Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|3 dicembre 2020| n. 27703.
La facoltà riconosciuta dall’art. 249 c.p.c. all’avvocato di astenersi dal testimoniare su quanto conosciuto in ragione della propria professione (sia in sede giudiziale che in sede stragiudiziale) è destinata a garantire la piena esplicazione del diritto di difesa, consentendo che al difensore tecnico possano essere resi noti fatti e circostanze utili per l’esercizio di un efficace ministero difensivo, dovendo il controllo riservato al giudice, circa il corretto esercizio della facoltà di astensione, focalizzarsi esclusivamente sulla ricorrenza del presupposto oggettivo, riferito alla condizione di avvocato di colui che è chiamato a testimoniare, e di quello soggettivo, riferito all’oggetto della deposizione, che deve riguardare circostanze conosciute per ragione del ministero difensivo o dell’attività professionale.
Ordinanza|3 dicembre 2020| n. 27703
Data udienza 7 ottobre 2020
Integrale
Tag/parola chiave: Appello – Ordinanza di inammissibilità ex art. 348 ter c.p.c. – Ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado – Astensione dell’avvocato dal rendere testimonianza su circostanze conosciute per ragione della propria attività professionale – Segreto professionale – Diritto – dovere – Censure di merito – Rigetto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente
Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere
Dott. MARULLI Marco – Consigliere
Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8799/2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 02/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/10/2020 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.
RITENUTO
che:
La Corte di appello di Catania, esaminato il gravame proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza del Tribunale di Catania n. 844/2016 emessa nel giudizio introdotto con atto di citazione notificato l’8/5/2013 da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), lo ha dichiarato inammissibile con ordinanza ex articolo 348 bis c.p.c., “non sussistendo ragionevoli probabilita’ di suo accoglimento” in applicazione delle disposizioni sul c.d. filtro.
(OMISSIS) ha proposto con tre mezzi ricorso avverso l’ordinanza ex articolo 348 ter c.p.c., per violazione dell’articolo 111 Cost., comma 7 e, in subordine, ha proposto ricorso ordinario avverso la sentenza di primo grado con cinque mezzi; ha depositato anche memoria. (OMISSIS) ha replicato con controricorso e proposto ricorso incidentale con due mezzi.
CONSIDERATO
che:
1. Il ricorso e’ articolato in due parti: la prima concerne l’impugnazione dell’ordinanza ex articolo 348 ter c.p.c.; la seconda sostanzialmente l’impugnazione della sentenza di primo grado.
2.1. Procedendo all’esame della impugnazione dell’ordinanza ex articolo 348 c.p.c., si osserva che:
– Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 111 Cost., comma 7, in relazione al difetto di motivazione.
Egli sostiene che la Corte di appello senza motivare e con irriducibile contrasto, da un lato abbia predicato che l’avvocato ai sensi dell’articolo 200 c.p.p., ha sempre facolta’ di astenersi dal deporre come testimone e dall’altro abbia ritenuto incongrua la giurisprudenza citata che relativizza la facolta’ di astensione, circoscrivendo l’incompatibilita’ solo all’ipotesi di contestuale assunzione nel medesimo grado del procedimento della veste di difensore e testimone. Critica altresi’, perche’ non motivata, l’affermazione secondo la quale non erano state da lui stesso allegate altre prove.
– Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 111 Cost., comma 7 e articolo 6 Cost., in relazione al difetto di motivazione: si duole che il giudizio di inammissibilita’ per non sussistenza di ragionevoli probabilita’ di accoglimento sia stata fondata sull’esame di uno solo dei plurimi motivi di gravame, senza che sia ravvisabile una motivazione circa la arbitraria mutilazione delle altre censure.
– Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 111 Cost., comma 7, in relazione alla errata interpretazione dell’articolo 200 c.p.p., perche’, a suo dire, la deroga al dovere di testimoniare prevista dall’articolo 200 c.p.p., non e’ generale, ma circoscritta alla sola ipotesi in cui l’avvocato riveste il ruolo di difensore e di testimone nello stesso giudizio.
2.2. Risulta decisivo osservare, per quanto interessa, che la Corte territoriale ha dichiarato inammissibile l’impugnazione concernente la decisione con la quale il primo giudice aveva riconosciuto la legittimita’ della facolta’ di astenersi dalla testimonianza, esercitata dai due testi indicati dall’attore (OMISSIS), entrambi avvocati, sulla scorta di quanto previsto dall’articolo 249 c.p.c., che regola la facolta’ di astensione in combinato disposto con l’articolo 200 c.p.p., avendo ritenuto incongruo il richiamo operato dall’appellante alla sentenza n. 87 del 1997 della Corte Costituzionale perche’ afferente la figura del procuratore legale ed alla sentenza della Cassazione n. 16151/2010, resa in tema di incompatibilita’ a rendere testimonianza; ha, inoltre, rimarcato che l’appellante non aveva neppure allegato di avere dedotto ulteriori prove idonee a fondare la sua prospettazione, diverse dalla anzidette testimonianze e non esaminate dal primo giudice.
2.3. Ne consegue che gli anzidetti motivi, da trattarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili poiche’ l’ordinanza di inammissibilita’ dell’appello ex articolo 348 bis c.p.c., non e’ impugnabile con ricorso per cassazione quando, come avvenuto nel caso di specie, ha confermato le statuizioni di primo grado, pur se attraverso un percorso argomentativo “parzialmente diverso” da quello seguito nella pronuncia impugnata, non configurandosi, in tale ipotesi, una decisione fondata su una ratio decidendi autonoma e diversa ne’ sostanziale ne’ processuale (Cass. n. 23334 del 19/09/2019).
Le plurime censure, inoltre, nemmeno prospettano vizi di carattere processuale propri dell’ordinanza filtro (Cass. Sez. U., n. 1914 del 2/2/2016; Cass. n. 15 del 3/1/2017, in motivazione), che avrebbero consentito il ricorso per cassazione.
3.1. Il ricorrente poi svolge i motivi di impugnazione diretti avverso la sentenza di primo grado.
Rileva il Collegio che la Corte di appello con l’ordinanza ex articolo 348 ter c.p.c., si e’ limitata a fornire la valutazione prognostica circa la non ragionevole probabilita’ di accoglimento del gravame, compiendo una valutazione di merito, conformemente alle finalita’ dell’istituto, senza eccedere rispetto ai limiti che l’ordinamento ha assegnato a tale provvedimento. Pertanto, correttamente la parte ha proposto ricorso avverso la sentenza del giudice di primo grado, alla luce di quanto ribadito dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. U., n. 1914 del 2/2/2016; Cass. n. 14329 del 8/6/2017).
3.2. Le censure sono le seguenti:
I – Primo motivo: violazione dell’articolo 200 c.p.p.. Il ricorrente sostiene che i due avvocati non potevano avvalersi della facolta’ di non testimoniare della L. n. 34 del 1934, ex articolo 13, perche’ non ricorrevano i presupposti indicati nella sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 1997 in quanto nessuno dei due professionisti era difensore di alcuna delle parti del giudizio nel corso del quale erano stati intimati come testimoni (requisito soggettivo) ed i fatti sui quali erano stati chiamati a testimoniare non erano stati appresi per alcuna difesa tecnica, ne’ erano utili o necessari per l’esercizio di un mandato difensivo nel processo, poiche’ gli stessi avevano svolto consulenze extragiudiziali in occasione della composizione di interessi al di fuori di qualsiasi processo (requisito oggettivo).
II – Secondo motivo: errata interpretazione della giurisprudenza della Corte Costituzionale (sent. n. 87 del 1997) e della giurisprudenza di legittimita’ in tema di incompatibilita’ a testimoniare (Cass. n. 16151/2010); nonche’ omessa motivazione con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il ricorrente sostiene che non ricorreva nel caso di specie una incompatibilita’ assoluta a testimoniare di cui all’articolo 197 c.p.c..
III – Terzo motivo: violazione dell’articolo 200 c.p.c., comma 2, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; violazione dell’obbligo di valutare la attendibilita’ e la congruita’ dell’eccezione di astensione – Illegittima omissione. Il ricorrente sostiene che l’obbligo di valutare la legittimita’ dell’astensione che compete al giudice del merito non e’ formale, ma sostanziale e deve essere compiuta in concreto; sostiene che in tale indagine non e’ indifferente il nocumento che la deposizione potrebbe arrecare al cliente, ossia la rivelazione di un segreto in quanto solo qualora la deposizione costituisca un segreto, vale il divieto di rivelarlo ex articolo 622 c.p., senza una giusta causa e senza una valutazione del potenziale nocumento.
IV – Quarto motivo: omessa valutazione del codice deontologico vigente (2014) da parte della Corte territoriale. Il ricorrente sostiene che secondo il vigente codice deontologico e’ assente la facolta’ generale di astensione dell’avvocato dal rendere testimonianza e che la questione si pone solo quando questi e’ chiamato a testimoniare nello stesso processo in cui ha la contestuale veste di difensore.
V – Quinto motivo: violazione dell’articolo 116 c.p.c. e degli articoli 2727-2729 c.c.. Altre prove che avrebbero dovuto far accogliere la domanda. Mancata valutazione delle stesse da parte del Collegio – Obbligo di valutare la reticenza dei testi ex articolo 372 c.p. Violazione dell’articolo 2736 c.c. – giuramento decisorio in caso di semipiena probatio. Violazione dell’articolo 112 c.p.c., per omesso esame e pronuncia sui fatti decisivi.
Il ricorrente sostiene di avere prodotto molteplici prove documentali ed indizi di prova nel corso del giudizio di primo grado decisivi e si duole che non siano stati valutati con prudente apprezzamento per avvalorare la prospettazione che egli stesso propone in merito alla ricostruzione dei fatti di causa.
3.3. Come si evince dallo stesso ricorso, sul punto sufficientemente specifico, i motivi di appello erano solo quattro, ma le questioni sottese possono essere scrutinate ove risultino sostanzialmente riproposte nei termini consentiti anche se in cinque motivi, in linea con il principio secondo il quale “Nel caso in cui l’appello sia stato dichiarato inammissibile ex articolo 348-ter c.p.c., il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado puo’ essere proposto entro i limiti delle questioni gia’ sollevate con l’atto di appello e di quelle riproposte ex articolo 346 c.p.c., senza che possa assumere rilievo la diversa formulazione dei motivi, che trova giustificazione nella natura del ricorso per cassazione, quale mezzo di impugnazione a critica vincolata, proponibile esclusivamente per i vizi previsti dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, non comportando la dichiarazione di inammissibilita’ dell’appello sostanziali modificazioni nel giudizio di legittimita’, fatta eccezione per la necessita’ che l’impugnazione sia rivolta direttamente contro la sentenza di primo grado e per l’esclusione della deducibilita’ del vizio di motivazione” (Cass. n. 23320 del 27/09/2018).
Il ricorso nella parte in cui e’ rivolto avverso la sentenza di primo grado e’ pertanto ammissibile.
3.4.1. Passando all’esame dei motivi, si osserva che il primo ed il terzo, strettamente avvinti in quanto concernono l’interpretazione e l’applicazione dell’articolo 249 c.p.c. e articolo 200 c.p.p., vanno trattati congiuntamente e respinti perche’ infondati.
3.4.2. Com’e’ noto, nel processo civile (come d’altra parte in ogni processo), la testimonianza costituisce un dovere per il cittadino, nel momento in cui il giudice, dopo aver valutato la richiesta della parte, abbia ritenuto la ammissibilita’ della prova ed abbia disposto la citazione del teste.
L’ufficio di testimone comporta, per chi ne e’ onerato, l’obbligo di presentarsi dinanzi al giudice e l’ulteriore obbligo di dire la verita’, come da impegno che assume prestando il giuramento ex articolo 251 c.p.c.; inoltre se il testimone rifiuta di giurare o di deporre senza giustificato motivo oppure vi sia il fondato sospetto che non abbia detto la verita’ o sia stato reticente, il giudice istruttore lo denuncia al Pubblico Ministero ex articolo 256 c.p.c., in relazione al delitto di cui all’articolo 372 c.p..
L’articolo 200 c.p.p., prevede, tuttavia, che alcuni soggetti che ricoprono particolari uffici o esercitano particolari professioni, tra i quali gli avvocati, non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del loro ufficio o professione, riconoscendo cosi’ ad essi la facolta’ di opporre il “segreto professionale” e di essere esentati dall’obbligo di deporre; pur spettando al giudice il potere di sindacare l’opposizione del segreto professionale da parte del testimone e, ove tale opposizione risulti infondata, di ordinare allo stesso di deporre (Cass. pen., Sez. 6, n. 7440 del 10/01/2017; Cass. pen., Sez. 2, n. 13369 del 07/01/2011) e l’articolo 249 c.p.c., riconosce all’avvocato la “facolta’ di astenersi” dal rendere testimonianza, proprio mediante il richiamo al cit. articolo 200 c.p.p..
Sul tema dell’esercizio della facolta’ di astensione da parte dell’avvocato e’ intervenuta la Corte Costituzionale che, nella sentenza n. 87 del 1987 richiamata dallo stesso ricorrente, ha chiarito bene la funzione dell’istituto, sottolineando che “la complessiva disciplina normativa del segreto di chi esercita la professione forense e della correlativa facolta’ di astenersi dal deporre, quale testimone in giudizio, su quanto conosciuto nell’esercizio di tale professione,… risponde all’esigenza di assicurare una difesa tecnica, basata sulla conoscenza di fatti e situazioni, non condizionata dalla obbligatoria trasferibilita’ di tale conoscenza nel giudizio, attraverso la testimonianza di chi professionalmente svolge una tipica attivita’ difensiva” ed ha rimarcato che la stessa e’ “destinata a garantire la piena esplicazione del diritto di difesa, consentendo che ad un difensore tecnico possano, senza alcuna remora, essere resi noti fatti e circostanze la cui conoscenza e’ necessaria o utile per l’esercizio di un efficace ministero difensivo” in quanto la facolta’ di astensione dell’avvocato non costituisce un’eccezione alla regola generale dell’obbligo di rendere testimonianza, ma e’ essa stessa espressione del diverso principio di tutela del segreto professionale.
Quanto ai presupposti necessari per poterla esercitare, ha affermato che “La facolta’ di astensione dalla testimonianza in giudizio presuppone la sussistenza di un requisito soggettivo e di un requisito oggettivo. Il primo, riferito alla condizione di avvocato di chi e’ chiamato a testimoniare, consiste nell’essere la persona professionalmente abilitata ad assumere la difesa della parte in giudizio. Il secondo requisito e’ riferito all’oggetto della deposizione, che deve concernere circostanze conosciute per ragione del proprio ministero difensivo o dell’attivita’ professionale, situazione questa che puo’ essere oggetto di verifica da parte del giudice”.
Con la precisazione che “La protezione del segreto professionale, riferita a quanto conosciuto in ragione dell’attivita’ forense svolta da chi sia legittimato a compiere atti propri di tale professione, assume carattere oggettivo, essendo destinata a tutelare le attivita’ inerenti alla difesa e non l’interesse soggettivo del professionista”.
In sintesi, la facolta’ di astensione riconosciuta all’avvocato si inscrive nella tutela del diritto di difesa inteso in senso ampio proprio perche’ e’ “destinata a garantire la piena esplicazione del diritto di difesa, consentendo che ad un difensore tecnico possano, senza alcuna remora, essere resi noti fatti e circostanze la cui conoscenza e’ necessaria o utile per l’esercizio di un efficace ministero difensivo.” e, quindi, l’avvocato puo’ avvalersene riguardo alle conoscenze acquisite in ogni fase dell’attivita’ professionale, sia contenziosa che non come nel caso in esame, in cui l’attivita’ professionale prestata era di tipo stragiudiziale, di guisa che il presupposto oggettivo connesso allo svolgimento dell’attivita’ professionale non puo’ ritenersi circoscritto alla sola ipotesi in cui egli abbia assunto la veste di difensore nel processo, nel qual caso – peraltro – ricorrerebbe una incompatibilita’ a testimoniare. E’ decisivo osservare che la Corte Costituzionale parla espressamente, in relazione al “requisito soggettivo”, di “circostanze conosciute per ragione del proprio ministero difensivo o dell’attivita’ professionale”.
3.4.3. Alla luce di quanto puntualizzato in ordine alla funzione assolta dall’istituto, il controllo riservato al giudice circa il corretto esercizio della facolta’ di astensione va focalizzato esclusivamente sulla ricorrenza dei presupposti soggettivo ed oggettivo, senza che la scelta compiuta dall’avvocato, intimato come teste, possa ritenersi sindacabile sotto il profilo dell’interesse del soggetto che ha articolato la prova testimoniale.
3.4.4. Orbene, nel caso di specie, risulta incontroverso che i due avvocati avevano svolto in epoca antecedente al giudizio attivita’ professionale per (OMISSIS) in occasione della quale avevano appreso i fatti su cui avrebbero dovuto rendere testimonianza, come accertato dal Tribunale con statuizione non impugnata, e la decisione risulta pertanto immune dai vizi denunciati.
3.5.1. Il secondo motivo e’ inammissibile.
Senza necessita’ di tornare sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 1987, su cui ci si e’ soffermati nei paragrafi precedenti, giova ricordare che l’incompatibilita’ a testimoniare ricorre quando una persona, dotata di capacita’ di testimoniare nella generalita’ dei processi penali (articolo 196 c.p.p.), ma anche civili, non e’ legittimata a svolgere la funzione di testimone in un determinato procedimento (capacita’ specifica) per ragioni riconducibili alla volonta’ del legislatore di: 1) esonerare alcuni soggetti dall’obbligo di dire la verita’ (articolo 197, comma 1, lettera a, b, c); 2) escludere tutti quei soggetti che abbiano ricoperto determinate funzioni all’interno dello stesso procedimento (articolo 197, comma 1, lettera d). Si tratta, in entrambi i casi, di limiti soggettivi alla testimonianza.
3.5.2. Nel caso in esame non e’ stata fatta alcuna applicazione dell’articolo 197 c.p.p., ma del diverso istituto che facoltizza il diritto all’astensione, esaminato sub 3.4.1 e ss.. poiche’ nella fattispecie in esame non ricorreva alcun divieto legale a rendere testimonianza e la giurisprudenza di legittimita’ richiamata da (OMISSIS) non risulta pertinente al caso in esame..
3.6.1. Il quarto motivo e’ inammissibile, laddove appare volto a censurare l’ordinanza della Corte di appello, per le ragioni gia’ espresse sub 3.3.
3.6.2. Per completezza si deve osservare che il Tribunale ha compiutamente valutato le regole dettate dal Codice deontologico forense (approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta del 31 gennaio 2014) e la rispondenza della condotta in esame alle stesse ed il motivo, ove volto a censurare anche la sentenza di primo grado, e’ infondato.
3.6.3. Invero, contrariamente a quanto assume il ricorrente il Codice deontologico non solo prevede che e’ “dovere, oltre che diritto, primario e fondamentale dell’avvocato mantenere il segreto e il massimo riserbo sull’attivita’ prestata e su tutte le informazioni che gli siano fornite dal cliente e dalla parte assistita, nonche’ su quelle delle quali sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato.” (articolo 28) ma, in tema di “Testimonianza dell’avvocato”, dispone che “L’avvocato deve astenersi, salvo casi eccezionali, dal deporre, come persona informata sui fatti o come testimone, su circostanze apprese nell’esercizio della propria attivita’ professionale e ad essa inerenti.” (articolo 51).
Per quanto interessa, l’articolo 51 – che peraltro prevede un dovere di astensione e non solo una facolta’ – e’ conforme alle disposizioni processualistiche esaminate in merito all’ampiezza soggettiva della sua applicabilita’. Essa riguarda infatti ogni avvocato e non solo colui che abbia assunto la veste di difensore nel processo: in questi sensi soccorre il dato letterale, poiche’ le disposizioni del Codice deontologico riferite all’avvocato che abbia assunto la veste di difensore contengono in termini espliciti tale qualificazione, e cio’ non ricorre nel caso dell’articolo 51; soccorre anche la collocazione sistematica di detta disposizione nel Titolo IV che regola i “Doveri dell’avvocato nel processo” e che prende in considerazione molteplici condotte, alcune disciplinate al fine di preservare il corretto svolgimento del rapporto professionale in sede processuale con il cliente e circoscritte in questo ambito, ed altre, come l’articolo 51, dettate per preservare il completo svolgimento dell’attivita’ difensiva anche nell’ambito processuale e che si connotano per una piu’ ampia portata soggettiva, tale da poter prescindere dall’esistenza in atti di un mandato difensivo.
Ne consegue l’infondatezza anche del motivo che propugna una piu’ restrittiva interpretazione della disciplina in esame sulla scorta delle previsioni del codice deontologico.
3.7. Il quinto motivo e’ inammissibile perche’ la censura, pur formulata come violazione di plurime norme e violazione per omesso esame di fatti decisivi, in realta’ assume la connotazione di una denuncia di vizi motivazionali, non ammissibile in sede di legittimita’.
In proposito va ricordato che “In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’articolo 116 c.p.c., e’ ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e’ ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimita’ sui vizi di motivazione” (Cass. Sez. U. n. 20867 del 30/09/2020).
Nel caso di specie il ricorrente ripercorre il materiale probatorio a suo dire decisivo – e sostanzialmente ne sollecita il riesame in conformita’ a quanto dallo stesso auspicato, giacche’ la critica in merito alla violazione dell’articolo 116 c.p.c., non riguarda l’applicazione errata o meno di specifiche regole di valutazione delle prove, ma la valutazione in se’ compiuta dal giudice del merito. Anche la censura afferente la violazione dell’articolo 372 c.p.c., in relazione alla reticenza dei testi, si sostanzia in una richiesta di riesame del merito. Quanto al mancato deferimento del giuramento ex articolo 2736 c.c., da parte del giudice di merito, l’assunto e’ formulato in maniera generica e non consente alcuna valutazione sulla effettiva possibile applicabilita’ dell’istituto nel caso di specie. Infine la denuncia di omesso esame di fatti decisivi non e’ assistita dalla dovuta specificita’ sia in merito ai fatti ed alla loro decisivita’, sia alla tempestiva introduzione nel giudizio degli stessi.
4.1. Il ricorso incidentale proposto da (OMISSIS) e’ articolato in due motivi.
Il primo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2722 c.c., in relazione all’articolo 1362 c.c. – segnatamente sostenendo la inammissibilita’ della prova per testi articolata per provare il pactum fiduciae in relazione alla intestazione delle quote della societa’ (OMISSIS) SRL; il secondo denuncia la violazione degli articoli 2730 e 2735 c.c. – assumendo il valore confessorio delle tesi sostenute dal (OMISSIS), in precedente giudizio cautelare, circa la natura fittizia dell’intestazione delle quote della (OMISSIS) SRL, tesi di cui il ricorrente incidentale evidenzia il conflitto con quella della interposizione reale, sostenuta nella presente controversia.
4.2. Richiamato il principio gia’ riportato sub 3.3., il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile perche’ nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, proponibile ai sensi dell’articolo 348 ter c.p.c., comma 3, l’atto d’appello, dichiarato inammissibile, e la relativa ordinanza, pronunciata ai sensi dell’articolo 348 bis c.p.c., costituiscono requisiti processuali speciali di ammissibilita’, con la conseguenza che, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., n. 3, e’ necessario che nel suddetto ricorso per cassazione sia fatta espressa menzione dei motivi di appello e della motivazione dell’ordinanza ex articolo 348 bis c.p.c., al fine di evidenziare l’insussistenza di un giudicato interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimita’ e gia’ prospettate al giudice del gravame (Cass. n. 10722 del 15/05/2014; Cass. n. 26936 del 23/12/2016).
Nel caso di specie il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile perche’ non assolve a tale onere in ordine alla effettiva e tempestiva proposizione dell’appello incidentale avverso la sentenza di primo grado mediante motivi di contenuto analogo a quelli sottoposti a questa Corte; ne’ cio’ e’ evincibile dall’ordinanza ex articolo 348 ter c.p.c., della Corte di appello, che non da’ conto di alcun appello incidentale e qualifica il (OMISSIS) esclusivamente come appellato.
5. In conclusione l’impugnazione dell’ordinanza ex articolo 348 ter c.p.c., proposta da (OMISSIS) va dichiarata inammissibile; il ricorso principale proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza di primo grado va rigettato, infondati i primi quattro motivi, inammissibile il quinto; il ricorso incidentale proposto da (OMISSIS) va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimita’ si compensano in ragione della reciproca soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).
P.Q.M.
– Dichiara inammissibile il ricorso ex articolo 348 ter c.p.c., avverso l’ordinanza della Corte di appello di Catania ex articolo 348 ter c.p.c., depositata il 2/2/2017;
– Rigetta il ricorso principale avverso la sentenza del Tribunale di Catania n. 844/2016 e dichiara inammissibile il ricorso incidentale;
– Compensa le spese del giudizio di legittimita’ tra le parti;
– Da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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