La “piena conoscenza” del provvedimento stesso

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 1 agosto 2019, n. 5462.

La massima estrapolata:

La “piena conoscenza” non deve essere intesa quale “conoscenza piena ed integrale” del provvedimento stesso, il momento dal quale far decorrere il termine per impugnare il permesso di costruire è da individuare “nell’inizio dei lavori, nel caso si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area; ovvero, laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.), dal completamento dei lavori o dal grado di sviluppo degli stessi, se si renda comunque palese l’esatta dimensione, consistenza, finalità, dell’erigendo manufatto”. Atteso il tenore delle censure sollevate dal ricorrente di primo grado, che lamenta, come detto, la violazione della disciplina urbanistica in materia di altezza dei fabbricati, il termine per la tempestiva proposizione del ricorso ben può essere anticipato all’inizio dei lavori.

Sentenza 1 agosto 2019, n. 5462

Data udienza 25 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sui seguenti ricorsi in appello:
1) ricorso numero di registro generale 154 del 2013, proposto dalle signore Ti. e Ma. Pa., rappresentate e difese dall’avvocato Ma. Sa., elettivamente domiciliate presso il suo studio in Roma, viale (…),
contro
la signora Ma. Ro. Ru., non costituita in giudizio,
nei confronti
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica pro tempore, non costituito in giudizio;

2) ricorso numero di registro generale 336 del 2012, proposto dalle signore Ti. Pa.e Ma. Pa., rappresentate e difese dall’avvocato Ma. Sa., elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, viale (…),
contro
la signora El. Bu., non costituita in giudizio,
nei confronti
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Do. Di Ru., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Gi. Mi. in Roma, via (…),
per la riforma
quanto al ricorso n. 336 del 2012:
della sentenza del T.a.r. per il Lazio, sede di Latina, n. 424 del 25 maggio 2011, resa inter partes, concernente il permesso di costruire n. 93/04 rilasciato dal Comune di (omissis) in data 6 maggio 2004;
quanto al ricorso n. 154 del 2013:
della sentenza del T.a.r. per il Lazio, sede di Latina, n. 415 del 30 maggio 2012, resa tra le parti, concernente il permesso di costruire n. 93/04 rilasciato dal Comune di (omissis) in data 6 maggio 2004.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 giugno 2019 il consigliere Giovanni Sabbato e udito, per le parti appellanti, l’avvocato Ma. Sa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso n. 958 del 2004, integrato da motivi aggiunti, proposto innanzi al T.a.r. per il Lazio, sede di Latina, la signora El. Bu. aveva chiesto l’annullamento dei seguenti atti:
a) permesso di costruire del 6 giugno 2005, e successiva determinazione dell’11 luglio 2006, con cui il Comune di (omissis) aveva assentito, nella proprietà confinante, la realizzazione, previa demolizione di fabbricato preesistente, di un villino unifamiliare in favore delle signore Ti. e Ma. Pa.;
c) provvedimento dell’11 luglio 2006, con cui il Dirigente del dipartimento assetto e gestione del territorio del Comune di (omissis) convalidava il permesso di costruire delle controinteressate nel presupposto della asseverazione del progetto da parte di un ingegnere.
2. A sostegno della proposta impugnativa, la ricorrente aveva dedotto quanto segue: la redazione del progetto da parte di un geometra invece che di un architetto; la violazione del lotto minimo; il computo ai fini della volumetria realizzabile anche di aree divenute di proprietà demaniale per effetto di mutamenti del corso del locale torrente; la conseguente occupazione della “fascia di rispetto” del torrente; la mancata acquisizione del parere dell’Autorità dei bacini regionali della regione Lazio; la violazione dei presupposti per la convalida, intervenuta con l’atto impugnato con i motivi aggiunti.
3. Costituitasi l’Amministrazione comunale e le signore Ti. e Ma. Pa., queste ultime nella veste di controinteressate, il Tribunale ha così deciso il gravame al suo esame:
– ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso;
– ha accolto innanzitutto i motivi aggiunti avverso il provvedimento di convalida;
– ha accolto il motivo, articolato in sede di ricorso, afferente all’esorbitanza dalle competenze professionali del geometra della progettazione dell’immobile in contestazione;
– dopo aver disatteso l’istanza di ricusazione del consulente tecnico, ha respinto il motivo relativo alla violazione del cosiddetto lotto minimo (questo capo della sentenza non è stato impugnato ed è pertanto passato in giudicato);
– ha accolto il motivo relativo alla violazione della distanza minima dal torrente Ri.;
– ha respinto il motivo relativo all’omessa acquisizione del parere dell’Autorità dei bacini regionali del Lazio (anche questo capo non è stato impugnato);
– ha quindi complessivamente accolto il ricorso ed i motivi aggiunti e, per l’effetto, ha annullato gli atti impugnati;
– ha compensato le spese di lite.
4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
– “non vi è però prova che alla data del 1° giugno 2004 (ultimo giorno utile per considerare tempestiva la notifica del gravame) la ”piena conoscenza” indispensabile ai fini della decorrenza del termine di impugnazione si fosse già verificata”;
– è fondata, in relazione al provvedimento di convalida, ” […] la dedotta violazione dell’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e il dedotto vizio di difetto di motivazione e di presupposti”;
– è inoltre fondato l’assunto secondo cui illegittimamente il comune non ha fornito una motivazione persuasiva in punto di interesse pubblico alla convalida né in alcun modo considerato gli interessi della ricorrente che aveva un contenzioso pendente relativo al permesso convalidato;
– non è applicabile l’art. 21 octies perché “il procedimento di riesame [infatti] implica sempre una valutazione discrezionale”;
– deve considerarsi fondato il motivo di ricorso con il quale la ricorrente aveva dedotto “… la esorbitanza dalle competenze professionali del geometra della progettazione dell’immobile in contestazione”;
– è meritevole di accoglimento la sola ulteriore doglianza relativa alla dedotta illegittimità del provvedimento impugnato, in quanto volto ad assentire la realizzazione di un fabbricato posto “… a distanza inferiore a quella minima prescritta dal torrente Ri….”.
5. Avverso tale pronuncia le signore Pa. hanno interposto appello, notificato il 28 dicembre 2011 e depositato il 18 gennaio 2012, lamentando, attraverso tre motivi di gravame (pagine 9-28), quanto di seguito sintetizzato:
I) il Tribunale, nel respingere l’eccezione di tardività del ricorso, non avrebbe considerato che, con la diffida precedentemente indirizzata all’Amministrazione in data 8 giugno 2004, la signora Bu. aveva dichiarato di essere a conoscenza dell’avvenuto inizio dei lavori già in data 30 maggio 2004 così come il signor Sa. Bu., (fratello della ricorrente e cofirmatario della diffida dell’8 giugno 2004) segnalava al Comune la presenza, alla medesima data del 30 maggio 2004, di uno sbancamento, profondo e ben visibile, non giustificato dai lavori assentiti coll’impugnato permesso di costruire;
I.1.) il Tribunale non avrebbe altresì considerato, nell’esaminare l’eccezione in rito, che le censure articolate col ricorso attengono alla pretesa inedificabilità assoluta dell’area cosicché della illegittimità del permesso la ricorrente si sarebbe avveduta illico;
II) avrebbe errato il Tribunale nell’accogliere le censure del difetto di avviso di avvio procedimentale e di motivazione del provvedimento di convalida impugnato in sede integrativa, in quanto il provvedimento di convalida non è destinato a produrre effetti diretti nella sfera soggettiva dell’odierna appellata, fermo restando l’inutilità del contributo partecipativo ai sensi dell’art. 21 octies che il Tribunale ha ritenuto, a torto, non applicabile solo perché trattasi di procedimento di secondo grado;
II.1.) il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto insussistente la motivazione sull’interesse pubblico, avendo il Comune rilevato, in seno al provvedimento di convalida, la necessità di assentire un’opera già sostanzialmente completa;
III) avrebbe altresì errato il Tribunale nell’accogliere la doglianza relativa alla violazione della distanza minima di mt. 10 dal torrente Ri., trattandosi di censura tardiva rispetto al termine decadenziale decorrente dal 30 maggio 2004, censura che, come potrebbe accertarsi mediante una nuova CTU, che si richiede, sarebbe comunque infondata in quanto il piede esterno dell’argine non coincide con la sommità della scarpata, ma, in considerazione della massima piena del torrente, con la sommità del primo tratto della scarpata, ove quest’ultima mostra un cambio di pendenza.
6. In data 17 febbraio 2012 il Comune appellato si è costituito con memoria, al fine di resistere.
7. Con i ricorsi n. 1124 del 2004 e n. 1233 del 2006, entrambi proposti davanti al T.a.r. per il Lazio, sede di Latina, la signora Ma. Ro. Ru. aveva chiesto l’annullamento, rispettivamente, del permesso di costruire n. 93 del 6 maggio 2004 e del successivo provvedimento di convalida dell’11 luglio 2006, già impugnati con i precedenti menzionati ricorsi di primo grado.
8. Di tali atti chiedeva l’annullamento deducendo, inter alia, la violazione dell’art. 27 del PRG del Comune di (omissis), la violazione dell’art. 96 del T.U. n. 523 del 1904, l’eccesso di potere sotto diversi profili.
9. Il Tribunale, con la sentenza in epigrafe n. 415 del 2012, nella resistenza del Comune di (omissis) e delle controinteressate signore Ti. e Ma. Pa., ha deciso i gravami al suo esame negli stessi termini di cui alla sentenza n. 424 del 2012 nel senso, quindi, previa loro riunione, del loro accoglimento rilevando l’illegittimità di entrambi gli atti impugnati, rispettivamente per difetto di motivazione (provvedimento di convalida) e per la rilevata violazione della distanza dal fiume (permesso di costruire), compensando le spese di lite.
10. Avverso tale pronuncia le signore Ti. e Ma. Pa. hanno interposto appello, notificato il 28 dicembre 2011 e depositato il 18 gennaio 2012, lamentando, attraverso tre motivi di gravame (pagine 7-20), quanto di seguito sintetizzato:
I) avrebbe errato il Tribunale nel disattendere l’eccezione di inammissibilità per tardività del ricorso in primo grado, avendo la signora Russo avuto piena conoscenza del permesso di costruire nel momento in cui ha formulato istanza di accesso agli atti il 29 giugno 2004, evasa in pari data;
II) avrebbe errato il Tribunale nel ritenere illegittimo il provvedimento di convalida peraltro privo di effetti diretti nella sfera giuridica della ricorrente;
III) avrebbe errato il Tribunale nel ritenere sussistente la violazione della distanza minima dal torrente Ri. accogliendo una censura peraltro tardiva.
11. In vista della trattazione nel merito del ricorso parte appellante ha svolto difese scritte.
12. I ricorsi, discussi alla pubblica udienza del 25 giugno 2019, meritano accoglimento.
13. Sussistono evidenti ragioni di connessione soggettiva e oggettiva che giustificano la trattazione congiunta dei ricorsi in esame.
14. E’ fondato il primo motivo dell’appello n. 154 del 2013, col quale si contesta la statuizione in rito resa dal Tribunale in ordine alla eccepita tardività del ricorso di primo grado, eccezione che si palesa fondata in considerazione del tenore delle censure sollevate implicanti l’inedificabilità assoluta dell’area. La disamina del rilievo non può prescindere dalla ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali in punto di individuazione del dies a quo del termine decadenziale per l’impugnativa degli atti abilitativi in ambito edilizio. Invero, come da giurisprudenza consolidata, (Cons. Stato, sez. IV, 23 maggio 2018, n. 3075), rilevato che la “piena conoscenza” non deve essere intesa quale “conoscenza piena ed integrale” del provvedimento stesso, il momento dal quale far decorrere il termine per impugnare il permesso di costruire è da individuare “nell’inizio dei lavori, nel caso si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area; ovvero, laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.), dal completamento dei lavori o dal grado di sviluppo degli stessi, se si renda comunque palese l’esatta dimensione, consistenza, finalità, dell’erigendo manufatto”. Atteso il tenore delle censure sollevate dal ricorrente di primo grado, che lamenta, come detto, la violazione della disciplina urbanistica in materia di altezza dei fabbricati, il termine per la tempestiva proposizione del ricorso ben può essere anticipato all’inizio dei lavori.
14.1. Il rilievo in esame impone quindi che siano sinteticamente ripercorsi i passaggi essenziali della vicenda di causa: se è vero che il permesso di costruire è stato rilasciato il 6 maggio 2004, è vero anche che i ricorrenti mostrano di avere avuto cognizione della lesività dell’atto già in data 30 maggio 2004; il ricorso è stato notificato il 31 agosto 2004 cosicché, a dire dello stesso Tribunale, l’ultimo giorno utile per considerare tempestiva la notifica del gravame era quella del 1° giugno 2004. Nella nota dell’8 giugno la signora El. Bu. afferma che “in virtù dei detti rilievi, gli esponenti in data 30 maggio u.s. protocollavano una nota di doglianze all’Ufficio Vigilanza Urbanistica del Comune di (omissis)”. Quindi la predetta, anche se non era firmataria della nota del 30 maggio se ne assumeva la copaternità potendosi da questa senz’altro inferire che, a tale data, era a conoscenza del titolo e della sua potenziale lesività . Il ricorso risulta così tardivo per essere stato proposto in violazione del termine di sessanta giorni.
15. L’appello in esame, n. 154 del 2013, va quindi accolto e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, il ricorso di primo grado va dichiarato irricevibile.
16. Medesimo esito va riservato all’appello n. 336 del 2012, risultando in atti che la signora Russo ha avuto cognizione del permesso di costruire n. 93/04 già in data 29 giugno 2004, in cui la sua istanza di accesso veniva evasa, mentre notificava il ricorso soltanto il 18 ottobre 2004 quindi dopo lo spirare del termine di sessanta giorni. Considerato infatti il periodo di sospensione feriale di 45 giorni il ricorso avrebbe dovuto essere notificato entro il 13 ottobre 2004, quindi prima dell’anzidetta data del 18 ottobre 2004.
17. L’appello in esame, n. 336 del 2012, va quindi accolto e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, il ricorso di primo grado va dichiarato irricevibile.
18. Non resta che esaminare, congiuntamente per il loro comune tenore, i motivi aggiunti proposti in relazione ad entrambi i ricorsi di primo grado avverso il provvedimento di convalida dell’11 luglio 2006.
18.1. In parte qua i ricorsi di primo grado, rispettivamente proposti dalle signore El. Bu. e Ma. Ro. Ru., si palesano improcedibili all’esito della declaratoria di tardività dei ricorsi introduttivi, in quanto con tali gravami integrativi si avversa un provvedimento di convalida afferente al solo vizio relativo alla qualifica del tecnico progettista, geometra invece che architetto o ingegnere, e pertanto tale atto sopravvenuto non ha attitudine abilitativa autonoma rispetto al titolo previamente rilasciato alle signore Pa.. Soccorre, sul punto, la stessa nozione di convalida (Cons. Stato, sez. V, 7 luglio 2015, n. 3340), quale atto che, espressivo di un potere di autotutela conservativa, è destinato a sanare retroattivamente i vizi di atti già adottati senza tuttavia provvedere alla sostituzione di questi in modo da assumere autonoma efficacia abilitativa. Ne consegue che nessun interesse sottende l’iniziativa impugnatoria, rispettivamente assunta dalle ricorrenti di primo grado, in quanto l’eventuale annullamento del provvedimento convalidante non potrebbe determinare il travolgimento del permesso di costruire non più attaccabile dalle censure proposte con ricorsi tardivamente proposti.
19. In conclusione, gli appelli in esame, previamente riuniti, sono da accogliere e, per l’effetto, in riforma delle impugnate sentenze, i motivi aggiunti ai ricorsi di primo grado vanno dichiarati improcedibili.
20. Per quanto attiene alle spese del doppio grado di giudizio, sussistono le condizioni, ex artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c., per dichiararle integralmente compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sugli appelli, previamente riuniti, come in epigrafe proposti (R.G. n. 336/2012 e n. 154/2013), li accoglie e, per l’effetto, in riforma delle impugnate sentenze, dichiara irricevibili i ricorsi di primo grado, rispettivamente proposti dalle signore El. Bu. e Ma. Ro. Ru., nonché improcedibili i relativi motivi aggiunti.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Gabriele Carlotti – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fulvio Rocco – Consigliere
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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