Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 31 maggio 2019, n. 24372.
La massima estrapolata:
La Corte di cassazione non è giudice del sapere scientifico, giacché non detiene proprie conoscenze privilegiate: essa, in vero, è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine alla affidabilità delle informazioni che vengono utilizzate ai fini della spiegazione del fatto. In questa prospettiva, il giudice di merito può fare legittimamente propria, allorché gli sia richiesto dalla natura della questione, l’una piuttosto che l’altra tesi scientifica, purché dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire. In questo compito di selezione del “sapere accreditato” che può utilmente orientare la decisione, il giudice deve però esaminare le basi fattuali sulle quali le argomentazioni degli esperti sono state condotte; deve verificare l’ampiezza, la rigorosità e l’oggettività della ricerca; e deve apprezzare conclusivamente l’attitudine esplicativa dell’elaborazione teorica prescelta, nonché il grado di consenso che le tesi sostenute dall’esperto raccolgono nell’ambito della comunità scientifica (nella specie, la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di condanna pronunciata in sede di merito a carico dei medici sociali e del medico del Servizio di emergenza del 118, intervenuti a prestare le cure ad un calciatore che, durante un incontro di calcio aveva subito un malore, decedendo poi per le conseguenze di una cardiomiopatia aritmogena da cui era risultato affetto, evidenziando come l’addebito colposo, basato principalmente sul contestato mancato utilizzo a scopo terapeutico del defribillatore cardiaco, non era stato convincentemente motivato soprattutto con riferimento allo solo prospettata, ma non idoneamente supportata dal punto di vista tecnico, idoneità di tale uso per consentire una favorevole evoluzione del quadro patologico e favorire la gestione della crisi).
Sentenza 31 maggio 2019, n. 24372
Data udienza 9 aprile 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DOVERE Salvatore – Presidente
Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere
Dott. MONTAGNI Andrea – rel. Consigliere
Dott. NARDIN Maura – Consigliere
Dott. CENCI Daniele – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 07/02/2018 della CORTE APPELLO di L’AQUILA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MARINELLI Felicetta, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
uditi i difensori:
Per la parte civile (OMISSIS) tutore di (OMISSIS) e’ presente l’avv. (OMISSIS), del foro di Bergamo che chiede la conferma della sentenza della corte d’Appello dell’Aquila e il rigetto dei ricorsi, deposita conclusioni e nota spese. Per il resp. civile e’ presente l’avv. (OMISSIS), del foro di Pescara in sostituzione dell’avv. (OMISSIS) nomina a sostituto depositata in udienza che chiede l’accoglimento dei ricorsi.
Per (OMISSIS) sono presenti gli avvocati (OMISSIS), del foro di Pescara e l’avv. (OMISSIS), del foro di Pescara che chiedono l’accoglimento del ricorso.
Per (OMISSIS) e’ presente l’avv. (OMISSIS), del foro di Pescara che chiede l’accoglimento del ricorso.
Per (OMISSIS) sono presenti gli avvocati (OMISSIS), del foro di Livorno e (OMISSIS) del foro di Livorno che chiedono l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di L’Aquila, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza di condanna resa dal Tribunale di Pescara in data 13.09.2016 nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in riferimento al delitto di omicidio colposo, ha escluso il responsabile civile A.S.L. di Pescara, con revoca delle relative statuizioni civili, confermando nel resto.
Al (OMISSIS), quale medico sociale della squadra (OMISSIS), al (OMISSIS), quale medico sociale della squadra (OMISSIS) e al (OMISSIS), quale medico responsabile dell’Unita’ Mobile di pronto soccorso presente presso lo stadio comunale di Pescara ove era in corso una partita del campionato di serie B, si ascrive, agendo in cooperazione colposa, di avere cagionato la morte di (OMISSIS), calciatore professionista della squadra del (OMISSIS).
Nel confermare la valutazioni del primo giudice, la Corte territoriale rilevava: che al 29 minuto di gioco, il calciatore (OMISSIS) si era accasciato al suolo, in stato di incoscienza; che il (OMISSIS) e il (OMISSIS), nel volgere di pochi secondi, erano intervenuti per soccorrere il giovane; che i due medici avevano omesso di utilizzare il defibrillatore automatico che pure era disponibile sul campo di gioco ovvero di sollecitarne l’uso da parte di altro personale sanitario presente; che il (OMISSIS) si era portato presso il giocatore dopo circa due minuti e 47 secondi dal momento in cui si era verificato il malore, omettendo di assumere la guida dei soccorsi e, a sua volta, di utilizzare il defibrillatore; che il (OMISSIS), in particolare, aveva deciso di trasportare in ospedale il giocatore, senza che le condizioni cliniche fossero stabilizzate. In tal modo, secondo i giudici di merito, gli odierni imputati, agendo in violazione delle linee guida e dei protocolli applicabili ai casi di emergenza nell’ambito degli arresti cardiaci, non impedirono la morte del (OMISSIS), che sopraggiungeva alle ore 16.44 del 14 aprile del 2012, quando il paziente si trovava presso il Pronto Soccorso dell’ospedale di Pescara. La Corte di Appello chiariva, sulla base degli esiti dell’accertamento autoptico e delle indicazioni del collegio peritale, che la causa del decesso era da individuare in una fibrillazione ventricolare localizzata nel ventricolo sinistro; ed osservava che il defibrillatore esterno e’ un apparecchio in grado di erogare lo shock elettrico necessario in caso di fibrillazione ventricolare, efficace per il ripristino del normale ritmo cardiaco. Al riguardo, il Collegio evidenziava che il defibrillatore andava impiegato immediatamente, a scopo diagnostico oltre che terapeutico, stante le accertate potenzialita’ dello strumento. In riferimento alla imputazione causale dell’evento, la Corte di Appello osservava che la giovane eta’ dell’atleta, l’esiguita’ dell’estensione cicatriziale riscontrata all’esame anatomopatologico e l’assenza completa di coronaropatia erano evenienze che inducevano a ritenere che l’evoluzione del quadro patologico del (OMISSIS), in caso di utilizzo del defibrillatore dopo 27 secondi dal malore, sarebbe stata favorevole. I giudici rilevavano infine: che i medici sportivi, a fronte dei sintomi manifestati dal calciatore, avevano l’obbligo di utilizzare direttamente il defibrillatore; e che il (OMISSIS), quale responsabile dell’unita’ Mobile di Pronto Soccorso, presente sul campo di gioco, aveva parimenti l’obbligo in intervenire in soccorso del giocatore; e che la sua condotta professionale era stata realizzata in frontale contrasto con le raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento.
2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di L’Aquila hanno proposto distinti ricorsi per cassazione gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), a mezzo dei rispettivi difensori.
3. Dopo aver ripercorso i termini dell’intera vicenda, (OMISSIS), con il primo motivo, deduce la violazione delle norme processuali stabilite a pena di nullita’, con specifico riferimento all’articolo 429 c.p.p., comma 2, stante la genericita’ del capo di imputazione e la mancata indicazione della fonte dalla quale deriverebbe l’obbligo impeditivo omesso, ex articolo 40 c.p..
La parte sottolinea che, secondo il contenuto del capo di imputazione, al (OMISSIS) si contesta: di non essere intervenuto presso il calciatore che si trovava in stato di incoscienza con la necessaria tempestivita’; di non aver assunto il coordinamento dei soccorsi; di aver omesso di utilizzare il defibrillatore e di aver deciso di traferire il paziente in ospedale, senza che il giovane fosse stabilizzato.
Cio’ posto, il deducente rileva che con l’atto di appello aveva evidenziato che la mancata indicazione della fonte normativa dalla quale sarebbe emerso a carico del (OMISSIS) l’obbligo giuridico di impedire l’evento aveva comportato l’impossibilita’ di comprendere appieno i motivi dell’addebito con conseguente lesione del diritto di difesa. Il ricorrente considera che la risposta offerta dalla Corte territoriale, rispetto alla richiamata censura, risulta illogica e contraddittoria.
Dopo aver ricordato le indicazioni offerte dal codice di procedura penale sul contenuto dell’imputazione, la parte si sofferma sulla struttura normativa del reato omissivo improprio, inteso quale violazione dell’obbligo impeditivo, richiamando il portato della clausola di equivalenza di cui all’articolo 40 c.p., comma 2. Osserva che i giudici di merito non hanno indicato la fonte dalla quale sarebbe scaturito l’obbligo di intervento a carico del (OMISSIS) ne’ la ragione per la quale il predetto ha assunto una posizione di garanzia.
Con il secondo motivo del ricorso nell’interesse di (OMISSIS) viene denunciata la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza in capo all’imputato dell’obbligo giuridico di impedire l’evento e la carenza motivazionale per mancata indicazione della fonte del predetto obbligo impeditivo. L’esponente ribadisce che non e’ dato comprendere in forza di quale legge, contratto od altra fonte sia stata ritenuta sussistente la relazione terapeutica tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), con conseguente assunzione di una posizione di garanzia, da parte del sanitario. Considera che, secondo quanto affermato dalla Corte di Appello, l’obbligo giuridico di impedire l’evento discenderebbe dalla presenza in campo del (OMISSIS) quale medico del 118, pur in assenza di una normativa che imponesse al predetto di attivarsi, a fronte della concomitante presenza di altri sanitari. Il deducente rileva che la Corte di Appello e’ incorsa in un errore in iudicando, laddove ha ritenuto sussistente un elemento strutturale del reato omissivo improprio, posto che la presenza in campo del (OMISSIS) poteva giustificarsi solo in ragione di una spontanea scelta effettuata dall’imputato, di recarsi sul terreno di gioco per mettere a disposizione le proprie competenze tecniche.
L’esponente rileva che erroneamente la Corte distrettuale ha affermato che il medico del 118 fosse la persona piu’ qualificata all’intervento di urgenza; la parte sottolinea, al riguardo, che sul posto, si trovava pure il primario di cardiologia dell’Ospedale di Pescara. Il ricorrente osserva che il Collegio si e’ adagiato sulla valutazione del consulente tecnico del pubblico ministero, peraltro destituita di alcun supporto giustificativo.
Il deducente rileva che il volontario intervento dell’imputato sul campo di gioco, realizzato per spirito solidaristico, in assenza di uno specifico obbligo di attivarsi, non ha comportato l’assunzione di una posizione di garanzia in capo al (OMISSIS), in assenza di una effettiva presa in carico del paziente. A conferma dell’assunto, nel ricorso si sottolinea che il prevenuto, una volta avvicinatosi al calciatore, omise di espletare qualsiasi azione a scopo diagnostico o terapeutico, circostanza riferita dalle sentenze di merito.
Il ricorrente rileva che i giudici di secondo grado hanno omesso di considerare che sul campo di gioco intervenne (OMISSIS), primario dell’unita’ di terapia intensiva cardiologica dell’ospedale di (OMISSIS), il quale assunse il ruolo di leader dei soccorsi. Rileva che la circostanza era stata riferita dal primo giudice; e che la posizione del (OMISSIS) risulta definita con decreto di archiviazione. L’esponente si sofferma sul contesto fattuale nel quale si svolsero i soccorsi e ribadisce che fu il (OMISSIS) a gestire la situazione di emergenza, pure praticando il massaggio cardiaco sul (OMISSIS). Osserva che nella equipe gerarchicamente organizzata, che si era venuta a creare dopo l’intervento del primario, deve operare il principio di affidamento; e che una responsabilita’ del (OMISSIS) si sarebbe potuta ipotizzare se il predetto avesse omesso di rispettare le direttive impartite dal capo equipe. Il deducente precisa di essere intervenuto sul paziente solo durante il trasporto in ambulanza, attivita’ rispetto alla quale non e’ stato mosso alcun addebito.
Nel ricorso, si osserva poi che non e’ stata comunque dimostrata la sussistenza del nesso causale tra la condotta omissiva del (OMISSIS) e l’evento morte. La parte richiama le valutazioni espresse dal Collegio peritale rispetto alla posizione del (OMISSIS), conducenti alla archiviazione della posizione del richiamato primario; e rileva che i giudici hanno omesso di considerare le richiamate conclusioni, che avrebbero indubbiato la riferibilita’ causale dell’evento anche al (OMISSIS).
Con il terzo motivo si deduce il vizio motivazionale della sentenza impugnata, laddove la Corte di Appello ha disatteso l’eccezione difensiva concernente l’inoperativita’, nei confronti del servizio del 118, della convenzione tra la societa’ (OMISSIS) e la locale Azienda Asl. Al riguardo, la parte osserva che detto contratto imponeva effettivamente al personale del 118 di intervenire non solo a tutela del pubblico, ma anche in soccorso degli atleti in campo; rileva, peraltro, che la convenzione non era stata ancora notificata, di talche’ il (OMISSIS) non poteva sapere delle mutate regole di intervento.
L’esponente rileva che dette evenienze hanno avuto una diretta ricaduta sulla mancata rappresentazione, da parte del (OMISSIS), del dovere di attivarsi per soccorre il giocatore. Considera che la Corte territoriale, in modo congetturale, ha ritenuto non credibile che il personale del 118, presente in campo, non conoscesse le ragioni del proprio intervento in occasione degli incontri di calcio. Rileva che l’attivita’ istruttoria ha chiarito che, all’epoca dei fatti, i medici non venivano posizionati a bordo campo; l’esponente deduce il travisamento delle prove dichiarative. Nel ricorso si osserva che il presidio del 118 era posizionato al di sotto della tribuna dello stadio, in una posizione dalla quale non era possibile osservare il campo di gioco.
Sotto altro aspetto, il ricorrente denuncia la nullita’ della sentenza ex articolo 125 c.p.p., comma 3, osservando che i giudici del gravame di merito hanno del tutto ignorato i temi che erano stati dedotti dalla difesa, afferenti alla mancata acquisizione del piano operativo di sicurezza che avrebbe dovuto disciplinare gli obblighi di intervento presso lo stadio in ambito di assistenza medica.
L’esponente censura la sentenza impugnata anche in relazione al ritenuto ritardo con il quale il (OMISSIS) sarebbe intervenuto sul campo di gioco. Osserva che, sul punto, la Corte territoriale si e’ discostata dalle valutazioni del primo giudice. La parte ricostruisce le modalita’ – e le difficolta’ – di avvicinamento con l’ambulanza al giocatore, sottolineando che il mezzo di soccorso raggiunse il calciatore dopo due minuti e 22 secondi rispetto all’arrivo dei due medici sociali. Rileva che erroneamente la Corte di Appello ha ritenuto non scusabile il ritardo con il quale il medico del 118 raggiunse il giocatore (OMISSIS). Osserva che il Collegio ha ritenuto sussistente un profilo di colpa che era stato escluso dal Tribunale, in assenza di impugnazione del pubblico ministero. Rileva che la Corte di Appello, nel discostarsi dalla valutazione del Tribunale, avrebbe comunque dovuto esprimere una motivazione cosiddetta rafforzata.
Con il quarto motivo l’esponente osserva che e’ stato disatteso il principio in base al quale per la pronuncia di sentenza di condanna e’ necessaria la prova oltre ogni ragionevole dubbio.
La parte osserva che la Corte di Appello ha espresso una motivazione apparente, ricalcando pedissequamente le considerazioni contenute nell’elaborato peritale, rispetto al profilo di colpa attribuito all’imputato, costituito dal mancato utilizzo del defibrillatore. L’esponente osserva che qualsiasi tipo di arresto cardiocircolatorio e’ incompatibile con la presenza di polso; e rileva che il defibrillatore non sostituisce la valutazione clinica del personale sanitario.
Il ricorrente contesta l’affermazione espressa in sentenza in base alla quale il defibrillatore andava subito applicato anche a scopo diagnostico; cio’ in quanto la qualificazione professionale dei soggetti intervenuti consentiva ai sanitari di effettuare una valutazione preliminare. Sul punto, nel ricorso si richiama la deposizione dell’infermiere (OMISSIS), il quale aveva riferito di aver ascoltato il polso carotideo del giocatore, sino alla collocazione del (OMISSIS) sull’ambulanza. Sulla scorta di tale evenienza la parte rileva che deve escludersi che la fibrillazione ventricolare – che non consente di percepire la presenza di polso sul paziente – si fosse manifestata sin dalle prime fasi del malore. A sostegno dell’assunto, la parte rileva che (OMISSIS) aveva manifestato segni di attivita’ vitale durante i primi minuti dall’infortunio, circostanze evidenziate nell’atto di appello e non esaminate dalla Corte di merito. Il ricorrente considera che la Corte distrettuale ha pure travisato le dichiarazioni del coimputato (OMISSIS), sul fatto che costui non avesse riscontrato la presenza di battito cardiaco; cio’ in quanto il predetto medico aveva precisato di non esser munito del fonendoscopio e che l’area cardiaca era impegnata da chi stava facendo il massaggio. Al riguardo, il ricorrente ribadisce che l’infermiere (OMISSIS) ha dichiarato di aver percepito piu’ volte il polso del (OMISSIS).
Un’ulteriore carenza della motivazione, secondo il ricorrente, va ravvisata nella mancanza di spiegazione rispetto al profilo di colpa contestato all’imputato riguardante la decisione di trasportare il paziente in ospedale senza che lo stesso fosse in alcun modo stabilizzato. Con riferimento a tale aspetto, il ricorrente sottolinea che l’istruttoria dibattimentale non ha chiarito chi avesse impartito l’ordine di caricare il (OMISSIS) sull’ambulanza. L’esponente osserva di avere negato di essere stato lui ad assumere la predetta decisione; rileva che i giudici si sono appiattiti sulla relazione peritale; ed evidenzia che la Corte territoriale, contraddittoriamente, ha addebbiato al (OMISSIS) tale decisione, pure rimproverandogli di non aver assunto la guida ed il coordinamento dei soccorsi.
L’esponente censura il ragionamento probatorio effettuato in sede di merito, rilevando che non sono stati acquisti elementi per affermare, con alto grado di credibilita’ razionale, che qualora l’imputato avesse utilizzato il defibrillatore l’evento morte sarebbe stato scongiurato. Al riguardo, osserva che i periti hanno affermato che l’exitus dipende da variabili connesse alla causa originaria; e che il consulente tecnico del pubblico ministero ha spiegato che il ripristino del ritmo cardiaco mediante defibrillazione non garantisce la sopravvivenza per un arresto secondario.
Cio’ posto, il ricorrente rileva che secondo la Corte di Appello l’utilizzo del defibrillatore avrebbe consentito il recupero del ritmo cardiaco e la ripresa della conoscenza, circostanze che avrebbero garantito la possibilita’ di gestire la causa della aritmia. Sul punto, evidenzia che, secondo lo stesso ragionamento sviluppato dai giudici, non era stata raggiunta la certezza processuale che la tempestiva defibrillazione avrebbe escluso la morte. L’esponente osserva che giudici hanno richiamato, come legge di copertura, le probabilita’ salvifiche da assegnare all’uso tempestivo del defibrillatore, in caso di arresto cardiaco secondario a fibrillazione ventricolare; e considera che, in tale valutazione, non si e’ tenuto conto della patologia che affliggeva il (OMISSIS), soggetto gravato da una congenita lesione del ventricolo sinistro. Sul tema, nel ricorso si sottolinea che la Corte di Appello ha ignorato i contribuiti scientifici offerti dai consulenti tecnici, i quali avevano indicato una probabilita’ di sopravvivenza, in caso di defibrillazione attuata nei primi due minuti, inferiore al 50 per cento.
Conclusivamente sul punto, nel ricorso si sottolinea che la Corte di Appello non ha considerato che nel momento in cui il (OMISSIS) faceva ingresso nel campo di gioco erano gia’ trascorsi due minuti e quaranta secondi dalla caduta a terra del calciatore, di talche’ le probabilita’ di realizzare un intervento salvifico erano gia’ molto basse.
Con il quinto motivo, in via subordinata, si contesta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e l’entita’ della pena.
4. (OMISSIS), con unico articolato motivo, denuncia violazione di legge, vizio motivazionale, falsa applicazione delle linee guida, della L. n. 189 del 2012 e dell’articolo 590-sexies c.p. Dopo aver richiamato il contenuto delle doglianze che erano state affidate all’atto di appello, l’esponente rileva che la Corte territoriale, omettendo di soffermarsi sulle censure difensive, e’ incorsa nella violazione dell’articolo 597 c.p.p..
Il ricorrente, richiamando gli esiti dell’incidente probatorio, ricorda che presso lo stadio (OMISSIS), il giorno del fatto, erano presenti diciassette squadre di soccorso; con dotazioni che comprendevano anche il defibrillatore.
La parte sottolinea che i medici delle societa’ sportive sono estranei da tale apparato di soccorso. Cio’ posto, ribadisce che il (OMISSIS) decise di accorrere in soccorso del giocatore della squadra avversaria, assumendo una posizione di garanzia per circa due minuti, corrispondente alla durata del suo intervento.
L’esponente rileva che erroneamente i giudici di merito hanno applicato i principi elaborati dalla giurisprudenza per la responsabilita’ medica di equipe, trattandosi di principi non pertinenti nel caso di specie, posto che il (OMISSIS) era del tutto estraneo all’organizzazione dei soccorsi; e che il predetto usci’ di scena all’arrivo del leader del 118, che decise di trasportare l’infortunato in ospedale.
Il ricorrente rileva che la Corte distrettuale, a fronte di una attivita’ sanitaria plurisoggettiva, ha unificato le condotte, l’elemento psicologico e la riferibilita’ causale dell’evento, laddove detti elementi andavano considerati distintamente.
La parte richiama poi il principio di affidamento, in forza del quale ciascun cittadino ha la possibilita’ di attendersi legittimamente che gli altri consociati rispettino le prescrizioni ad essi indirizzate. E richiama arresti giurisprudenziali, ove si e’ affermata l’operativita’ del principio di affidamento tra i diversi operatori sanitari. L’esponente ribadisce di essere stato escluso da ogni decisione assunta dall’equipe del 118, rispetto alla gestione del giocatore infortunato.
Il ricorrente rileva che i medici sociali intervenuti nell’immediatezza hanno correttamente praticato il massaggio cardiaco, secondo le raccomandazioni delle linee guida contenute nel Decreto Ministeriale 24 aprile 2013, adottato successivamente all’evento di causa ma il cui contenuto risulta conferente rispetto alla situazione che si era verificata. Considera che erroneamente ai medici sociali si e’ rimproverato il mancato utilizzo del defibrillatore. Medesime considerazioni vengono svolte rispetto al mancato uso del predetto strumento in funzione diagnostica. Nel ricorso si sottolinea: che i medici sociali non disponevano del defibrillatore; che in sede di merito si e’ molto discusso sul fatto che costoro fossero stati avvertiti della disponibilita’ sul campo dello strumento; e che la Corte di Appello ha eluso tale questione, affermando che i predetti medici sapevano che la normativa impone la presenza sul campo di calcio del defibrillatore e che non lo avevano richiesto.
Il deducente rileva che immotivatamente la Corte di merito ha fatto riferimento alla grossolanita’ del profilo di colpa; ricorda che la giurisprudenza di legittimita’, nell’interpretare le diverse discipline succedutesi negli ultimi anni in materia di responsabilita’ sanitaria, ha chiarito che si profila la colpa grave del medico solo quando si sia in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato. Tanto rilevato, nel ricorso si osserva che la manovra di spostamento del corpo del calciatore in posizione supina, l’apertura della bocca per la respirazione forzata e le manovre di rianimazione cardio-polmonare, non integrano alcun profilo di colpa, tenuto anche conto del contesto emergenziale di riferimento.
Il ricorrente ribadisce che dal momento dell’arrivo della squadra del 118, alla quale si aggiunse il primario (OMISSIS), non venne effettuata alcuna altra manovra di soccorso, giacche’ il 118 decise di caricare il giocatore sull’ambulanza, mediante barelle improvvisate ed inadeguate. Sul punto, l’esponente ricorda che l’infermiere (OMISSIS) e altri sanitari avevano constatato la presenza del battito cardiaco, circostanza che vale ad escludere in radice l’addebito del mancato utilizzo del defibrillatore; ribadisce che la Corte distrettuale ha travisato le dichiarazioni del coimputato (OMISSIS), sul fatto che costui non avesse riscontrato la presenza di battito cardiaco; e rileva che il decesso e’ intervenuto ad una distanza temporale che appare indicativa della presenza del polso, nei primi momenti del malore.
4.1. Nell’interesse del (OMISSIS) e’ stata depositata memoria.
L’esponente richiama il contenuto delle censure affidate all’atto di appello e considera che la Corte territoriale non ha posto nel dovuto rilievo la circostanza dell’arrivo della squadra di soccorso rapido.
Ricorda che, secondo le linee guida, il massaggio cardiaco non deve essere interrotto anche in caso di utilizzo del defibrillatore; dette manovre andavano, infatti, interrotte solo dopo l’applicazione e il collegamento degli elettrodi. La parte rileva che erroneamente la Corte di Appello ha ritenuto irrilevante la presenza dell’infermiere (OMISSIS). Osserva che il mancato utilizzo del defibrillatore non puo’ essere rimproverato, in quanto presidio tecnicamente non utilizzabile. Il ricorrente ribadisce che le linee guida non prescrivono che il defibrillatore debba essere utilizzato nell’immediatezza con finalita’ diagnostica; e sottolinea che la caduta a terra, senza causa riconoscibile, va di per se’ considerata come conseguenza di arresto cardiaco. Esclude che possa ravvisarsi alcun profilo di colpa a carico del medico e tantomeno un profilo di colpa grave, per il mancato utilizzo del defibrillatore nei primi due minuti dall’infortunio. Ribadisce che la Corte di Appello e’ incorsa nel travisamento della prova, anche rispetto al contenuto delle indicazioni offerte dal coimputato (OMISSIS), rispetto al battito cardiaco del calciatore. Il ricorrente osserva che la Corte distrettuale ha omesso di applicare la disciplina piu’ favorevole introdotta nel 2012 in tema di responsabilita’ sanitaria, disattendendo le indicazioni offerte dalle Sezioni Unite nell’interpretazione dell’articolo 590-sexies c.p. La parte considera che e’ mancata una reale qualifica del grado della colpa, sia essa lieve o grave, posto che i giudici di secondo grado hanno fatto solo un generico riferimento alla grossolanita’ della condotta. Rileva che non si e’ chiarito perche’ la condotta del medico sociale dovesse essere ritenuta come marcatamente distante dall’esigenza dell’infortunato e che i giudici non hanno indicato quali ragguardevoli deviazioni dall’agire appropriato sarebbero state realizzate.
Il deducente osserva che la Corte di appello non ha espresso alcuna motivazione rispetto alle ragioni per le quali ha ritenuto che la posizione di leader sia stata assunta dal (OMISSIS); rileva che, in realta’, quest’ultimo non ha mai rivestito la posizione di leader degli interventi di emergenza sul posto. L’esponente ribadisce che nella prima fase la posizione di leader fu assunta dal medico sociale (OMISSIS), il quale era il medico sportivo che conosceva l’infortunato ed era arrivato per primo sul posto. Evidenzia che non vi e’ prova che il (OMISSIS) si fosse reso conto della presenza sul campo del defibrillatore. Ricorda che sul campo intervenne una apposita squadra di soccorso rapido, dotata di defibrillatore. L’esponente rimarca che il (OMISSIS) non faceva parte di alcuna squadra di soccorso e che era solo un medico sportivo, non specializzato nei soccorsi di emergenza. Riassumendo, il ricorrente osserva che non vi e’ prova che il (OMISSIS) avesse assunto la posizione di leader del soccorso dal dodicesimo al ventisettesimo secondo dall’evento quando tale ruolo era svolto dal medico sociale (OMISSIS); e ribadisce che non vi e’ prova che il (OMISSIS) abbia assunto tale ruolo anche successivamente, quando il ruolo di leader venne assunto dalla squadra di pronto soccorso. La parte rileva che, dal momento dell’arrivo del (OMISSIS) e del (OMISSIS), il medico sociale (OMISSIS) venne estromesso da ogni intervento di soccorso e da ogni decisione su come prestare le cure al calciatore; considera che la decisione di trasferire il (OMISSIS) in ospedale non venne concordata con il (OMISSIS); e sottolinea che il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) non vennero nemmeno fatti salire sull’ambulanza.
La parte osserva che la valutazione del comportamento del ricorrente avrebbe dovuto essere limitata ai nove secondi antecedenti l’arrivo della squadra di intervento rapido o, a tutto concedere, avrebbe dovuto riguardare i due minuti e 30 secondi prima dell’arrivo del 118 e del (OMISSIS). Ribadisce che in questo arco temporale nessun rimprovero di colpa puo’ essere mosso al (OMISSIS). Nella memoria si evidenzia che la Corte territoriale ha errato nell’impiegare le regole che valgono in materia di equipe medica anziche’ quelle concernenti la condotta individuale del singolo sanitario. Cio’ in quanto il (OMISSIS) assunse una posizione di garanzia al massimo per due minuti, non rivesti’ mai il ruolo di leader nel soccorso e nessun addebito gli puo’ essere elevato, rispetto ai comportamenti e alle decisioni assunte da altri sanitari. Il ricorrente osserva che, anche volendo applicare la disciplina che regola l’attivita’ in equipe, il (OMISSIS) venne totalmente estromesso dalle operazioni di soccorso, di talche’ non ebbe alcuna possibilita’ di vigilare e controllare sull’operato degli altri medici. Rileva che queste discrasie argomentative hanno inciso anche sulla valutazione del nesso causale tra l’evento e la condotta che si assume omessa. La parte sottolinea che in considerazione del lasso di tempo riferibile alla posizione del (OMISSIS), la condotta del ricorrente non ha alcuna rilevanza causale rispetto alle successive operazioni svolte dei sanitari, da qualificarsi come cause sopravvenute indipendenti, tali da causare autonomamente l’evento. L’esponente rileva che il mancato uso del defibrillatore, nel caso di specie, non ha in alcun modo inciso sulla diagnosi che era stata correttamente effettuata, come di poi riscontrato dagli accertamenti autoptici. Osserva che la motivazione espressa dalla Corte di Appello deve qualificarsi come perplessa, atteso che i giudici genericamente hanno fatto riferimento ad una corretta procedura diagnostico-terapeutica, a fronte del mancato utilizzo del defibrillatore, laddove la presenza di battito escludeva la possibilita’ di utilizzo del defibrillatore a fini terapeutici; e ribadisce che la prima diagnosi venne effettuata correttamente.
5. (OMISSIS) denuncia il vizio motivazionale, in riferimento al profilo di colpa afferente al mancato utilizzo del defibrillatore. Osserva che la Corte di Appello ha valorizzato la valenza anche diagnostica del DAE. Sul punto, nel ricorso si evidenzia che, contraddittoriamente, il Collegio ha richiamato i protocolli di soccorso ove si indica la necessita’ che il soccorritore verifichi, prima di tutto, se vi sia attivita’ respiratoria e di circolo. Il ricorrente rileva che, secondo il predetto manuale, il DAE deve essere utilizzato solo dopo l’effettuazione di un accertamento diagnostico. L’esponente considera che i richiamati passaggi motivazionali danno conto della manifesta illogicita’ delle argomentazioni poste a fondamento della decisione, posto che, nel caso di specie, occorreva accertare se il (OMISSIS) si trovasse, o meno, in arresto cardiocircolatorio. Sul punto, il ricorrente richiama la deposizione del teste qualificato (OMISSIS), circa la presenza del polso e ricorda la accertata capacita’ del (OMISSIS) di sputare la cannula, circostanza indicativa della ripresa dell’attivita’ respiratoria. Sulla scorta di tali rilievi la parte osserva che l’uso del defibrillatore era improponibile. Conclusivamente sul punto, l’esponente sottolinea che la Corte di Appello ha errato nell’affermare che sarebbe stato il DAE ad escludere anche eventuali patologie di tipo nEurologico in atto.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione di norme processuali: la parte rileva l’inutilizzabilita’ delle sommarie dichiarazioni rese dal (OMISSIS) nel corso delle indagini, quando il predetto medico gia’ aveva assunto la veste di indagato. Rileva che la Corte territoriale ha richiamato tali dichiarazioni, pure in violazione del divieto di cui all’articolo 511 c.p.p. L’esponente considera che, rispetto alle predette dichiarazioni, sebbene riportate nell’elaborato peritale, vale il divieto indicato dall’articolo 511 c.p.p..
Con ulteriore motivo si contesta l’attribuzione al (OMISSIS) della posizione di garanzia. La parte rileva che la Corte territoriale, sul punto di interesse, ha omesso di esaminare le censure che erano state dedotte dalla difesa. Considera che prima di attribuire al (OMISSIS) un profilo di colpa, occorre verificare la sussistenza in capo al predetto di un obbligo giuridico a contenuto impeditivo. E rileva che il concetto di contatto sociale tra il medico ed il giocatore infortunato, richiamato dal Tribunale, non vale a far sorgere una posizione di garanzia generale ed omnicomprensiva che non tenga conto della ripartizione dei compiti tra i diversi soggetti. L’esponente osserva che l’evento morte afferisce a cause che esorbitano dall’ambito di competenza del (OMISSIS).
Il ricorrente si sofferma sulla disciplina vigente all’epoca del fatto, rispetto alla quale le societa’ sportive non erano obbligate a dotarsi di un defibrillatore. Rileva che anche i periti hanno evidenziato che i medici sociali non devono avere una specializzazione in tema di emergenza con pericolo di vita; e considera che al momento dell’arrivo del personale del 118, che prese in carico il (OMISSIS), l’odierno imputato dovette necessariamente farsi da parte.
Con ulteriore motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge e la mancanza di motivazione, in riferimento alla inesigibilita’ da parte del (OMISSIS) di una diversa condotta rispetto a quella posta in essere. La parte rileva che la Corte di Appello confonde tale aspetto con la presunta violazione di una regola di condotta. Il ricorrente rileva che questo aspetto era stato messo in luce anche dal pubblico ministero, tanto che aveva chiesto l’assoluzione del (OMISSIS) proprio in base alla inesigibilita’ di una condotta diversa da quella effettivamente tenuta: nella specifica situazione di emergenza, il pubblico ministero aveva ritenuto non esigibile che (OMISSIS) si attivasse per utilizzare il defibrillatore, dal momento che il medico non era a conoscenza della presenza in campo dello strumento. L’esponente osserva che la Corte di Appello, per aggirare questi argomenti, ha erroneamente affermato che i medici sociali avrebbero dovuto sapere che la presenza del defibrillatore sul campo era obbligatoria e che quindi avrebbero dovuto richiederlo. A tale riguardo, nel ricorso si osserva: che all’epoca dei fatti nessuna disposizione di legge imponeva la presenza in campo del defibrillatore; e che la Corte di Appello e’ caduta in errore sulla normativa vigente al momento del decesso del (OMISSIS), posto che a quella data non vi era ancora l’obbligo della presenza del defibrillatore in campo. Nel ricorso si sottolinea che il (OMISSIS) era il medico sociale del (OMISSIS), societa’ ospite, non gravata da alcun obbligo di assicurare il rispetto di tutte le norme di sicurezza relative all’evento sportivo. In conclusione, il ricorrente osserva che non e’ dato comprendere perche’ il (OMISSIS), che stava effettuando la respirazione artificiale, avrebbe dovuto pensare all’uso defibrillatore quando giunse sul posto l’ambulanza del 118. La parte ribadisce che il (OMISSIS) era completamente all’oscuro dello stato dei luoghi e della presenza del defibrillatore; osserva che al (OMISSIS) non puo’ essere addebitato alcun profilo di colpa. Il medico sociale, compresa l’urgenza di intervenire, si era immediatamente precipitato a soccorrere il proprio calciatore, unitamente al collega (OMISSIS), anche con l’aiuto dei massaggiatori delle due squadre, sino al momento in cui giunse l’ambulanza del 118. La parte osserva che il mancato utilizzo del defibrillatore, da parte del (OMISSIS), non ha sortito ricadute sul piano causale, posto che nel volgere di due minuti e 40 secondi si e’ verificato l’intervento delle persone che erano preposte a fronteggiare situazioni di emergenza come quella che si era verificata; sottolinea che il personale del 118 assunse il comando delle operazioni con ogni conseguenza sul piano delle scelte compiute e delle conseguenti responsabilita’. Il ricorrente osserva che la Corte di Appello e’ incorsa in errore quando illegittimamente ha considerato il soccorso del calciatore come un fenomeno di responsabilita’ collettiva, confondendo le posizioni dei diversi medici intervenuti. Sul punto, nel ricorso si osserva che i giudici hanno peraltro dimenticato la posizione del primario cardiologo, che pure era intervenuto sul campo. Il ricorrente osserva che la Corte di Appello ha anche omesso di considerare che per rendere funzionante il defibrillatore occorrevano strumenti quali forbici per tagliare i vestiti e altri presidi che non erano prontamente disponibili. La parte sottolinea che dal momento dell’arrivo dell’ambulanza del 118 venne a cessare ogni responsabilita’ in capo ai medici diversi da quelli addetti al servizio del 118, cio’ in quanto furono questi ultimi a prendere in consegna l’infortunato. Sottolinea che l’intervento del 118 si verifico’ in un arco temporale utile per ripristinare il ritmo cardiaco del (OMISSIS). Il ricorrente ribadisce che il defibrillatore fornito dal (OMISSIS), prima dell’arrivo dell’ambulanza del 118, non era immediatamente utilizzabile, per la mancanza dei richiamati presidi. Ritiene, pertanto, che l’intervento del (OMISSIS) non puo’ essere preso in considerazione. La parte rileva che i giudici sia di primo che di secondo grado non hanno valutato il clima di confusione nel quale hanno dovuto operare i medici sociali, nell’immediatezza del fatto.
L’ultimo motivo di ricorso e’ dedicato al tema della causalita’.
Il ricorrente rileva che la Corte di Appello incorre in un doppio errore in tema di causalita’. In primo luogo, osserva che la sentenza compie un grave errore nell’individuazione di uno dei termini del rapporto causale, laddove afferma che l’utilizzo tempestivo del defibrillatore avrebbe consentito la diagnosi e la terapia di urgenza. Osserva l’esponente che in questo modo la Corte territoriale confonde l’obiettivo dell’accertamento: la prova della sussistenza del nesso causale deve essere ricercata con riferimento alla salvezza del calciatore e non rispetto alla tempestivita’ della diagnosi e del seguente intervento terapeutico.
L’esponente osserva poi che la Corte di Appello ha fatto riferimento ad un concetto di causalita’ omissiva definitivamente abbandonato dalla giurisprudenza di legittimita’. Considera che la Corte di merito ha richiamato un passaggio della relazione peritale finendo cosi’ per utilizzare il criterio dell’aumento delle chances di sopravvivenza, disatteso dalla Corte di cassazione all’indomani della sentenza Franzese. Il ricorrente osserva che la Corte di Appello non ha effettuato alcun riferimento al criterio dell’alto grado di credibilita’ razionale o della probabilita’ logica e non ha analizzato le probabilita’ statistiche di sopravvivenza, laddove l’indagine scientifico-statistica deve essere posta alla base della valutazione sulla utilita’ salvifica della condotta omessa, in relazione alle peculiarita’ del caso concreto. Rileva che nella sentenza non sono stati richiamati gli indici statistici che pure erano stati indicati dal Tribunale, rispetto alle possibilita’ di sopravvivenza, in caso di tempestivo utilizzo del defibrillatore. Il ricorrente sottolinea che il Tribunale, in ragione dell’indice percentualistico indicato dai tecnici, aveva fatto riferimento alle ulteriori indicazioni espresse da un consulente tecnico, stimando nel venti per cento l’aumento della percentuale di sopravvivenza, in considerazione delle specifiche condizioni dell’atleta (OMISSIS). Sul punto, il ricorrente osserva che il consulente tecnico, nello stimare le probabilita’ di sopravvivenza, si era peraltro espresso con stilemi del tutto atecnici.
La parte osserva che la Corte di Appello avrebbe dovuto individuare il momento nel quale, risolte le diagnosi differenziali, risultava indicato l’uso del defibrillatore. La parte ricorda che la posizione del medico (OMISSIS) e’ stata archiviata sul presupposto della impossibilita’ di provare l’efficacia causale della defibrillazione, dopo tre minuti dal collasso.
In conclusione, la parte osserva che la giustificazione offerta dalla Corte di Appello non appare idonea a sostenere che l’evento morte sarebbe stato evitato con l’utilizzo tempestivo del defibrillatore, anche per la carenza del ragionamento controfattuale, che si risolve in una motivazione apparente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi impongono le considerazioni che seguono.
2. Si esamina, primieramente, l’eccezione processuale affidata al ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS), con la quale si denuncia la genericita’ del capo di imputazione e la mancata indicazione della fonte dalla quale deriverebbe l’obbligo impeditivo omesso, ex articolo 40 c.p..
Il rilievo non ha pregio.
La giurisprudenza di legittimita’ ha ripetutamente affermato che si ha sufficiente indicazione dell’enunciazione del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, qualora si abbia l’individuazione dei tratti essenziali del fatto di reato attribuito, dotati di adeguata specificita’, sicche’ l’imputato possa apprestare la sua difesa. A tale riguardo, si e’ considerato che la centralita’ del dibattimento non rende necessaria una dettagliata imputazione (Sez. 6, n. 21953 del 01/04/2003, D’Zakaria e altro, Rv. 226273). In tale ambito ricostruttivo, si e’ rilevato che la contestazione deve contenere tutti i dati essenziali del fatto; e che il requisito della enunciazione del fatto in tanto puo’ ritenersi carente, in quanto in concreto possa affermarsi che l’imputato non abbia potuto conoscere i tratti essenziali della fattispecie di reato, attribuitagli dall’accusa, si’ da non potersene adeguatamente difendere (Sez. 3, n. 2853 del 08/09/1995, Beggiato; Sez. 3, n. 1222 del 02/02/1994, Rindi; Sez. 1, n. 382 del 19/11/1999, dep. 2000, Piccioni, Rv. 215140).
Per quanto detto, la contestazione deve contenere tutti i dati essenziali del fatto di reato, che, nelle fattispecie ad evento naturalistico, comprendono la condotta, l’evento ed il nesso causale. Conseguentemente, la prescrizione di cui all’articolo 429 c.p.p., comma 1, lettera c), oggetto di esame in questa sede, puo’ ritenersi soddisfatta soltanto se il capo di imputazione contenga l’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto di reato, nei sensi ora chiariti.
Nel capo di imputazione che occupa la condotta colposa, omissiva ed attiva, ascritta a (OMISSIS), risulta indicata quale antecedente causale del decesso di (OMISSIS), per omesso impedimento dell’esito letale, nei termini che seguono: all’imputato (OMISSIS) si addebita, quale medico responsabile del servizio di soccorso del 118, di non essersi portato presso il calciatore colpito da malore con la tempestivita’ richiesta dalla situazione di emergenza in atto; di essersi limitato ad eseguire la palpazione del polso carotideo, omettendo di utilizzare il defibrillatore automatico e di aver deciso di trasferire il paziente in ospedale, senza che lo stesso fosse in alcun modo stabilizzato. Con specifico riguardo ai profili di ascrivibilita’ colposa della condotta, nel capo di imputazione si precisa poi che l’azione del sanitario si pose in contrasto con la scienza medica e con le linee guida ed i protocolli di riferimento, che stabiliscono le corrette manovre terapeutiche e diagnostiche da eseguire in caso di emergenza nell’ambito degli arresti cardiaci (linee guida in materia di Basic Life Support).
E bene: osserva il Collegio che l’applicazione delle coordinate interpretative, sopra richiamate, induce a rilevare che i tratti essenziali del fatto di reato, oggetto della contestazione, risultano descritti in termini specifici e percio’ sufficienti a garantire all’imputato la possibilita’ di esercitare il proprio diritto di difesa. Il capo di imputazione, invero, delinea i tratti della condotta colposa, precipuamente omissiva, ascritta al medico, indicando l’azione doverosa che doveva essere realizzata; e pone in correlazione causale tale comportamento antidoveroso con il decesso del calciatore, per omesso impedimento.
3. Tanto chiarito, e’ dato soffermarsi sulla questione relativa alla sussistenza di una posizione di garanzia in capo ai medici sociali (OMISSIS) e (OMISSIS) ed al medico del 118 (OMISSIS), dedotta da tutti i ricorrenti, rispetto al calciatore (OMISSIS), che, al ventinovesimo minuto della partita (OMISSIS) – (OMISSIS), ebbe ad accasciarsi al suolo in mancanza di alcuna situazione di gioco che potesse giustificare un malore improvviso dell’atleta.
3.1. Rileva questa Suprema Corte che i medici sociali (OMISSIS) e (OMISSIS), nel caso di specie, assunsero effettivamente una posizione di garanzia nei confronti del calciatore (OMISSIS), come affermato dai giudici di merito. Occorre, peraltro, rilevare che ne’ il Tribunale di Pescara ne’ la Corte di Appello di L’Aquila hanno giustificato l’assunto con motivazioni pienamente conferenti in punto di diritto, di talche’ si impongono le rettificazioni che seguono.
La Corte regolatrice ha compiutamente ricostruito, nel corso degli ultimi lustri, la figura del garante, quale soggetto facente parte di una relazione protettiva – teorica che ha preso le mosse nell’ambito dei reati omissivi impropri o commissivi mediante omissione, ma che ha assunto un significato piu’ ampio, anche in presenza di causalita’ commissiva – in forza della quale il titolare di una posizione di garanzia puo’ essere ritenuto responsabile del mancato impedimento o comunque della verificazione dell’evento lesivo occorso al soggetto garantito.
La giurisprudenza di legittimita’ si e’ specificamente soffermata sulla nozione e sui criteri di selezione – del soggetto che versa in posizione di garanzia, in coerenza con i principi di tassativita’ e determinatezza che presiedono alla formulazione delle norme penali: si tratta, in realta’, di un’elaborazione imposta dalla funzione incriminatrice direttamente svolta dalla “clausola” di cui all’articolo 40 c.p., comma 2, per il caso di inosservanza degli obblighi impeditivi da parte del soggetto individuato come garante. Al riguardo, la Corte regolatrice ha osservato che si delinea una posizione di garanzia, nei sensi ora indicati, a condizione che: (a) un bene giuridico necessiti di protezione, poiche’ il titolare da solo non e’ in grado di proteggerlo; (b) una fonte giuridica – anche negoziale – abbia la predetta finalita’ di tutela; (c) tale obbligo di protezione gravi su una o piu’ persone specificamente individuate; (d) queste ultime siano dotate di poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito ovvero siano ad esse riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad evitare che l’evento dannoso sia cagionato. In tale ambito ricostruttivo, la Suprema Corte ha anche precisato che un soggetto puo’ dirsi titolare di una posizione di garanzia se ha la possibilita’, con la propria condotta, di influenzare il decorso degli eventi, indirizzandoli verso uno sviluppo idoneo ad impedire la lesione del bene giuridico garantito (Sez. 4, n. 38991 del 10/06/2010, Quaglierini, Rv. 248849). In verita’, sin dagli anni novanta del secolo scorso, la giurisprudenza e’ venuta elaborando la “teoria del garante”, muovendo dall’osservazione – e dalla valorizzazione – del significato profondo, anche in riferimento al principio solidaristico di matrice costituzionale (ex articolo 2 Cost.) che deve riconoscersi agli “obblighi di garanzia”, discendenti dallo speciale vincolo di tutela che lega il soggetto garante, rispetto ad un determinato bene giuridico, per il caso in cui il titolare dello stesso bene sia incapace di proteggerlo autonomamente (Sez. 4, n. 4793 del 06/12/1990, dep. 29/04/1991, Bonetti, Rv. 191792).
Per quanto rileva in questa sede, occorre altresi’ evidenziare che la Suprema Corte ha chiarito che, nell’individuazione dei reali destinatari degli obblighi protettivi, vengono in rilievo le funzioni in concreto esercitate dal soggetto agente; che spetta all’interprete procedere alla selezione delle diverse posizioni di garanzia, per tutti i casi della vita – non tipizzati dal legislatore – corrispondenti ad una situazione di passivita’, in cui versi il titolare del bene protetto; e che l’interprete deve individuare il contenuto degli obblighi impeditivi specificamente riferibili al soggetto che versa in posizione di garanzia (cfr. Sez. U, n. 9874 del 01/07/1992, Giuliani, Rv. 191185). Preme pure evidenziare che la Corte regolatrice, nel sottolineare la complessita’ delle valutazioni conducenti alla selezione delle posizioni di garanzia, idonee a fondare l’affermazione di responsabilita’ in ordine ai reati commissivi mediante omissione, ai sensi dell’articolo 40 cpv. c.p., ha espressamente considerato: che occorre guardarsi dall’idea ingenua, e foriera di fraintendimenti, in base alla quale la sfera di responsabilita’ penale di ciascuno possa essere sempre definita e separata con una rigida linea di confine e che questa stessa linea crei la sfera di competenza e responsabilita’ di alcuno escludendo automaticamente quella di altri; che particolarmente complessa risulta la selezione dei garanti e l’individuazione di aree di competenza pienamente autonome, che giustifichino la compartimentazione della responsabilita’ penale, specialmente nell’ambito della figura della cooperazione colposa; e che l’interprete deve avere sempre presente lo scopo del diritto penale, che “e’ proprio quello di tentare di governare tali intricati scenari, nella gia’ indicata prospettiva di ricercare responsabilita’ e non capri espiatori” (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Lovison, Rv. 254094, in motivazione).
Nella materia di interesse, e’ stato pertanto affermato il condiviso principio di diritto in forza del quale, ai fini dell’operativita’ della clausola di equivalenza di cui all’articolo 40 cpv. c.p., nell’accertamento degli obblighi impeditivi gravanti sul soggetto che versa in posizione di garanzia, l’interprete deve tenere presente la fonte da cui scaturisce l’obbligo giuridico protettivo, che puo’ essere la legge, il contratto, la precedente attivita’ svolta, o altra fonte obbligante; in tale ambito ricostruttivo, al fine di individuare lo specifico contenuto dell’obbligo, si e’ in particolare chiarito che occorre valutare sia le finalita’ protettive fondanti la stessa posizione di garanzia, sia la natura dei beni dei quali e’ titolare il soggetto garantito, che costituiscono l’obiettivo della tutela rafforzata, alla cui effettivita’ mira la clausola di equivalenza (Sez. 4, n. 9855 del 27/01/2015, Chiappa, Rv. 26244001). La giurisprudenza ha poi considerato che occorre delimitare lo specifico ambito in cui si esplica l’obbligo di governare le situazioni pericolose in capo al garante (la cosiddetta area di rischio), cosi’ da conformare il relativo obbligo protettivo, giuridicamente rilevante ai fini della operativita’ dell’imputazione dell’evento lesivo (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 26110701). Il rilievo muove dalla considerazione che la selezione dei garanti – i quali non costituiscono un numerus clausus – viene in concreto a dipendere dalla operativita’ della richiamata clausola di equivalenza, in combinato disposto con le molteplici fattispecie ad evento naturalistico causalmente orientate, che possono essere declinate nella corrispondete fattispecie omissiva impropria.
Sviluppando tali principi, si e’ in particolare considerato che in tema di reati omissivi colposi, la posizione di garanzia puo’ essere generata non solo da investitura formale, ma anche dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante mediante un comportamento concludente dell’agente, consistente nella presa in carico del bene protetto (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, cit.; Sez. 4, n. 2536 del 23/10/2015, dep. 2016, Bearzi, Rv. 26579701). Tali valutazioni discendono dal superamento della cosiddetta concezione formale della posizione di garanzia, di talche’ il ruolo protettivo puo’ avere una fonte normativa non necessariamente di diritto pubblico ma anche di natura privatistica, anche non scritta e addirittura trarre origine da una situazione di fatto, cioe’ da un atto di volontaria determinazione, che costituisca il dovere di intervento e il corrispondente potere giuridico, che consente al soggetto garante, attivandosi, di impedire l’evento.
Nel settore dell’attivita’ medica, si e’ poi precisato che la posizione di garanzia e’ riferibile, sotto il profilo funzionale, ad entrambe le categorie in cui tradizionalmente si inquadrano gli obblighi in questione: la posizione di garanzia c.d. di protezione, che impone di preservare il bene protetto da tutti i rischi che possano lederne l’integrita’; e la posizione c.d. di controllo, che impone di neutralizzare le eventuali fonti di pericolo che possano minacciare il bene protetto (Sez. 4, n. 7967 del 29/01/2013, Fichera, Rv. 25443101, in motivazione; Sez. 4, n. 25310 del 07/04/2004, Ardovino, Rv. 228954).
E bene, l’applicazione dei richiamati principi di diritto al caso di specie induce a rilevare che entrambi i medici sociali assunsero una posizione di garanzia nei confronti di (OMISSIS), derivante dalla intervenuta instaurazione della relazione terapeutica tra i predetti medici ed il calciatore. Invero, riferiscono i giudici di merito che il (OMISSIS), ne(corso della partita, dopo essere caduto una prima volta, si accascio’ su(terreno, rimanendo in posizione prona, privo di conoscenza; che, a quel punto, il (OMISSIS) raggiunse il calciatore prima ancora che l’arbitro interrompesse il gioco, seguito a distanza di pochi secondi dal (OMISSIS); che i due medici prestarono insieme i primi soccorsi, ponendo il corpo del (OMISSIS) in posizione supina; che nel frangente ripristinarono la pervieta’ delle vie aeree utilizzando un presidio medico e praticarono il massaggio cardiaco esterno.
L’immediatezza dell’intervento dei due medici sociali, a fronte della perdita di conoscenza del calciatore, induce a rilevare che il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) posero in essere una istintiva, pratica attuazione dei doveri deontologici consacrati nel giuramento professionale, comprendenti il “dovere di prestare soccorso nei casi di urgenza”. Al riguardo, deve peraltro osservarsi che tale dovere deontologico si coniuga con gli obblighi gravanti sul (OMISSIS), quale medico sociale del (OMISSIS), squadra ove militava il calciatore (OMISSIS). Il medico (OMISSIS), cioe’, agi’ in esecuzione anche dei doveri protettivi assunti, quale medico sportivo, verso i calciatori della propria squadra. Cio’ posto, deve rilevarsi che le considerazioni ora svolte, sulle competenze protettive del medico sportivo, rispetto alla salute dei calciatori, gravano parimenti in capo al (OMISSIS), nella sua veste di medico sociale del (OMISSIS). Conclusivamente sul punto, la materiale instaurazione della relazione terapeutica con il calciatore privo di conoscenza, da parte di entrambi i medici sociali che si trovavano a bordo campo, oltre a collocarsi nell’ambito dei doveri sanciti dalla richiamata norma interna dell’ordinamento professionale, discende dalle competenze proprie dei medici sportivi e si coniuga con la funzione fondante la teorica della posizione di garanzia, data dall’esigenza, di natura solidaristica, di offrire tutela a determinati beni giuridici, attraverso l’individuazione di soggetti che hanno la possibilita’, mediante la propria condotta, di influenzare il decorso degli eventi. Deve allora osservarsi che, secondo l’elaborazione sostanzialistico-funzionale della teoria del garante operata dal diritto vivente, di cui sopra si e’ dato conto – elaborazione che il Collegio condivide e riafferma – i predetti medici sportivi, avvicinandosi doverosamente al (OMISSIS) che si trovava esamine sul campo di gioco e ponendo in essere le descritte manovre di primo soccorso, instaurarono la relazione terapeutica con il calciatore ed assunsero una posizione di garanzia giuridicamente rilevante, ai sensi della clausola di equivalenza di cui all’articolo 40 cpv. c.p., nei confronti dell’atleta colpito da malore.
In disparte ogni considerazione sulla autonoma posizione di garanzia riferibile al medico dell’Unita’ Mobile di pronto soccorso, (OMISSIS), di cui subito si dira’, preme a questo punto della trattazione rilevare che la posizione di garanzia assunta dai medici sociali (OMISSIS) e (OMISSIS), mediante l’instaurazione della relazione terapeutica con il calciatore, non venne meno nel momento in cui sopraggiunsero sul posto altri soggetti che prestarono assistenza medica al (OMISSIS), diversamente da quanto sostenuto dagli esponenti. Tanto si afferma per un duplice ordine di considerazioni. Da un lato, gli effetti della presa in carico del bene protetto da parte di un determinato garante non vengono meno per il solo fatto che vi siano altri soggetti gravati da autonomi – e funzionalmente concorrenti obblighi impeditivi e di controllo. Si e’ infatti ripetutamente affermato che, qualora vi siano piu’ titolari della posizione di garanzia, ciascuno e’ per intero destinatario dell’obbligo di tutela fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Rv. 253850; conforme: Sez. 4, n. 6507 del 11/01/2018, Caputo, Rv. 27246401). Dall’altro, deve considerarsi che, nel caso di specie, i medici sociali realizzarono una congiunta attivita’ terapeutica con il personale sanitario sopraggiunto – sia pure in mancanza di una organizzata ripartizione dei compiti e dei ruoli, come accertato in sede di merito – continuando a praticare manovre di soccorso sul corpo del (OMISSIS), riverso sul campo di gioco, sino al momento del fisico allontanamento del calciatore, caricato in barella sull’ambulanza del 118, per il trasferimento in Ospedale. E’ solo in quel momento, cioe’, che viene meno la persistenza della relazione protettiva instaurata tra i medici sociali ed il calciatore colpito da malore, nei termini sopra evidenziati. Sul punto, preme peraltro ricordare che, in caso di successione di posizioni di garanzia, in base al principio dell’equivalenza delle cause, il comportamento colposo del garante sopravvenuto non e’ sufficiente ad interrompere il rapporto di causalita’ tra la violazione di una norma precauzionale operata dal primo garante e l’evento, quando tale comportamento non abbia fatto venir meno la situazione di pericolo originariamente determinata (Sez. 4, n. 27959 del 05/06/2008, Stefanacci, Rv. 24051901). Pertanto, si osserva incidentalmente, ove fosse accertata una condotta colposa a carico dei primi garanti, il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), la violazione delle norme cautelari da parte dei successori nella posizione di garanzia non varrebbe di per se’ ad escludere la responsabilita’ dei predetti medici sociali.
Sulla scorta delle svolte considerazioni, emendative della motivazione posta a fondamento della sentenza impugnata sul punto di interesse, l’affermazione contenuta nella sentenza della Corte territoriale, circa la posizione di garanzia assunta dai medici sociali (OMISSIS) e (OMISSIS), rispetto al calciatore (OMISSIS), resiste alle dedotte censure.
3.2. Diverse considerazioni si impongono in riferimento alla posizione del medico (OMISSIS).
La Corte di Appello ha affermato che il (OMISSIS), quale medico responsabile dell’Unita’ Mobile di pronto soccorso, presente presso lo stadio comunale, ove era in corso la partita (OMISSIS) – (OMISSIS), era titolare di una originaria posizione di garanzia nei confronti dei calciatori; ed ha conseguentemente ritenuto che al predetto sanitario, che aveva raggiunto il calciatore (OMISSIS) dopo due minuti e quaranta secondi dalla caduta sul campo di gioco, fosse rimproverabile anche il ritardo con il quale aveva prestato soccorso all’atleta.
Detti rilievi non possono essere condivisi.
La Corte territoriale fonda il ragionamento ora descritto sulla base del fatto che tra la ASL (OMISSIS) e la Societa’ (OMISSIS) risulta stipulata nel dicembre del 2011 una convenzione che attribuiva al Servizio di Emergenza Territoriale 118 il compito di garantire l’assistenza sanitaria sia al pubblico che ai giocatori in campo. La stessa Corte di Appello evidenzia, peraltro, che la delibera di cui si tratta venne comunicata al Dirigente del Servizio interessato solo in data 8 agosto 2012, cioe’ a dire successivamente rispetto all’episodio che da’ causa al presente procedimento. Al riguardo, in sentenza si rileva che appare singolare che il (OMISSIS), presente presso lo stadio il (OMISSIS), non fosse a conoscenza dell’ambito delle proprie competenze; si sottolinea che il (OMISSIS) operava in regime di attivita’ libero professionale intramoenia; e si afferma, conclusivamente, che il predetto aveva l’obbligo di intervenire in soccorso del calciatore, anche in considerazione della presenza sul campo.
Il ragionamento ora richiamato risulta vulnerato dalle dedotte aporie di ordine logico, che inficiano l’affermazione contenuta in sentenza circa la sussistenza in capo al (OMISSIS) dell’obbligo originario di garantire l’assistenza sanitaria dei calciatori, oltre che del pubblico sugli spalti.
Al riguardo, si deve rilevare che la convenzione sopra richiamata involge e disciplina i rapporti tra gli enti interessati, cioe’ a dire la ASL (OMISSIS) e la Societa’ sportiva (OMISSIS). Pertanto, occorreva in primo luogo soffermarsi sugli strumenti organizzativi predisposti dalla ASL per dare concreta attuazione alla Convenzione ed informare i singoli operatori delle nuove competenze acquisite. Una volta effettuata positivamente tale verifica, sarebbe stato possibile valutare – in applicazione del canone della concreta esigibilita’ della condotta doverosa – il puntuale rispetto, da parte del singolo funzionario incaricato dello svolgimento del servizio di Emergenza Territoriale, delle nuove competenze attribuite al personale sanitario in occasione degli incontri di calcio, comprendenti la salute dei calciatori, oltre che quella delle persone presenti per assistere all’evento sportivo.
Osserva il Collegio che nella sentenza impugnata non viene effettuata alcuna considerazione, idonea a giustificare l’assunto che il (OMISSIS) avesse consapevolezza di dovere garantire anche l’assistenza sanitaria dei calciatori impegnati sul campo. Al riguardo, non puo’ omettersi di rilevare l’inconferenza logica dei rilievi svolti sul punto dal Collegio, comprendenti il riferimento all’attivita’ libero professionale svolta dal (OMISSIS).
Deve allora conclusivamente ritenersi che la mera presenza del (OMISSIS), presso lo stadio comunale, quale medico responsabile del servizio 118, non vale a supportare l’affermazione che il sanitario avesse consapevolezza di dovere prestare assistenza anche ai calciatori coinvolti nell’attivita’ agonistica, oltre che agli spettatori. Del resto, come chiarito dal primo giudice, il (OMISSIS), nel momento in cui il (OMISSIS) accuso’ il malore, si trovava nell’infermeria del 118, postazione dalla quale non e’ visibile il campo di gioco; e anche detta circostanza conduce ad inferenze logiche di segno opposto, rispetto a quelle contenute in sentenza, in ordine al reale contenuto dei compiti di assistenza sanitaria che, ratione temporis, gravavano sul personale del 118 nel corso delle competizioni sportive che si svolgevano presso lo Stadio Comunale di (OMISSIS). Occorre, infine, considerare che i giudici riferiscono che il Protocollo di assistenza sanitaria, scaturito dalla richiamata Convenzione – in forza della quale l’Azienda Asl aveva assunto l’obbligo di fornire assistenza sanitaria durante le partite del campionato nazionale di calcio di serie B ai giocatori ed alla tifoseria, mediante personale medico del Servizio di Emergenza Sanitaria – reca la data del successivo (OMISSIS).
3.3. Richiamate le considerazioni sopra svolte circa l’intervenuto superamento della concezione formale della posizione di garanzia, deve rilevarsi che il (OMISSIS) assunse il ruolo di garante, nei confronti del calciatore (OMISSIS), solo quando raggiunse l’atleta sul campo di gioco: e’ in quel momento che si instaura la relazione terapeutica tra il calciatore e il medico del servizio 118 (OMISSIS), il quale, a sua volta, prese in carico il paziente, unitamente ai medici sociali che gia’ stavano prestando soccorso al calciatore.
Quanto detto, conduce ai seguenti approdi, nella valutazione della posizione dell’imputato (OMISSIS): da un lato, risultano prive di ogni conducenza le valutazioni espresse dai giudici di merito in ordine al ritardo – di due minuti e quaranta secondi, rispetto alla caduta a terra – con il quale il (OMISSIS) raggiunse il calciatore (OMISSIS), in difetto di un’obbligazione originaria a carico del medico del 118, rispetto all’assistenza sanitaria dei giocatori in campo; dall’altro, gli obblighi protettivi gravanti sul (OMISSIS), afferenti alla salute del (OMISSIS), scattarono dal momento della assunzione in concreto della relativa posizione di garanzia e non possono essere fatti retroagire al diverso momento in cui insorse il malore. Si tratta di una evenienza di certa rilevanza, anche nell’ambito dell’accertamento della riferibilita’ causale dell’evento morte alla condotta omissiva che si ascrive al prevenuto, accertamento che pure viene demandato al giudice del rinvio, per le ragioni di seguito esposte.
4. A questo punto della trattazione occorre soffermarsi sulle valutazioni espresse dai giudici di merito rispetto ai profili di colpa ascritti agli odierni imputati, per omessa utilizzazione del defibrillatore automatico, che pure era disponibile nell’immediatezza delle operazioni di soccorso del calciatore (OMISSIS).
La Corte di Appello, richiamando le indicazioni contenute nel manuale Basic Life Support, ha affermato che agli imputati e’ ascrivibile il mancato utilizzo, per colpa, del defibrillatore automatico, che doveva essere impiegato sia con finalita’ diagnostica dell’aritmia in corso, sia a scopo terapeutico, quale utile presidio nel trattamento della fibrillazione ventricolare.
4.1. Le considerazioni sul mancato impiego del DAE a scopo diagnostico che nello sviluppo motivazionale della sentenza in esame attingono specificamente i due medici sportivi – peccano di astrattismo e si pongono in termini di contraddittorieta’ logica con gli esiti dell’attivita’ istruttoria, confermati dalla stessa Corte territoriale, sulla correttezza della diagnosi operata nell’immediatezza dai due medici sociali. Invero, riferiscono i giudici di merito che, a fronte della perdita di conoscenza del calciatore, i medici sociali (OMISSIS) e (OMISSIS), accorsi sul campo, esclusa l’insorgenza di patologie di tipo neurologico, identificarono correttamente, secondo gli esiti degli accertamenti autoptici di poi effettuati, l’origine del collasso ed effettuarono altrettanto correttamente le prime manovre di rianimazione dell’atleta, comprendenti il massaggio cardiaco. A fronte di tale indiscusso quadro fattuale, le censure mosse dalla Corte di Appello all’operato dei medici sociali, per il mancato uso del DAE a scopo diagnostico, risultano vulnerate da intrinseca contraddittorieta’, atteso che la diagnosi venne effettuata aliunde dai predetti medici nell’immediatezza del fatto, in termini corretti, rispetto alla patologia in atto.
4.2. Dette considerazioni offrono il destro per considerare che il ragionamento probatorio sviluppato dalla Corte territoriale risulta vulnerato, oltre che dall’impiego di fonti dichiarative non utilizzabili, dal mancato confronto logico argomentativo rispetto al complessivo quadro fattuale, emerso all’esito dell’istruttoria dibattimentale.
Tanto si afferma, introducendo la disamina del secondo profilo di colpa ascritto ai tre sanitari, odierni imputati, che i giudici territoriali hanno ritenuto del pari sussistente: il mancato uso del defibrillatore con finalita’ terapeutica.
Il dato di fatto sul quale poggia il rimprovero omissivo ora richiamato e’ costituito dalla situazione di arresto cardiocircolatorio del (OMISSIS): cio’ in quanto il DAE, secondo le indicazioni dei periti, puo’ essere tecnicamente impiegato solo in assenza di battito. I giudici di merito hanno ritenuto accertata l’assenza di battito cardiaco, svalutando per inattendibilita’ le diverse indicazioni contenute nella testimonianza dell’infermiere (OMISSIS), presente sul campo a fianco del calciatore. Sul punto, la Corte di Appello ha chiuso il ragionamento probatorio osservando che l’assenza di battito era stata affermata anche dallo stesso medico (OMISSIS), in sede di sommarie informazioni rese in corso di indagine e riportate.
Soffermandosi sulle dichiarazioni del (OMISSIS), richiamate nel passaggio argomentativo ora citato, deve rilevarsi che le stesse sono effettivamente inutilizzabili. Si deve al riguardo considerare che la Corte di Appello ha richiamato le dichiarazioni rese in corso di indagine dal predetto imputato, omettendo di verificare la veste assunta dal dichiarante al momento della propalazione (Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246584). Oltre a cio’, la Corte ha erroneamente valorizzato, per la ricostruzione del fatto storico, le predette dichiarazioni che erano state riportate nell’elaborato peritale, posto che, secondo diritto vivente, si tratta di informazioni inutilizzabili per fini diversi da quelli dell’accertamento peritale (Sez. 1, n. 21185 del 02/12/2015, dep. 23/05/2016, Scoponi, Rv. 26688301; Sez. 3, n. 36351 del 19/05/2015, C, Rv. 26473801).
Esclusa l’utilizzabilita’ delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS), deve rilevarsi che l’argomentazione sviluppata dalla Corte di Appello, per disattendere il contenuto della deposizione dell’infermiere (OMISSIS), che aveva riferito di aver rilevato la presenza di battito, risulta intrinsecamente carente. E deve osservarsi che la ritenuta costante mancanza di battito, sin dai primi minuti dal collasso, risulta in realta’ logicamente incompatibile con il concreto sviluppo fenomenologico del malore occorso al (OMISSIS), posto che il collasso intervenne alle ore 15.29 e che la morte del calciatore venne dichiarata alle successive ore 16.44 dai medici dell’Ospedale. La sopravvivenza dell’atleta per oltre un’ora, dal momento della crisi, evidenzia che la Corte distrettuale ha omesso di confrontarsi con la possibilita’ di una presenza intermittente del battito cardiaco. Nel ragionamento posto a fondamento della sentenza in esame e’ mancata, cioe’, la verifica dell’ipotesi di discontinuita’ della presenza di battito, circostanza di certa rilevanza, al fine di verificare la stessa oggettiva sussistenza del profilo di colpa omissiva che occupa, atteso che come si e’ evidenziato, l’utilizzo del DAE e’ tecnicamente possibile solo in assenza di battito.
Rafforza il convincimento rilevare che la Corte di Appello ha pure omesso di confrontarsi adeguatamente con il percorso clinico di elezione, con finalita’ terapeutica. Tanto si afferma tenuto conto del fatto che il DAE non venne utilizzato durante il tragitto in ambulanza e che neanche i medici del Pronto Soccorso utilizzarono immediatamente il DAE. Riferisce, al riguardo, la Corte territoriale che i sanitari del locale Pronto Soccorso constatarono la situazione di arresto cardiaco dopo alcuni minuti dall’arrivo del paziente e che solo a quel punto vennero applicate le placche ed erogata una scarica con il DAE, congiuntamente alla installazione di un pacemaker per via femorale.
Le considerazioni sin qui svolte evidenziano l’illogicita’ del ragionamento sviluppato dalla Corte di Appello (vedi pag. 15) anche nell’individuare i profili di colpa ascrivibili al medico del 118 (OMISSIS), rispetto alla decisione di traferire l’atleta in Ospedale, scelta ritenuta in contrasto con le linee guida di riferimento. La Corte di merito, come chiarito, muove dall’affermazione che l’immediato uso del defibrillatore automatico fosse indispensabile a fini terapeutici, laddove proprio le evidenziate discrasie sulla presenza di battito vulnerano insanabilmente l’assunto e indubbiano la stessa pertinenza del riferimento alle linee guida per la rianimazione cardiopolmonare, come effettuato in sentenza.
4.3. A questo punto della trattazione, deve osservarsi che la sentenza in esame non individua correttamente le leges artis di elezione, che pure vengono impiegate come parametro oggettivo della colpa, intesa quale contrasto tra la condotta realizzata dagli imputati e la regola di cautela; e cio’ si osserva sia con riguardo al mancato uso del defibrillatore automatico, tanto in funzione diagnostica che terapeutica, sia rispetto alla decisione di trasferire il calciatore in ospedale, per quanto sopra rilevato. Invero, le raccomandazioni contenute nel manuale Basic Life Support, che la stessa Corte territoriale richiama come parametro deontico di riferimento, prevedono che, in caso di perdita di conoscenza, il soccorritore prima di tutto verifichi se vi sia attivita’ respiratoria ed attivita’ di circolo, attraverso la tecnica denominata G.A.S. (Guarda – Ascolta – Senti); e stabiliscono che, sulla base delle prime risultanze diagnostiche, in presenza di arresto cardiocircolatorio, si proceda alle manovre di rianimazione cardiopolmonare e all’impegno del DAE, in assenza di battito. E bene, le valutazioni contenute in sentenza, sull’asserito contrasto tra l’intervento di primo soccorso realizzato dagli odierni imputati e le raccomandazioni contenute nel citato manuale, non confrontandosi con la richiamata eventualita’ di discontinuita’ del battito del calciatore colpito dal malore, non risultano conducenti neppure rispetto all’individuazione dell’ulteriore parametro di colpa oggettiva, posto che proprio il quadro patologico in atto era tale da giustificare l’attuazione della tecnica osservativa denominata G.A.S., di cui si e’ detto; del resto, il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) effettuarono nell’immediatezza pure le prime manovre di rianimazione dell’atleta, comprendenti il massaggio cardiaco esterno, secondo quanto indicato nel Basic Life Support.
Le considerazioni sin qui svolte, sulla mancata individuazione del parametro oggettivo della colpa, conducono ex se a rilevare che, nel caso, non puo’ ritenersi adeguatamente motivata la ritenuta integrazione della stessa condotta tipica, nell’ambito della struttura del reato colposo di riferimento. Si tratta di evenienza tale da assolvere il Collegio da ogni ulteriore valutazione, sul punto. Non di meno, nella prospettiva della fase rescissoria del presente giudizio ed a migliore garanzia dell’esercizio dei poteri assegnati al giudice del rinvio, pure a fronte delle evidenziate discrasie sul profilo oggettivo della colpa, si evidenzia che nella sentenza in esame e’ mancata una adeguata declinazione anche del profilo soggettivo del rimprovero colposo ascritto agli odierni imputati, che agirono in via di fatto in cooperazione tra loro.
Le condizioni di concitazione ed urgenza in cui si svolse l’azione di soccorso prestata al (OMISSIS) – dai medici sportivi presenti a bordo campo e dal medico del 118 sopraggiunto – non sono state altrimenti considerate, nella prospettiva della concreta esigibilita’ di una diversa condotta da parte dei sanitari. In tale ambito valutativo neppure si e’ considerato che l’episodio risulta qualificato dalla palese mancanza di alcun coordinamento organizzativo tra i diversi operatori sanitari – i medici delle societa’ sportive ed il medico del Servizio di emergenza territoriale intervenuti in soccorso del calciatore; e deve convenirsi con il ricorrente (OMISSIS), il quale si e’ doluto della omessa considerazione del fatto che l’infortunio si e’ verificato diversi mesi prima che venisse adottato il citato Protocollo operativo di assistenza sanitaria, redatto in attuazione della Convenzione stipulata dalla ASL (OMISSIS) e dalla Societa’ sportiva (OMISSIS), di cui si e’ sopra detto esaminando la natura delle posizioni di garanzia.
Occorre, altresi’, sottolineare che la valutazione relativa alla esigibilita’ della condotta attesa doveva essere declinata in riferimento alla posizione – e alle competenze – di ciascun imputato, quale singolo cooperatore, nell’ambito della fattispecie di cui all’articolo 113 c.p. richiamata nel capo di imputazione. La contestazione, infatti, individua una ipotesi di cooperazione colposa tra i diversi medici intervenuti a vario titolo in soccorso del calciatore (OMISSIS), i quali ebbero ad interagire simultaneamente finche’ il calciatore non venne trasferito in Ospedale; ed i sanitari risultano tutti individuati quali titolari di una autonoma e concorrente posizione di garanzia, come chiarito. Vengono percio’ in rilievo le indicazioni offerte dal diritto vivente sulla cooperazione colposa (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, cit.). E preme rilevare che, pure nell’ambito della richiamata fattispecie, che svolge una funzione estensiva dell’incriminazione, occorre verificare l’esigibilita’ della condotta attesa, secondo le competenze di ciascuno dei soggetti coinvolti; cio’ in conformita’ al principio ripetutamente espresso dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, proprio nell’ambito della responsabilita’ sanitaria, in base al quale si e’ chiarito che la rimproverabilita’ soggettiva per la mancata attuazione della condotta doverosa va compiuta avuto riguardo alla concreta capacita’ dell’agente di uniformarsi alla regola cautelare in ragione delle sue specifiche qualita’ personali ed alle mansioni svolte (Sez. 4, n. 6215 del 10/12/2009, dep. 16/02/2010, Pappada’, Rv. 246419; Sez. 4, n. 19755 del 09/04/2009, Filizzolo, Rv. 243511). Anche sotto tale profilo, la valutazione effettuata in sede di merito non risulta conducente, atteso che l’analisi relativa alla posizione dei due medici sociali, rispetto a quella del medico del Servizio del 118, che avrebbe colposamente omesso di assumere il ruolo di guida e di coordinatore dei soccorsi in atto, sconta il deficit motivazionale sopra richiamato, posto che i giudici non hanno adeguatamente considerato che l’infortunio si e’ verificato quando non era ancora stato adottato il Protocollo operativo, volto a definire le procedure organizzative e di coordinamento degli operatori responsabili dell’assistenza sanitaria da prestare ai calciatori, oltre che alle tifoserie, in occasione delle competizioni sportive.
5. Le considerazioni sin qui svolte impongono l’annullamento della sentenza in esame, demandando al giudice del rinvio l’espletamento di un nuovo giudizio sul punto della ascrivibilita’ colposa delle condotte.
Occorre a questo punto rilevare che viene travolta anche la valutazione espressa dalla Corte di Appello in riferimento all’entita’ della colpa riferibile agli imputati, che il Collegio qualifica come “grossolana”.
Come noto, secondo diritto vivente, il grado della colpa, nello specifico settore della responsabilita’ degli esercenti la professione sanitaria, rinviene dal livello di discostamento del comportamento posto in essere dal medico, rispetto all’agire appropriato, secondo le raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento (sez. 4, sentenza n. 16237 del 29.01.2013, Cantore, Rv. 255105).
La distinzione tra culpa levis e culpa lata ha acquisito una specifica considerazione alla luce della disposizione, in tema di responsabilita’ sanitaria, che era contenuta nell’oggi abrogato Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, articolo 3, comma 1, convertito, con modificazioni dalla L. 8 novembre 2012, n. 189, ove era tra l’altro stabilito: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attivita’ si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunita’ scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”.
Secondo la Corte regolatrice, la novella del 2012 aveva escluso la rilevanza penale della colpa lieve, rispetto alle condotte lesive coerenti con le linee guida o le pratiche terapeutiche mediche virtuose, accreditate dalla comunita’ scientifica. In particolare, si era evidenziato che la norma aveva dato luogo ad una abolitio criminis parziale degli articoli 589 e 590 c.p., avendo ristretto l’area penalmente rilevante individuata dalle predette norme incriminatrici, alla sola colpa grave (Sez. 4, Sentenza n. 11493 del 24/01/2013, Pagano, Rv. 254756; Sez. 4, Sentenza n. 16237 del 29/01/2013, Cantore, cit.).
Il tema della responsabilita’ dell’esercente la professione sanitaria, per i reati di omicidio colposo e di lesioni colpose, e’ stato poi oggetto di un ulteriore intervento normativo, con il quale il legislatore ha posto mano nuovamente alla materia della responsabilita’ sanitaria, anche in ambito penale. Il riferimento e’ alla L. 8 marzo 2017, n. 24, recante Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonche’ in materia di responsabilita’ professionale degli esercenti le professioni sanitarie; e, segnatamente, alla citata L. n. 24 del 2017, articolo 6, che ha introdotto l’articolo 590-sexies c.p., rubricato Responsabilita’ colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario.
Le Sezioni Unite (Sez. U., sentenza n. 8770 del 21.12.2017, dep. 22.02.2018, Mariotti, Rv. 272174) ricostruendo la portata precettiva della disposizione di cui all’articolo 590-sexies, c.p., hanno chiarito che l’errore medico puo’ cadere sulla scelta delle linee guida ovvero nella fase esecutiva delle raccomandazioni contenute nelle linee guida adeguate al caso di specie; con la precisazione che, in tale ultima ipotesi, l’esercente la professione sanitaria risponde per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attivita’ medico chirurgica, se l’evento si e’ verificato per colpa grave da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenuto conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficolta’ dell’atto medico. Come si vede, secondo diritto vivente, la distinzione tra colpa lieve e colpa grave per imperizia, nell’ambito della fase esecutiva delle raccomandazioni contenute nelle linee guida che risultino adeguate al caso di specie, mantiene una sua attuale validita’: cio’ in quanto la colpa lieve per imperizia esecutiva, nel senso ora chiarito, delimita l’area di irresponsabilita’ penale del professionista sanitario.
Il legislatore del 2017, con scelta sovrana, ha ritenuto di limitare l’innovazione alle sole situazioni astrattamente riconducibili alla sfera dell’imperizia. Sono cosi’ state troncate, per il futuro, le incertezze verificatesi nelle prassi, anche quella di legittimita’, in ordine all’applicabilita’ della L. n. 189 del 2012 alle linee guida la cui inosservanza conduce ad un giudizio non di insipienza tecnico-scientifica (imperizia) ma di trascuratezza, e quindi di negligenza. L’articolo 590-sexies c.p., si applica solo quando sia stata elevata o possa essere elevata imputazione di colpa per imperizia.
Non di meno, ove a carico dei sanitari, per il fatto lesivo verificatosi, emergano profili di colpa per negligenza, puo’ assumere rilevanza il riferimento alla L. n. 189 del 2012, in quanto norma piu’ favorevole, ai sensi dell’articolo 2 c.p., comma 4. Le Sezioni Unite, infatti, (Sez. U. 21.12.2017, dep. 22.02.2018, n. 8770, Mariotti, cit.), hanno chiarito che il Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, articolo 3, oggi abrogato, risulta piu’ favorevole in relazione alle contestazioni per comportamenti del sanitario commessi prima della entrata in vigore della novella del 2017, connotati da negligenza o imprudenza con configurazione di colpa lieve, che, per il citato decreto Balduzzi, erano esenti da responsabilita’ in caso di rispetto delle linee guida o delle buone pratiche accreditate.
A tali coordinate interpretative dovra’ attenersi il giudice del rinvio, anche nell’apprezzamento della natura e del grado dei profili di colpa, ritenuti ascrivibili agli odierni imputati.
6. La giurisprudenza di questa Corte insegna che il principio di colpevolezza impone la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione – da parte del garante – di una regola cautelare, sia della prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso (ex multis, Sez. 4, n. 32216 del 20/06/2018, Capobianco, Rv. 273568).
In aderenza alla griglia logica e metodologica ora richiamata, resta da trattare la questione della riferibilita’ causale della morte del calciatore (OMISSIS), come in concreto verificatasi, alle condotte, attive ed omissive, ascritte agli odierni imputati.
6.1. Posto che, nel caso di specie, i ricorrenti censurano l’individuazione della causa della morte operata in sentenza e denunciano il malgoverno delle indicazioni tecniche offerte dai periti, rispetto alla patologia occulta che affliggeva il (OMISSIS), giova sinteticamente richiamare i principi che, secondo diritto vivente, governano l’apprezzamento giudiziale della prova scientifica da parte del giudice di merito e che presiedono al controllo che, su tale valutazione, puo’ essere svolto in sede di legittimita’.
Al riguardo, si e’ chiarito che alla Corte regolatrice e’ rimessa la verifica sulla ragionevolezza delle conclusioni alle quali e’ giunto il giudice di merito, che ha il governo degli apporti scientifici forniti dagli specialisti. La Suprema Corte ha evidenziato che qualsiasi lettura della rilevanza dei saperi di scienze diverse da quella giuridica, utilizzabili nel processo penale, non puo’ avere l’esito di accreditare l’esistenza, nella regolazione processuale vigente, di un sistema di prova legale, che limiti la libera formazione del convincimento del giudice; che il ricorso a competenze specialistiche con l’obiettivo di integrare i saperi del giudice, rispetto a fatti che impongono metodologie di individuazione, qualificazione e ricognizione eccedenti i saperi dell’uomo comune, si sviluppa mediante una procedimentalizzazione di atti (conferimento dell’incarico a periti e consulenti, formulazione dei relativi quesiti, escussione degli esperti in dibattimento) ad impulso del giudicante e a formazione progressiva; e che la valutazione di legittimita’, sulla soluzione degli interrogativi causali imposti dalla concretezza del caso giudicato, riguarda la correttezza e conformita’ alle regole della logica dimostrativa dell’opinione espressa dal giudice di merito, quale approdo della sintesi critica del giudizio. La Corte regolatrice ha in particolare affermato che il giudice di legittimita’ non e’ giudice del sapere scientifico e non detiene proprie conoscenze privilegiate. La Suprema Corte e’ cioe’ chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilita’ delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto (cfr. Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini, Rv. 248944; Sez. 4, n. 42128 del 30.09.2008, Rizza, n. m.). E il giudice di merito puo’ fare legittimamente propria, allorche’ gli sia richiesto dalla natura della questione, l’una piuttosto che l’altra tesi scientifica, purche’ dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha ritenuto di non dover seguire.
Suole affermarsi che al giudice e’ attribuito il ruolo di peritus peritorum.
Detta locuzione, secondo le indicazioni espresse dalla giurisprudenza sopra richiamata, esprime efficacemente, in realta’, il ruolo di metodologo e di epistemologo che l’ordinamento assegna al giudice di merito, quale professionista al quale sono demandati i compiti decisori, nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali. La necessaria razionalita’ del discorso giustificativo della decisione giudiziaria impone, infatti, di bandire le teoriche che erano basate sull’intuizionismo del giudicante, chiamato a governare saperi extragiuridici. Nel giudizio di stampo accusatorio, il giudice, in veste di metodologo, deve razionalmente selezionare il sapere accreditato che puo’ utilmente orientare la decisione: in tale ambito funzionale, il giudicante assume il ruolo di gate keeper della piattaforma probatoria, che si forma nel contraddittorio delle parti, che dibattono anche sulla individuazione, sul contenuto e sull’affidabilita’ delle tesi scientifiche di riferimento. Il giudice e’ percio’ chiamato a sviluppare – quale peritus peritorum, nei sensi ora chiariti – un preliminare esame di ordine epistemologico che involge la stessa affidabilita’ delle diverse tesi – spesso contrapposte – che consulenti tecnici e periti veicolano nel giudizio. Come e’ stato osservato, nello sviluppo di tale ruolo, il giudice deve esaminare le basi fattuali sulle quali le argomentazioni degli esperti sono state condotte; deve verificare l’ampiezza, la rigorosita’ e l’oggettivita’ della ricerca; ed apprezzare conclusivamente l’attitudine esplicativa dell’elaborazione teorica prescelta, nonche’ il grado di consenso che le tesi sostenute dall’esperto raccolgono nell’ambito della comunita’ scientifica (Sez. 4, n. 18678 del 14.3.2012, Campelli, Rv. 252621).
6.2. Declinando i principi ora richiamati nell’ambito della valutazione della prova scientifica, funzionale all’accertamento del rapporto di causalita’, la giurisprudenza ha osservato che deve considerarsi utopistico un modello di indagine causale, nel giure penale, fondato solo su strumenti di tipo deterministico e nomologico-deduttivo, affidato esclusivamente alla forza esplicativa di leggi universali. Cio’ in quanto, nell’ambito dei ragionamenti esplicativi, si formulano giudizi sulla base di generalizzazioni causali, congiunte con l’analisi di contingenze fattuali. In tale prospettiva, si e’ chiarito che il coefficiente probabilistico della generalizzazione scientifica non e’ solitamente molto importante; e che e’ invece importante che la generalizzazione esprima effettivamente una dimostrata, certa relazione causale tra una categoria di condizioni ed una categoria di eventi (cfr. Sez. U, sentenza n. 30328, in data 11.9.2002, Franzese, Rv. 222138). Per comprendere appieno il significato nomofilattico della decisione ora citata giova ricordare i termini del contrasto, in tema di causalita’ omissiva, che le Sezioni Unite nel 2002 furono chiamate a comporre. Secondo un primo orientamento, che recepiva le indicazioni della dottrina maggioritaria, doveva ritenersi imprescindibile, per l’accertamento del rapporto di derivazione causale tra la condotta omessa e l’evento, che la legge di copertura offrisse un indice percentualistico di accadibilita’ dell’evento naturalistico, alle condizioni date, prossimo o uguale a cento. Secondo l’opposto indirizzo, nella verifica del nesso di causalita’ tra la condotta attesa e l’evento infausto verificatosi, in materia di responsabilita’ per colpa professionale sanitaria, al criterio della certezza degli effetti della condotta, poteva e doveva essere sostituito quello della probabilita’ di tali effetti salvifici, di talche’ assumeva rilevanza anche la perdita di determinate chance di salvezza per il paziente, anche se percentualisticamente inferiori al 50 per cento. Le Sezioni Unite superarono l’impasse affermando che per offrire la prova del fatto il giudice non puo’ attingere a criteri di mera probabilita’ statistica, ma che, di converso, occorre fare riferimento al criterio della probabilita’ logica, intesa come “la verifica aggiuntiva, sulla base dell’intera evidenza disponibile, dell’attendibilita’ dell’impiego della legge statistica” rispetto al singolo evento oggetto dell’accertamento giudiziale. E, proprio in riferimento al tema della casualita’ omissiva – che viene in rilievo nel caso di specie le Sezioni Unite, con la sentenza ora citata, chiarirono che il giudizio di certezza sul ruolo salvifico della condotta omessa presenta i connotati del paradigma indiziario e si fonda anche sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico, da effettuarsi ex post sulla base di tutte le emergenze disponibili e culmina nel giudizio di elevata “probabilita’ logica”. Cio’ significa che, anche nel caso di frequenze medio basse, cioe’ a dire di una legge di copertura che esprima un basso indice di accadibilita’ dell’evento, e’ dato affermare la sussistenza del nesso di derivazione causale tra condotta mancata e l’evento naturalistico, in termini di certezza, avuto riguardo alle particolarita’ del caso concreto.
Nell’alveo di tale insegnamento si e’ quindi affermato che le incertezze alimentate dalle generalizzazioni probabilistiche possono essere in qualche caso superate nel crogiuolo del giudizio focalizzato sulle particolarita’ del caso concreto quando l’apprezzamento conclusivo puo’ essere espresso in termini di elevata probabilita’ logica (Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini, Rv. 248943). E si e’ chiarito che, ai fini dell’imputazione causale dell’evento alla condotta doverosa non realizzata, il giudice di merito deve sviluppare un ragionamento esplicativo, di natura controfattuale, che si confronti adeguatamente con le particolarita’ della fattispecie concreta, chiarendo che cosa sarebbe accaduto se fosse stato posto in essere il comportamento richiesto all’imputato dall’ordinamento. Si tratta di insegnamento ribadito dalle Sezioni Unite che si sono nuovamente soffermate sulle questioni riguardanti l’accertamento della causalita’ omissiva e sui limiti che incontra il sindacato di legittimita’, nel censire la valutazione argomentativa espressa in sede di merito (Sez. U, n. 38343 del 24.04.2014, Espenhahn, Rv. 261106). Nella sentenza ora richiamata, le Sezioni Unite hanno sviluppato il modello epistemologico gia’ indicato nella citata pronunzia del 2002 – che delinea un modello dell’indagine causale capace di integrare l’ipotesi esplicativa delle serie causali degli accadimenti e la concreta caratterizzazione del fatto storico – ribadendo che, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalita’ tra omissione ed evento non puo’ ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilita’ statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilita’ logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarita’ del caso concreto. In particolare, si e’ sottolineato che, nella verifica dell’imputazione causale dell’evento, occorre dare corso ad un giudizio predittivo, sia pure riferito al passato: il giudice si interroga su cio’ che sarebbe accaduto se l’agente avesse posto in essere la condotta che gli veniva richiesta.
Sintetizzando le considerazioni sin qui esposte deve rilevarsi che nelle fattispecie omissive improprie, qualificate dalla presenza di condizioni negative dell’evento, si rende indispensabile la costruzione di decorsi causali ipotetici: il giudice, procedendo alla ricostruzione controfattuale del nesso causale, si interroga in ordine all’evitabilita’ dell’evento, per effetto delle condotte doverose che non sono state poste in essere. E deve precisarsi che, nell’ambito della casi di responsabilita’ a carico dell’esercente la professione sanitaria, la Corte regolatrice risulta consolidata nel rilevare che, in tema di omicidio colposo, sussiste il nesso di causalita’ tra l’omessa adozione da parte del medico di idonee misure atte a rallentare il decorso della patologia acuta, colposamente non diagnosticata, ed il decesso del paziente, quando risulta accertato, secondo il principio di controfattualita’, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con minore intensita’ lesiva (Sez. 4, Sentenza n. 18573 del 14/02/2013, dep. 24/04/2013, Rv. 256338). Come si vede, la nozione dell’evento naturalistico, nei reati di omicidio colposo in ambito sanitario, risulta caratterizzata anche dall’analisi del prevedibile maggior tempo di sopravvivenza del malato, ove opportunamente curato, ovvero dalla minore intensita’ dell’insulto, pure dovuto alla patologia in atto.
6.3. La Corte di Appello, nel verificare se la morte di (OMISSIS), come in concreto verificatasi, fosse causalmente riferibile alla condotta ascritta ai medici odierni imputati, qualificata dal mancato impiego del defibrillatore automatico nell’immediatezza della crisi occorsa al calciatore, non si e’ attenuta ai principi di diritto ora richiamati.
Come sopra ricordato, il giudizio di certezza sul ruolo salvifico della condotta omessa deve fondarsi sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico, da effettuarsi ex post sulla base di tutte le emergenze disponibili. Correttamente, la Corte di Appello ha pertanto richiamato le indicazioni emerse, ex post, dall’accertamento autoptico e dalle indagini istologiche. Nel richiamato passaggio motivazionale, il Collegio ha osservato che il (OMISSIS) era risultato affetto da cardiomiopatia aritmogena, con interessamento prevalente del ventricolo sinistro; ha chiarito che il decesso era inquadrabile come morte improvvisa cardiaca aritmica; ed ha osservato che la causa del collasso cardiocircolatorio era da identificarsi in una fibrillazione ventricolare, insolitamente localizzata nel ventricolo sinistro.
Tanto rilevato, deve osservarsi che il prosieguo del ragionamento controfattuale disattende l’insegnamento offerto dal diritto vivente, sul tema dell’imputazione causale dell’evento.
Ed invero il Collegio, sul punto di interesse, ha osservato che il defibrillatore risulta generalmente efficace per il ripristino del normale ritmo cardiaco. Nel procedere alla valutazione sulla riferibilita’ causale del decesso del (OMISSIS) alle condotte dei medici sociali e del medico del Servizio di emergenza del 118, la Corte distrettuale ha quindi osservato che, rispetto alle possibilita’ di sopravvivenza del giovane alla crisi che lo aveva improvvisamente colpito nel corso della partita, i periti non avevano offerto indicazioni certe: cio’ in quanto l’esito finale sarebbe dipeso da variabili connesse proprio alla presenza della patologia originaria. Non di meno, in sentenza si afferma che l’uso del DAE avrebbe comunque consentito di limitare i danni e di dare tempo ai sanitari per effettuare interventi mirati. Dopo aver richiamato le astratte probabilita’ di recupero dell’individuo affetto genericamente da arresto cardiaco secondario ed aver sottolineato che il ripristino del normale ritmo cardiaco mediante defibrillazione elettrica non garantisce da solo la sopravvivenza del paziente, poiche’ la defibrillazione non corregge la causa della patologia ne’ le conseguenze tissutali anossiche, collegate alla mancanza di perfusione, la Corte territoriale ha ritenuto che l’impiego del defibrillatore avrebbe consentito al (OMISSIS) di giocarsi ogni successiva chance di sopravvivenza. L’assunto viene di seguito esplicitato, nel senso che secondo i giudici il tempestivo impiego del defibrillatore avrebbe consentito una favorevole evoluzione del quadro patologico del giovane atleta e favorito la gestione della crisi. La Corte osserva, infine, che la probabilita’ di sopravvivenza della vittima deve essere diversificata rispetto al momento in cui ciascun medico intervenne in soccorso del calciatore, affermando poi che ciascuno dei professionisti coinvolti si trovava nella condizione di incidere utilmente sul corso degli eventi.
Orbene, le richiamate valutazioni, poste alla base della ritenuta sussistenza del nesso di derivazione causale tra le condotte ascritte ai sanitari e la morte improvvisa del giovane calciatore, secondaria alla cardiomiopatia aritmogena da cui era affetto inconsapevolmente l’atleta professionista, risultano da un lato carenti, dall’altro inficiate dalle dedotte aporie logico-argomentative.
Sotto il primo profilo, deve osservarsi che l’accertamento della causalita’, nel caso di specie, presenta intrinseche difficolta’, posto che la vittima risultava portatrice di una grave patologia, non altrimenti in precedenza diagnosticata; conseguentemente, la valutazione sulla valenza salvifica da assegnare alle condotte di primo soccorso, rispetto all’insorgenza della crisi, deve adeguatamente confrontarsi con le indicazioni offerte dai periti sullo specifico quadro clinico presentato dal giovane. Si tratta di un aspetto non adeguatamente esplorato, che imponeva l’acquisizione di ulteriori informazioni tecnico-scientifiche, se del caso mediante un mirato esame dei periti, sul tema di interesse. Sotto altro aspetto, la Corte territoriale mal governa i criteri di accertamento della riferibilita’ causale, in considerazione delle frequenze medio basse espresse dalla legge di copertura, posto che non effettua la concreta valutazione della valenza salvifica da assegnare all’uso del DAE, nel quadro patologico presentato dal paziente. Ed invero, la Corte ha omesso di elaborare il giudizio di tipo induttivo, sulla base della caratterizzazione del fatto storico e delle peculiarita’ del caso concreto, indicato dal diritto vivente quale paradigma motivazionale imprescindibile nell’accertamento della causalita’ omissiva. E tanto si afferma anche nella prospettiva di una possibile rilevanza causale della condotta omessa rispetto alla mera posticipazione dell’evento letale. Al riguardo, in sentenza si afferma che l’impiego del defibrillatore avrebbe comunque consentito ai sanitari di realizzare una diversa – e non precisata gestione della crisi cardiaca; e cio’, in mancanza di alcuna indicazione tecnico scientifica, sulla valenza salvifica della condotta alternativa, rispetto all’accertata patologia endogena che affliggeva il paziente. Deve conclusivamente rilevarsi che, in realta’, la Corte distrettuale ha fatto riferimento alla teorica della perdita di chance, espressa dal richiamato indirizzo giurisprudenziale esauritosi nei primi anni duemila, in base al quale, nella verifica del nesso di causalita’ tra la condotta del sanitario e la lesione del bene della vita del paziente, occorreva privilegiare un criterio meramente probabilistico, sulle possibilita’ di successo del comportamento alternativo. Si tratta di una valutazione che si pone in frontale – e non motivato contrasto con le indicazioni ermeneutiche espresse dal diritto vivente, sul tema dell’imputazione causale dell’evento, sopra richiamate.
Per quanto detto, la sentenza in esame deve essere annullata con rinvio, anche sul punto della causalita’.
7. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Perugia, alla luce dei richiamati principi di diritto. Al giudice del rinvio viene pure demandata la regolamentazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimita’. Resta assorbito ogni ulteriore motivo di censura.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Perugia, cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimita’.
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