Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 12389.
La revocatoria di rimesse bancarie incombe al curatore del fallimento l’onere di fornire la prova della natura solutoria
Nel giudizio avente ad oggetto la revocatoria di rimesse bancarie, la negazione ad opera della banca della loro natura solutoria non integra un’eccezione in senso proprio, risolvendosi nella contestazione del titolo posto a fondamento della domanda, con la conseguenza che l’onere probatorio rimane fermo a carico dell’attore; nell’ambito di un simile giudizio incombe quindi al curatore del fallimento l’onere di fornire la prova della natura solutoria delle rimesse in conto corrente bancario, nonché del presupposto della stessa, costituito dall’esistenza di uno scoperto del conto. Tuttavia, ove sia invece la difesa della banca ad allegare un fatto impeditivo all’individuazione di uno scoperto di conto – quale l’esistenza di un’apertura di credito – grava su di essa l’onere di dimostrare i propri assunti, ai sensi dell’articolo 2697, comma 2, del codice civile. L’onere probatorio rimane quindi distribuito nel senso che alla curatela fallimentare spetta la dimostrazione della sussistenza della rimessa, della sua effettuazione nel periodo sospetto e della scientia decoctionis da parte della banca, mentre quest’ultima ha l’onere di provare, onde escludere la natura solutoria del versamento, sia l’esistenza, alla data di questo, di un contratto di apertura di credito, sia l’esatto ammontare dell’affidamento accordato al correntista alla medesima data.
Ordinanza|| n. 12389. La revocatoria di rimesse bancarie incombe al curatore del fallimento l’onere di fornire la prova della natura solutoria
Data udienza 27 marzo 2023
Integrale
Tag/parola chiave: FALLIMENTO – Azione revocatoria ex articolo 67 della legge fallimentare – Rimesse su conto corrente bancario – Onere del curatore di fornire la prova della natura solutoria di dette rimesse – Sussiste. (Legge fallimentare, articolo 67; Cc, articolo 2697)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14771/2016 R.G. proposto da:
(OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ((OMISSIS)) rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) ((OMISSIS));
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO (OMISSIS) SRL;
– intimato –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 540/2016 depositata il 08/04/2016;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2023 dal Consigliere PAOLA VELLA.
FATTI DI CAUSA
1.- Con atto di citazione del 30/10/2006 il Fallimento (OMISSIS) s.r.l. chiese la revoca, ex articolo 67, comma 2, L. Fall., delle rimesse per Euro 243.310,15 effettuate sul conto corrente presso Banca (OMISSIS) nell’anno anteriore al fallimento, dichiarato il (OMISSIS).
1.1. – Il Tribunale di Firenze accolse parzialmente la domanda, applicando l’indirizzo giurisprudenziale della Corte d’appello di Firenze secondo il quale, a prescindere dall’esistenza di un contratto di apertura di credito, le rimesse potevano essere assoggettate a revocatoria fallimentare nei limiti della differenza tra il massimo scoperto nell’anno antecedente il fallimento e il saldo finale; quindi, ritenuto che la conoscenza dello stato di insolvenza della societa’ risalisse al 08/01/2003 (e non al 17/09/2002), accolse parzialmente la domanda per l’importo di Euro 28.645,13 pari al “differenziale complessivo di rientro”.
1.2. – Il Fallimento propose appello principale, deducendo che la consapevolezza dello stato di insolvenza esisteva fin dal luglio 2002 e che il tribunale aveva erroneamente applicato un orientamento difforme dalla lettera dell’articolo 67 L. Fall., sebbene poi recepito dalla riforma del 2005 (Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35).
1.3. – La Banca propose appello incidentale, chiedendo che la scientia decoctionis fosse fatta risalire ad aprile-maggio 2003 e che la domanda fosse respinta perche’ le rimesse, in presenza di fido, avevano tutte natura ripristinatoria, e non solutoria.
1.4. – La Corte d’appello di Firenze, espletate le prove orali e disposta CTU, ha rigettato l’appello incidentale della banca (per difetto di prova del fido, stante l’inidoneita’ della relativa delibera in quanto atto interno) ed ha accolto l’appello principale della curatela fallimentare, ritenendo che vi era prova della scientia decoctionis sin dal luglio 2002 (per una serie di elementi indiziari documentali, avvalorati dalla deposizione testimoniale di una dipendente della societa’) e che le rimesse, aventi natura solutoria (secondo l’interpretazione corrente prima della riforma), erano revocabili per l’intero importo di Euro 243.172,94.
1.5. – Avverso detta decisione (OMISSIS) s.p.a. (quale incorporante di Banca (OMISSIS) s.p.a.) ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi; il Fallimento intimato non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. – Con il primo motivo si deduce la violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4), “per motivazione apparente e/o perplessa e/o obbiettivamente incomprensibile e/o per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e la conseguente nullita’ della sentenza impugnata “relativamente al capo 7.2. in cui e’ stata affermata la scientia decoctionis a far data dal 17/09/2002”.
2.1. – Il motivo e’ infondato.
2.2. – E’ noto che il sindacato di legittimita’ sulla motivazione e’ circoscritto alla verifica del rispetto del cd. “minimo costituzionale”, nel senso che “l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimita’ e’ solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in se’, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce – con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza” – nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (Cass. Sez.U, 8053/2014; Cass. Sez. U, 22232/2016; Cass. 13977/2019).
2.3. – Dopo la riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (ad opera del Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), infatti, non e’ piu’ consentito censurare in sede di legittimita’ la contraddittorieta’ o l’insufficienza della motivazione (Cass. 23940/2017, 22598/2018, 7090/2022), essendo evidente che ammettere in sede di legittimita’ la verifica della sufficienza o della razionalita’ della motivazione in ordine alle quaestiones facti significherebbe consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass. Sez. U, 28220/2018; Cass. 2001/2023, 28643/2020, 33858/2019, 32064/2018, 8758/2017).
2.4. – Orbene, nessuno dei gravi vizi sopra indicati inficia, al punto da renderla nulla, la motivazione della sentenza impugnata, ove sono illustrati con dovizia di particolari i plurimi elementi indiziari presi in considerazione ai fini del riscontro della scientia decoctionis ed esposte le argomentazioni sulle base delle quali si e’ formato il convincimento del giudice di merito, che possono o meno condividersi, ma non presentano vizi sindacabili in sede di legittimita’ (cfr. ex multis, Cass. 8584/2022, 6322/2023).
2.5. – Le minuziose contestazioni svolte in ricorso tradiscono semmai l’intento di sottoporre a revisione l’intero materiale istruttorio, la cui valutazione e’ pero’ riservata al giudice di merito.
3. – Il secondo mezzo lamenta violazione dell’articolo 67, comma 2, L.F. (nella formulazione vigente prima della novella del 2005), in relazione all’articolo 1823 c.c., nell’assunto che avrebbero “natura solutoria non i singoli atti di movimentazione interna del conto corrente bancario, bensi’ il saldo dello stesso e nei limiti in cui la banca sia rientrata”.
3.1. – La censura e’ infondata.
3.2. – Questa Corte ha piu’ volte chiarito che l’esenzione da revocatoria fallimentare delle rimesse su conto corrente bancario ex articolo 67, comma 3, lettera b), L. Fall., come modificato dal Decreto Legge n. 35 del 2005, articolo 2, comma 1, lettera a), conv. nella L. n. 80 del 2005, non si applica, ai sensi del Decreto Legge n. 35 cit., articolo 2, comma 2, alle azioni revocatorie proposte nell’ambito di procedure iniziate, come quella per cui e’ causa, prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto, senza che cio’ contrasti col principio costituzionale di ragionevolezza, avendo il legislatore tutelato l’affidamento riposto dai creditori concorsuali nella ricostruzione del patrimonio del fallito in base alle regole vigenti al tempo della dichiarazione di fallimento (Cass. 9375/2012).
3.3. – Puo’ aggiungersi che piu’ volte questa Corte ha censurato la giurisprudenza della corte territoriale fiorentina che disattendeva il canone per cui le rimesse effettuate sul conto corrente dell’imprenditore successivamente fallito, quando il conto sia scoperto (per il superamento del fido), sono revocabili singolarmente, ai sensi dell’articolo 67, comma 2, L. Fall., senza che la revocabilita’ debba essere contenuta nei limiti del divario fra il massimo scoperto e il saldo finale (atteso che la presenza di frequenti oscillazioni nell’ambito dello scoperto, ed anche di sconfinamenti seguiti da eventuali rientri nei limiti del fido, non consentono di individuare nelle rimesse operate sul conto scoperto una forma di ricostituzione della provvista disponibile in futuro per il cliente), tanto piu’ che il richiamo alla normativa riformata veniva effettuato a conforto della tesi adottata, e non invocando la natura interpretativa e quindi retroattiva della normativa novellata (Cass. 26136/2013, 8827/2011, 20834/2010).
4. – Il terzo motivo denunzia la violazione dell’articolo 112 c.p.c., “per inosservanza del principio dispositivo e del contraddittorio nonche’ di quello della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato”, in uno alla “nullita’ della sentenza impugnata relativamente al capo in cui ha rilevato di ufficio la nullita’ del contratto di apertura di credito a favore della (OMISSIS) per difetto di forma scritta del contratto stesso”.
4.1. – Le censure sono infondate e tradiscono, verosimilmente, la mancata comprensione della ratio decidendi.
4.2. – Come di recente ribadito da questa Corte (Cass. 1795/2021), nel giudizio avente ad oggetto la revocatoria di rimesse bancarie, la negazione ad opera della banca della loro natura solutoria non integra un’eccezione in senso proprio, risolvendosi nella contestazione del titolo posto a fondamento della domanda, con la conseguenza che l’onere probatorio rimane fermo a carico dell’attore; nell’ambito di un simile giudizio incombe quindi al curatore del fallimento l’onere di fornire la prova della natura solutoria delle rimesse in conto corrente bancario, nonche’ del presupposto della stessa, costituito dall’esistenza di uno scoperto del conto (v. Cass. 20810/2014, 4762/2007). Tuttavia, ove sia invece la difesa della banca ad allegare un fatto impeditivo all’individuazione di uno scoperto di conto – quale l’esistenza di un’apertura di credito – grava su di essa l’onere di dimostrare i propri assunti, ai sensi dell’articolo 2697 c.c., comma 2, (Cass. 23393/2007, 19941/2006, 14470/2005). L’onere probatorio rimane quindi distribuito nel senso che alla curatela fallimentare spetta la dimostrazione della sussistenza della rimessa, della sua effettuazione nel periodo sospetto e della scientia decoctionis da parte della banca, mentre quest’ultima ha l’onere di provare, onde escludere la natura solutoria del versamento, sia l’esistenza, alla data di questo, di un contratto di apertura di credito, sia l’esatto ammontare dell’affidamento accordato al correntista alla medesima data (Cass. 14087/2002, 1672/1999).
4.3. – La corte territoriale non ha violato i suddetti principi affermando che spettava alla banca convenuta dare la prova dell’esistenza dell’asserito affidamento e rilevando, sulla base di quanto allegato e prodotto, che tale onere non e’ stato assolto, in mancanza di un contratto scritto di apertura di credito, stante la natura di mero atto interno della Delib. di Banca (OMISSIS) del 20/11/2002 di concessione di un fido di 25.000 Euro quale “scoperto di conto corrente”; il tutto alla luce dell’articolo 117 TUB per cui i contratti bancari devono essere redatti per iscritto (con consegna di un esemplare al cliente) e, in caso di inosservanza della forma prescritta, il contratto e’ nullo; nullita’ che era rilevabile sulla base degli elementi probatori acquisiti agli atti.
5. – Segue il rigetto del ricorso, senza necessita’ di statuizione sulle spese, in assenza di difese dell’intimato.
6. – Si da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
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