Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 9 aprile 2019, n. 15601.

La massima estrapolata:

Integra il reato di truffa a carico delle autostrade la condotta di chi si accoda all’automobilista munito di telepass e supera il varco prima che la sbarra si riabbassi.

Sentenza 9 aprile 2019, n. 15601

Data udienza 31 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CERVADORO Mirella – Presidente

Dott. BORSELLINO Maria D. – rel. Consigliere

Dott. CIANFROCCA Pierluigi – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

Dott. MONACO Marco Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza resa il 20 febbraio 2017 dalla CORTE di APPELLO di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MARIA DANIELA BORSELLINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. LIGNOLA Ferdinando che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Arezzo del 22 settembre 2010 che ha condannato l’imputata per il delitto di truffa in danno della (OMISSIS) S.p.A., costituitasi parte civile.
Si addebita all’imputata di avere in piu’ occasioni eluso il controllo e il conseguente pagamento del pedaggio autostradale mediante un sistema fraudolento, consistito nell’utilizzare le piste riservate al pagamento con Telepass, senza essere dotata del necessario dispositivo, accostandosi immediatamente dietro ad altro veicolo regolarmente dotato del meccanismo e cosi’ riuscendo a passare prima che la sbarra si abbassasse.
2. Avverso la detta sentenza propone ricorso l’imputata, tramite atto sottoscritto dal difensore di fiducia, con il quale deduce:
violazione dell’articolo 27 Cost. in materia di responsabilita’ penale e dell’articolo 640 c.p. e dell’articolo 373 disp. att. C.d.S. e vizio della motivazione, poiche’ la corte fiorentina ha fondato il giudizio di colpevolezza dell’imputato sulla mera costatazione che costei e’ la proprietaria dell’autovettura fotografata ai caselli autostradali, in assenza di alcuna prova circa l’identificazione del soggetto alla guida del veicolo.
Lamenta il ricorrente che, secondo l’assunto della corte l’incontestata titolarita’ della proprieta’ della vettura intercettata ai caselli farebbe sorgere a carico della proprietaria una presunzione di colpevolezza, che la (OMISSIS) non ha in alcun modo contrastato, mantenendosi contumace nel giudizio. Cosi’ facendo la corte avrebbe sovvertito i principi costituzionali secondo cui la responsabilita’ penale e’ personale e un soggetto puo’ essere ritenuto colpevole solo quando ne si dimostri la responsabilita’, al di la’ di ogni ragionevole dubbio. La corte territoriale in conclusione a fronte di un mero unico indizio in ordine alla responsabilita’ dell’imputata, in carenza di qualsivoglia altro elemento, ha affermato la sua colpevolezza, sulla base di una erronea interpretazione del disposto dell’articolo 373 disp. att. C.d.S..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposto e’ inammissibile perche’ generico e manifestamente infondato.
Al riguardo non va trascurato che La pacifica giurisprudenza di legittimita’ ritiene che in caso di cd. “doppia conforme”, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruita’ della motivazione, tanto piu’ ove i giudici dell’appello, come nel caso in esame, abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicche’ le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entita’ (Cass. pen., sez. 2, n. 1309 del 22 novembre 1993, dep. 4 febbraio 1994, Albergano ed altri, rv. 197250; sez. 3, n. 13926 del 1 dicembre 2011, dep. 12 aprile 2012, Valerio, rv. 252615).
Il Tribunale ha rilevato che la registrazione al PRA dell’autovettura costituisce una presunzione di appartenenza dell’auto alla (OMISSIS), che aveva l’onere di dimostrare che non era alla guida dell’auto, mentre la stessa non ha mai risposto alle diverse contestazioni a lei sollevate con comunicazioni della (OMISSIS).
La Corte ha condiviso le dette argomentazioni rilevando che l’assunto difensivo secondo cui l’imputata era addirittura priva di patente di guida non era mai stato dimostrato e neppure introdotto nel giudizio, e che, peraltro, tale condizione dell’imputata non esclude la possibilita’ che la stessa abbia regolarmente utilizzato la vettura; che la (OMISSIS) era venuta meno al suo dovere di allegazione in rapporto a circostanze idonee ad escludere la sua responsabilita’; aggiungeva che la titolarita’ dell’auto faceva sorgere una presunzione di colpevolezza ai sensi dell’articolo 373 disp. att. C.d.S..
Il ricorrente non si confronta con l’intera articolata motivazione assunta dai giudici di merito, ma si limita ad appuntare le sue censure su quest’ultima affermazione, lamentando che l’articolo 373 cit. non fa sorgere alcuna presunzione di colpevolezza e attiene esclusivamente alla solidarieta’ del proprietario del veicolo e del conducente in merito alla responsabilita’ amministrativa.
Nel caso in esame la colpevolezza dell’imputata si fonda sulla accertata proprieta’ dell’autovettura utilizzata per commettere la truffa continuata e sulla assenza da parte della stessa di qualsivoglia spiegazione alternativa in merito alla disponibilita’ dell’auto in questione.
La titolarita’ della vettura induce a ritenere, secondo una massima di esperienza, che il proprietario ne abbia la disponibilita’.
Le massime di esperienza sono generalizzazioni empiriche indipendenti dal caso concreto, fondate su ripetute esperienze ma autonome e sono tratte, con procedimento induttivo, dall’esperienza comune, conformemente ad orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione, in quanto non si risolvono in semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze o parametri riconosciuti e non controversi (Sez. 2, n. 51818 del 06/12/2013 – dep. 30/12/2013, Brunetti, Rv. 25811701)
Questa Corte ha avuto modo di precisare che il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d’esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova solo se puo’ escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi all’apparenza piu’ verosimile. (Sez. 4, n. 22790 del 13/04/2018 – dep. 22/05/2018, Mazzeo, Rv. 27299501).
Inoltre e’ stato precisato che ai fini della prova indiziaria possono essere utilizzati anche elementi negativi, purche’ offrano un dato conoscitivo certo, convincente e non generico. (Sez. 6, n. 47541 del 20/11/2013 – dep. 29/11/2013, Lombardini, Rv. 25771101).
Nel caso in esame l’imputata non ha ritenuto mai di rispondere alle numerose contestazioni che le sono state sollevate in merito alle violazioni poste in essere dall’autovettura di cui la stessa e’ proprietaria.
Deve convenirsi con il ricorrente che nell’ordinamento processuale penale, non e’ previsto un onere probatorio a carico dell’imputato, modellato sui principi propri del processo civile, ma non va trascurato che secondo consolidata giurisprudenza e’ prospettabile un onere di allegazione, in virtu’ del quale l’imputato e’ tenuto a fornire all’ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore. (Sez. 5, n. 32937 del 19/05/2014 – dep. 24/07/2014, Stanciu, Rv. 26165701)
Tra questi fatti oltre a quelli che escludono la punibilita’ di una condotta che realizza, in tutti i suoi elementi positivi, una fattispecie criminosa (quali possono essere le cause di giustificazione, il caso fortuito, la forza maggiore, il costringimento fisico e l’errore di fatto) devono farsi rientrare anche quelli che, pur attenendo alla intrinseca struttura oggettiva e soggettiva del reato, rivestano carattere di eccezionalita’ ed atipicita’ rispetto al normale svolgersi delle vicende umane. (Sez. 2, n. 20171 del 07/02/2013 – dep. 10/05/2013, Weng e altro, Rv. 25591601).
Nel caso in esame la corte ha correttamente evidenziato che la imputata non ha fornito alcuna spiegazione alternativa in merito alla disponibilita’ dell’autovettura di sua proprieta’, che in diverse occasioni transitava fraudolentemente nei passaggi destinati ai veicoli muniti di telepass. Sicche’, secondo una comune massima di esperienza, non contrastata in alcun modo dall’imputata che ha preferito rimanere contumace, deve ritenersi che la stessa avesse la disponibilita’ effettiva dell’autovettura utilizzata per realizzare la truffa in diverse occasioni.
L’erroneo riferimento all’articolo 373 C.d.S. non inficia la validita’ dell’iter logico argomentativo condiviso dai giudici di merito, che non appare manifestamente illogico o contraddittorio e si presenta immune dai vizi dedotti dal ricorrente.
2.Alla inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila favore della cassa delle ammende.

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