Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|1 luglio 2022| n. 21008.
La statuizione su una questione di rito e giudicato formale
La statuizione su una questione di rito dà luogo soltanto al giudicato formale ed ha effetto limitato al rapporto processuale nel cui ambito è emanata; essa, pertanto, non essendo idonea a produrre gli effetti del giudicato in senso sostanziale, non preclude la riproposizione della domanda in altro giudizio (Nel caso di specie, relativo ad un giudizio di responsabilità per dedotta violazione degli obblighi informativi posti a carico di un istituto di credito quale intermediario finanziario, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso della società ricorrente, ha cassato con rinvio la decisione gravata avendo la corte del merito errato nel ritenere non esaminabili le domande di risoluzione dei contratti di investimento per inadempimento della banca riproposte nel secondo giudizio poi riunito ex art. 273 cod. proc. civ. al primo ove le medesime domande di risoluzione era state dichiarate inammissibili per tardività nella loro proposizione). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile III, ordinanza 19 maggio 2021, n. 13603; Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 16 aprile 2019, n. 10641; Cassazione, sezione civile III, sentenza 16 dicembre 2014, n. 26377; Cassazione, sezione civile I, sentenza 4 giugno 2010, n. 13614).
Ordinanza|1 luglio 2022| n. 21008. La statuizione su una questione di rito e giudicato formale
Data udienza 17 giugno 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Sentenza – Statuizione su una questione di rito – Giudicato formale – Effetto limitato al rapporto processuale nel cui ambito è emanata – Inidoneità a produrre gli effetti del giudicato in senso sostanziale – Non preclusione riproposizione della domanda in altro giudizio – Art. 112 cpc
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente
Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 29546-2017 r.g. proposto da:
(OMISSIS) s.p.a. (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore (OMISSIS), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato (OMISSIS) del Foro di Reggio Emilia, con cui elettivamente domicilia in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS).
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A. (cod. fisc. p. Iva (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore Avv. (OMISSIS), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), con il quale elettivamente domicilia in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di Bologna, depositata in data 12.10.2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/6/2022 dal Consigliere Dott. Amatore Roberto.
La statuizione su una questione di rito e giudicato formale
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. IL Tribunale di Parma con la sentenza n. 1170 del 25.10.2011, decidendo sulle domande proposte nei due giudizi riuniti iscritti al n. 7435/2005 Rg e al n. 1440/2008 Rg, promossi dalla societa’ (OMISSIS) s.p.a. nei confronti di (OMISSIS) s.p.a., cosi’ dispose, in relazione al primo giudizio (n. 7435/2005 Rg):
i) respinse la domanda di nullita’ dei contratti ” (OMISSIS)” e “(OMISSIS) Swap”, conclusi dalla societa’ attrice con (OMISSIS), poi (OMISSIS) s.p.a., rispettivamente il 19.10.2001 e il 12.3.2003, rilevando che la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario finanziario non incidesse sulla validita’ dei relativi contratti di investimento (secondo l’insegnamento di Cass. ss.uu. 2675/2007);
ii) respinse anche la domanda volta all’annullamento per vizio del consenso (dolo) dei suddetti contratti ritenendo non provata una condotta dolosa da parte dei funzionari della banca;
iii) respinse anche la domanda risarcitoria avanzata da (OMISSIS) s.p.a. in ragione della sua genericita’ di formulazione;
iv) dichiaro’ inammissibili in quanto tardive le domande proposte solo con la memoria Decreto Legislativo n. 5 del 2003, ex articolo 7, volte alla dichiarazione di risoluzione dei predetti contratti di investimento del 19.10.2001 e del 12.3.2003 per inadempimento della banca agli obblighi informativi e di risarcimento dei relativi danni;
ed in relazione al secondo giudizio (n. 1440/2008 Rg):
i)ritenne di non poter prendere in esame la domanda di risoluzione per inadempimento dei contratti swap del 19.10.2001 e del 12.3.2003 e di conseguente condanna della banca alle restituzioni in quanto, nelle ipotesi di riunione dei giudizi ex articolo 273 c.p.c., pur verificandosi la fusione tra i due procedimenti in un unico giudizio, – per non vanificare il sistema delle preclusioni e per evitare il rischio che attraverso l’introduzione di una identica domanda innanzi al medesimo Ufficio la parte interessata possa inaccettabilmente aggirare le preclusioni gia’ maturate nel processo anteriormente iniziato – il giudice deve conoscere solo i fatti allegati ed il materiale istruttorio raccolto nel secondo procedimento prima del maturare delle preclusioni nel primo, di talche’ risultavano esaminabili solo le domande di risoluzione, per inadempimento della banca, del contratto quadro del 26.6.2000 e del contratto “convertible swap” dello stesso 26.6.2000;
ii) evidenzio’ che, in relazione a quest’ultimo contratto, non fosse prospettabile alcuna risoluzione giudiziale posto che lo stesso gia’ risultava risolto consensualmente dalle parti con scrittura del 19 ottobre 2001;
iii) osservo’ che, rispetto al contratto quadro del 26.6.2000, non era ravvisabile alcun interesse ad agire della (OMISSIS) s.p.a. posto che nessun vantaggio sarebbe derivato dalla caducazione di tale contratto in assenza dell’eliminazione degli effetti dei successivi contratti di swap;
2. Proposto gravame da parte della (OMISSIS) s.p.a. nei confronti dell’istituto di credito avverso la predetta sentenza di primo grado, la Corte di appello di Bologna, con la sentenza qui di nuovo impugnata, ha respinto l’appello, confermando pertanto la sentenza del Tribunale di Parma.
La statuizione su una questione di rito e giudicato formale
La corte del merito ha ritenuto che, se era pur vero che le due cause sopra descritte non avessero identico oggetto, nella prima si discuteva della dichiarazione di nullita’ ed annullabilita’ dei contratti swap 19.10.2003 e 12.3.2003 (domande proposte con l’atto di citazione) e della risolubilita’ o meno degli stessi contratti e dei conseguenti danni (domanda nuova proposta, come pacifico, tardivamente, con la memoria Decreto Legislativo n. 5 del 2003, ex articolo 7), mentre la seconda causa aveva ad oggetto la domanda di risoluzione non solo dei contratti gia’ impugnati nel primo giudizio ma anche del contratto quadro del 26.6.2000 e del contratto convertible swap concluso in pari data, con la conseguenza che la riunione tra i due procedimenti dovesse ritenersi sicuramente dovuta, essendo pacifico in giurisprudenza che, quando due cause sono unite da un rapporto di continenza o connessione, la questione non si prospetta nei termini di spostamento della competenza ai sensi degli articoli 39 e 40 c.p.c., ma nei termini della riunione ex articoli 273 e 274, codice di rito; ha osservato che, contrariamente a quanto dedotto dalla societa’ appellante, l’identita’ di cause – cui si riferisce l’articolo 273 c.p.c. – non ricorre dunque solo allorquando le due cause siano del tutto identiche ma anche quando l’identita’ sia solo parziale ovvero quando una domanda proposta nella prima sia riproposta, negli stessi identici termini, nella seconda, posto che la finalita’ della norma e’ quella di evitare un possibile contrasto di giudicati su una o piu’ delle questioni trattate, rischio consistente anche nell’ipotesi di mera continenza; ha osservato, richiamando giurisprudenza di legittimita’, che le decadenze processuali verificatesi nel giudizio di primo grado non possono essere aggirate dalla parte che vi sia incorsa mediante l’introduzione di un secondo giudizio identico al primo e a questo riunito, con la conseguenza che in tali casi il giudice – in osservanza del principio del ne bis in idem e allo scopo di non favorire l’abuso dello strumento processuale e di non ledere il diritto di difesa della parte in cui favore sono maturate le preclusioni – deve trattare solo la causa iniziata per prima, decidendo in base ai fatti tempestivamente allegati e al materiale istruttorio in essa raccolto; ha dunque concluso nel senso della correttezza e legittimita’ della declaratoria di inammissibilita’ per tardivita’ della domanda di risoluzione decretata dal giudice di prime cure in relazione ai contratti di swap del 19.10.2001 e 12.3.2003, cosi’ come era stata corretta la decisione di non esaminare la domanda, identica, proposta nel secondo giudizio; ha infine osservato che nessuna contraddizione era rintracciabile nella decisione impugnata laddove, da un lato, aveva dichiarato inammissibile la domanda nuova di risoluzione dei due contratti swap proposta nel primo giudizio e non esaminabile la stessa domanda proposta nel secondo, dichiarando tuttavia limitato il giudizio alla domanda di risoluzione dei contratti del 26 giugno 2000 e del 19 ottobre 2001, posto che il richiamo anche al contratto del 19.10.2001 ( (OMISSIS)) era stato frutto di un mero errore materiale; ha dichiarato infondata anche la domanda avanzata dall’appellante diretta a far dichiarare la nullita’ dei predetti contratti per violazione da parte della banca degli obblighi informativi posto che la nullita’ del contratto non puo’ farsi discendere, quale conseguenza necessaria, dalla violazione di ogni norma imperativa, ai sensi dell’articolo 1418 c.c., comma 1, presupponendo che la norma violata attenga alla struttura e al contenuto della fattispecie negoziale (Cass. SSUU. 26724/2007); ha infine ritenuta infondata anche la domanda volta a far dichiarare la nullita’ dei contratti swap datati 19.10.2001 e 12.3.2003 per “carenza di causa concreta”, posto che dalle dichiarazioni testimoniali non era emerso che nel caso di specie i contratti fossero privi di causa per mancanza di reciprocita’ delle alee rispettivamente assunte dalle parti, accertamento quest’ultimo neanche demandabile ad una Ctu che avrebbe in tal caso natura evidentemente esplorativa; ha osservato che anche la domanda di annullamento per dolo dei contratti fosse infondata in quanto, sulla base della premessa che in tal caso la domanda giudiziale aveva riguardato solo i contratti (OMISSIS) del 19.10.2001 e Extra del 12.3.2003, i testi (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano riferito solo sul secondo contratto e perche’ anche eventuali informazioni inesatte o incomplete sulla natura degli investimenti in esame non sarebbero state sufficienti a provare che i funzionari (OMISSIS) avessero agito con dolo ovvero con l’intenzione di fornire al cliente una falsa rappresentazione della realta’ e considerato anche che i primi due contratti del 26.6.2000 (Convertible swap) e del 19.10.2001 ( (OMISSIS)) erano stati conclusi con la Cassa di Risparmio di Torino, istituto bancario non sanzionato dalla Consob; ha infine evidenziato che, in relazione alla prima causa e alla domanda di accertamento della responsabilita’ della banca ex articolo 1337 c.c. e per violazione dell’articolo 1175 c.c., il primo giudice aveva respinto le avanzate pretese risarcitorie in ragione della genericita’ della domanda e del fatto che, in tema di responsabilita’ precontrattuale, il conseguente danno deve essere limitato al cd. interesse negativo, ratio decidendi non censurata in appello; ha ritenuto, in relazione alle domande proposte nella seconda causa poi riunita, che quelle risarcitorie conseguenti alla richiesta risoluzione dei contratti dovessero ritenersi avere oggetto diverso rispetto ai danni conseguenti agli esborsi eseguiti in forza dei conclusi contratti di swap, somme di cui la (OMISSIS) s.p.a. aveva chiesto la restituzione in applicazione dei principi sull’indebito oggettivo e che tali ulteriori danni non erano stati chiariti e neanche provati; ha infine evidenziato che, in ordine alla domanda di risoluzione del contratto quadro del 26.6.2000, il Tribunale aveva ritenuto l’attrice priva del relativo interesse ad agire e tale statuizione non era stata impugnata in appello; ha ritenuto assorbita l’ulteriore questione in ordine agli effetti della dichiarazione “autoreferenziale” rilasciata in data 28.6.2000 da (OMISSIS), quale legale rappresentante della (OMISSIS) s.p.a., in ordine al possesso di una “specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziarie”.
2. La sentenza, pubblicata il 12.10.2017, e’ stata impugnata da (OMISSIS) s.p.a. con ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, cui (OMISSIS) S.P.A. ha resistito con controricorso.
La societa’ controricorrente ha depositato memoria.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE
1. Con il primo motivo la societa’ ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 1418 c.c., articolo 1325 c.c., n. 2 e articolo 1933 c.c. e articolo 23, 5 comma, TUF, nonche’ dell’articolo 112 c.p.c., sul rilievo che la corte di appello avrebbe errato nel ritenere infondata l’eccezione di nullita’ dei predetti contratti per difetto di causa in relazione alla mancanza di reciprocita’ delle rispettive alee e nel ritenere non necessario affrontare la questione circa gli effetti della dichiarazione autoreferenziale. Osserva la ricorrente che le caratteristiche dell’alea – alla quale i contratti di swap soggiacciono – dovrebbero essere verificabili attraverso la semplice lettura dei contratti stessi senza la necessita’ di disporre Ctu, comunque non ammessa e che, pur avendo il giudice di appello richiamato l’articolo 4 del master aggreement (applicabile ai rapporti tra banca ed operatori qualificati), non sarebbe stata poi esaminata la questione degli effetti giuridici della dichiarazione cd. autoreferenziale, anche in relazione alla questione della nullita’ dei contratti, senza neanche considerare che la detta autocertificazione era stata rilasciata successivamente alla sottoscrizione del contratto di master agrement.
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Osserva ancora la ricorrente che il contratto di interest rate swap rientra nella categoria delle scommesse legalmente autorizzate la cui causa risiede nella consapevole e razionale creazione di alee che nei cd. derivati simmetrici sono reciproche e bilaterali, con la conseguenza che saremmo in presenza di un’alea razionale solo quando sono esplicitati nel derivato gli scenari probabilistici e le conseguenze del verificarsi degli eventi che devono essere definiti e conosciuti ex ante con certezza, cosi’ come il valore del derivato, gli eventuali costi impliciti, i criteri con cui determinare le penalita’ in caso di recesso. Solo in presenza di tali elementi – aggiunge la ricorrente – il contratto puo’ ritenersi valido e non gia’ nullo per difetto di causa. Si evidenzia sempre da parte della ricorrente che in nessuno dei contratti sottoscritti da (OMISSIS) s.p.a., ivi compreso il master agreement, risulterebbero esplicitati gli scenari probabilistici e le conseguenze del verificarsi degli eventi che dovrebbero essere conosciuti dalle parti ex ante con certezza, cosi’ come non risulterebbero esplicitati nei contratti il valore del derivato, gli eventuali costi impliciti, i criteri con cui determinare le penalita’ in caso di recesso. Osserva, da ultimo, la ricorrente che sarebbe sempre possibile proporre domanda di nullita’ dei contratti in qualunque stato e grado del giudizio, anche per ragioni diverse da quelle originariamente prospettate.
1.1 Il motivo, per come articolato, e’ inammissibile in ragione della sua evidente genericita’ di formulazione.
1.1.1 Se e’ vero da un lato che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte anche a Sezioni Unite, la “rilevazione” “ex officio” delle nullita’ negoziali (sotto qualsiasi profilo, anche diverso da quello allegato dalla parte, ed altresi’ per le ipotesi di nullita’ speciali o “di protezione”) e’ sempre obbligatoria, purche’ la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata “ragione piu’ liquida”, e va intesa come indicazione alle parti di tale vizio; la loro “dichiarazione”, invece, ove sia mancata un’espressa domanda della parte pure all’esito della suddetta indicazione officiosa, costituisce statuizione facoltativa (salvo per le nullita’ speciali, che presuppongono una manifestazione di interesse della parte) del medesimo vizio, previo suo accertamento, nella motivazione e/o nel dispositivo della pronuncia, con efficacia, peraltro, di giudicato in assenza di sua impugnazione (Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014, ove e’ stato anche affermato che “Nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullita’ contrattuale, ha sempre facolta’ di procedere ad un siffatto rilievo”).
1.1.2 Tuttavia la doglianza cosi’ proposta dalla societa’ ricorrente e’ generica perche’ non indica ne’ descrive compiutamente il contenuto dei contratti le cui clausole negoziali integrerebbero – secondo la prospettazione della stessa ricorrente – una causa negoziale nulla per difetto ovvero illiceita’ della stessa. Non e’ dato comprendere dalla lettura del motivo di ricorso, quali siano le clausole manchevoli dei necessari presupposti e requisiti informativi che renderebbero i contratti impugnati nulli “per difetto di causa”.
1.1.3 Sul punto e’ comunque utile ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8770 del 12/05/2020), pur interrogate sulla diversa questione dell’autorizzazione alla conclusione di un contratto di “swap” da parte dei Comuni, in particolare se del tipo con finanziamento “upfront”, hanno affermato che il cd. interest rate swap e’ un contratto di scambio (swap) di obbligazioni pecuniarie future: l’interest rate swap e’ percio’ definito come un derivato cd. over the counter (OTC) ossia un contratto: a) in cui gli aspetti fondamentali sono dati dalle parti e il contenuto non e’ etero-regolamentato come, invece, accade per gli altri derivati, cd. standardizzati o uniformi, essendo elaborato in funzione delle specifiche esigenze del cliente (per questo, detto bespoke); b) percio’ non standardizzato e, quindi, non destinato alla circolazione; c) consistente in uno strumento finanziario rispetto al quale l’intermediario e’ tendenzialmente controparte diretta del proprio cliente.
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E’ stato altresi’ chiarito, sempre nell’arresto da ultimo ricordato che “… lo swap, per quanto appena detto, non ha le caratteristiche intrinseche degli strumenti finanziari, e particolarmente non ha la cd. negoziabilita’, cioe’ quella capacita’ di rappresentare una posizione contrattuale in forme idonee alla circolazione, in quanto esso tende a non divenire autonomo rispetto al negozio che lo ha generato. Inoltre, benche’ siano stipulati nell’ambito della prestazione del servizio di negoziazione per conto proprio, ex articolo 23, comma 5, Tuf, nei derivati OTC l’intermediario stipula un contratto (con il cliente) ponendosi quale sua controparte.
Posto che… rate swap e’ il contratto derivato che prevede l’impegno reciproco delle parti di pagare l’una all’altra, a date prestabilite, gli interessi prodotti da una stessa somma di denaro, presa quale astratto riferimento e denominato nozionale, per un dato periodo di tempo, gli elementi essenziali di un interest rate swap sono stati individuati, dalla stessa giurisprudenza di merito, ne:
a) la data di stipulazione del contratto (trade date);
b) il capitale di riferimento, detto nozionale (notional principal amount), che non viene scambiato tra le parti, e serve unicamente per il calcolo degli interessi;
c) la data di inizio (effect ive date), dalla quale cominciano a maturare gli interessi (normalmente due giorni lavorativi dopo la trade date);
d) la data di scadenza (maturity date o termination date) del contratto;
e) le date di pagamento (payment dates), cioe’ quelle in cui sono scambiati flussi di interessi;
f) i diversi tassi di interesse (interest rate) da applicare al detto capitale.” A cio’ va aggiunto che – sempre secondo le indicazioni ricevute dalle Sezioni Unite sopra citate – “se lo swap stipulato dalle parti e’ non par, con riferimento alle condizioni corrispettive iniziali, lo squilibrio cosi’ emergente esplicitamente dal negozio puo’ essere riequilibrato con il pagamento, al momento della stipulazione, di una somma di denaro al soggetto che accetta le pattuizioni deteriori quindi misurabile) da esplicitare necessariamente ed indipendentemente dalla sua finalita’ di copertura (hedging) o speculativa”; b) la potenziale passivita’ insita in ogni contratto di swap trova una sua evidenza concreta ed attuale nella clausola di upfront, in fatto presente in due dei tre rapporti sostanziali oggetto di giudizio”.
E’ stato altresi’ precisato sempre dalla giurisprudenza di legittimita’ che, piu’ in particolare, il contratto di “interest risk swap” con “up front” (cioe’ con effettivo finanziamento iniziale da restituire) non e’ di per se’ nullo per difetto o illiceita’ della causa, occorrendo verificare caso per caso il concreto assetto dei rapporti negoziali predisposto dalle parti, sicche’ il detto contratto deve ritenersi valido se la causa aleatoria del contratto di “swap” e quella del sottostante rapporto di finanziamento, pur collegate, restano autonome e distinte, senza risultare snaturate e senza comportare alcuna alterazione del rischio a carico dell’operatore commerciale (Sez. 3, Sentenza n. 18781 del 28/07/2017).
Orbene, la descrizione dei contratti operata dalla ricorrente non consente tuttavia il rilievo della dedotta nullita’ contrattuale, sub specie di “difetto di causa” ovvero di illiceita’ della stessa.
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Ne consegue la declaratoria di inammissibilita’ del primo motivo.
2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli articoli 1439 e 1440 c.c. e articolo 115 c.p.c., sul rilievo che la corte di appello avrebbe errato nel ritenere, in relazione al rigetto della domanda di annullamento dei contratti per dolo, che eventuali informazioni inesatte o non complete non varrebbero di per se’ a provare il dolo dei funzionari della banca. Osserva la societa’ ricorrente che, nel dolo contrattuale ex articolo 1439 c.c., i raggiri ben possono consistere in comportamenti omissivi e reticenti. Evidenzia ancora la ricorrente che, nel caso di specie, il raggiro si sarebbe concretizzato in due specifici comportamenti, e cioe’, da un lato, la rappresentazione da parte della banca di una funzione del contratto effettivamente diversa da quella reale e, dall’altra, nell’omissione di informazioni imposte dal Reg. Consob, aggravata dalla circostanza della sottoscrizione, successiva alla stipula dei contratti, dell’autocertificazione di cui all’articolo 31, 2 comma, Reg. Consob, senza nemmeno illustrare da parte sempre della banca il contenuto di tale autocertificazione. Si evidenzia inoltre l’inattendibilita’ dei testi della banca, ancora dipendenti di quest’ultima, a differenza del suo teste che, al contrario, non intratteneva piu’ rapporti di lavoro con essa ricorrente.
2.1 Il motivo e’ inammissibile.
2.1.1 Giova qui ricordare in termini ancora generali che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di vizi del consenso, il dolo, a norma dell’articolo 1439 c.c., e’ causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da una parte abbiano determinato la volonta’ a contrarre del “deceptus”, avendo ingenerato in lui una rappresentazione alterata della realta’, che abbia provocato nel suo meccanismo volitivo un errore essenziale ai sensi dell’articolo 1429 c.c.. Piu’ in particolare, ricorre il “dolus malus” solo se, in relazione alle circostanze di fatto e personali del contraente, il mendacio sia accompagnato da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno voluto ed idonee in concreto a sorprendere una persona di normale diligenza e sussista, quindi, in chi se ne proclami vittima, assenza di negligenza o di incolpevole ignoranza (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 14628 del 23/06/2009).
2.1.2 Cio’ detto, rileva il Collegio che in realta’ la Corte felsinea, dopo aver scrutinato il contenuto delle dichiarazioni testimoniali, ha riscontrato – con accertamento in fatto qui non piu’ censurabile, se non entro i ristretti limiti del vizio di cui all’articolo 360, comma 1, n. 5 (per come perimetrati da Cass. SS.UU. n. 8053/2014) – che i funzionari della banca non avevano fornito, con dolo, una falsa rappresentazione della realta’ alla societa’ cliente (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata) al fine di indurla alla conclusione di contratti diversi da quelli voluti.
La statuizione su una questione di rito e giudicato formale
2.1.3 Sul punto la ricorrente ha dedotto invece vizio di violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli articoli 1439 e 1440 c.c..
Risulta pertanto utile ricordare che – in tema di ricorso per cassazione – il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimita’ (cosi’, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017). Piu’ precisamente e’ stato affermato sempre dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ che le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perche’ la fattispecie astratta da essa prevista pur rettamente individuata e interpretata – non e’ idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’articolo 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta percio’ al sindacato di legittimita’ (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019).
2.1.4 E’ pur vero che anche le dichiarazioni menzognere (cosiddetto mendacio) sono idonee ad integrare raggiri – e, dunque, a configurare il dolo contrattuale – la cui rilevanza e’ tanto maggiore in relazione all’affidabilita’ intrinseca degli atti utilizzati e se siano rese da una parte con la deliberata finalita’ di offrire una rappresentazione alterata della veridicita’ dei presupposti di fatto rilevanti per la conclusione del contratto (cfr. anche Sez. 1, Sentenza n. 16004 del 11/07/2014). Tuttavia la valutazione dell’idoneita’ di tale comportamento a coartare la volonta’ del “deceptus” e’ riservata al giudice del merito, il quale e’ tenuto a motivare specificamente in ordine alle concrete circostanze – la cui prova e’ a carico del “deceptor” – dalle quali desumere che l’altra parte gia’ conosceva o poteva rendersi conto “ictu oculi” dell’inganno perpetrato nei suoi confronti (cfr. n. 16004-2014, cit. supra).
Ebbene, i giudici di appello hanno escluso, tramite il riscontro delle dichiarazioni testimoniali acquisite, che la carenza informativa dei funzionari di banca integrasse un’ipotesi di “mendacio”, volto e finalizzato, cioe’, a trarre in inganno la societa’ cliente, cosi’ escludendo il dolo contrattuale con accertamento che, pertanto, non e’ piu’ discutibile in questo giudizio di legittimita’, per lo meno nei termini prospettati dalla societa’ ricorrente nel motivo qui in esame.
3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli articoli 21, 26, 27, 28, 29, 30, 31 e 37 Reg. Consob n. 11522/98 e degli articoli 1337 e 1375 c.c. e degli articoli 342 e 112 c.p.c., sul rilievo che la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che essa ricorrente non avesse censurato la sentenza di primo grado anche in punto di responsabilita’ precontrattuale.
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3.1 Anche il terzo motivo e’ inammissibile.
Osserva la Corte come il motivo di doglianza non censura correttamente la ratio decidendi impugnata, posto che – a fronte di una declaratoria di sostanziale inammissibilita’ del motivo di gravame da parte della Corte di merito che, in punto di responsabilita’ precontrattuale, aveva evidenziato la mancata censura “in parte qua” della decisione di rigetto della relativa domanda risarcitoria in ragione della sua genericita’ – la ricorrente si limita, ora, a confutare tale affermazione giudiziale con il mero richiamo delle pagine dell’atto di impugnazione contenenti invece le dedotte censure, senza descriverle nello specifico e senza confutare l’affermata inammissibilita’ dell’appello.
Sul punto giova ricordare che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessita’ di consentire al giudice di legittimita’ di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – trova applicazione anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali siano contestati errori da parte del giudice di merito; l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimita’ ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilita’ del motivo di censura, onde il ricorrente non e’ dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilita’) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, proprio per assicurare il rispetto del principio di autosufficienza di esso (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 29495 del 23/12/2020). Ne consegue, per tanto, l’inammissibilita’ della censura sia in ragione della sua evidente genericita’ di formulazione e per difetto di autosufficienza sia perche’ le doglianze non censurano, in modo puntuale, la ratio decidendi del provvedimento impugnato.
4. La ricorrente propone inoltre un quarto mezzo con cui denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., articolo 183 c.p.c., comma 5, e articolo 273 c.p.c., nonche’ dell’articolo 2909 c.c. e dell’articolo 24 Cost., sul rilievo che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere non esaminabili le domande di risoluzione dei contratti 19.10.2001 e 12.3.2003 riproposte nel secondo giudizio riunito ex articolo 273 c.p.c. al precedente ove le medesime domande di risoluzione era state dichiarate inammissibili per tardivita’ nella loro proposizione.
La statuizione su una questione di rito e giudicato formale
4.1 Il motivo e’ fondato.
Occorre precisare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, la statuizione su una questione di rito da’ luogo soltanto al giudicato formale ed ha effetto limitato al rapporto processuale nel cui ambito e’ emanata; essa, pertanto, non essendo idonea a produrre gli effetti del giudicato in senso sostanziale, non preclude la riproposizione della domanda in altro giudizio (cfr. Cass. Sez. 6-L, Ordinanza n. 10641 del 16/04/2019; cfr. anche Sez. 1, Sentenza n. 13614 del 04/06/2010; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26377 del 16/12/2014; Sez. 3, Ordinanza n. 13603 del 19/05/2021).
Alla luce della giurisprudenza ora richiamata non e’ pertanto predicabile l’eccepita inammissibilita’ delle domande di risoluzione del contratto, gia’ colpite dalla sanzione di inammissibilita’ per tardivita’, per essere state le stesse domande riproposte nel secondo giudizio poi riunito al primo (Cass. n. 23130/2020).
Del resto, e’ stato anche affermato nella giurisprudenza di questa Corte che le decadenze processuali verificatesi nel giudizio di primo grado non possono essere aggirate dalla parte che vi sia incorsa mediante l’introduzione di un secondo giudizio identico al primo e a questo riunito in quanto la riunione di cause identiche non realizza una vera e propria fusione dei procedimenti, tale da determinarne il concorso nella definizione dell’effettivo “thema decidendum et probandum”, restando anzi intatta l’autonomia di ciascuna causa. Ne consegue che, in tale evenienza, il giudice – in osservanza del principio del “ne bis in idem” e allo scopo di non favorire l’abuso dello strumento processuale e di non ledere il diritto di difesa della parte in cui favore sono maturate le preclusioni – deve trattare soltanto la causa iniziata per prima, decidendo in base ai fatti tempestivamente allegati e al materiale istruttorio in essa raccolto, salva l’eventualita’ che, non potendo tale causa condurre ad una pronuncia sul merito, venga meno l’impedimento alla trattazione della causa successivamente instaurata (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 567 del 15/01/2015).
Ed e’ proprio l’evenienza processuale verificatasi nel caso di specie, ove la mancata possibilita’ di addivenire ad una pronuncia sul merito della domanda introdotta per prima rende possibile (ed ammissibile) la trattazione della domanda proposta per seconda e riunita alla prima (cfr. anche, Sez. 3, Sentenza n. 24529 del 05/10/2018).
5. Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione degli articoli 1218 e 1453 c.c. e degli articoli 100 e 112 c.p.c., sul rilievo dell’illogicita’ della motivazione impugnata laddove, in relazione alle domande risarcitorie avanzate nel secondo giudizio e ritenute ammissibili, aveva affermato la genericita’ e la mancata dimostrazione dell’esistenza e dell’entita’ dei danni lamentati e laddove aveva dichiarato l’attrice priva di interesse in ordine alla domanda di risoluzione del contratto quadro del 26.6.2000. Osserva la ricorrente che tuttavia i giudici del merito non avevano disposto l’istruttoria richiesta per la dimostrazione della fondatezza delle domande e che, in relazione alla domanda risarcitoria conseguente all’inadempimento del primo contratto di swap (Convertible Swap del 26.6.2000) la dimostrazione della natura e dell’entita’ del risarcimento sarebbe stata fornita da quanto aveva versato all’istituto di credito, cioe’ la somma di Euro 117.400 il cui debito era stato trasferito come “up front” nel secondo contratto di swap del 19.10.01.
Osserva ancora che, quanto alla dichiarata carenza di interesse, aveva impugnato tutti i capi della sentenza di primo grado e che la rimozione della dichiarazione di inammissibilita’ delle domande di risoluzione dei contratti esecutivi di swap richiesta alla Corte di appello avrebbe integrato il requisito dell’interesse ad impugnare.
5.1 Il motivo e’ inammissibile in ragione della sua evidente genericita’ di formulazione posto che, ancora una volta, la societa’ ricorrente non chiarisce quali fossero le prove richieste nelle fasi di merito volte a dimostrare l’esistenza e l’entita’ del risarcimento del danno richiesto nella causa Rg 1440/2008, risarcimento diverso dalle restituzioni richieste sulla base delle regole dell’indebito oggettivo (cfr. pagg. 12-13 della sentenza impugnata e pag. 21 del ricorso in esame).
5.2 Del pari generica e’ la confutazione da parte del ricorrente (cfr. pag. 22 del ricorso) relativa all’affermazione resa dalla Corte di merito in relazione alla mancata impugnazione della decisione del primo giudice laddove la stessa aveva dichiarato la societa’ attrice priva di interesse a ricorrere in ordine alla domanda di risoluzione del contratto quadro del 26.6.2000.
5.3 Fuori fuoco infine l’impugnazione – declinata in relazione all’affermata mancata dimostrazione della natura e dell’entita’ del risarcimento conseguente al contratto Convertible Swap del 26.6.2000 (che in tesi sarebbe uguale alle somme versate dalla societa’ cliente) – posto che la stessa non tiene in considerazione la ratio decidendi impugnata che delinea la diversita’ tra le somme richieste a titolo di risarcimento del danno e quelle conseguenti agli obblighi restitutori da risoluzione dei contratti per i quali varrebbero le regole dell’indebito oggettivo.
6. Con il sesto mezzo si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in ordine all’invalidita’ della dichiarazione ex articolo 31 Reg. Consob n. 11522/1998.
6.1 Il motivo e’ infondato in quanto non e’ rintracciabile il vizio di omesso esame di fatto decisivo, per come declinato dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risultando evidente che la Corte di appello ha ritenuto lo stesso assorbito dal rigetto dei motivi di gravame e dunque si e’ pronunciato sulla questione dedotta, ritenendola non rilevante ai fini decisori.
7. Si denuncia infine con il settimo motivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, vizio di violazione e falsa applicazione dell’articolo 92 c.p.c., comma 2 e articolo 112 c.p.c., sul rilievo che la corte di appello non si sarebbe pronunciata sulla richiesta di compensazione delle spese di lite del doppio grado di giudizio giustificata dal mutamento degli orientamenti giurisprudenziali registratosi nel tempo.
7.1 Anche l’ultimo motivo e’ infondato in quanto non e’ rintracciabile la denunciata omessa pronuncia sulla questione dedotta dall’appellante posto che la Corte di appello, facendo peraltro applicazione dei principi normativi in tema di regolamentazione delle spese di lite sulla base della soccombenza processuale, si e’ anche pronunciata implicitamente sulla richiesta di compensazione delle spese, respingendola e condannando l’appellante soccombente in giudizio al pagamento di quest’ultime.
P.Q.M.
accoglie il quarto motivo di ricorso; dichiara inammissibili il primo, secondo, terzo e quinto; rigetta il sesto e settimo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Bologna che, in diversa composizione, decidera’ anche sulle spese del presente giudizio di legittimita’.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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