Ai fini dell’osservanza dei rapporti massimi prescritti tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 18 ottobre 2019, n. 7087.

La massima estrapolata:

Ai sensi dell’art. 3, ultimo comma, del d.m. n. 1444 del 1968, ai fini dell’osservanza dei rapporti massimi prescritti tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi, “si assume che, salvo diversa dimostrazione, ad ogni abitante insediato o da insediare corrispondano mediamente 25 mq. di superficie lorda abitabile (pari a circa 80 mc. vuoto per pieno), eventualmente maggiorati di una quota non superiore a 5 mq. (pari a circa 20 mc. vuoto per pieno) per le destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze (negozi di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni, studi professionali, ecc.)”. Al riguardo, va ricordato che il criterio del c.d. “vuoto per pieno” richiamato dal suddetto d.m. riguarda la volumetria complessiva lorda di una costruzione, e, in linea di principio, non esclude alcuno spazio e/o superficie. L’unico temperamento ad esso è costituito dalla nozione di “volume tecnico”, espressione con la quale si fa riferimento esclusivamente a quei volumi che sono realizzati per esigenze tecnico-funzionali della costruzione (per la realizzazione di impianti elettrici, idraulici, termici o di ascensori), che non possono essere ubicati all’interno di questa e che sono del tutto privi di propria autonoma utilizzazione funzionale, anche potenziale

Sentenza 18 ottobre 2019, n. 7087

Data udienza 26 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10655 del 2018, proposto dalla società -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Pa. e Va. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dei difensori, in Roma, via (…);
contro
il Comune di Latina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Di Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Pa. Po. in Roma, piazza (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina, n. -OMISSIS-.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 26 settembre 2019 il Cons. Silvia Martino;
Uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, gli avvocati Va. Ca., Al. Pa. e Fr. Di Le.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto innanzi al TAR per il Lazio, sezione staccata di Latina, la società -OMISSIS-. impugnava la delibera in data 26 febbraio 2016, n. 59, con cui il Commissario straordinario del Comune di Latina aveva sospeso per giorni 90 l’efficacia del P.P.E. (Piano Particolareggiato di Esecuzione) di -OMISSIS-, approvato con delibera G.M. n. 359 del 2012.
Al riguardo, premetteva di essere titolare del permesso di costruire n. 41EP/2013, rilasciato dal Comune di Latina, sul lotto di terreno censito al Catasto di Latina al fl. 116, mappale 1062, ricadente nel perimetro del P.P.E. denominato “-OMISSIS-” – comparto Unico, lotto D con destinazione “lotto edificabile”.
A sostegno della predetta impugnativa deduceva vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.
Con successivi motivi aggiunti impugnava altresì la delibera in data 24 maggio 2016, n. 205, con cui il Commissario straordinario aveva annullato d’ufficio la suddetta delibera di Giunta n. 359/12.
I motivi di censura erano così rubricati:
1) violazione dell’art. 21 quater e 21 nonies della L. 7.8.1990, n. 241, violazione dell’art. 97 Cost e del principio di affidamento, difetto di motivazione; mancato esercizio del potere di convalida;
2) violazione dell’art. 21 nonies della L. 7.8.1990, n. 241, violazione degli artt.7 e 13 della l. 7.8.1990, n. 241, mancato esercizio del potere di convalida; violazione dell’art. 141 del d.lgs. n. 267/2000, incompetenza; eccesso di potere per violazione del principio di affidamento, difetto di motivazione;
3) eccesso di potere per erroneità dei presupposti, irragionevolezza, carenza di motivazione; violazione dell’art. 21 nonies della L. 7.8.1990, n. 241, mancato esercizio del potere di convalida violazione dell’art. 7 della L. 7.8.1990, n. 241.
Nella resistenza della civica amministrazione, il TAR:
– dichiarava improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso principale;
– respingeva i motivi aggiunti, con condanna alle spese.
2. La sentenza è stata impugnata dalla società originaria ricorrente, rimasta soccombente, la quale ha riproposto, in chiave critica, le doglianze respinte nonché quelle assorbite dal TAR.
Nello specifico, ha dedotto:
I) Erronea, insufficiente o, addirittura, carente motivazione in merito alla censurata violazione di legge ed eccesso di potere per erroneità dei presupposti, carenza di istruttoria e contraddittorietà e carenza di adeguata motivazione del provvedimento impugnato – Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.) e del divieto di pronuncia sul potere non esercitato dalla p.a. (art. 34, comma 2, c.p.a.) -Violazione dell’art. 21 nonies, comma 2, della legge n. 241/1990 per mancato esercizio del potere di convalida – Violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990 per mancato avviso sui vizi nuovi rispetto alla delibera di sospensione. Riproposizione di motivi ex art. 101, comma 2, c.p.a.
La società appellante ha, in primo luogo, nuovamente contestato i rilievi di illegittimità del PPE contenuti nella delibera commissariale.
a) Problema del calcolo delle volumetrie insediabili:
I redattori del Piano hanno calcolato il numero degli abitanti ancora insediabili attraverso lo scomputo del 14,91% della volumetria rilevata corrispondente alle superfici non residenziali, quali androni, corpi scala, ascensori, locali tecnici, etc.
Tale scelta avrebbe “pesato” sull’errato convincimento del Commissario Straordinario – e anche del TAR – che il Piano non potesse essere approvato con le forme semplificate di cui agli artt. 1 e 1bis della l.r. n. 36/1987.
La società appellante ha fatto tuttavia rilevare che il PRG del Comune di Latina (che risale al 1971) non prevede né una norma che consenta lo scomputo dei volumi non abitabili, né una norma che lo vieti. Tuttavia, il concetto di “superficie utile lorda” sta sostituendosi, nella cultura urbanistica degli ultimi anni – ed in coerenza, a dire della ricorrente, con il d.m. n. 1444/1968 – a quello del volume, tanto ciò è vero che i piani regolatori di più moderna concezione (come quello di Roma) hanno ormai definitivamente sostituito al vecchio criterio di calcolo del volume quello della superficie utile lorda (che non tiene conto dei vani corsa degli ascensori, vani scala, androni, etc.).
I parametri di riferimento, sono, dunque, quelli contenuti nell’art. 3 del D.M. n. 1444/1968 il quale impone che ad ogni abitante insediato o da insediare corrispondano mediamente “25 mq di superficie lorda abitabile” pari a “circa” 80 mc vuoto per pieno.
Tale parametro potrebbe ragionevolmente considerarsi forfettariamente pari al 15% scomputato dai redattori del Piano.
Inoltre, nel caso specifico del Comune di Latina, il criterio utilizzato per determinare una riduzione percentuale della volumetria era stato già oggetto di una attenta e scientifica analisi da parte di dodici professionisti incaricati di progettare il Piano di Recupero del quartiere R/0 i quali, in data 21 luglio 2008, avevano presentato una relazione dove indicavano che: “Una corretta applicazione del calcolo dei volumi rapportato al D.M. 1444/68, oltre all’altezza di ml. 3,20 di cui sopra, deve tener conto anche del sistema costruttivo diverso degli edifici esistenti rispetto alle normative vigenti: morfologia dell’impianto storico degli edifici, spessori murari portanti, sistemi distributivi e pertinenziali, ecc. Considerato che la quota degli edifici storici presenti all’interno del comprensorio R/0 costituisce il 60% circa del patrimonio edilizio esistente possiamo affermare, per una corretta interpretazione degli standard urbanistici che la sommatoria di questi fattori porta ad una attendibile valutazione di volumetria residenziale da sottrarre all’intera volumetria totale stimata intorno al 15%” (pag. 96 del doc. 15 di parte appellante, recante la relazione del consulente tecnico di parte).
Tale relazione è stata sottoposta, insieme al Piano di Recupero R/0, all’esame di numerose Commissioni Consiliari per l’Urbanistica (da ultimo, il 5 marzo 2009 – cfr. pag. 93 del doc. 15) e, quindi, approvata dal Consiglio Comunale con Deliberazione n. 31 del 27 maggio 2009 (riportata a pag. 94 del doc. 15), nel cui deliberato si dà atto che “quanto sopra rappresentato non comporta variante allo strumento urbanistico generale”.
Il criterio adottato nella determinazione della volumetria e del conseguente numero di abitanti insediati per la revisione del PP -OMISSIS- è stato, quindi, quello stesso già adottato dai professionisti incaricati per la redazione di precedenti Piani di Recupero, non annullati dal Commissario Straordinario.
Sul punto, l’appellante ha richiamato quanto affermato dal Tribunale di Roma – Sez. III-bis penale, specializzata per i procedimenti in materia di riesame, nell’ordinanza pronunciata il 24 novembre 2016 e depositata il 30 dicembre 2016 nell’ambito del procedimento iscritto al n. 3164/2016 R.G. Libertà, dove si legge che: “l’art. 1-bis, comma 2, lett. f) stabilisce espressamente che, tra le modifiche ai previgenti strumenti urbanistici non quantificabili come varianti (e quindi rimessi alla competenza della Giunta), rientrano anche le “modifiche che incidono sull’entità delle cubature dei locali tecnici ed impianti tecnologici”, disposizione che legittima un’interpretazione in base alla quale identificare come mera modifica, non comportante variante, la sola sottrazione della complessiva base di calcolo delle superfici edificabili di quelle non destinate ad uso abitativo” (allegato 1 al doc. 15).
L’appellante ha poi richiamato le conclusioni della consulenza di parte, presentata in primo grado secondo cui “Il dimensionamento della recente revisione del P.P.E. è stato effettuato prendendo quale riferimento il parametro volumetrico previsto nell’articolo 3, terzo comma, del d.M. n. 1444 del 2 aprile 1968 (secondo il quale ad ogni abitante insediato o da insediare corrispondono mediamente circa mc. 80 vuoto per pieno, maggiorati di una quota non superiore a circa mc. 20 vuoto per pieno per le destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze) da cui è stata ricavata la volumetria complessivamente localizzabile nell’ambito del comprensorio urbanistico che ci occupa: abitanti 2.175 x mc./ab. 100 = mc. 217.500 di cui mc. 174.000, pari all’80%, a destinazione residenziale e mc. 43.500, pari al 20%, da destinarsi a negozi ed uffici. La volumetria complessiva preesistente incontestamente rilevata (salvo prova contraria – tuttora non offerta – secondo accurate misurazioni e calcolazioni) dai progettisti della variante del piano particolareggiato, è pari a mc. 67.495, di cui (secondo le disposizioni dettate dall’articolo 3, comma 3, del d.i. n. 1444/1968 sopra richiamate): – volumetria residenziale (80%): mc. 53.996; – volumetria commerciale e per uffici (20%): mc. 13.499; VOLUMETRIA COMPLESSIVA ESISTENTE mc. 67.495. Applicando la formula inversa: volumetria esistente: mc./ab. 100 si ottiene la popolazione virtuale già insediata, pari a: mc. 67.495/ab. 100 = abitanti 674,95 valore che, arrotondato per difetto, deve ritenersi pari a 675 abitanti” (pag. 86 della relazione tecnica di parte, doc. 15).
Il consulente di parte ha richiamato, in particolare, la circolare del Ministero dei LL.PP n. 1820 del 23 luglio 1960 che, in materia di definizione di costruzioni edilizie, ha chiarito che la superficie abitabile “è “la superficie totale delle stanze (vani utili) e cioè delle camere da letto, delle camere da pranzo, da studio e da soggiorno, delle soffitte abitabili, delle camere dei domestici, delle cucine e degli altri spazi destinati all’abitazione (esclusi perciò i vani accessori che fanno parte dello stesso alloggio)” non risultando comprese le “superfici non residenziali quali androni, corpi scala etc. “” (pag. 87 doc. 15).
L’appellante prosegue evidenziando che tale criterio di computo è coerente anche con la legge della Regione Lazio n. 6/2008, che consente di derogare dagli spessori delle murature di tamponamento e dei solai oltre lo spessore nominale di cm. 30, condizione che da sola determina un incremento del 19,10%; nonché con il d.P.R. 380/2001, nella parte in cui definisce la quota di tolleranza nel 2%; ed, infine, con la stessa legge della Regione Lazio n. 36 del 1987 secondo cui non costituisce variante la riduzione delle volumetrie edificabili rispetto a quelle previste dallo stesso strumento urbanistico generale, purché contenute entro il 20%, così come le modifiche che incidono sull’entità delle cubature dei locali tecnici ed impianti tecnologici e sulla distribuzione interna delle singole unità immobiliari, nonché le modifiche che variano il numero delle unità stesse.
b) Problema relativo all’utilizzo dell’istituto della perequazione/compensazione:
Il Commissario Straordinario ha contestato l’uso, da parte dei redattori del PP, dell’istituto della perequazione attribuendo anche a tale scelta il significato di pianificazione in variante al PRG.
Si tratterebbe però, di una motivazione erronea.
Al riguardo, la società appellante ha richiamato la motivazione della medesima ordinanza del Tribunale penale di Roma, in precedenza citata, incentrata sulla finalità del meccanismo della perequazione, la cui applicazione è stato considerata legittima da parte della giurisprudenza amministrativa anche prima che l’istituto fosse espressamente recepito da varie leggi regionali e poi anche dal legislatore nazionale, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 5, comma 3, d.l. 13.5.2011 (conv. con modif., nella legge 12.7.2011, n. 106), il quale ha previsto l’introduzione, nell’ambito degli atti soggetti a trascrizione ai sensi dell’art. 2643 cod. civ., dei ” contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati previsti dalle normative statali o regionali ovvero da strumenti di pianificazione territoriale” –
Nel caso di specie, il ricorso all’istituto della perequazione era finalizzato a consentire una modalità di acquisizione di aree da destinare al Comune alternativa all’esproprio sicché il mancato preventivo recepimento di detto strumento nel PRG non costituirebbe una condizione ostativa al suo utilizzo. Tale strumento è stato peraltro già utilizzato per altri Piani attuativi nel Comune di Latina (quali il PPE della Marina di Latina, il PPE R/10 e il PPE/R11) i quali sono stati approvati quali Piani non in variante al PRG e non sono stati annullati dal Commissario Straordinario.
L’appellante ha poi riproposto i motivi di censura assorbiti dal TAR.
c) Problema dell’asserita diminuzione degli standard.
L’appellante lamenta il fatto che il Commissario Straordinario abbia sollevato (per la prima volta nel provvedimento di annullamento), un asserito vizio di avvenuta diminuzione degli standard destinati a servizi pubblici e a verde al fine di ottenere nuove superfici per uso residenziale.
Tale rilievo contrasterebbe però con le risultanze dell’istruttoria compiuta dallo stesso Commissario Straordinario prima di giungere alla sospensione e all’annullamento dei Piani.
L’appellante sottolinea infatti che dalla relazione del Dirigente del Settore Urbanistica prot. n. 6299 del 18 gennaio 2016, nella scheda dedicata a -OMISSIS-, emerge che il nuovo PP prevedeva una dotazione di standard pari a 33.60 mq/ab, maggiore sia a quanto prescritto dal d.m. del 1968, sia a quanto prescritto dal PRG nonché dal vecchio PP del 1987, ormai decaduto.
Quanto rilevato dal Comune, viene confermato anche dal consulente di parte che nella propria perizia evidenzia come la dotazione prevista, sia nel vecchio PP -OMISSIS- approvato nel 1987, sia nel nuovo PP -OMISSIS- approvato nel 2012, fosse notevolmente superiore rispetto a quella minima prescritta dal PRG del Comune di Latina ed anche rispetto agli standards richiesti dall’art. 3 del DM n. 1444/1968 (cfr. la tabella n. 4 a pag. 103 della perizia, la tabella n. 6 a pag. 104 e la tabella n. 7 a pag. 105 – doc. 15).
L’appellante ha altresì stigmatizzato il fatto che, tale profilo, non fosse stato evidenziato nella comunicazione di avvio del procedimento.
d) Problema dell’asserita mancata conclusione del procedimento approvativo del PP -OMISSIS-.
L’appellante ha censurato anche il rilievo del Commissario Straordinario secondo cui le deliberazioni di approvazione dei PP in esame “non hanno acquisito valore di definitività quale conclusione del procedimento di approvazione” (pag. 6 del provvedimento impugnato).
Il Commissario ha valorizzato, al riguardo, il fatto che la Giunta si fosse riservata di deliberare definitivamente, una volta controdedotto sulle osservazioni ricevute.
Tuttavia il PP in esame è stato approvato in virtù di quanto disposto dall’art. 1 bis, 1° co., della legge regionale n. 36/1987 nella versione allora vigente, la quale così disponeva: “i piani attuativi, conformi allo strumento urbanistico generale, anche qualora contengano le modifiche di cui al comma 2 o l’individuazione delle zone di recupero di cui all’articolo 27 della l. 457/1978, purché anch’esse conformi allo strumento urbanistico generale, sono approvati dalla giunta comunale (…)”.
Il Commissario straordinario sarebbe stato tratto in inganno dal fatto che la Giunta comunale, pur se non prescritto dalla normativa allora vigente, al fine di garantire la massima partecipazione al procedimento amministrativo, aveva dato mandato ai propri Uffici di provvedere, comunque, alla pubblicazione dei Piani approvati ex art. 1 bis della legge regionale n. 36/1987 e ciò al fine di raccogliere le osservazioni che sono state puntualmente controdedotte con successive delibere di Giunta (nel caso di -OMISSIS-, la n. 3 dell’8.1.2013).
Per tale ragione, alla delibera di controdeduzioni alle osservazioni non ha fatto seguito alcuna nuova delibera di approvazione che sarebbe stata un’inutile duplicazione dell’atto approvativo, perfettamente valido, già licenziato dalla Giunta comunale (tanto ciò è vero che all’odierna appellante era stato rilasciato anche il permesso a costruire).
A tale circostanza, si ricollega la censura di violazione dell’art. 21 nonies, comma 2, della legge n. 241/1990 per mancato esercizio del potere di convalida (che l’appellante ripropone).
e) Problema dell’asserita mancata acquisizione di alcuni pareri propedeutici all’approvazione:
Il Commissario – pur senza trovare alcun riscontro istruttorio nella relazione del Dirigente del Settore Urbanistica – ha poi sollevato il problema della mancata preventiva acquisizione di alcuni pareri asseritamente propedeutici all’approvazione del P.P..
A tale riguardo, l’appellante ha richiamato le conclusioni del proprio perito, secondo cui:
– il parere geologico vegetazionale non sarebbe stato necessario in quanto “con l’atto n. 655 dell’8 maggio 2001, avente ad oggetto” Modifica della deliberazione della Giunta regionale n. 2649 del 18 maggio 1999. Linee guida e documentazione per l’indagine geologica e vegetazionale. Estensione dell’applicabilità della legge 2 febbraio 1974, n. 2 (in B.U.R. del Lazio n. 18 del 30 giugno 2001)” la Giunta Regionale del Lazio ha deliberato, tra l’altro: “Di stabilire che dalla documentazione geologico-vegetazionale (Allegato 1 della deliberazione della Giunta regionale n. 2649/1999) da presentare in sede di formazione degli strumenti urbanistici generali e loro varianti e piani attuativi, sia stralciato il punto 4 “indagine vegetazionale” nei seguenti casi:
– – tutti i piani attuativi (piani di lottizzazione convenzionata, piani particolareggiati, piani di riqualificazione, piani di recupero) inseriti nei centri abitati o negli inclusi di aree diffusamente urbanizzate, sui cui soprassuoli non sono presenti formazioni boscate” (pag. 108 doc. 15).
Il PP -OMISSIS- rientrerebbe senz’altro in questa deroga in quanto “il soprassuolo del comprensorio del -OMISSIS-, perimetrato con contorno rosso sulla Carta dei vincoli ambientali ed urbanistici del Piano Regolatore Generale di Latina nella figura 24 che segue, non è interessato da formazioni arboree boscate, come risulta dall’esame delle tavole 35_400 serie A, serie B e serie C del P.T.P.R. – Piano Territoriale Paesaggistico Regionale (cfr. figure 25, 26 e 27 che seguono)” (pag. 110 e ss doc. 15).
– non sarebbe stato necessario nemmeno sottoporre il PP alla VAS; in tal senso, l’appellante richiama la d.G.R. n. 169 del 5 marzo 2010, la quale ha individuato, tra le fattispecie escluse dall’obbligo di VAS, “i piani attuativi e i programmi complessi comunque denominati, previsti da norme vigenti, nonché gli interventi relativi ad accordi di programma, conferenze di servizi, intese ed altri atti, in base alla legislazione vigente, che non comportino varianti ai relativi PRG, ivi comprese quelle elencate all’art. 1 bis, della L.R. 36/1987 recante “Norme in materia di attività urbanistico – edilizia e snellimento delle procedure”, così come modificato dall’art. 26 della L.R. 21/2009, purché non contengano opere soggette alle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA e Verifica di Assoggettabilità ), o a Valutazione di Incidenza, secondo la vigente normativa” (pag. 122 doc. 15).
– non sarebbero stati necessari, infine né l’assenso preventivo dell’Autorità dei Bacini Regionali del Lazio, né il parere ex art. 20, 1° co., lett. f) della legge n. 833/1978;
II) Erroneità e contraddittorietà della motivazione in merito ai sollevati vizi di violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 sotto diversi profili. Violazione dell’art. 112 c.p.c. per extra petita e dell’art. 34, 2° co., c.p.a.- Violazione dell’art. 141 del Dlgs 267/2000 e del DPR 2.7.2015 di conferimento dell’incarico Commissariale. Eccesso di potere per contraddittorietà con le risultanze istruttorie. Violazione dell’art. 97 cost. e del principio del legittimo affidamento. – Incoerenza tra attività istruttoria e motivazione dell’atto (con violazione dell’art. 3 legge n. 241/1990).
La società appellante ha poi stigmatizzato la circostanza che il TAR abbia, a suo dire, integrato la motivazione del provvedimento impugnato, nella parte in cui ha affermato che “l’opzione di autotutela con annullamento dell’atto viziato era l’unica strada percorribile da parte dell’organo di gestione straordinaria, cui non possono competere le scelte politiche dell’ente, le quali sono invece pertinenti agli organi ordinari d’indirizzo dell’ente locale (dovendo limitarsi il commissario facente funzioni, appunto, alla gestione amministrativa per il corretto funzionamento della macchina burocratica, agli atti necessari e al riprestino della legittimità dell’azione amministrativa attraverso l’autotutela)” e, in quanto, “la convalida previo invio del piano all’approvazione del Consiglio Comunale, quale variante al p.r.g., avrebbe comportato una scelta politica per l’adozione di variante al piano generale, che esula dai poteri di amministrazione del commissario”.
Tale motivazione sarebbe palesemente errata anzitutto perché trattasi di un’integrazione del contenuto del provvedimento impugnato fatta dal TAR, al di fuori dei propri poteri di giudice della mera legittimità dell’atto amministrativo (ed, in violazione, dell’art. 34, 2° co., c.p.a.).
Nel provvedimento di annullamento dei Piani oggetto di impugnazione, il Commissario Straordinario si è, infatti, limitato a statuire che l’uso del potere di convalida è meramente discrezionale e che nel, caso di specie, non ne sussistevano, comunque, i presupposti in quanto i vizi riscontrati non erano di mera natura formale o di incompetenza, ma anche sostanziali.
La motivazione del TAR sarebbe, altresì, errata in quanto pronunciata in contrasto con quanto disposto dall’art. 141 del d.lgs n. 267/2000 e dalla costante giurisprudenza amministrativa in materia, secondo cui i poteri del Commissario si estendono a tutti gli atti di gestione dell’ente fino alla ricostituzione ed all’insediamento del nuovo organo di nomina politica che è stato sostituito.
Nel caso di specie, la limitazione di poteri del Commissario invocata dal giudice di primo grado contrasta anche con il Decreto Presidenziale di nomina la cui violazione è stata, infatti, oggetto di censura nel ricorso di primo grado.
Peraltro, il TAR si sarebbe contraddetto laddove non si è avveduto che, nell’operare una radicale demolizione della pianificazione attuativa, il Commissario straordinario ha in realtà compiuto una scelta di alto contenuto politico. Questi avrebbe peraltro utilizzato il potere di autotutela senza rispettare i “paletti” normativi che gli imponevano di agire entro un termine ragionevole e, soprattutto, di valutare, con adeguata motivazione, i diversi interessi in gioco (l’appellante si è richiamato, al riguardo, a quanto statuito da questo Consiglio, nella decisione dell’Adunanza plenaria n. 8 del 2017).
La società appellante ha quindi insistito per la riforma della sentenza di primo grado e per l’accoglimento dei profili di censura relativi alla violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241/199, sia sotto il profilo del mancato contemperamento degli interessi, sia sotto il profilo del mancato esercizio del potere di convalida.
A tale riguardo, ha sottolineato che il rispetto del principio del legittimo affidamento nella sicurezza giuridica, costituisce un elemento fondamentale dello Stato di diritto, così come ribadito più volte dalla nostra Corte Costituzionale, e dalla Corte di Giustizia Europea, la quale ha anche specificato che tanto più un operatore economico è prudente e accorto nel dare affidamento alla legittimità del provvedimento su cui fonda il proprio titolo giuridico, tanto più gli deve essere garantito il rispetto di detto affidamento (si confronti Corte Gius. UE, 26.6.2012, n. 335/09 P; 21.7.2011, n. 194/09 P; e 14.10.2010, n. 67/09 P).
Non coglierebbe nel segno altresì quanto dedotto dal Comune appellante – attraverso il richiamo dell’orientamento pretorio secondo cui la ragionevolezza del termine che governa il potere di autotutela va commisurato utilizzando, quale tertium comparationis, il potere regionale di annullamento del permesso di costruire ex art. 39 del D.P.R. n. 380 del 2001, fissato in dieci anni – avuto riguardo all’insegnamento dell’Adunanza plenaria, espresso con la su citata pronuncia, secondo cui è da escludere che tale termine sia suscettibile di applicazione nei casi di autotutela.
Nel caso di specie, dal pur complesso quadro motivazionale che connota il provvedimento impugnato in prime cure, non sarebbe possibile evincere una adeguata valutazione del sacrificio imposto al privato derivante dal ritiro degli atti autorizzativi.
La società, per effetto del rilascio del permesso di costruire, avrebbe poi maturato un legittimo affidamento che non è stato adeguatamente considerato dal Commissario straordinario.
L’appellante ha infine sostenuto che il Commissario avrebbe potuto convalidare i Piani attuativi riapprovandoli mediante una delibera con i poteri del Consiglio comunale, cui sarebbe, poi, seguito il passaggio in Regione secondo le norme della legge regionale n. 36/1987.
La scelta di convalidare i Piani sarebbe stata non solo in linea con il principio di conservazione dei valori giuridici, ma sarebbe stata altresì maggiormente coerente sia con le risultanze istruttorie contenute nella relazione del Dirigente del Settore Urbanistica, sia con il parere pro veritate espresso dall’Avvocatura comunale (entrambi assunti come presupposti sia della delibera di sospensione che dell’odierno annullamento);
III) Errata motivazione in merito alla violazione e falsa applicazione degli artt. 21 quater e 21 nonies della legge n. 241/1990 e s.m.i. – Violazione dell’art. 97 Cost e del principio del legittimo affidamento
Per quel che attiene al vizio relativo alla violazione del termine ragionevole comunque non superiore a 18 mesi previsto dall’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, come modificato a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 124/2015, la società appellante ha messo in luce che i provvedimenti all’odierno esame sono stati adottati dopo l’entrata in vigore della novella, sia pure con riferimento ad atti alla stessa antecedenti.
All’indomani della novella legislativa, un largo orientamento giurisprudenziale ha ritenuto che fossero illegittimi i provvedimenti di autoannullamento adottati dopo il 28 agosto 2015 e a più di 18 mesi dall’adozione del provvedimento annullato.
Nel caso di specie, la delibera di approvazione del PP -OMISSIS- è del 12 luglio 2012 mentre il provvedimento di annullamento è del 24 maggio 2016, sicché, al momento della sua emanazione, erano già abbondantemente trascorsi i 18 mesi dalla data di adozione del provvedimento annullato.
Vero è che la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha poi statuito la non applicabilità retroattiva del termine di 18 mesi introdotto dalla legge n. 124/2015.
Tuttavia, ciò non toglie che, rispetto al parametro della “ragionevolezza del termine” (già indicato dall’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 come requisito per l’utilizzo corretto del potere di autotutela) “la novella del 2015 non può non valere come prezioso (e ineludibile) indice ermeneutico ai fini dello scrutinio dell’osservanza della regola di condotta in questione” e, ciò, in quanto “con la precisazione esatta del termine massimo di consumazione del potere di autotutela decisoria, il legislatore ha, infatti, inteso accordare una tutela più pregnante all’interesse dei destinatari di atti ampliativi alla stabilità e alla certezza delle situazioni giuridiche da essi prodotte, costruendo un regime che garantisca la loro intangibilità una volta decorso inutilmente il periodo di operatività del potere di annullamento”, non potendo, per tale ragione “trascurarsi la valenza della presupposta scelta legislativa, in occasione dell’esegesi e dell’applicazione della norma, nella sua formulazione previgente” (Cons. Stato, sez. VI n. 341/2017 cit, confermata da Coms. Stato, sez. VI n. 3462/2017 cit e, da ultimo, anche Cons. Stato, Ad. plen n. 8/2017 cit e Cons. Stato, sez. VI, n. 2444 del 23.4.2018).
L’appellante ha poi rimarcato che l’approvazione di un Piano urbanistico esecutivo è un provvedimento attributivo di vantaggi economici, in quanto da esso sorgono diritti edificatori aventi una propria valenza economica. Siffatta conclusione sarebbe oggi comprovata dal fatto che l’art. 2634 c.c., come in tal senso modificato dal d.l. n. 70/2011, prescrive la trascrizione obbligatoria per “i contratti che trasferiscono, costituiscono o modifichino i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale”.
La società appellante prosegue osservando che è a mezzo dell’esercizio delle tecniche perequative che si sono creati i presupposti per l’utilizzabilità dei diritti edificatori in funzione compensativa, sulla base di una autonoma trasmissibilità di tali posizioni giuridiche (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2015 n. 3435). Non sarebbe pertanto condivisibile l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui i piani attuativi sono privi di effetti immediati e diretti, da essi derivando non già diritti soggettivi e/o interessi legittimi bensì posizioni di mera aspettativa.
La società appellata, infine, ha riproposto anche la domanda risarcitoria, già articolata in primo grado.
3. Si è costituito, per resistere, il Comune di Latina.
Dopo avere riassunto le vicende per cui è causa, ha sottolineato che i vizi afferenti i provvedimenti annullati non attengono solamente alla procedura abbreviata seguita per l’approvazione in sede di Giunta Municipale, bensì al contenuto dispositivo concreto della pianificazione edilizia la quale, in quanto adottata conflitto con i parametri stabiliti dallo strumento generale di pianificazione, era in grado di alterare irreversibilmente la conformazione del tessuto urbano e la stessa radice identitaria del corpo sociale ivi insediato.
In tal senso, nel corpo del provvedimento di annullamento impugnato, il Commissario straordinario ha espressamente affermato che “la situazione determinatasi rende inidoneo ed inattuabile tale istituto in considerazione che i vizi emersi non assumono solo natura formale, procedimentale o di incompetenza, ma anche sostanziali”.
La gravità dei vizi afferenti la pianificazione esecutiva emerge poi nella parte motivazionale introduttiva del provvedimento di annullamento, laddove vengono descritti come elementi anomali e fonti di illegittimità :
– il calcolo delle volumetrie da realizzare, maggiorato del 15% rispetto ai parametri di legge e del P.R.G.;
– la diminuzione degli standard per servizi pubblici e verde pubblico;
– l’applicazione illegittima dell’istituto perequativo/compensativo, non previsto nelle Norme Tecniche di Attuazione del vigente PRG;
– l’omessa effettuazione del procedimento di VAS (ovvero di verifica di assoggettabilità a VAS), nonché dell’acquisizione di parere obbligatori (tra cui quello idrogeologico).
Il Comune ha soggiunto che la tutela di un equilibrato ed armonico sviluppo del territorio coincide con l’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica e dei principi custoditi dallo strumento di pianificazione generale, primazia peraltro garantita anche costituzionalmente, sotto il profilo del riparto di competenze tra Enti territoriali.
In contrapposizione all’ordinanza emessa in sede di riesame, invocata dalla società appellante, ha quindi richiamato la sentenza di condanna emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di Latina (sentenza n. 940 del 2017), laddove, nel riconoscere la responsabilità penale dell’-OMISSIS-e del-OMISSIS–, ha evidenziato l’arbitrarietà dell’operazione urbanistica in esame, posta in essere da un organo privo di competenza ed in violazione della normativa nazionale e regionale.
Relativamente alla domanda risarcitoria, ha fatto osservare che il permesso di costruire rilasciato in favore dell’odierna appellante, ha formato oggetto di sequestro giudiziario nell’ambito del procedimento penale n. 4800/2014 R.G.N.R, e che, all’esito della citata sentenza n. 940/2017 del Giudice dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di Latina, è stato emesso anche l’ordine di demolizione.
4. La società appellante ha depositato una memoria conclusionale, nelle quale, in particolare, ha fatto rilevare quanto segue.
Oltre a ribadire la conformità del PPE al PRG – il quale avrebbe si sarebbe limitata ad applicare i parametri stabiliti dal d.m. n. 1444 del 968 – ha osservato che l’istituto della c.d. “compensazione” può trovare collocazione anche nel momento attuativo della pianificazione urbanistica e non necessariamente sin dallo strumento generale (in tal senso, ha citato, ad esempio, la pronuncia del TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 10 maggio 2019, n. 2512).
Inoltre, ad ulteriore conferma della legittima applicazione dell’istituto perequativo, anche nel caso in esame, ha richiamato la Delibera di Consiglio Comunale di Latina n. 84/2018, avente ad oggetto “le disposizioni programmatiche, i criteri e gli indirizzi ai fini della ripianificazione degli strumenti attuativi annullati”.
Sebbene a tale delibera non sia stato dato ancora alcun concreto seguito, per la parte relativa al Polo urbano il Consiglio Comunale ha comunque esplicitamente dato indicazione di “privilegiare l’istituto della cessione compensativa” in quanto tecnica “sicuramente più confacente al territorio urbano ampiamente edificato”.
5. L’appello è stato infine assunto in decisione alla pubblica udienza del 26 settembre 2019.
6. La vicenda per cui è causa si inserisce nell’attività di verifica svolta dal Commissario straordinario del Comune di Latina, dottor -OMISSIS-, in ordine alla legittimità di una serie di Piani particolareggiati approvati dalla Giunta Municipale tra il 2012 e il 2014 ed in relazione ai quali, da un lato, la Regione Lazio aveva rilevato – nel corso del 2015 – numerose criticità, dall’altro, erano state avviate indagini da parte dell’Autorità giudiziaria penale.
In particolare, la Regione Lazio aveva espresso l’opinione che tali strumenti urbanistici avessero introdotto modifiche al vigente PRG, sicché non avrebbero potuto essere approvati con l’iter semplificato di cui agli articoli 1 e 1 bis della legge della Regione Lazio n. 36 del 1987.
Peraltro, la volontà di sottoporre le pianificazioni attuative al vaglio dell’organo consiliare era stato esplicitato dallo stesso Sindaco di Latina (con nota prot. n. 73146 del 25 maggio 2015, indirizzata al dirigente competente).
Tale intendimento non era stato portato a termine poiché, solo dieci giorni dopo, l’amministrazione aveva cessato anticipatamente il proprio mandato, a seguito della sfiducia al Sindaco votata dalla maggioranza dei consiglieri comunali.
L’attività di verifica svolta dal Commissario Straordinario portava, dapprima, alla sospensione, e poi all’annullamento dei suddetti strumenti urbanistici, tra cui quello di cui oggi si controverte, relativo al Quartiere -OMISSIS-.
Per quanto occorrer possa va ricordato anche che il Commissario provvedeva a pubblicare l’avvio del procedimento di verifica sul sito istituzionale, all’Albo Pretorio, nonché su alcuni quotidiani, nazionali e locali.
Nel provvedimento di annullamento del PPR in esame, venivano evidenziati i seguenti profili di illegittimità :
– “nel calcolo delle volumetrie ancora da insediare il PPE -OMISSIS- del 2012 opera una decurtazione di circa il 15% della volumetria rilevata pari a mc 67.495, secondo le indicazioni fornite dalla Commissione Urbanistica Comunale nelle sedute del 7/2/2012 e 5/3/2013. Tale diminuzione permette una maggiore disponibilità di volumetria realizzabile di circa 10.125 mc portando la volumetria da realizzare da 150.005 mc a 160.13 mc..
Questa modalità di stima della volumetria contrasta con quanto stabilito dal DM 1444/1968, art. 3, che stabilisce “ad ogni abitante insediato o da insediare corrispondono mediamente 25 mq di superficie lorda abitabile (pari a circa 80 mc vuoto per pieno) eventualmente maggiorati di una quota non superiore a 5 mq (pari a circa 20 mc vuoto per pieno) per le destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze (negozi di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni, studi professionali etcc..)”.
Nella revisione del Piano Particolareggiato in esame, nel calcolo degli standard non vengono assunti i dimensionamenti definiti con il provvedimento di C.C. n. 157/1987, di approvazione del PPE oggetto di revisione, operando in tal modo una notevole ed importante diminuzione degli standard per servizi pubblici e verde per complessivi mq. 36.109. La riduzione della superfici destinate a standard consente di ottenere nuove superfici per uso residenziale con modifica sostanziale delle destinazioni.
La l.r. n. 35/87 e s.m.i. all’art. 1 bis specifica chiaramente che non costituiscono varianti le modifiche ai piani attuativi già approvati quando però riguardano “a) una diversa utilizzazione, sempre ai fini pubblici, degli spazi destinati a verde pubblico e servizi”. La diversa utilizzazione, quindi, delle aree precedentemente destinate ad uso pubblico, come aree edificabili, comporta una variante al PPE del 1987 e come tale deve essere approvata con le modalità previste dall’art. 4 della l.r. n. 36/87 e s.m.i.[…]. Ne discende che la decurtazione delle volumetrie esistenti e di conseguenza del numero di abitanti, si è dimostrata un artificio, assunto con modalità elusive, per incrementare volumetrie ed abitanti, con conseguente aumento della densità edilizia ed abitativa, in variante alle norme di P.R.G.
Ogni insediamento sul territorio deve obbligatoriamente essere proporzionale agli spazi pubblici secondo i previsti parametri dell’ordinamento vigente tra cui il citato comma 4 dell’art. 2 della NTA del PRG vigente e il D.I. n. 1444/1968 ex art. 17 L. 765/1967 tuttora vigente e come tale la fattispecie è inammissibile al procedimento semplificato ex art. 1 bis l.r. n. 36/1987 s.m.i. perché si pone in contrasto con la disposizione delle NTA del PRG vigente (art. 2, comma 4).
Ulteriore elemento oggetto di eccezione è da riscontrare riguardo l’istituto della perequazione/compensazione urbanistica. L’istituto viene applicato in aderenza al Regolamento approvato con D.C.C. n. 68/2001 ma è da sottolineare che tale regolamento non è mai stato recepito dalle NTA del PRG in variante alle stesse.
Riguardo all’assenza dei pareri obbligatori propedeutici si mette in risalto che numerose osservazioni/memorie evidenziano che il parere geologico vegetazionale ex art. 89 1° co d.P.R. 380/2001 avrebbe potuto essere acquisito anche in fase successiva all’adozione del provvedimento.
Di fatto implicitamente le osservazioni significano l’esigenza di acquisizione di tale parere obbligatorio, rimandandolo solo, in deroga espressa dalla norma e non prevista dalla stessa, ad una fase successiva con le discendenti e ovvie problematiche sostanziali e non formali connesse. Si soggiunge che il parere ex art. 89 del d.P.R. 380/2001 e s.m.i. è un parere preliminare ed obbligatorio, propedeutico all’approvazione degli strumenti urbanistici.
La Regione Lazio ha regolamentato il rilascio di tale parere tramite la pubblicazione di Linee Guida (DGR 2649/1999) che prevedono anche la presentazione dell’indagine vegetazionale.
Con successive modifiche è stata resa obbligatoria anche l’esecuzione di Studi di microzonazione sismica, come regolamentata dalla deliberazione di G.R. n. 545 del 26/11/2010. Pertanto il PPR -OMISSIS-, così come formulato, è da ritenersi senza alcun dubbio assoggettato all’acquisizione del relativo parere.
Fattispecie particolare è rivestita dall’assenza di qualsiasi attività riconducibile all’acquisizione della VAS […]. La procedura di valutazione ambientale strategica o la sua verifica di non assoggettabilità assume valenza sostanziale nell’ambito del procedimento di approvazione di piani/programma e va obbligatoriamente svolta anteriormente all’approvazione di dettati piani e giammai può essere elusa o postposta […].
Il Commissario riteneva altresì necessaria anche l’acquisizione del parere idrogeologico di cui all’art. 3, comma 14, delle NTA del Piano di Assetto Idrogeologico (PAI Lazio), approvato dalla Regione con deliberazione del Consiglio Regionale n. 17 del 4 aprile 2012.
Per quanto riguarda l’applicazione dell’art. 21 – nonies della l. n. 241/90, come modificato dalla l. n. 124 del 2015, il Commissario evidenziava che:
– il limite dei 18 mesi, il cui decorso impedisce l’annullamento d’ufficio, si applica ai provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di benefici economici, questi ultimi da intendersi nell’accezione tipizzata dall’art. 12 della l. n. 241/90:
– i piani urbanistici hanno un contenuto generale, finalizzato all’ordinato sviluppo del territorio, attraverso il contemperamento di una pluralità di interessi; da essi non scaturiscono direttamente diritti soggettivi o interessi legittimi, bensì posizioni di mera aspettativa, che assumono consistenza solo in sede applicativa;
– il suddetto termine di 18 mesi non avrebbe comunque potuto trovare applicazione poiché la deliberazione di adozione non aveva acquisito valore di definitività con l’approvazione finale (al riguardo il Commissario valorizzava la circostanza che con la deliberazione di G.M. n. 359/2012 l’amministrazione si fosse “autovincolata” prevedendo espressamente che, successivamente all’adozione e dopo un periodo di pubblicazione finalizzato all’acquisizione di osservazioni e/o opposizioni, si sarebbe dovuto procedere alla definitiva approvazione del PPE);
– in ogni caso, le gravi irregolarità riscontrate, e il vulnus arrecato ad interessi pubblici, anche di rilievo costituzionale, aveva imposto l’attivazione dello ius poenitendi;
– in tal senso il Commissario richiamava anche l’art. 34, comma 1, della l.r. n. 15 del 2008 secondo cui la Regione può annullare deliberazioni o provvedimenti non conformi agli strumenti urbanistici nel termine di dieci anni;
– anche a volere assumere il termine di 18 quale misura della ragionevolezza del termine entro il quale viene esercitata l’autotutela, andava considerato che esso è stato introdotto dalla l. n. 124 del 2015, sicché, allo stato, esso non era ancora decorso;
– l’interesse pubblico prevalente, nel caso di specie, era quello di salvaguardare l’equilibrato sviluppo del territorio attraverso una urbanizzazione conforme alle esigenze recepite nelle previsioni di PRG; la determinazione delle linee di sviluppo del territorio rientra, peraltro, esclusivamente nelle competenze del Consiglio Comunale;
– il ricorso all’istituto della convalida veniva valutato come “inidoneo ed inattuabile” poiché i vizi emersi non erano solo formali ma anche sostanziali.
7. Ciò posto, nell’ordine logico delle questioni, vanno affrontate quelle relative alla contestazione dei rilievi di illegittimità del PPE contenuti nei provvedimenti impugnati.
7.1. Le deduzioni della società appellante circa la correttezza del calcolo delle volumetrie esistenti operato dai redattori del Piano sono infondate.
Al riguardo giova osservare che le NTA del PRG del Comune di Latina, tuttora vigente, per quanto qui interessa, prescrivono quanto segue:
“Il rapporto tra densità di popolazione e indice di fabbricabilità risulta dall’attribuzione di 100 mc. lordi di costruzione per ogni abitante, di cui il 20% con destinazione diversa da quella abitativa (negozi, uffici, ecc.)” (art. 2, comma 3)
“Per indice di fabbricabilità fondiario si intende il numero di metri cubi di costruzione riferito ad ogni metro quadro di superficie del lotto edificabile. Qualora gli edifici siano realizzati su pilastri, il volume libero porticato al piano terra non è computato nella cubatura ai fini dell’applicazione dell’indice di fabbricabilità, sia comprensoriale che fondiario, purché i proprietari si impegnino, con atto trascritto, a lasciare libero e ad uso comune la superficie porticata. Nel calcolo della cubatura non viene computato il sottotetto se non praticabile ed il volume interrato se non utilizzato ad attività produttive e commerciali o ad abitazione” (art. 2, comma 4).
Tali disposizioni, oltre a dettare uno specifico criterio per il calcolo della cubatura edificabile, sono perfettamente allineate all’art. 3, ultimo comma, del d.m. n. 1444 del 1968 secondo cui, ai fini dell’osservanza dei rapporti massimi prescritti tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi, “si assume che, salvo diversa dimostrazione, ad ogni abitante insediato o da insediare corrispondano mediamente 25 mq. di superficie lorda abitabile (pari a circa 80 mc. vuoto per pieno), eventualmente maggiorati di una quota non superiore a 5 mq. (pari a circa 20 mc. vuoto per pieno) per le destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze (negozi di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni, studi professionali, ecc.)”.
Al riguardo, va ricordato che il criterio del c.d. “vuoto per pieno” richiamato dal suddetto d.m. riguarda la volumetria complessiva lorda di una costruzione, e, in linea di principio, non esclude alcuno spazio e/o superficie.
L’unico temperamento ad esso è, come noto, costituito, dalla nozione di “volume tecnico”, espressione con la quale si fa riferimento esclusivamente a quei volumi “che sono realizzati per esigenze tecnico-funzionali della costruzione (per la realizzazione di impianti elettrici, idraulici, termici o di ascensori), che non possono essere ubicati all’interno di questa e che sono del tutto privi di propria autonoma utilizzazione funzionale, anche potenziale” (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 16 giugno 2016, n. 2658).
All’uopo giova richiamare la circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 2474 del 31 gennaio 1973, recante la “Definizione dei volumi tecnici ai fini del calcolo della cubatura degli edifici”, secondo la quale “Devono intendersi per volumi tecnici, ai fini della esclusione dal calcolo della volumetria ammissibile, i volumi strettamente necessari a contenere ed a consentire l’accesso di quelle parti degli impianti tecnici (idrico, termico, elevatorio, televisivo, di parafulmine, di ventilazione, ecc) che non possono per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare luogo entro il corpo dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche”.
La circolare precisa peraltro che “la definizione surriferita dell’espressione in questione può trovare applicazione soltanto nel caso in cui i volumi tecnici non siano diversamente definiti o disciplinati dalla norme urbanistico – edilizie vigenti nel Comune”.
Di nessun rilievo, ai fini di cui trattasi, sono invece le definizioni contenute nella circolare n. 1820 del 23 luglio 1960, richiamate dal consulente di parte, in quanto antecedenti al d.m. n. 1444 del 1968.
Nel caso in esame, va poi evidenziato che il criterio di rilevazione delle volumetrie esistenti, utilizzato dai redattori del PPE e mutuato dalla determinazione della Commissione Consiliare Urbanistica del 5 marzo 2009 (verbale n. 104), non riguarda affatto meri volumi tecnici, secondo la definizione testé evidenziata, essendovi stati indistintamente ricompresi, in base ad un calcolo forfettario, “androni, scale, ascensori, locali macchine, autoclave, cantine e garage, interrati”.
Inoltre, esso si pone in diretto contrasto con l’art. 2, comma 4, delle NTA del vigente PRG di Latina, nella parte in cui esclude dal computo delle volumetrie edificabili esclusivamente i sottotetti non praticabili e i volumi interrati non utilizzati per attività produttive e commerciali o abitazione.
Né ovviamente vale a legittimare il suddetto criterio di computo il fatto che le determinazioni della Commissione urbanistica siano state approvate con la deliberazione consiliare n. 31 del 2009 del 27 maggio 2009, stante l’oggettivo contrasto con il PRG e le relative norme di attuazione.
Di alcun rilievo, ai fini di cui trattasi, sono poi le norme richiamate dalla società appellante, in quanto esse disciplinano fattispecie particolari, distinte da quella in esame.
La legge della Regione Lazio n. 6 del 2008 riguarda gli “Interventi di edilizia sostenibile, architettura sostenibile e di bioedilizia”.
L’art. 34, comma 2 – ter, del d.P.R. n. 380 del 2001 (aggiunto dall’art. 5, comma 2, lett. a), n. 5, D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 2011, n. 106, ed ulteriormente modificato dall’art. l’art. 1-sexies, comma 2, D.L. 29 maggio 2018, n. 55, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 luglio 2018, n. 89), riguarda la disciplina degli “interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire”.
Parimenti irrilevante è la disposizione di cui all’art. 1- bis, comma 2, della l.r. n. 36 del 1987, nella parte in cui stabilisce che non costituisce variante ai piani urbanistici, tra le altre modifiche ivi previste, “la riduzione delle volumetrie edificabili rispetto a quelle previste dallo stesso strumento urbanistico generale, purché contenute entro il 20 per cento”, trattandosi dell’ipotesi opposta a quella in esame, in cui vi è stato un arbitrario ricalcolo delle volumetria esistente, con il conseguente aumento delle volumetrie edificabili.
7.2. Per quanto concerne l’utilizzo dell’istituto della perequazione/compensazione, i rilievi del Commissario straordinario (avallati dal TAR), non hanno riguardato l’astratta legittimità di meccanismi di correzione e/o attenuazione delle disparità di trattamento derivanti dalle zonizzazioni e/o scelte localizzative operate dal PRG, bensì il fatto che il ricorso a tale istituto – con i relativi criteri applicativi (ad esempio per quanto concerne l’individuazione degli indici perequativi) – deve essere declinato già nel PRG, e quindi attraverso il procedimento e le garanzie partecipative proprie dello strumento generale.
A tal fine – considerata anche l’assenza di una specifica disciplina normativa dettata in sede regionale – non appare sufficiente il Regolamento approvato dal Consiglio Comunale di Latina il 29 maggio 2001 (delibera n. 68), il quale si limita a stabilire che “le norme tecniche di attuazione dei futuri strumenti urbanistici e di quelli in corso di revisione, devono prevedere l’acquisizione di tutte le aree di interesse pubblico attraverso l’istituto della perequazione e/o compensazione delle aree e delle volumetrie”.
Si tratta infatti di mere disposizioni di indirizzo, insuscettibili, in sé, di derogare alla gerarchia dei piani urbanistici.
7.3. E’ poi innegabile che il PP in esame abbia previsto una sensibile diminuzione degli standard urbanistici al fine di ottenere nuove superfici per uso residenziale.
Di tanto, si rinviene una conferma nella stessa relazione del consulente tecnico di parte (cfr., in particolare le pagg. 102 e ss. del doc. 15 depositato dalla società appellante in primo grado).
Risulta infatti che l’approvazione del precedente PP di -OMISSIS-, nel 1987, fosse avvenuta in variante al PRG comportando, per quanto qui interessa, una aumento degli standards da questo originariamente prescritti per la zona in esame (33, 62 mq/ab. al posto degli originarii 17,75).
La revisione del 2012 ha ridotto gli standards a 25,21 mq/ab..
Al riguardo, non giova alla società invocare il calcolo esposto nella Relazione del Dirigente del Servizio Urbanistico del Comune di Latina (prot. n. 6299 del 18 gennaio 2016), nella quale, a tale dotazione sono stati aggiunte “le aree pubbliche all’interno del Comparto Unico pari a 8,47 mq/ab”.
In tale parte, a parere del Collegio, la Relazione è stata correttamente disattesa dal Commissario straordinario, non essendo chiaro con quale criterio siano stati imputati al PPE di -OMISSIS- gli standards afferenti ad altro comparto.
7.4. Venendo poi al rilievo relativo alla mancata conclusione del procedimento approvativo del PP in esame, si tratta di una osservazione che il Commissario straordinario ha ricavato dall'”autovincolo” risultante dalla delibera di adozione, n. 359 del 12 luglio 2012 in cui la Giunta aveva deliberato, tra l’altro, “ancorché non previsto dalla legge regionale 13 agosto 2011, n. 10, al fine di garantire la massima partecipazione al procedimento amministrativo” di procedere “alla pubblicazione del Piano particolareggiato per 30 gg. consecutivi. Nei successivi 30 gg. chiunque abbia interesse potrà presentazione osservazioni e/o opposizioni. Decorso il suddetto termine si procederà alle eventuali controdeduzioni e/o accoglimento delle stesse e alla definitiva approvazione con deliberazione di Giunta”.
Risulta peraltro che, a tale modus procedendi, la Giunta si sia effettivamente attenuta per alcuni degli altri Piani Particolareggiati approvati tra il 2012 e il 2014, in relazione ai quali, oltre la delibera di controdeduzioni, si è proceduto anche all’approvazione finale.
Pertanto la circostanza che, invece, nel caso in esame, la Giunta si sia discostata da tali modalità è, a ben vedere, un ulteriore sintomo delle anomalie che hanno caratterizzato la vicenda di cui trattasi.
Tra di esse, oltre ai profili già scrutinati, giova segnalare la mancata effettuazione della VAS.
Al riguardo, non appare conducente il richiamo dell’appellante alla D.G.R. n. 169 del 5 marzo 2010, poiché quest’ultima esclude dall’obbligo di VAS “i piani attuativi e i programmi complessi comunque denominati, previsti da norme vigenti, nonché gli interventi relativi ad accordi di programma, conferenze di servizi, intese ed altri atti, in base alla legislazione vigente, che non comportino varianti ai relativi PRG, ivi comprese quelle elencate all’art. 1 bis, della L.R. 36/87 […]” laddove quello in esame è appunto un piano attuativo che, per numerosi profili, costituisce di fatto una variante al vigente PRG.
Per quanto occorrer possa va poi ricordato che, ai sensi dell’art. 16, ultimo comma, della legge n. 1150 del 1942 (aggiunto dall’art. 5, comma 8, D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 2011, n. 106): “Lo strumento attuativo di piani urbanistici già sottoposti a valutazione ambientale strategica non è sottoposto a valutazione ambientale strategica né a verifica di assoggettabilità qualora non comporti variante e lo strumento sovraordinato in sede di valutazione ambientale strategica definisca l’assetto localizzativo delle nuove previsioni e delle dotazioni territoriali, gli indici di edificabilità, gli usi ammessi e i contenuti piani volumetrici, tipologici e costruttivi degli interventi, dettando i limiti e le condizioni di sostenibilità ambientale delle trasformazioni previste. Nei casi in cui lo strumento attuativo di piani urbanistici comporti variante allo strumento sovraordinato, la valutazione ambientale strategica e la verifica di assoggettabilità sono comunque limitate agli aspetti che non sono stati oggetto di valutazione sui piani sovraordinati. I procedimenti amministrativi di valutazione ambientale strategica e di verifica di assoggettabilità sono ricompresi nel procedimento di adozione e di approvazione del piano urbanistico o di loro varianti non rientranti nelle fattispecie di cui al presente comma”
8. Il secondo ordine di rilievi della società appellata concerne l’asserito malgoverno da parte del Commissario straordinario dei criteri dettati dall’art. 21 – nonies della l. n. 241/90 per quanto concerne, da un lato, l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, dall’altro, il (mancato) esercizio del potere di convalida.
8.1. In primo luogo, può convenirsi con la società appellante che i poteri del Commissario straordinario, nominato ai sensi dell’art. 141 del T.U.E.L., d.lgs. n. 267/200, si estendano a tutti gli atti di gestione dell’ente, siano essi di ordinaria o di straordinaria amministrazione (ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 29 novembre 2004 n. 7749) e che, questi, in teoria, possa adottare anche piani urbanistici.
Nel caso di specie, però, non si trattava semplicemente di “convalidare” un atto adottato da un organo incompetente, quanto di trasferire i contenuti di un complesso piano urbanistico esecutivo (unitamente a quello degli altri cinque affetti da vizi analoghi) in un provvedimento di adozione di una variante generale al PRG vigente nel Comune di Latina, e quindi di avviare un procedimento di trasformazione del territorio comunale, destinato ad incidere sul suo sviluppo futuro.
Non appare perciò irragionevole che il Commissario – in ciò disattendendo il parere dell’Avvocatura comunale – abbia optato per l’annullamento d’ufficio, al fine di salvaguardare le determinazioni degli organi di indirizzo dell’ente locale che sarebbero stati di lì a poco scelti dal corpo elettorale.
Giova altresì ricordare che, come già evidenziato da questo Consiglio, l’atto amministrativo di convalida, “non si traduce in una semplice e formale appropriazione da parte dell’organo competente all’adozione del provvedimento” bensì postula, da un lato, l’esternazione delle ragioni di interesse pubblico giustificatrici del potere di sostituzione, dall’altro, la produzione degli stessi effetti che l’atto oggetto di convalida intendeva produrre (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6199).
Nel caso di specie, tali effetti non avrebbero potuto essere prodotti attraverso una semplice convalida, essendo invece necessario, come detto, sostituire i piani adottati con una variante generale al PRG, e avviare, altresì, il complesso procedimento all’uopo previsto.
Inoltre, anche ad ammettere che fossero presenti tutti gli elementi formali e sostanziali per l’esercizio di tale potere (alternativo a quello esercitato dell’annullamento in autotutela), non vi è dubbio che la relativa scelta impinga nel merito dell’azione amministrativa e come tale si sottragga al sindacato di legittimità, salvo le macroscopiche ipotesi di arbitrarietà, illogicità, irrazionalità, irragionevolezza e/o travisamento dei fatto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23/08/2016, n. 3674) che, come testé rilevato, in alcun modo emergono nel caso di specie.
8.2. Per quanto concerne l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, anche la società appellante ha ricordato che, secondo la più recente giurisprudenza di questo Consiglio, all’art. 21- nonies della l. n. 241 del 1990, quale modificato dall’art. 6, comma 1, lettera d), n. 1), della l. n. 124 del 2015, non può attribuirsi una funzione, per così dire “sanante”, dei provvedimenti illegittimi adottati precedentemente ai 18 mesi antecedenti all’entrata in vigore della norma.
Pertanto, siffatto termine – e fatta ovviamente salva l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione dell’art. 21- nonies della l. n. 241 del 1990 – non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione (cfr., ex plurimis, Cons. Stato Sez. V, 22 giugno 2018, n. 3874).
Nella fattispecie – in disparte la questione dell’effettiva assimilabilità di un piano urbanistico ai provvedimenti “attributivi di benefici economici” – il termine di 18 mesi, al momento dell’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio, non era quindi ancora decorso.
Per quanto riguarda, invece, la valutazione delle ragionevolezza del termine entro cui il potere di autotutela può essere esercitato nonché della correttezza del bilanciamento tra interesse pubblico “specifico” e affidamento del privato, l’Adunanza plenaria di questo Consiglio (decisione n. 8 del 2017) ha chiarito – con statuizione specificamente applicabile alla materia della pianificazione urbanistica del territorio e della disciplina edilizia – che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione risulterà attenuato in ragione della “rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati, al punto che nelle ipotesi di maggiore rilievo potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possono integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio dello ius poenitendi” (par. 11 della decisione n. 8 del 2017; vedi par. 13, punto ii).
Tra gli interessi pubblici “autoevidenti” vi è, a parere del Collegio, proprio quello all’ordinato assetto urbanistico rispetto al quale anche l’eventuale affidamento maturato dai privati, nella legittimità e stabilità della pianificazione urbanistica attuativa, deve essere considerato recessivo, specie, se, come nella fattispecie, gli atti illegittimi riguardino una larga parte del territorio comunale.
Nella fattispecie, appare peraltro anche dubbia l’effettiva configurabilità di un affidamento incolpevole.
Va infatti sottolineato che:
– la società appellante è un operatore professionale del settore edilizio;
– le violazioni delle norme urbanistiche operate dalla Giunta Municipale erano rilevanti e manifeste;
– poco più di un anno dopo l'”approvazione” del PPE in data 8 gennaio 2013, vi è stato anche l’avvio del procedimento penale ricordato dalla difesa comunale, unitamente al sequestro giudiziario del permesso di costruire rilasciato.
Per quanto occorrer possa si osserva, infine, che non appare condivisibile nemmeno l’argomentazione dell’appellante secondo cui il Piano particolareggiato è idoneo ad attribuire ai privati veri e propri diritti soggettivi “edificatori”.
I c.d. “diritti edificatori” derivanti dalla potenzialità edificatoria conferita ad un fondo dagli strumenti urbanistici, non sono infatti diritti soggettivi (e quindi, “benefici economici”, per utilizzare l’espressione contenuta nell’art. 21 – nonies della l. n. 241/90), bensì, semmai, interessi legittimi pretensivi ancorché patrimonialmente valutabili.
Come tali, essi possono essere oggetto di negoziazione tra i privati la cui efficacia richiede però l’assenso del Comune (al fine di verificare la conformità dell’accordo allo strumento urbanistico).
In sostanza il privato – anche a seguito di un eventuale accordo con un soggetto che gli ceda la propria capacità edificatoria – non vanta nei confronti della pubblica amministrazione nessun “diritto” ad edificare, bensì solo la legittimazione ad aprire il procedimento per ottenere il permesso di costruire.
9. In definitiva, per quanto appena argomentato, l’appello deve essere respinto.
Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 10655 del 2018, di cui in premessa, lo respinge.
Condanna la società appellante alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio in favore del Comune di Latina, che liquida, complessivamente, in euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre gli accessori, se dovuti, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento di qualsiasi dato idoneo ad identificare la parte appellante, nonché le persone fisiche imputate nei procedimenti penali menzionati.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere, Estensore
Giuseppa Carluccio – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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