contenere elementi di prova a carico dell’imputato, non essendo precluso al giudice di chiedere all’imputato che renda spontanee dichiarazioni di precisare o chiarire eventuali contenuti oscuri o scarsamente comprensibili, senza che cio’ incida sulla piena utilizzabilita’ delle dichiarazioni spontanee ai fini della decisione (Sez. 5, n. 2929 del 05/11/2018, dep. 22/01/2019, Governanti Christian, Rv. 274588).
Se alle spontanee dichiarazioni, quindi, viene riconosciuta una rilevanza processuale, potendo essere utilizzate anche a carico dell’imputato, del tutto specularmente, ed in relazione alla loro fisiologica funzione difensiva, la considerazione del loro contenuto non puo’ essere del tutto pretermesso dal giudice; cio’ a maggior ragione quando, come nel caso di specie, non appaiano palesemente inconciliabili con altri elementi emersi dal contesto probatorio acquisito.
In realta’, cio’ che rileva in tale contesto e’ anche il canone di giudizio secondo cui l’accertamento della sussistenza del reato “al di la’ di ogni ragionevole dubbio” necessita, in caso di prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, la precisa individuazione degli elementi di conferma dell’ipotesi accusatoria, dovendo essere esclusa la plausibilita’ della tesi difensiva con motivazione esaustiva; cio’ richiede, ovviamente, che la ricostruzione dei fatti prospettata dall’imputato che intenda far valere l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, sia inconfutabile e non rappresentativa soltanto di una ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioe’ desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali, seppure plausibili; in altri termini, la sentenza di condanna deve essere pronunciata a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto ricostruzioni alternative, costituenti eventualita’ remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benche’ minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalita’ umana (Sez. 5, n. 25272 del 19/04/2021, Maurici Giuseppe, Rv. 281468; Sez. 2, n. 3817 del 09/10/2019, dep. 29/01/2020, Mannile Francesco, Rv. 278237; Sez. 6, n. 10093 del 05/12/2018, dep. 07/03/2019, Esposito Giuseppe, Rv. 275290; Sez. 5, n. 1282 del 12/11/2018, dep. 11/01/2019, Segreto Giovanni, Rv. 275299).

 

Bancarotta fraudolenta e la qualifica di amministratore di fatto

Peraltro, come condivisibilmente messo in rilievo da Sez. 5, n. 25272 del 19/04/2021, citata, l’atteggiamento valutativo che deve guidare il giudice nell’analisi degli indizi non solo deve essere funzionale ad una lettura unitaria degli stessi, ma deve essere improntato al principio di presunzione di innocenza, il esplica i sui effetti conformativi non solo sull’applicazione della predetta regola di giudizio, ma anche sui metodi di accertamento del fatto.
La Corte territoriale, nel caso in esame, non ha operato in sintonia con tali pacifici principi, considerato che il quadro probatorio emergente dalla sentenza impugnata risulta opaco e insufficiente, basato su affermazioni contraddittorie e poco concludenti. Soprattutto non si comprende per quale ragione, a fronte di un accertamento non univoco in riferimento ai conti correnti, non si sia dato seguito alle richieste difensive di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, posto che dai motivi di appello si evince che la difesa aveva depositato gli estratti conto dei conti su cui l’imputato aveva operato, sicche’ – alla luce della documentazione in atti, ovvero di quella acquisita in sede di approfondimento istruttorio – la Corte di merito avrebbe potuto e dovuto verificare se, effettivamente, i citati conti avessero o meno generato passivita’ e riconsiderare, alla luce dell’esito di tale accertamento, la sussistenza o meno del contributo dell’imputato alle distrazioni accertate, al fine di definirlo e di eventualmente circoscriverlo.
Cio’ a maggior ragione se si considera che il capo di imputazione specifica le condotte distrattive nel trasferimento di somme da conti societari – peraltro non indicati e, quindi, non individuati, neanche dalla motivazione delle sentenze di merito – a conti personali riferibili a (OMISSIS) ed a (OMISSIS), risultando pacifica la circostanza, quindi, che (OMISSIS) non aveva beneficiato delle distrazioni ascrittegli.
Inoltre, come emerge dalla motivazione della Corte territoriale (pag. 6), sembrerebbe pacifica la circostanza che i flussi in accredito sui conti della societa’ fallita avessero avuto origine da aperture di credito o affidamenti concessi da istituti di credito, ed utilizzati per finalita’ che il curatore non ha avuto la possibilita’ di verificare in assenza di contabilita’; ne discende, quindi, quanto meno opportuna la verifica sul se i detti conti correnti fossero quelli gestiti dall’imputato oppure solo quelli accesi dal (OMISSIS), come prospettato dalla difesa, non potendo ritenersi tale circostanza ne’ superflua ne’ irrilevante ai fini della ricostruzione della vicenda.
Ne’ risulta adeguatamente analizzato l’aspetto dell’inattivita’ o meno della societa’ dopo l’acquisizione delle quote da parte del (OMISSIS), posto che la difesa, attraverso una serie specifica di argomentazioni, ha fornito elementi che avrebbero dovuto essere considerati anche in funzione della ricostruzione del ruolo di amministratore di fatto ascritto al ricorrente.
In particolare, e’ stato osservato come il (OMISSIS), una volta sostituto (OMISSIS) quale amministratore della societa’, in data 04/08/2004, avesse contattato il commercialista (OMISSIS) e si fosse fatto restituire le scritture contabili, non confermandogli il mandato professionale; che i bilanci al 31/12/2003, al 31/12/2004 ed al 31/12/2005 fossero stati sottoscritti dal (OMISSIS) e che questi, oltre ad aver acceso conti correnti (nel 2006 con (OMISSIS), garantito da fideiussione personale per 300.000,00 Euro; nel 2007 con la (OMISSIS), garantendo personalmente le obbligazioni della societa’ sino alla concorrenza di 180.000,00 Euro, nonche’ con (OMISSIS) e con (OMISSIS) e, successivamente, con (OMISSIS), sempre con fideiussione personale), avesse computo atti di gestione societaria (due rogiti notarili con (OMISSIS) s.p.a., uno con la (OMISSIS) s.r.l. nel 2006) ed avesse presieduto tre assemblee straordinarie nel 2008, riservandosi, infine, in sede di verifica fiscale, di esibire la documentazione della (OMISSIS) s.r.l.
Si tratta, quindi, di circostanze specificamente dedotte dalla difesa, che non hanno trovato alcuna adeguata considerazione da parte della Corte territoriale, laddove cio’ sarebbe stato necessario al fine di individuare specificamente le condotte distrattive ed accertare se e in che misura le stesse fossero ascrivibili al (OMISSIS) nel ruolo a lui ascritto, verificando la sua concreta ingerenza nell’attivita’ distrattiva; parimenti, avrebbero dovuto essere fornite argomentazioni stringenti e dimostrative dell’asserito accordo tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), allo scopo di chiarire come a quest’ultimo – ed in che termini – fosse stato consentito di ingerirsi nella gestione societaria, dopo l’assunzione della carica da parte del (OMISSIS).
Su tali aspetti, quindi, la sentenza impugnata va annullata, dovendo la Corte di merito provvedere alla valutazione del compendio probatorio acquisito alla luce dei principi di diritto espressi.

 

Bancarotta fraudolenta e la qualifica di amministratore di fatto

Per completezza argomentativa va, al contrario, ritenuto del tutto giuridicamente azzardato l’inquadramento della condotta del ricorrente nell’istituto dell’usufrutto di ramo aziendale, come ritenuto dalla difesa.
Ed, infatti, non si comprende neanche quale sarebbe il ramo d’azienda coinvolto, posto che certamente esso non potrebbe essere individuato attraverso il mero richiamo ai conti correnti bancari, e, comunque, non si apprezza alcuna autonomia del non meglio individuato ramo di azienda.
In tal senso appare appena il caso di richiamare gli approdi di questa Corte, circa la sussistenza dell’autonomia organizzativa ai fini della sussistenza di un ramo d’azienda (Cass. civ., Sez. 3, n. 3888 del 17/02/2020, Rv. 657146; Sez. 3, n. 4800 del 06/03/2006, Rv. 587394).
4. Gli altri motivi di ricorso devono considerarsi assorbiti, in quanto la individuazione del concorso dell’imputato nelle fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale e di bancarotta per effetto di operazioni dolose, derivante dall’omesso pagamento delle imposte, implica la decisione circa la specifica individuazione del suo ruolo di amministratore di fatto; per le stesse ragioni deve ritenersi assorbita la doglianza circa la determinazione della durata delle pene accessoria fallimentari di cui all’articolo 216, u.c., L. Fall..
5. Va solo chiarito, in riferimento alla dedotta questione di diritto posta a fondamento del quinto motivo di ricorso – relativa alla sussistenza della preclusione di cui all’articolo 649 c.p.p. – che, per quanto riguarda la fattispecie di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10, in tema di occultamento e distruzione di scritture contabili, appare palese come detta condotta non sia in alcun modo assimilabile, sotto l’aspetto storico naturalistico, alla bancarotta impropria di cui all’articolo 223, comma 2, n. 2, L. Fall., in cui viene contestato l’aver cagionato il fallimento per effetto di operazioni dolose consistite nell’inadempimento degli obblighi fiscali.
Quanto al reato di cui all’articolo 5 del citato D.Lgs., in tema di omessa dichiarazione, appare accertato, e non contestato dalla difesa, che l’esposizione debitoria nei confronti dell’Erario avesse cagionato quanto meno un aggravamento del dissesto, considerato l’ammontare di tale importo, pari a circa sessanta milioni di Euro; ne’ appare contestata la circostanza che tale debito fosse stato generato da una sistematica omissione degli obblighi e degli adempimento fiscali; peraltro, nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate risulta essersi insinuata al passivo per gli importi indicati.
Pacificamente, anche in relazione a detta fattispecie di reato, andra’ accertato lo specifico ruolo del ricorrente, che certamente, ai fini della responsabilita’ penale, dovra’ essere individuato in maniera coerente con la natura della fattispecie contestata, che evidenzia una condotta sistematicamente reiterata nel tempo.
A prescindere da tale accertamento, che sara’ oggetto del giudizio in sede di rinvio, cio’ che va sottolineato e’ come, del tutto pacificamente, in tema di reati tributari, per il principio di atipicita’ dei mezzi di prova nel processo penale, di cui e’ espressione l’articolo 189 c.p.p., le presunzioni legali previste dalle norme tributarie possono avere valore indiziario, pur non potendo costituire di per se’ fonte di prova della commissione dell’illecito, assumendo il valore di dati di fatto che devono essere valutati liberamente dal giudice penale, unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa (Sez. 3, n. 36207 del 17/04/2019, Menegoli Oscar, Rv. 277581; Sez. 3, n. 30890 del 23/06/2015, Cappellini ed altro, Rv. 26425).
Nel caso in esame, tuttavia, tale problematica risulta del tutto inconferente, posto che il reato ascritto al ricorrente e’ quello di cui all’articolo 223, comma 2, n. 2, L. Fall., per la cui sussistenza non e’ previsto il superamento di alcuna soglia di punibilita’, come nel caso di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 5, in cui il superamento della soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa ha natura di elemento costitutivo (Sez. 3, n. 7000 del 23/11/2017, dep. 14/02/2018, Venturini, Rv. 272578).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.

 

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