La ricostruzione del profilo di amministratore di fatto

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 23 gennaio 2020, n. 2714

Massima estrapolata:

La ricostruzione del profilo di amministratore di fatto deve essere effettuata, in ambito penalistico, alla stregua di specifici indicatori individuati non soltanto rapportandosi alle qualifiche formali rivestite in ambito societario ovvero alla mera rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta, bensì sulla base delle concrete attività dispiegate in riferimento alle società oggetto d’analisi, riconducibili secondo validate massime di esperienza ad indici sintomatici, quali la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la generalizzata identificazione nelle funzioni amministrative da parte dei dipendenti e dei terzi, l’intervento nella declinazione delle strategie d’impresa e nelle fasi nevralgiche dell’ente economico

Sentenza 23 gennaio 2020, n. 2714

Data udienza 19 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Presidente

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. TUDINO Alessandri – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 22/06/2018 della CORTE APPELLO di L’AQUILA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRINA TUDINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. BIRRITTERI Luigi, che ha concluso chiedendo;
Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento con rinvio, limitatamente alla pena accessoria. Inammissibilita’ nel resto.

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza del 22 giugno 2018, la Corte d’appello di l’Aquila ha confermato la decisione del Tribunale di Lanciano del 15 febbraio 2017, con la quale e’ stata affermata la responsabilita’ penale di (OMISSIS) e (OMISSIS) per il reato di bancarotta fraudolenta in riferimento a (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita il (OMISSIS).
2. Avverso la sentenza della Corte d’appello di l’Aquila hanno proposto ricorso gli imputati, per mezzo del comune difensore, Avv. (OMISSIS), affidando le proprie censure a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, deducono violazione di legge e vizio della motivazione in riferimento all’attribuzione agli imputati della qualifica di amministratori di fatto, riportando la motivazione resa sul punto dalla Corte territoriale e contestando tanto la prova testimoniale che la titolarita’ dei beni sequestrati, richiamando la giurisprudenza di questa Corte in tema di distrazione.
2.2. Con il secondo motivo, deducono analoga doglianza relativamente al mancato rinvenimento dei beni sociali, non avendo sul punto l’istruttoria dibattimentale ricostruito le condotte, richiamando le fonti di prova escusse.
2.3. Con il terzo motivo, si lamenta l’omessa disamina in appello del reato di bancarotta documentale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

La sentenza impugnata va annullata con rinvio limitatamente alle pene accessorie fallimentari, mentre il ricorso e’, nel resto, inammissibile.
1. Sono generiche e, comunque, manifestamente infondate le censure articolate nel primo motivo di ricorso, sub specie di violazione di legge, in riferimento alla attribuzione ai ricorrenti del ruolo di amministratori di fatto della fallita.
1.1. Va, al riguardo, rilevato come la ricostruzione del profilo di amministratore di fatto debba condursi, in ambito penalistico, alla stregua di specifici indicatori, individuati non soltanto rapportandosi alle qualifiche formali rivestite in ambito societario ovvero alla mera rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (ex multis Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, Ottobrini, Rv. 268273), bensi’ sulla base delle concrete attivita’ dispiegate in riferimento alle societa’ oggetto d’analisi, riconducibili secondo validate massime di esperienza – ad indici sintomatici quali la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la generalizzata identificazione nelle funzioni amministrative da parte dei dipendenti e dei terzi, l’intervento nella declinazione delle strategie d’impresa e nelle fasi nevralgiche dell’ente economico.
Il relativo apprezzamento – che si traduce in un accertamento di fatto, sindacabile esclusivamente sotto il profilo della logicita’ e congruenza della motivazione – non puo’ ritenersi limitato alla fisionomia delineata dal codice civile, che ne declina lo status nella dimensione fisiologica dell’attivita’ d’impresa, ma va riguardato – nel sistema penale delle incriminazioni, che sanzionano una situazione di abuso della relativa posizione – nel piu’ ampio contesto delle ingerenze e degli interessi antigiuridici che ne arricchiscono il ruolo.
1.2. Invero, la nozione di amministratore di fatto e’ stata introdotta dall’articolo 2639 c.c., e presuppone l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri inerenti alla qualifica o alla funzione, da non ricondursi, necessariamente, all’esercizio di tutti i poteri tipici dell’organo di gestione, bensi’ ad una apprezzabile attivita’ di gestione, che sia effettuata in modo occasionale o non episodico. La prova della posizione di amministratore di fatto, esige, pertanto, l’accertamento di elementi che evidenzino l’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualunque fase della sequenza produttiva, organizzativa o commerciale dell’attivita’ sociale, ad esempio i rapporti con i dipendenti, i clienti o i fornitori, ovvero in ogni settore gestionale dell’attivita’ dell’ente, sia quest’ultimo produttivo, amministrativo, aziendale, contrattuale o disciplinare. In tal senso, la giurisprudenza civile evidenzia come i descritti connotati non implicano “l’esercizio di tutti i poteri propri dell’amministratore di una societa’, ma richiedono unicamente lo svolgimento di un’apprezzabile attivita’ di gestione in termini non occasionali o episodici” (sent. 9222/1998), mentre, in sede penale, rileva piuttosto la funzione di regia e di strategica gestione dell’ente, in violazione del complesso dei doveri posti a presidio dell’interesse dei creditori, dei terzi e del mercato.
E siffatta condizione ben puo’ coesistere con l’esercizio dei poteri propri dell’amministratore di diritto, o nell’espletamento anche di ordinarie mansioni di dipendente, ove si risolva in una cogestione coordinata dell’organismo societario.
In altri termini, la effettiva gestione da parte dell’amministratore formale e l’esercizio di attribuzioni anche d’ordine da parte del gestore de facto non, esclude la concorrente responsabilita’ del co-amministratore di fatto, ove sia comprovata una gestione paritetica.
1.3. Nel caso in esame, le conformi sentenze di merito descrivono puntualmente gli indicatori dell’effettiva riconducibilita’ agli imputati di poteri amministrativi, solo paludati da formali investiture a titolo di lavoro subordinato, mentre il ricorso si limita alla mera trascrizione di brani della sentenza impugnata, al generico richiamo delle doglianze proposte con l’atto d’appello ed al riferimento alla natura del reato di bancarotta patrimoniale, avvincendo siffatti eterogenei elementi in un’unica censura, senza confrontarsi con la motivazione nel suo complesso e senza aggredirne criticamente i singoli passaggi giustificativi, ponendo la doglianza nell’alveo della genericita’ (Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016 – dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822).
2. Il secondo motivo e’, del pari, inammissibilmente formulato.
Il ricorrente si limita a trasfondere nel ricorso stralci dell’istruttoria, deducendo, del tutto assertivamente, l’estraneita’ al fallimento in disamina dei beni rinvenuti nella disponibilita’ di (OMISSIS), omettendo il confronto critico con le conformi sentenze di merito e finendo con il richiedere impropriamente a questa Corte una diretta valutazione delle prove.
E’, invero, inammissibile il ricorso per cassazione che, offrendo al giudice di legittimita’ frammenti probatori o indiziari, solleciti quest’ultimo ad una rivalutazione o ad una diretta interpretazione degli stessi, anziche’ al controllo sulle modalita’ con le quali tali elementi sono stati raccolti e sulla coerenza logica della interpretazione che ne e’ stata fornita (Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, E., Rv. 276566, N. 44992 del 2012 Rv. 253774).
3. Il terzo motivo e’ aspecifico.
Anche in tal caso, i ricorrenti prospettano preterizione della censura difensiva rivolta all’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale – che la Corte territoriale ha esplicitamente escluso fosse stato oggetto dei motivi d’appello – omettendo anche solo di rappresentare quale profilo, asseritamente decisivo, sarebbe stato sul punto allegato ed ingiustificatamente trascurato.
Donde l’inammissibilita’ del terzo motivo.
4. La sentenza impugnata deve essere, invece, d’ufficio annullata con rinvio in riferimento alla determinazione della durata delle pene accessorie applicate all’imputato.
4.1. Con la sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale del Regio Decreto 267 del 1942, articolo 216, u.c., nella parte in cui dispone che “la condanna per uno dei delitti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacita’ per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa” e siffatta declaratoria avente efficacia ex tunc ai sensi della L. costituzionale n. 87 del 1953, articolo 30, – trova applicazione nell’ambito del presente procedimento in quanto, sebbene questione non investita dal ricorso, la durata delle sanzioni accessorie come determinata nella sentenza impugnata si qualifica in termini di (sopravvenuta) illegalita’ della pena, apprezzabile ex officio in sede di legittimita’ (S.U. n. 33040 del 26 febbraio 2015, Jazouli, Rv. 264207).
Nella sentenza additiva richiamata, la Consulta ha esplicitamente escluso l’applicabilita’ dello strumento di commisurazione (cor)relativa declinato dall’articolo 37 c.p., che, in ipotesi di pena accessoria indeterminata, ne determina la durata nella stessa misura della pena principale, ritenendo il relativo meccanismo non adeguato ad assicurare la necessaria autonoma quantificazione in considerazione della specifica e non sovrapponibile funzione del diverso ordine di pene sia in relazione al diverso carico di afflittivita’ rispetto ai diritti fondamentali della persona, che della diversa finalita’.
Siffatta interpretazione non e’ stata ritenuta vincolante in una prima applicazione giurisprudenziale (Sez. 5, 7 dicembre 2018 in proc. 23648/2016, Piermartiri, informazione provvisoria n. 16/2018), mentre altro orientamento (Sez. 5, 13 dicembre 2018 in proc. 3703/2018, Retrosi; Sez. 5, n. 5882 del 6 febbraio 2019, Rv. 274413) si e’ determinato nel senso di dover rimettere al giudice del merito la determinazione discrezionale dell’entita’ delle pene accessorie ex articolo 216 u.c..
4.2. Alla stregua del contrasto, manifestatosi nell’immediatezza della pronuncia della Consulta, e’ stata rimessa alle Sezioni Unite la questione “se le pena accessorie previste per il reato di bancarotta fraudolenta dalla L. Fall., articolo 216, u.c., come riformulato ad opera della sentenza n. 222 del 5/12/2018 della Corte costituzionale con sentenza dichiarativa di illegittimita’ costituzionale, mediante l’introduzione della previsione della sola durata massima “fino a dieci anni” debbano considerarsi pena con durata non predeterminata e quindi ricadere nella regola generale di computo di cui all’articolo 37 c.p. (che prevede la commisurazione della pena accessoria non predeterminata alla pena principale inflitta), con la conseguenza che e’ la stessa Cassazione a poter operare la detta commisurazione con riferimento ai processi pendenti; ovvero se, per effetto, della nuova formulazione, la durata delle pene accessorie debba invece considerarsi predeterminata entro la forbice data, con la conseguenza che non trova applicazione l’articolo 37 c.p., ma, di regola, la rideterminazione involge un giudizio di fatto di competenza del giudice del merito, da effettuarsi facendo ricorso ai parametri di cui all’articolo 133 c.p.”.
Con sentenza n. 28910 del 28 febbraio 2019, le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito come “le pene accessorie previste dalla L. Fall., articolo 216, nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 della Corte costituzionale, cosi’ come le altre pene âEuroËœaccessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p.”.
In applicazione dell’enunciato principio di diritto, la verifica dei parametri di commisurazione della pena accessoria, in quanto sanzione predeterminata, in riferimento al carico di afflittivita’ rispetto ai diritti fondamentali della persona (liberta’ di iniziativa economica) ed alla finalita’ (non (solo) rieducativa) della medesima, resta assegnata alla discrezionalita’ del giudice del merito.
4.3. Nel caso in esame, la durata delle pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 3, e’ stata determinata dal giudice di merito in conformita’ alla disposizione normativa, con conseguente obbligo di rideterminazione.
In applicazione degli enunciati principi di diritto, che assegnano alla discrezionalita’ del giudice del merito la verifica dei parametri di commisurazione della pena accessoria, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla determinazione della durata delle sanzioni accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c., irrogate all’imputato nella misura di dieci anni, con rinvio al giudice di merito per nuovo esame sul punto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c., con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte d’appello di Perugia; dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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