Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 18 ottobre 2019, n. 7082.
La massima estrapolata:
La responsabilità risarcitoria dell’Amministrazione deve essere negata laddove il pregiudizio sia stato cagionato da un’attività amministrativa ascrivibile ad errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto.
Sentenza 18 ottobre 2019, n. 7082
Data udienza 19 settembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9859 del 2014, proposto dalla signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Ro. Da. e Ar. Sa., con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, viale (…);
contro
il Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione Prima Bis, n. -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 settembre 2019 il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti l’Avvocato Ma. Ro. Da. e l’Avvocato dello Stato Fa. Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’appellante espone di essere attualmente dipendente del Ministero dell’Interno, inquadrata, a decorrere dal settembre 2002, nella IV qualifica funzionale – attuale profilo professionale B1 – e in precedenza assunta dal Ministero dell’Interno, a decorrere dal 30 ottobre 1995, inquadrata nella III qualifica funzionale, attualmente area A; il Ministero della Difesa ha disposto l’assunzione, con decorrenza dal settembre 2002, in ottemperanza della sentenza del T.a.r. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione Prima Bis, n. -OMISSIS-, ovvero in concomitanza con l’avanzamento di carriera presso il Ministero dell’Interno per la permanenza nel quale, in ragione della migliore qualifica avuta a decorrere dal settembre 2002, l’interessata ha optato.
L’interessata, in particolare, ha posto in rilievo che, in qualità di appartenente alla categoria protetta di “profugo”, ha presentato a suo tempo domanda di assunzione diretta per le funzioni di stenodattilografo ed operatore amministrativo al Ministero della Difesa e che, dopo avere sostenuto la prova pratica ed un colloquio con formulazione di un giudizio di idoneità per l’assunzione nel profilo professionale di “dattilografo”, ascrivibile alla IV qualifica funzionale del CCNL Ministeri allora vigenti, l’Amministrazione ha comunicato l’intenzione di non procedere all’assunzione, in ragione del “blocco” delle nuove immissioni in servizio disposto dal d.l. n. 333 del 1992, convertito nella legge n. 359 del 1992.
Di talché, l’appellante ha proposto un primo ricorso giurisdizionale, accolto dal T.a.r. per il Lazio, Sezione Prima Bis, con la sentenza n. -OMISSIS-.
L’appellante ha altresì soggiunto che il Ministero della Difesa, nel dare esecuzione alla citata sentenza del T.a.r. per il Lazio, ha disposto la sua assunzione dal settembre 2002, mentre ritiene di avere diritto ad essere assunta, a tutti gli effetti, dall’aprile 1992, o, al più, dal 1° gennaio 1993 o comunque dalla data della diffida, vale a dire dal 18 settembre 1994.
Il T.a.r. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione Prima Bis, con la appellata sentenza n. -OMISSIS-, ha respinto il conseguente ricorso proposto dall’interessata per la ritardata assunzione.
L’appello è articolato nelle seguenti doglianze:
– sussisterebbero tutti gli elementi previsti dall’art. 2043 c.c. per la configurabilità dell’illecito aquiliano;
– l’Amministrazione avrebbe sistematicamente violato le norme applicabili al caso di specie e sarebbero irragionevoli le interpretazioni attraverso le quali si è pervenuti ad escludere l’appellante dall’assunzione, mentre, contestualmente, si procedeva all’assunzione di altri soggetti idonei nella stessa procedura collocati in posizione deteriore;
– non vi sarebbe alcuna scusabilità della violazione degli obblighi di imparzialità ed efficienza dell’azione amministrativa dall’intervenuto parere del Consiglio di Stato e, d’altra parte, diversamente opinando ne risulterebbe compromesso il diritto al risarcimento ogniqualvolta vi sia una responsabilità di più soggetti pubblici.
Sotto altro profilo, la parte ha impugnato la sentenza in relazione alla condanna alle spese del giudizio, chiedendone la riforma con compensazione delle spese del doppio grado.
Il Ministero della Difesa si è costituito in giudizio per resistere al gravame.
All’udienza pubblica del 19 settembre 2019, la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. Nel merito, l’appello è infondato e va di conseguenza respinto.
La rimproverabilità dell’evento all’Amministrazione costituisce un presupposto indefettibile per poter ravvisare una sua responsabilità risarcitoria.
La giurisprudenza consolidata, dalla quale questo Collegio non ha ragione per discostarsi, di conseguenza, ha posto in rilievo che la responsabilità risarcitoria dell’Amministrazione deve essere negata laddove il pregiudizio sia stato cagionato da un’attività amministrativa ascrivibile ad errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 23; Sez. V, 31 luglio 2012, n. 4337, richiamati da Cons. Stato, Sez. III, 11 settembre 2019, n. 6138).
Per la configurabilità della colpa dell’Amministrazione, in altri termini, occorre avere riguardo al carattere della regola di azione violata: se la stessa è chiara, univoca e cogente, si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico nella sua violazione; al contrario, se il canone della condotta amministrativa giudicata è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all’Autorità amministrativa un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà essere accertata solo nelle ipotesi in cui il potere sia stato esercitato in palese spregio delle regole di correttezza e di proporzionalità . Ed, infatti, a fronte di regole di condotta inidonee a costituire, di per sé, un canone di azione sicuro e vincolante, la responsabilità dell’Amministrazione potrà essere affermata nei soli casi in cui l’azione amministrativa ha disatteso, in maniera macroscopica ed evidente, i criteri del buon andamento e dell’imparzialità, restando ogni altra violazione assorbita nel perimetro dell’errore scusabile (cfr. ex multis: Cons. Stato, Sez. III; 11 settembre 2019, n. 6138; Cons. Stato, Sez. III, 4 marzo 2019, n. 1500; Cons. Stato, Sez. IV, 31 marzo 2015, n. 1683; Cons. Stato, Sez. IV, 28 luglio 2015, n. 3707)”.
L’errore scusabile, quindi, è ravvisabile in presenza, come nel caso di specie, dell’incertezza del quadro normativo di riferimento.
Tale incertezza emerge in modo evidente e sintomatico per il fatto che, come anche evidenziato nella sentenza appellata, il Consiglio di Stato, con il parere n. 822 del 12 ottobre 1993, reso su richiesta dell’Amministrazione proprio al fine di individuare la corretta interpretazione della disposizione e procedere alla esatta applicazione della stessa, ha ritenuto che i procedimenti avviati per l’assunzione dei riservatari ex lege 482/1986, ancorché attivati anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 29 del 1993, non possono essere sottratti all’applicazione di quest’ultima.
Pertanto, sebbene il parere reso dal Consiglio di Stato non fosse vincolante, è evidente che l’Amministrazione procedente ha agito in modo del tutto privo dai connotati che contrassegnano l’elemento soggettivo della colpa e che, quindi, non sussiste l’elemento della “rimproverabilità “, elemento costitutivo della responsabilità risarcitoria amministrativa.
Né può assumere rilievo, ai fini della definizione del presente contenzioso, la circostanza secondo cui sarebbe stata completata prima la procedura di assunzione di candidati classificati in posizione potiore e ciò sia in quanto la dedotta circostanza si presenta sprovvista, in sede di appello, di elementi di specificità, sia in quanto non potrebbe comunque far venire meno la scusabilità dell’errore in cui è incorsa l’Amministrazione per quanto riguarda la fattispecie in esame.
3. Il Collegio ritiene che non sussistano i presupposti per riformare la sentenza di primo grado in ordine alla statuizione sulle spese di giudizio, mentre, considerata la peculiarità della vicenda contenziosa, le spese del giudizio di appello possono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe n. 9859 del 2014.
Spese del giudizio di appello compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2019, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply