La questione relativa alla conformità a Costituzione degli articoli 34 e 574-bis del Cp

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Ordinanza 21 giugno 2019, n. 27705.

La massima estrapolata:

È rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 2, 3, 27, comma 3, 30, 31 della Costituzione, nonché all’articolo 10 della Costituzionein relazione alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176, la questione relativa alla conformità a Costituzione degli articoli 34 e 574-bis del Cp, nella parte in cui impongono che alla condanna per i fatti previsti dalla norma penale da ultimo citata commessi dal genitore in danno del figlio minore consegua automaticamente e per un periodo predeterminato dalla legge la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.

Ordinanza 21 giugno 2019, n. 27705

Data udienza 22 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente

Dott. TRONCI Andrea – Consigliere

Dott. COSTANZO Angelo – rel. Consigliere

Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere

Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 06/04/2018 della Corte d’appello di Firenze;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Angelo Costanzo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore dell’imputata, avvocato (OMISSIS), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 30 aprile 2016 il Tribunale di Grosseto condannava (OMISSIS) alla pena di due anni e un mese di reclusione, per avere eluso, in piu’ occasioni, il provvedimento del Tribunale dei minorenni di Firenze in ordine all’affidamento condiviso dei figli minori (OMISSIS) e (OMISSIS) (articolo 81 c.p., comma 2, e articolo 388 c.p., comma 2) e per avere sottratto i medesimi figli minori al padre, (OMISSIS), portandoli in Austria contro la volonta’ di quest’ultimo, al quale veniva cosi’ impedito l’esercizio della potesta’ genitoriale (articolo 81 cpv. e 574-bis c.p.); l’imputata, assolta da altri due reati, veniva condannata anche al risarcimento dei danni in favore della parte civile e nei suoi confronti era applicata la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilita’ genitoriale.
La Corte di appello di Firenze, con la sentenza in epigrafe indicata, ha rigettato l’impugnazione proposta dall’imputata, confermando la sua responsabilita’ per i reati ritenuti dal primo giudice e, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero, ha rideterminando la pena in complessivi due anni e sei mesi di reclusione, operando gli aumenti sia sul reato piu’ grave (articolo 574 bis c.p.) che sulla continuazione; inoltre, ha parzialmente accolto l’appello della parte civile ponendo a carico della (OMISSIS) la somma di Euro 5.000,00 a titolo di provvisionale.
2. L’avvocato (OMISSIS), nell’interesse dell’imputata, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito indicati.
2.1. Con il primo motivo, si deduce violazione dell’articolo 178 c.p.p., lettera c), articolo 420 bis c.p.p., comma 2, e articolo 169 c.p.p., perche’ le notifiche al difensore di ufficio del decreto di citazione diretta a giudizio, pur formalmente regolari, si sono rivelate inidonee al raggiungimento dello scopo; l’assenza dell’imputata alla prima udienza del dibattimento non e’ stata dovuta a una opzione volontaria ma alla sua incolpevole ignoranza del decreto di citazione a giudizio comunicatole dal difensore di ufficio, anche perche’ le indicazioni e l’invito previsti dall’articolo 169 c.p.p., non contengono le garanzie previste dall’articolo 6 CEDU.
Su questa base viene riproposta la questione di legittimita’ costituzionale, gia’ ritenuta manifestamente infondata dalla Corte di appello, concernente l’articolo 420 bis c.p.p., comma 2, nella parte in cui, affermando che la dichiarazione di assenza sia pronunciata quando “risulti con certezza” la “conoscenza del procedimento”, esaurisce la conoscenza del processo nella conoscenza del procedimento. Evidenzia la rilevanza della questione perche’ dal suo accoglimento deriverebbe la rimessione in termini dell’imputata con conseguente possibilita’ di accedere ai riti alternativi o di indicare testimoni.
2.2. Con il secondo motivo, si censura l’ordinanza con cui il Tribunale di Grosseto ha respinto la richiesta di remissione in termini ex articolo 420 bis c.p.p., sul presupposto della mancata prova della non conoscenza del processo.
2.3. Con il terzo motivo si deduce l’erronea applicazione dell’articolo 574 bis c.p., per non avere considerato il consenso dei figli minorenni al trasferimento in Austria, rilevante ai fini della sussistenza del reato; si sostiene, inoltre, che il consenso dei due minorenni avrebbe giustificato anche l’esclusione della sussistenza del reato di cui all’articolo 388 c.p., avendo l’imputata eluso il provvedimento del giudice civile in quanto ritenuto in contrasto con l’interesse dei minori.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce contraddittorieta’ della motivazione mediante travisamento per omissione (da parte di entrambi i giudici di merito) in relazione agli articoli 574 bis, 388, 54 e 59 c.p., per avere disconosciuto la scriminante dello stato di necessita’, anche solo putativo, con il trascurare le testimonianze che mostrano come il rifiuto dei figli di incontrare il padre precedette e non segui’ il loro trasferimento in Austria, i documenti, prodotti dall’imputata, relativi ai provvedimenti giurisdizionali austriaci (ritenuti privi di efficacia nel nostro ordinamento e inidonei nell’escludere la vigenza degli obblighi nascenti da decreti adottati dal giudice) e la consulenza tecnica di ufficio svolta nel procedimento di modifica della regolazione dei rapporti con i figli ex articolo 337 bis c.c. e ss., instaurato davanti al Tribunale di Grosseto.
2.5. Con il quinto motivo si deduce violazione degli articolo 570, 581 e 593 c.p.p., per non aver ritenuto l’inammissibilita’ dell’appello del pubblico ministero, in cui si e’ sostenuta l’incongruita’ della pena senza chiarire perche’ quella determinata dal Tribunale dovesse considerarsi inadeguata.
2.6. Con il sesto motivo di ricorso, si deduce violazione dell’articolo 133 c.p., per avere innalzato la pena-base senza adeguata motivazione.
2.7. Con il settimo motivo di ricorso, si deduce violazione dell’articolo 62 bis c.p., per avere disconosciuto le circostanze attenuanti generiche pur non avendo mai l’imputata negato alla parte civile le informazioni relative alla localita’ in cui i figli si erano trasferiti e la possibilita’ di contattarli.
2.8. Con l’ottavo motivo di ricorso, si deduce omessa motivazione nell’applicazione dell’articolo 34 c.p., assumendo che la norma esclude un automatismo fra il diniego della sospensione condizionale della pena e la sospensione dall’esercizio della potesta’ genitoriale e perche’ e’ stato trascurato di considerare l’interesse del minorenne, tanto piu’ che nel caso in esame le sentenze del giudice civile hanno statuito l’affido condiviso del minorenne. Su questa base, nel caso di rigetto del motivo di ricorso, viene richiesto di sollevare questione di costituzionalita’ dell’articolo 34 c.p., comma 2, e degli articoli 388 e 574 bis c.p., per contrasto con gli articoli 2, 3, 10, 27, 30 e 117 Cost., in relazione all’articolo 3, della convenzione di New York del 20 novembre 1989 e all’articolo 24 par. 2 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dovendosi considerare la legittimita’ della norma non solo dall’angolazione di chi subisce la pena accessoria, ma anche da quella di coloro (i figli minorenni) su cui si irradiano le conseguenze delle restrizioni imposte al condannato.
3. Nella memoria depositata dal difensore di (OMISSIS) si chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, rigettato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo e il secondo di ricorso, che possono essere esaminati preliminarmente e trattati unitariamente, sono infondati.
Nella sentenza impugnata si precisa (p. 4). che l’imputata ha ricevuto personalmente la raccomandata con avviso di ricevimento inviatale, come previsto dall’articolo 169 c.p.p., comma 1, (“notificazioni all’imputato all’estero”), per informarla dell’esistenza di un procedimento nei suoi confronti, dell’autorita’ procedente, del titolo, della data e del luogo del reato e con l’invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio italiano. Poiche’ la (OMISSIS) non ha, nel termine di trenta giorni previsto dalla norma, dichiarato o eletto domicilio, le notificazioni sono state eseguite presso il difensore.
L’articolo 169 c.p.p., dispiega i suoi effetti per tutto il processo, dal momento che la sua ratio e il contenuto del suo testo non comportano che la sua portata sia circoscritta alla fase procedimentale.
Nella fattispecie l’imputata, dopo essersi disinteressata del procedimento penale in corso, ha nominato un difensore di fiducia che ha partecipato al processo e ha proposto appello contro la sentenza del Tribunale.
Correttamente la Corte di appello ha considerato che la volontaria rinuncia dell’imputata a presenziare al processo costituisce una sua libera scelta difensiva (Corte Cost., n. 301 del 1994) e ha osservato che il successivo mancato attivarsi e’ manifestazione di disinteresse, che ha correttamente condotto ad applicare l’articolo 420-bis c.p.p., dichiarandone l’assenza e nominandole un difensore di ufficio, senza che questo violi l’articolo 6 CEDU, poiche’ la mancata previsione della notifica personale all’imputato dell’atto introduttivo del giudizio penale non rende dubbia la costituzionalita’ dell’articolo 420 bis c.p.p., comma 2; infatti, la norma comunque richiede che risulti con certezza che – come e’ avvenuto nella fattispecie – l’imputato sia a conoscenza del procedimento. Ne’ dalla giurisprudenza della Corte EDU discende l’obbligo della notifica personale della vocatio in iudicium, ma soltanto la necessita’ che gli Stati membri predispongano regole alla cui stregua stabilire che l’assenza dell’imputato al processo possa ritenersi espressione di una consapevole rinuncia a parteciparvi, per cui l’individuazione degli strumenti attraverso cui consentire al giudice tale verifica resta affidata alla discrezionalita’ del legislatore, comportando scelte che investono la disciplina degli istituti processuali (Corte Cost., n. 31 del 2017).
Su queste basi, condivisibilmente, la Corte di appello ha ritenuto manifestamente infondata la questione della legittimita’ costituzionale dell’articolo 420 bis c.p.p., comma 2, posta con il primo motivo di ricorso e ha coerentemente osservato che mancano i presupposti per una rimessione in termini ex articolo 420 bis c.p.p., comma 4, perche’ l’imputata non ha provato che la sua assenza sia stata dovuta a una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo.
2. Il terzo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
Il contenuto dei dati normativi non permette di assumere che la sussistenza dei reati ascritti ex articoli 388 e 574 bis c.p., sia esclusa dalla presenza di un consenso dei figli minorenni alla condotta addebitata all’imputata.
Nel caso di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice civile, concernente l’affidamento di un figlio minore, il motivo plausibile e giustificato che puo’ costituire valida causa di esclusione della colpevolezza, e’ solo quello che, pur senza configurare l’esimente dello stato di necessita’, e’ stato determinato dalla volonta’ di esercitare il diritto-dovere di tutela dell’interesse del minore, in situazioni, transitorie e sopravvenute, non ancora devolute al giudice per l’eventuale modifica del provvedimento di affidamento, ma integranti i presupposti di fatto per ottenerla (Sez. 6, n. 7611 del 11/12/2014, dep. 2015, Rv. 262494; Sez. 6, n. 27613 del 19/06/2006, Rv. 235130; Sez. 6, n. 17691 del 09/01/2004, Rv. 228490).
3. Il quarto motivo di ricorso e’ anch’esso manifestamente infondato.
La Corte di appello ha considerato i documenti prodotti dalla difesa della ricorrente, rilevando che questi provano al piu’ che “la (OMISSIS), in totale spregio di quanto disposto dal Tribunale per i minorenni di Firenze” ha adito l’autorita’ giudiziaria straniera, i cui provvedimenti non valgono a escludere la vigenza dei provvedimenti adottati dal giudice italiano, peraltro disattesi dalla (OMISSIS) prima ancora che si pronunciasse l’autorita’ giudiziaria austriaca. Ha rimarcato che non e’ stato contestato quanto dichiarato da (OMISSIS) circa le condotte con cui l’imputata ostacolo’ i suoi rapporti con i figli, mentre non e’ provato che questi abbiano voluto interrompere i rapporti con il padre, cosi’ mancando ogni base per la configurabilita’ della scriminate putativa richiamata nell’atto di appello.
4. Il quinto, il sesto e il settimo motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente e sono manifestamente infondati.
La Corte ha disconosciuto le circostanze attenuanti generiche non ravvisando elementi di valutazione favorevoli e rimarcando, per altro verso, la “intensita’ del dolo che ha sorretto l’azione dell’imputata, preordinata nel suo disegno criminoso, perdurante nel tempo”, cosi’ adeguatamente chiarendo la sua valutazione discrezionale circa l’adeguamento della pena concreta alla gravita’ effettiva del reato e alla personalita’ del reo (Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737; Sez. 1, n. 46954 del 4/11/2004, Rv. 230591).
Per le stesse ragioni la Corte ha rigettato la richiesta di riduzione della pena e, correlativamente, ha accolto la richiesta di aumento della pena avanzata dal pubblico ministero.
Ha determinato, comunque, in misura contenuta (due anni di reclusione nell’arco edittale che va da uno a quattro) la pena-base e in proporzione a questa gli aumenti per i quattro reati-satellite (complessivi 6 mesi).
5. Sulla base delle conclusioni raggiunte in relazione agli altri motivi di ricorso, le questioni poste con l’ottavo motivo di ricorso risultano rilevanti perche’ l’articolo 574 bis c.p., comma 3, prevede che, nel caso in cui il delitto sia stato commesso “da un genitore in danno del figlio minore” sia automatica l’applicazione della “sospensione dalla responsabilita’ genitoriale” e, sempre automaticamente, l’articolo 34 c.p., comma 2, determina la misura della sospensione “per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta” nel caso di “delitti commessi con abuso della responsabilita’ genitoriale”.
Pertanto, il presente giudizio non puo’ essere definito indipendentemente dalla soluzione della questione concernente la legittimita’ costituzionale dell’applicazione automatica della pena accessoria costituita dalla sospensione della responsabilita’ genitoriale prevista dalla normativa vigente e della determinazione automatica della sua misura.
Infatti, se la questione che viene sollevata dovesse risultare non fondata, l’ottavo motivo del ricorso in esame andrebbe respinto e la pena accessoria verrebbe determinata nella specie e nella misura indicata dalla legge.
6. Quanto alla non manifesta infondatezza, deve anzitutto considerarsi che non compete al giudice remittente stabilire se la questione sia fondata o infondata, ma unicamente verificare se essa sia o meno manifestamente infondata, limitandosi ad una valutazione sommaria, per rilevare se esista un dubbio di costituzionalita’ che la renda non meramente plausibile, ma seria e meritevole di vaglio da parte dell’organo giurisdizionale al quale compete il giudizio sulla costituzionalita’ delle leggi.
Posto questo, risulta non manifestamente infondata – in relazione agli articoli 2 e 3 Cost., articolo 27 Cost., comma 3, articoli 30 e 31 Cost., nonche’ all’articolo 10 Cost., in relazione alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176 – la questione relativa alla conformita’ a Costituzione degli articoli 34 e 574 bis c.p., nella parte in cui impongono che alla condanna per i fatti previsti dalla norma penale da ultimo citata, commessi dal genitore in danno del figlio minore, consegua automaticamente e per un periodo predeterminato dalla legge la sospensione dall’esercizio della responsabilita’ genitoriale.
Analoga questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 574 bis c.p., nella parte in cui prevede l’applicazione automatica della pena accessoria, e’ gia’ stata prospettata e ritenuta inammissibile da questa Corte (Sez. 6, n. 17679 del 31/03/2016, Rv. 267315), per difetto di rilevanza in quanto, risultando sospesa anche la pena accessoria, vi era una carenza di interesse (condizioni che non ricorrono nella presente fattispecie).
6.1. La questione in esame va valutata non solo dall’angolazione di chi subisce la pena accessoria ma anche da quella di coloro (i figli minorenni) su cui si irradiano le conseguenze delle restrizioni imposte al condannato. Vale considerare che tali conseguenze non si producono semplicemente de facto come puo’ avvenire per qualsiasi provvedimento giudiziario – ma de jure, perche’ la applicazione della sospensione della responsabilita’ genitoriale incide, per sua natura, immediatamente sulla sfera giuridica dei figli del condannato.
Dall’articolo 2 Cost., (che riconoscendo e tutelando i diritti fondamentali dell’individuo, costituisce fondamento anche per la tutela dei diritti dei minorenni) articoli 3, 29 e 30 Cost., nonche’ dall’articolo 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo (che impegna gli Stati parti di essa a rispettare il diritto dei minori alla propria identita’, compresi la nazionalita’, il nome, le relazioni familiari), e’ desumibile il principio secondo cui in tutte le decisioni relative ai minorenni deve considerarsi il preminente interesse degli stessi.
Inoltre, nella Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 (ratificata e resa esecutiva con L. 20 marzo 2003, n. 77), e’ riconosciuto il diritto dei fanciulli di essere rappresentati e ascoltati nei procedimenti che toccano i loro interessi giuridicamente tutelati.
Su queste basi, i provvedimenti che incidono sulla responsabilita’ genitoriale possono giustificarsi solo se non contrastano l’esigenza di tutelare i minorenni.
I provvedimenti di sospensione o decadenza dalla potesta’ genitoriale ex articoli 330 e 333 c.c., sono adottati all’esito di una adeguata analisi della situazione che ne vagli l’opportunita’ in relazione alla fattispecie concreta e sono dall’articolo 38 disp. att. c.c., (come modificato dalla L. 10 dicembre 2012, n. 219) ordinariamente attribuiti alla competenza di giudici specializzati: “la competenza appartiene in via generale al tribunale per i minorenni, ma, quando sia in corso un giudizio di separazione, divorzio o un giudizio ai sensi dell’articolo 316 c.c. – anche in pendenza dei termini per le impugnazioni e nelle altre fasi di quiescenza, fino al passaggio in giudicato – e le azioni siano proposte successivamente e richieste con un unico atto introduttivo dalle parti, in deroga a tale attribuzione, spetta al giudice del conflitto familiare”, ovvero al Tribunale ordinario e Corte d’Appello (Cass. civ. Sez. 6, ord. n. 1349 del 26/01/2015, Rv. 633988; Cass. civ. Sez. 6, ord. n. 2833 del 12/02/2015, Rv. 634420).
Pertanto, puo’ dubitarsi della ragionevolezza dell’automaticita’ della applicazione della pena accessoria della sospensione dell’esercizio della potesta’ genitoriale prevista dalle norme penali in oggetto, se si considera che cio’ impedisce al giudice di valutare la corrispondenza tra la sospensione della responsabilita’ genitoriale e i diritti e gli interessi dei minorenni, cosi’ negando la possibilita’ di effettuare un diverso bilanciamento tra i diritti di quest’ultimi e le esigenze punitive dello Stato verso i genitori.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 31 del 2012, ha giudicato costituzionalmente illegittimo l’articolo 569 c.p., nella parte in cui stabilisce che, alla condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato previsto dall’articolo 567 c.p., comma 2, consegua automaticamente la perdita della responsabilita’ genitoriale, perche’ preclude al giudice la possibilita’ di valutare l’interesse del minorenne nel caso concreto. Ha ravvisato un contrasto con l’articolo 3 Cost., perche’ l’automatismo non consente di effettuare alcun bilanciamento degli interessi rilevanti nella situazione: quello dello Stato all’esercizio della potesta’ punitiva e quello dei minorenni a crescere nella propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, da loro ricevendo educazione e cura. Ha rimarcato che sia nell’ordinamento internazionale che in quello interno, e’ principio acquisito che in ogni atto, comunque riguardante un minorenne, deve considerarsi il suo preminente interesse morale e materiale, il che contrasta con ogni automatismo che precluda al giudice di valutare e bilanciare nel caso concreto tale interesse per la necessita’ di applicare una pena accessoria. Soprattutto, ha evidenziato che la violazione del principio di ragionevolezza connessa all’automatismo previsto dalla norma censurata, emerge anche alla luce dei caratteri propri del delitto di cui all’articolo 567 c.p., comma 2, che, diversamente da altre fattispecie criminose, non comporta una presunzione assoluta di pregiudizio per gli interessi morali e materiali del minorenne, per cui e’ ragionevole che il giudice debba potere valutare, in relazione al caso concreto, la inidoneita’ del genitore all’esercizio della responsabilita’ genitoriale.
6.2. Analogo ordine di considerazioni puo’ valere anche per l’automatica applicazione della pena accessoria della sospensione della potesta’ genitoriale prevista dall’articolo 574 bis c.p., comma 3, perche’, escludendosi qualsiasi valutazione discrezionale da parte del giudice in ordine all’interesse del minorenne nel caso concreto e, quindi, la possibilita’ del bilanciamento dei diversi interessi implicati nel processo puo’ compromettere la tutela del diritti inviolabili dei fanciulli, quale sarebbe quello di crescere con i genitori e di essere educati da questi, salvo che cio’ comporti un grave pregiudizio
Questo esito appare in contrasto con gli articoli 2, 30 e 31 Cost., e con l’articolo 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo (stipulata New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176) per il quale “in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorita’ amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”. In linea con questo principio la Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli (adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con L. 20 marzo 2003, n. 77) disciplina il processo decisionale nei procedimenti riguardanti un minorenne, detta le modalita’ cui l’autorita’ giudiziaria deve conformarsi “prima di giungere a qualunque decisione”, stabilendo che essa deve acquisire “informazioni sufficienti al fine di prendere una decisione nell’interesse superiore del minore”.
Allo stesso modo, anche nell’ordinamento interno l’interesse morale e materiale del minore ha assunto valore preminente dopo la riforma attuata con L. 19 maggio 1975, n. 151, (Riforma del diritto di famiglia), e dopo la riforma dell’adozione realizzata con la L. 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori), come modificata dalla L. 28 marzo 2001, n. 149, alle quali sono seguite diverse leggi speciali che hanno introdotto forme di tutela sempre piu’ incisiva dei diritti del minorenne.
Questo insieme di dati normativi – posteriore al codice penale e aderente ai principi veicolati dalle norme costituzionali richiamate (oltre che, nella sua componente di origine internazionale, rilevante in relazione all’articolo 10 Cost.) suscita la questione se il legislatore penale, nel perseguire le sue finalita’ possa (stabilendo una pena accessoria automatica nell’an e nel quantum) accantonare ogni forma di bilanciamento con un interesse costituzionalmente rilevante quale quello (superiore) del minorenne, considerando che (come nel caso deciso dalla sentenza della Corte costituzionale n. 31 del 2012 prima ricordata) il delitto ex articolo 574 bis c.p., non comporta una presunzione assoluta di pregiudizio per gli interessi morali e materiali del minorenne, per cui e’ ragionevole che il giudice debba potere valutare, in relazione al caso concreto, la inidoneita’ del genitore all’esercizio della responsabilita’ genitoriale.
7. Le pene accessorie hanno una funzione orientata alla prevenzione speciale che risulta compatibile con l’articolo 27 Cost., comma 3, a condizione che esse non siano sproporzionate per eccesso rispetto al concreto disvalore del fatto di reato (Corte Cost., n. 222 del 2018) o, comunque, non scollegate da tale disvalore.
Pertanto, l’applicazione automatica di una pena accessoria contrasta con il menzionato articolo 27 Cost. – per il quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato – nei casi in cui il delitto ex articolo 574 bis c.p., sia stato motivato dalla finalita’ di preservare il figlio da pregiudizi che potrebbero essergli arrecati dall’altro genitore; infatti, in tale situazione il condannato non potrebbe ricavare una rieducazione dalla sospensione della sua potesta’ genitoriale.
7.1. Gia’ in altri casi la Corte costituzionale ha corretto o eliminato automatismi sanzionatori in considerazione della funzione rieducativa della pena. Con la sentenza n. 186 del 1995, ha dichiarato costituzionalmente illegittima la previsione, contenuta nella L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 54, comma 3, della automatica revoca della liberazione anticipata in caso di condanna per delitto non colposo commesso successivamente alla concessione del benefico, perche’ eclissa la funzione di stimolo a collaborare nel trattamento rieducativo insita nell’istituto. Con le sentenze n. 504 del 1995 e n. 445 del 1997, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo la L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 4 bis, comma 1, nella parte in cui non prevede che il beneficio della semiliberta’ possa concedersi ai condannati che (prima della vigenza del Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 15, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356) abbiano raggiunto un adeguato grado di rieducazione e per i quali non siano accertati collegamenti attuali con la criminalita’ organizzata – perche’ lede il principio di uguaglianza e, al contempo, frustra la funzione rieducativa della pena se il condannato e’ inserito in un valido programma di rieducazione – e nella parte in cui prevede che ulteriori permessi-premio siano negati ai condannati per i delitti indicati nel primo periodo del comma 1, dello stesso articolo, i quali, non avendo collaborato con l’autorita’ giudiziaria, non si trovino nelle condizioni per l’applicazione della L. n. 354 del 1975, articolo 58 ter, anche se hanno precedentemente fruito di permessi-premio e non siano accertati collegamenti attuali con la criminalita’ organizzata, perche’ il permesso-premio e’ strumento essenziale per rieducazione del condannato.
In altri casi la Corte costituzionale ha caducato norme che prevedevano automatiche applicazioni di pene accessorie, come la decadenza dalla potesta’ genitoriale (sentenze n. 7 del 2013 e n. 31 del 2012) o la revoca della patente di guida (sentenza n. 22 del 2018), valorizzando i principi di adeguatezza e proporzionalita’ della pene ai fatti di reato, della loro individualizzazione in rapporto alla personalita’ del reo, della loro funzionalizzazione anche a finalita’ rieducative, oltre che di prevenzione speciale. Nella medesima direzione si muove la giurisprudenza della Corte EDU, che ha piu’ volte dichiarato contrarie alla CEDU sanzioni accessorie o comunque misure limitative di diritti che discendono automaticamente da una condanna penale, senza una verifica giurisdizionale nel caso concreto sull’effettiva necessita’ di tali sanzioni o misure.
La sentenza della Corte costituzionale n. 134 del 2012 – pur affermando che “l’addizione normativa richiesta dai giudici a quibus eccede i poteri di intervento della Corte, perche’ comporta scelte affidate alla discrezionalita’ del legislatore” – ha sollecitato il legislatore a riformare il sistema delle pene accessorie per renderlo pienamente compatibile con i principi della Costituzione e, in particolare, con l’articolo 27 Cost., comma 3.
Da ultimo, la sentenza n. 222 del 2018 della Corte costituzionale ha ribadito che la durata fissa delle pene accessorie previste dal Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 216, u.c.(Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa) “non appare, in linea di principio, compatibile con i principi costituzionali in materia di pena, e segnatamente con i principi di proporzionalita’ e necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio, osservando che, la discrezionalita’ del legislatore incontra il proprio limite nella manifesta irragionevolezza delle scelte legislative, limite che viene superato quando le pene inflitte risultino manifestamente sproporzionate rispetto alla gravita’ del fatto previsto come reato. Infatti, in questo caso sono violati congiuntamente gli articoli 3 e 27 Cost., perche’ una pena non proporzionata alla gravita’ del fatto (e non percepita come tale dal condannato) si risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa (ex multis, Corte Cost. nn. 236 del 2016, 68 del 2012 e 341 del 1994), mentre, ordinariamente, il legislatore stabilisce che la pena va commisurata tra un minimo e un massimo per proporzionarla alla concreta gravita’ del fatto, valutando, in particolare, le circostanze indicate negli articoli 133 e 133 bis c.p., e personalizzarla nel rispetto dell’articolo 27 Cost., comma 1, (Corte Cost. nn. 67 del 1963, 104 del 1968, 50 del 1980)”.
La Corte costituzionale dopo avere sottolineato che la delega rilasciata al Governo con la L. 23 giugno 2017, n. 103 (articolo 5, comma 85, lettera u) – delega non esercitata – di procedere alla “revisione del sistema delle pene accessorie improntata al principio della rimozione degli ostacoli al reinserimento sociale del condannato”, conteneva tra i criteri quello di escludere che la durata della pena accessoria fosse superiore alla durata della pena principale”, ha rivisitato il principio seguito nella sentenza n. 134 del 2012, tenendo conto anche dell’evoluzione in atto nella sua stessa giurisprudenza in materia di sindacato sulla misura delle pene, e ha ricordato che la sentenza n. 236 del 2016 della Corte costituzionale ha stabilito che, quando una sanzione si rivela manifestamente irragionevole, un intervento correttivo della Corte costituzionale e’ possibile se essa puo’ essere sostituita ancorandosi a “precisi punti di riferimento, gia’ rinvenibili nel sistema legislativo”, anche se il sistema non offre un’unica soluzione costituzionalmente vincolata in grado di sostituirsi a quella dichiarata illegittima senza provocare vuoti di tutela degli interessi toccati dalla norma oggetto della pronuncia (ferma restando la possibilita’ che il legislatore intervenga introducendo, nell’ambito della propria discrezionalita’, altra soluzione purche’ compatibile con i principi costituzionali).
7.2. Anche la previsione di una durata fissa della pena accessoria presenta profili di dubbia costituzionalita’ perche’ contrasta con il principio di proporzionalita’ della pena – come riaffermato dalla sentenza n. 236 del 2016 della Corte costituzionale – e con il principio di necessaria individualizzazione della pene, che esige che le sanzioni siano adeguate ai casi concreti e non rigide, a meno che la rigidita’ risulti “ragionevolmente proporzionata rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato” (Corte Cost., n. 50 del 1980).
Ne’ pare trascurabile che nel caso in esame la automaticita’ nell’an e nel quantum della sospensione della responsabilita’ genitoriale incide su un diritto che, sebbene non possieda il valore preminente assegnato all’interesse del minorenne, costituisce, comunque, un diritto costituzionalmente riconosciuto (articolo 30 Cost., comma 1), ordinariamente comprimibile o elidibile solo mediante specifiche procedure. Pertanto, l’esigenza di una adeguata calibrazione della applicazione e della durata di una pena accessoria produttiva di un tale esito richiede il rispetto del limite della non irragionevolezza della scelta legislativa in conformita’ agli articoli 3 e 27 Cost., secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, ultimamente ribadita dalla sua sentenza n. 222/2018.

P.Q.M.

Visto la L. 11 marzo 1953, n. 87, articolo 23;
dichiara rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli articoli 2 e 3 Cost., articolo 27 Cost., comma 3, articoli 30 e 31 Cost., nonche’ all’articolo 10 Cost., in relazione alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata a resa esecutiva in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176, la questione relativa alla conformita’ a Costituzione degli articoli 34 e 574 bis c.p., nella parte in cui impongono che alla condanna per i fatti previsti dalla norma penale da ultimo citata commessi dal genitore in danno del figlio minore consegua automaticamente e per un periodo predeterminato dalla legge la sospensione dall’esercizio della responsabilita’ genitoriale;
sospende il giudizio in corso sino all’esito del giudizio incidentale di legittimita’ costituzionale;
dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Pubblico ministero nonche’ al Presidente del Consiglio dei Ministri, e che sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

 

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