Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 11 dicembre 2019, n. 8417
La massima estrapolata:
La realizzazione di una tettoia necessita di permesso di costruire quale “nuova costruzione”, comportando una trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio anteriore; essa arreca, infatti, un proprio impatto volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce e del relativo carico urbanistico.
Sentenza 11 dicembre 2019, n. 8417
Data udienza 12 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1626 del 2009, proposto dal Signor
Br. Sa., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Co. e Al. Qu., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Co. in Roma, via (…), rappresentato e difeso dall’avvocato St. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pi. Ca. e Ad. Ca., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D’Aosta n. 00004/2008, resa tra le parti, concernente la demolizione di un fabbricato abusivo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 novembre 2019 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati Sa. Lo., su delega di St. Co., e Gi. Pe., su delega di Pi. Ca..
FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Valle d’Aosta, con la sentenza 13 febbraio 2008, n. 4, ha respinto il ricorso, proposto dall’attuale parte appellante, per l’annullamento del provvedimento 25 ottobre 2006 n. 2, con cui il Sindaco di (omissis) ha diffidato il ricorrente a demolire il fabbricato completamente eseguito in legno destinato a legnaia realizzato su area di sua proprietà, in assenza del titolo abilitativo.
Secondo il TAR, sinteticamente:
– è incontestabile che il ricorrente ha realizzato la legnaia de qua in assenza del titolo abilitativo, atteso che il manufatto è stato costruito nonostante le diffide a non eseguire i lavori oggetto di dichiarazione di inizio di attività ;
– il Comune ha ritenuto sussistente il contrasto con l’articolo 33 del regolamento edilizio, e, conseguentemente ha impedito il formarsi di un titolo abilitativo alla costruzione della legnaia progettata dal ricorrente;
– pertanto, deve ritenersi che la legnaia è stata realizzata in assenza del prescritto titolo abilitativo e che il Comune ha operato nel rispetto delle prescrizioni date dall’articolo 61 della legge urbanistica regionale;
– con il termine tettoia si intende uno spazio coperto aperto verso l’esterno, e, quindi, un’opera tipologicamente inequivocabile, non suscettibile di completamenti quali mura perimetrali a chiusura, in quanto esaurentesi nell’insieme degli elementi strutturali e di copertura;
– manufatti quali la legnaia realizzata dal ricorrente sono invece identificabili come edifici (costruzioni completamente chiuse da muri perimetrali) destinati ad attività di servizio (quali deposito, ricovero attrezzi, legnaie etc.), computabili in termini volumetrici e rilevanti ai fini delle distanze e perciò realizzabili in quelle aree ove sono consentite nuove costruzioni;
– stanti le limitazioni alla realizzazione di nuove costruzioni (anche di natura pertinenziale) nelle zone A del piano regolatore, l’opera realizzata dal ricorrente non risulta conforme alle norme edilizie vigenti in Comune di (omissis) e, in particolare, alle previsioni dell’articolo 33, comma 6, del Regolamento edilizio;
– la d.i.a. presentata dal ricorrente non costituisce perciò titolo abilitativo legittimante la legnaia in contestazione;
– né soccorre la circostanza che si sia consentita la costruzione di manufatti analoghi a quello del ricorrente, avvalendosi dell’erronea interpretazione dell’articolo 33, atteso che non può invocarsi la disparità di trattamento con chi ha beneficiato dell’erronea interpretazione di una disposizione.
La parte appellante contestava la sentenza del TAR deducendone l’erroneità e riproponendo, in sostanza, i motivi del ricorso di primo grado.
Con l’appello in esame chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.
Si costituiva il Comune appellato chiedendo la reiezione dell’appello.
All’udienza pubblica del 12 novembre 2019 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
In via preliminare rileva il Collegio (ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 19/01/2012, n. 222)che nessun impedimento sussiste alla decione della causa nel merito, con riferimento al decesso di uno dei due avvocati che avevano sottoscritto l’appello (peraltro già sostituivo da un nuovo patrocinante).
1.1. Ciò posto, rileva il Collegio in punto di fatto che l’attuale appellante, geom. Br. Sa., è proprietario di un edificio residenziale con annesso giardino sito in zona A20 nel Comune di (omissis).
Nell’estate del 2006, l’appellante aveva depositato presso il Comune una DIA per la realizzazione di una struttura pertinenziale da adibire a legnaia e ricovero attrezzatura da giardino e, in data 11.7.2006 il tecnico del Comune ha inviato una lettera al medesimo, precisando che l’intervento oggetto di DIA non risultava conforme alla normativa vigente in considerazione del fatto che le strutture pertinenziali/tettoie, non essendo valutabili ai fini volumetrici e delle distanze, dovrebbero essere aperte con la sola possibilità di realizzare pilastri in pietra, avere una superficie minima di mq. 40, sporgenza di almeno 1 m. e tetto ricoperto in lose.
Il legale del geom. Sa., con lettera del 25.7.2006, ha evidenziato al tecnico comunale come l’intervento in parola fosse consentito dall’art. 33 del Regolamento edilizio e come, fino ad allora, il Comune avesse sempre ritenute ammissibili le tettoie “chiuse”.
Il Comune, con lettera 30.8.2006, specificava in risposta che l’art. 33 del Regolamento edilizio sarebbe stato applicato erroneamente fino a quel momento, ma che con l’avvento del nuovo responsabile del servizio tecnico si sarebbe applicata una diversa interpretazione alla norma.
Quindi, in data 27.11.2006 il Sindaco del Comune di (omissis) ha emesso diffida a demolire la legnaia realizzata dal geom. Sa..
2. Ritiene il Collegio, in conformità alla corretta sentenza del TAR qui impugnata, che la legnaia realizzata dall’attuale appellante è identificabile come edificio, in quanto si tratta di costruzione completamente chiusa da muri perimetrali, pur destinata ad attività di servizio (quali deposito, ricovero attrezzi, legnaie etc.); pertanto essa è computabile in termini volumetrici ed è rilevanti ai fini delle distanze e, come tale, è perciò realizzabili solo in quelle aree ove sono consentite nuove costruzioni (nel caso di specie, nell’area in esame non sono consentite nuove costruzioni).
In via generale, la giurisprudenza amministrativa è univoca nell’affermare che la realizzazione di una tettoia necessita di permesso di costruire quale “nuova costruzione”, comportando una trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio anteriore; essa arreca, infatti, un proprio impatto volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce e del relativo carico urbanistico (Tar Piemonte, sez. II, n. 435 dell’8 aprile 2016; Tar Salerno, sez. II, n. 9 del 7 gennaio 2015; Tar Lazio, sez. I Roma, n. 13449 del 27 novembre 2015; Tar Napoli, sez. II, n. 4959 del 22 ottobre 2015; Tar Perugia, sez. I, n. 377 dell’11 settembre 2015; Tar Pescara, sez. I, n. 276 del 1 luglio 2015; Tar Ancona, sez. I, n. 469 del 5 giugno 2015; Tar Genova, sez. I, n. 1367 dell’11 luglio 2007 e, ancor più di recente, Consiglio di Stato, sez. II, 13/06/2019, n. 3991)”.
E’ evidente che occorre sempre esaminare ogni intervento, caso per caso, considerando dimensioni, struttura, materiali e finalità dell’opera.
Ad esempio, è stata esclusa la rilevanza volumetrica di una tettoia in legno ad una sola falda, di forma rettangolare, avente dimensioni di mq. 31,42 e altezza in gronda di m. 2,50 ed alla gronda di m. 2,65, realizzata sul terrazzo di proprietà, ad esclusivo servizio di detto piano, poggiante per un lato direttamente sulla struttura esistente del fabbricato e per l’altro su pilastrini in legno: e ciò in quanto, come affermato già in precedenza dalla giurisprudenza, detto manufatto è aperto su tre lati (Tar Campania, sez. I Salerno, n. 109 del 16 gennaio 2017).
In questo caso la tettoia è aperta su tre lati e non viene considerata nuova costruzione.
3. Nel caso di tettoie chiuse, come quella di specie, la giurisprudenza amministrativa è ferma nel ritenerle nuove costruzioni, con applicazione del relativo regime giuridico, in considerazione del fatto che, se sono chiuse, non possono più definirsi soltanto “tettoie”, bensì veri e propri edifici.
L’art. 33, comma 6, del Regolamento edilizio qui controverso dispone soltanto che: “in tutto il territorio comunale, ad eccezione delle zone C e F, delle fasce di rispetto delle strade e delle zone espressamente dichiarate in edificabili, sono ammesse, non valutandole ai fini volumetrici e delle distanze:
– tettoie completamente eseguite in legno (sono ammessi anche pilastri in pietra), ad uso di deposito, ripostiglio, legnaia, pollaio e simili, a condizione che possano inserirsi armonicamente nel tessuto edilizio esistente e nell’ambiente e che siano ricoperte in lose. Tali tettoie non dovranno avere altezza superiore a m 3,50 e superficie coperta, intesa come proiezione della copertura, compresi aggetti e sporgenze, non superiore a mq 40 (il tetto dovrà sporgere dai pilastri di almeno m 1,00). In tali costruzioni, se non costruite in aderenza, nessuna parte dovrà invadere lo spazio compreso tra il piano verticale passante per il confine e quello inclinato a 45°, pure passante per il confine. Le tettoie suddette dovranno comunque essere eliminate qualora vengano create strutture comunitarie equipollenti”.
E’ evidente che la norma presuppone la nozione di tettoia quale ricavabile sia dal linguaggio comune che dal linguaggio tecnico, ovvero tetto sorretto da pilastri o agganciato ad un muro e aperto su tre lati.
La stessa norma in esame, che indica “i pilastri” e la “proiezione della copertura”, evidentemente presuppone e dà per scontata tale nozione.
Altrimenti argomentando, sarebbe assurdamente realizzabile qualsiasi edificio pertinenziale, perché tutti gli edifici hanno un tetto e, dunque, sarebbero qualificabili come “tettoie”.
4. Parte appellante deduce che la Valle d’Aosta è dotata di una normativa che, contrariamente a quanto disposto dal Testo Unico dell’edilizia, non prevede alcun termine per l’esercizio del potere di controllo da parte della PA e che, pertanto, il richiedente una DIA non deve attendere 30 giorni prima di eseguire i lavori.
Tale rilievo, tuttavia, non è pertinente, poiché la “tettoia” nel caso in esame, non era in radice realizzabile, né immediatamente, né successivamente, con la conseguenza che legittimamente, il Comune di (omissis), in data 27.11.2006, ha emesso diffida a demolire la legnaia realizzata dal geom. Sa., stanti le limitazioni alla realizzazione di nuove costruzioni (anche di natura pertinenziale) nelle zone A del piano regolatore.
Quanto alla pretesa disparità di trattamento, va ribadito quanto già efficacemente esposto dal TAR.
Infatti, il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento (configurabile soltanto in caso di assoluta identità di situazioni di fatto e di conseguente assoluta irragionevole diversità del trattamento riservato alle stesse), non può essere dedotto quando viene rivendicata l’applicazione in proprio favore di posizioni giuridiche riconosciute ad altri soggetti in modo illegittimo, in quanto, in applicazione del principio di legalità, la legittimità dell’operato della P.A. non può comunque essere inficiata dall’eventuale illegittimità compiuta in altra situazione.
Un’eventuale disparità non può essere risolta estendendo il trattamento illegittimamente più favorevole ad altri riservato a chi, pur versando in situazione analoga, sia stato legittimamente destinatario di un trattamento meno favorevole, ma semmai, eventualmente, reprimendo, ove ne sussistano le condizioni, gli atti “ampliativi” illegittimi (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 28 giugno 2018, n. 3980; Sez. VI, 1° .10.2014, n. 4867; sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2548; idem 8 luglio 2011, n. 4124).
5. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto in quanto infondato.
Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda,definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe indicato, lo respinge.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio in favore del Comune appellato, spese che liquida in euro 3.000,00, oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere, Estensore
Giovanni Sabbato – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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