La collazione
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A) Il fondamento
La collazione non è un istituto avente autonoma funzionalità – come ad esempio l’azione di riduzione – ma costituisce un mero criterio di formazione, ricostruzione e riequilibrio della massa ereditaria ai fini della divisione della medesima.
In assenza di una divisione, pertanto, la collazione non ha autonoma ragion d’essere, anche in considerazione del fatto che è solo con la ricostruzione dell’intera massa che la collazione permette di approdare ad un risultato corretto nella formazione delle quote, laddove una collazione avente ad oggetto singoli beni può addirittura condurre a risultati matematicamente e giuridicamente non corretti.
Per la dottrina, si possono elencare le seguenti teorie:
1) Teoria tradizionale [1] – presunta volontà del testatore –
In omaggio al dogma della volontà, che tende a ricondurre, soprattutto, in materia successoria, la maggior parte degli effetti giuridici al volere del disponente.
In contrario si è rilevato [2], sul piano terico, che una visione estremamente soggettivistica finirebbe con l’attribuire ogni effetto giuridico ad una volontà presunta, mentre la più moderna dottrina ha dichiarato che la fonte di questi effetti è esclusivamente la legge, la quale può ispirarsi, solo in alcuni casi, alla presumibile volontà dei soggetti.
2) Teoria dell’uguaglianza tra i coeredi [3] –
Ossia nella più equa ripartizione tra i coeredi. Se non ci fosse la collazione il coerede – donatario avrebbe diritto di conseguire sull’asse ereditario relitto la quota spettategli e, in più, di ritenere (salvo i diritti dei legittimari) la donazione ricevuta.
In contrario si è rilevato[4] che questo principio non è sempre valido: non lo è, infatti, quando il coerede donatario sia chiamato all’eredità in una quota minore rispetto a quella degli altri coeredi.
3) Teoria della comproprietà familiare [5] –
Ciascun membro avrebbe, durante la vita del de cuius, un’eguale aspettativa sul patrimonio di questi.
In contrario si è rilevato [6] che, nel nostro diritto positivo, è garantita la titolarità esclusiva del soggetto sul proprio patrimonio e la correlativa libertà di disporne, sia pure entro certi limiti.
4) Teoria dell’interesse della famiglia [7] –
Le norme sulla collazione, si è affermato, anche se sono dispositive (in quanto la legge prevede espressamente la dispensa) hanno lo scopo di evitare che l’atto di donazione del de cuius, a favore dei coeredi previsti 737 c.c., pregiudichi i diritti ereditari degli altri coeredi non donatari, ma sempre membri di una stessa famiglia, chiamati alla successione.
Anche questa teoria, come la precedente, ha in realtà più un valore morale, che giuridico [8] .
5) Teoria dell’anticipazione di eredità [9] –
Il de cuius fa la donazione con la sottointesa intenzione di anticipare al futuro erede tutto o parte della sua eredità di guisa che, all’atto di successione, il bene donato deve essere considerato come un acconto, se non addirittura come il saldo della quota ereditaria.
Mentre, per la giurisprudenza di Cassazione [10], la collazione ereditaria, quale che ne sia il fondamento, rappresenta, in entrambe le forme in cui è prevista dalla legge (in natura o per imputazione), un mezzo giuridico preordinato alla formazione della massa ereditaria da dividere, in guisa che, nei reciproci rapporti tra determinati coeredi, siano assicurati, in senso relativo, l’equilibrio e la parità di trattamento, al fine che non venga alterato il rapporto di valore fra le varie quote e sia garantito a ciascuno degli eredi stessi la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla propria quota. La differenza tra i due modi di collazione consiste in ciò che, mentre quella in natura consta di un’unica operazione, che implica un effettivo incremento dei beni in comunione che devono essere divisi, la collazione per imputazione ne postula due, l’addebito del valore dei beni donati, a carico della quota dell’erede donatario, ed il contemporaneo prelevamento di una corrispondente quantità di beni da parte degli eredi non donatari, cosicché soltanto nella collazione per imputazione, non in quella in natura, i beni rimangono sempre in proprietà del coerede donatario, che li trattiene in virtù della donazione ricevuta e deve versare alla massa solo l’equivalente pecuniario, il che di norma avviene soltanto idealmente.
Sulla scia di questo principio per ultima sentenza di merito[11] in presenza di donazioni fatte in vita dal de cuius, la collazione ereditaria – in entrambe le forme previste dalla legge, per conferimento del bene in natura ovvero per imputazione – è uno strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere al fine di assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote, da determinarsi, in relazione alla misura del diritto di ciascun condividente, sulla base della sommatoria del relictum e del donatum al momento dell’apertura della successione, e quindi garantire a ciascuno degli eredi la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla propria quota. Ne consegue che l’obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione (salva l’espressa dispensa da parte del de cuius nei limiti in cui sia valida) e che i beni donati devono essere conferiti indipendentemente da una espressa domanda dei condividenti, essendo sufficiente a tal fine la domanda di divisione e la menzione in essa dell’esistenza di determinati beni, facenti parte dell’asse ereditario da ricostruire, quali oggetto di pregressa donazione. Incombe in tal caso sulla parte che eccepisca un fatto ostativo alla collazione l’onere di fornirne la prova nei confronti di tutti gli altri condividenti[12].
Ancora secondo altro adagio del Tribunale Capitolino[13] la collazione ereditaria, in presenza di donazioni fatte in vita dal de cuius, costituisce uno strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere al fine di assicurare equilibrio e parità di trattamento ai vari condividenti e, dunque, a garantire ad essi la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionati alla propria quota. L’obbligo della collazione, pertanto, sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione ed i beni donati devono essere conferiti a prescindere da una espressa domanda dei condividenti, in quanto a tal fine sufficiente la domanda di divisione e la menzione, in essa, della esistenza di determinati beni facenti parte dell’asse ereditario da ricostruire, quali oggetto di pregressa donazione. L’azione contemplata dalla disposizione di cui all’art. 737 c.c., pertanto, è finalizzata unicamente all’accertamento dell’obbligo del coerede che ha ricevuto beni in donazione a procedere alla collazione, in matura o mediante imputazione, e costituisce, in quanto tale, atto strumentale alla divisione ereditaria.
Sul punto è tornata nuovamente la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 30 gennaio 2017, n. 2299
affermando il seguente principio: l’istituto della collazione mira ad assicurare la “par condicio” degli eredi, la valutazione dei beni conferiti in natura o per imputazione alla massa ereditaria va fatta con riferimento al valore dei beni stessi alla apertura della successione, mentre, una volta procedutosi a tali operazioni preliminari, il valore dei cespiti, compresi nella massa da dividere, va calcolato, al fine dell’assegnazione delle singole quote, con riferimento al momento della divisione stessa.
NATURA GIURIDICA
All’interprete vengono proposti i seguenti quesiti:
- se lo spostamento patrimoniale, determinato dalla collazione, avvenga automaticamente o dia luogo ad un’obbligazione, che viene ademputa poi attraverso uno specifico trasferimento;
- quale natura giuridica abbia, ove si segua la seconda tesi, l’obbligazione; quale sia la fonte dell’obbligo.
- Teoria della natura automatica[14] –
All’apertura della successione la donazione si risolve e il bene donato rientra immediatamente (ossia senza atti di trasferimento) nella comunione dei coeredi; se poi la collazione avviene per imputazione, rientra in comunione non il bene donato, ma il suo valore.
E proprio su questo punto in contrario è stato rilevato[15] che l’automatismo non può sussistere in quei casi in cui, trattandosi di beni mobili ovvero di beni alienati, ipotecati o periti per colpa del donatario, quest’ultimo può solo conferire per imputazione; operazione che non può certo avvenire automaticamente, ma richiede l’accertamento concreto del valore dei beni al tempo dell’apertura della successione.
- Teoria della natura obbligatoria[16] –
Secondo la quale la collazione rappresenta una vera e propria obbligazione a carico del coerede – donatario e a favore degli altri coeredi, come risulta espressamente ove si legge che il coerede < deve > trasferire (art.737 c.c.).
NATURA – dell’obbligazione – obbligazione restitutoria semplice, mentre trattasi di obbligazione con facoltà alternativa, quando è lasciata la possibilità di scelata al donatario d’imputare o di restituire in natura il bene donatogli.
LA FONTE – ha natura di prelegato obbligatorio.
Si tratta più precisamente, di un prelegato ex lege anomalo, perché non è a favore di uno dei coeredi e a carico di tutta l’eredità (art. 661 c.c.), ma a carico di un solo coerede (il donatario che deve conferire) e a favore di tutti gli altri coeredi.
Questa tesi è fondata, principalmente, sulla considerazione che l’obbligo di conferimento rappresenta un effetto patrimoniale determinato dalla legge tra i coeredi accettanti e si risolve nella nascita di un nuovo diritto, che non esisteva in capo al de cuius.
La disciplina giuridica concreta, deve peraltro, tener conto del fatto che i soggetti (attivi e passivi), coinvolti nella collazione, devono essere necessariamente coeredi. Non troveranno perciò applicazione quelle regole che sono tipiche manifestazioni del principio di autonomia del legato rispetto all’eredità (att. 521, II comma, 490, n.2, 676, II comma, 677, II comma).
Applicabilità sia nella successione legittima sia in quella testamentaria
É stato specificato dalla Cassazione [17], poiché la collazione ha la funzione di assicurare nella divisione della massa attiva del patrimonio del de cuius l’osservanza delle quote spettanti agli eredi — estendendo l’art. 737 c.c. ai figli, ai loro discendenti e al coniuge l’obbligo del conferimento di ciò che hanno ricevuto in vita dal defunto per donazione senza attribuire alcun rilievo alla loro qualità o meno di legittimari — l’istituto opera sia nella successione legittima sia in quella testamentaria, secondo quanto si desume anche dallo specifico riferimento contenuto nell’originaria formulazione dell’art. 737 c.c. alla facoltà del testatore di dispensare l’erede dalla collazione.
B) I presupposti
La collazione, anche se avviene per imputazione anziché in natura, produce l’effetto pratico di aumentare realmente l’asse ereditario da dividere. Tuttavia essa opera solo nei rapporti reciproci tra i soggetti che vi sono tenuti e non anche rispetto ad altri eventuali coeredi, i quali non se ne possono avvantaggiare. Conseguentemente le quote ereditarie dei primi hanno per oggetto l’asse ereditario incrementato dai conferimenti mentre le quote dei secondi (eventuali) hanno per oggetto i soli beni relitti, e cioè i beni del defunto al momento della morte.
Per la Cassazione[18], in senso generale, la collazione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere mentre, se l’asse sia stato esaurito con donazioni o con legati, o con gli uni e con gli altri insieme, si che manchi un relictum, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l’esito dell’eventuale azione di riduzione.
Per regola generale sono oggetto di collazione tutti i beni donati in vita dal de cuius al proprio discendente o al coniuge. Infatti, l’art. 737 c.c. sancisce che il discendente o il coniuge deve conferire tutto ciò che ha ricevuto dal defunto in donazione, direttamente o indirettamente.
Da un punto di vista oggettivo è necessario che vi sia una donazione fatta al discendente coerede o al coniuge coerede per determinare un fenomeno collatizio.
Restano esclusi dalla collazione i legati[19].
Ebbene, i presupposti per il sorgere dell’obbligazione collatizia possono essere così elencati:
- apertura della successione [20];
- accettazione eredità [21]; anche se per altra sentenza della Cassazione il diritto dei coeredi di chiedere in ogni tempo la divisione ed il connesso diritto alla collazione postulano l’assunzione della qualità di erede e pertanto che sia intervenuta l’accettazione (espressa o tacita) dell’eredità da parte del chiamato entro il termine di prescrizione di cui all’art. 480 c.c. [22];
- la qualità di donatario del soggetto tenuto a collazione;
- la qualità di discendente (legittimo, naturale o adottivo, ormai senza più distinzione come si avà modo di specificare) o di coniuge del de cuius del soggetto tenuto a collazione;
- la qualità di coerede (legittimo o testamentario) del soggetto tenuto alla collazione;
- l’assenza di una dispensa[23] da collazione;
- l’esistenza di un relictum da dividere;
Occorre, poi, sottolineare come la necessità di quest’ultimo, considerato ulteriore presupposto oggettivo, è controversa.
- Secondo alcuni [24] non vi è collazione – essendo l’asse esaurito con le donazioni e/o con i legati, in realtà, manca un relictum e quindi non vi è materia di divisione e neppure di collazione, inoltre si è aggiunto che non vi è collazione quando il relictum è di modico valore;
- Secondo altri [25] vi è collazione – l’obbligo di collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione e diviene operante a seguito dell’accettazione dell’eredità, la quale deve dividersi fra i soggetti tenuti alla collazione.
La giurisprudenza maggioritaria sottolinea che è principio consolidato che la collazione, in quanto presuppone una comunione ereditaria, opera solo se vi è relictum da dividere qualora il defunto abbia esaurito l’asse ereditario con donazioni o con legati o con entrambi assieme, in modo tale che risulti mancante un relictum, non si può dar luogo a divisione e pertanto neppure a collazione, salvo l’esito dell’eventuale azione di riduzione.
Secondo una pronuncia della Suprema Corte[26] la collazione essendo istituto necessario della divisione ereditaria, richiede necessariamente beni relitti e quindi una comunione, mentre non pretende una domanda dei condividenti.
Principio ripreso anche da ultima Cassazione [27] secondo la quale, appunto, la collazione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, mentre, se l’asse é stato esaurito con donazioni o con legati, o con le une e con gli altri insieme, sicché viene a mancare un relictum da dividere, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l’esito dell’eventuale azione di riduzione.
C) La collazione e gli istituti affini
1) La collazione e la riunione fittizia
Per autorevole dottrina [29]
COLLAZIONE
- opera solo in presenza di una comunione di cui siano parte i figli, i loro discendenti e il coniuge (non gli ascendenti)
- mira a mantenere un certo equilibrio nell’ambito della formazione delle porzioni ereditarie
- le norme sono derogabili devono essere prese in considerazione solo le donazioni ricevute dai figli, dai loro discendenti e dal coniuge.
RIUNIONE FITTIZIA
- opera solo in presenza di legittimari
- mira a verificare di quale quota il de cuius potesse disporre.
- Le norme sono inderogabili
- Devono essere considerate tutte le donazioni a chiunque fatte
L’unico tratto in comune, che risponde ad una esigenza più generale, è che in ogni caso le donazioni ricevute in vita dall’erede non possono ledere la quota di riserva di eventuali altri legittimari.
Infatti, la riunione fittizia è una semplice operazione contabile e concerne tutte le donazioni del de cuius a chiunque fatte.
Inoltre, essa, in quanto diretta soltanto a ricostruire l’intero patrimonio del de cuius, che la legge considera termine di riferimento per la determinazione della quota disponibile e, di riflesso, per quella della quota di riserva, non è legata necessariamente alla proposizione dell’azione di riduzione, ma si pone come un prius indispensabile rispetto alle operazioni divisionali, quando vi sia concorso di eredi necessari [30].
Conseguentemente, come visto, la dispensa dalla collazione non importa che del bene donato non si debba tener conto riunendolo fittiziamente agli altri beni per la formazione della massa cosiddetta di calcolo [31].
Invece, la collazione, oltre a riguardare solo determinati soggetti, dà luogo ad un aumento effettivo della massa ereditaria, cioè della massa da dividere tra i coeredi.
2) La collazione e l’imputazione ex se
La collazione, anche se avviene per imputazione, è ben diversa dalla imputazione prevista dal II comma dell’art. 564 c.c., detta anche imputazione ex se.
Questa è un onere per il legittimario che agisce con l’azione di riduzione.
Salvo dispensa che è un atto unilaterale, trattandosi di una dichiarazione del donante o del de cuius, che può essere calata:
1) in una autonoma clausola del contratto di donazione o del testamento
2) ovvero contenuta in un atto a sé stante successivo, testamentario ovvero pubblico.
Il legittimario non deve imputare solo le donazioni e i legati, ma tutto ciò che abbia ricevuto per successione, vale a dire anche i beni che abbia conseguito in qualità di erede.
Tale onere del legittimario, di imputare alla sua porzione legittima le donazioni e i legati a lui fatti, ha lo scopo di evitare che esso faccia valere la sua legittima anche per la parte soddisfatta dal defunto mediante quelle donazioni e quei legati. Pertanto l’imputazione ex se può essere pretesa anche dal non legittimario contro il quale è diretta l’azione di riduzione.
L’affinità tra i due istituti, si è precisato [33], si riduce solo al fatto che anche l’imputazione in tema di collazione comporta un’operazione contabile senza un effettivo trasferimento del bene.
Va, tuttavia, tenuto presente che l’imputazione ex se può essere, al pari della collazione, oggetto di dispensa ad opera dell’ereditando.
Per il resto, salvo con riferimento all’oggetto, si tratta di due figure distinte anche sul piano dell’efficacia poiché mentre la dispensa dalla collazione agisce nei rapporti tra coeredi, la dispensa dalla imputazione ex se sposta il limite che la legittima rappresenta per il potere di disposizione del de cuius.
Nel caso di mancanza della seconda (che esige una apposita ed espressa manifestazione di volontà, diversa dalla dispensa dalla collazione), deve ritenersi implicita la volontà del donante di imputare i beni donati alla legittima, senza che tale volontà – come, a maggior ragione, nel caso in cui la stessa sia espressa positivamente – incida in alcun modo sulla efficacia della dispensa dalla collazione [34].
Da ciò deriva, che la dispensa dalla collazione non implica dispensa dalla imputazione e che le due dispense possono coesistere, con il risultato che il donatario è esonerato dal conferimento e dall’imputazione ex se.
Solo in tal modo il donante raggiungerà il massimo beneficio possibile per il donatario.
3) La collazione e l’azione di riduzione
Infine, la collazione va tenuta distinta anche dall’azione di riduzione in generale.
Prima di tutto per ciò che riguarda il fondamento, in quanto la collazione ha come obiettivo quello di assicurare tra i discendenti ed il coniuge del de cuius la parità di trattamento (il famoso equilibrio più volte ricordato dalla Cassazione), mentre la riduzione ha lo scopo di rendere inefficaci le liberalità del de cuius che abbiano leso il diritto del legittimario in modo da reintegrare la quota di riserva.
Conseguentemente, mentre la collazione sacrifica solo i donatari che siano anche coeredi discendenti, senza proteggere il legittimario come tale, l’azione di riduzione tende a reintegrare la quota di legittima anche con il sacrificio del donatario non erede e non discendente [36].
Secondo una pronuncia di merito [37] qualora il coerede donatario non sia stato dispensato dalla collazione (che di per sé è comunque corollario se non presupposto della divisione ereditaria ed è, quindi, obbligatoria, salvo il disposto dell’art. 737 c.c., a seguito dell’apertura della successione) risulta assolutamente superflua la proposizione dell’azione di riduzione di cui all’art. 555 c.c., poiché la sola collazione, avendo portata più ampia, è sufficiente per far conseguire a ciascun coerede la propria quota di eredità. Poiché l’azione di riduzione, invece, viene proposta al fine di tutelare la sola quota di legittima, è evidentemente uno strumento di portata inferiore e comunque subordinato all’eventuale dispensa dalla collazione.
Anche l’oggetto è diverso
Infatti, l’ambito maggiore è quello dell’azione di collazione che mira a riportare alla massa tutti i beni donati dal de cuius, mentre quella di riduzione ha semplicemente lo scopo di recuperare alla quota di riserva beni donati oltre i limiti della disponibile [38].
Mentre con la collazione occorre conferire tutte le donazioni ancorché vecchissime, l’azione di riduzione, dato che tende semplicemente a reintegrare la quota di riserva del legittimario, non colpisce tutte le donazioni ma solo quelle che sono necessarie a tal fine, iniziando dall’ultima in ordine di tempo.
Ancora altra differenza si ha sotto il profilo della legittimazione.
L’azione di riduzione spetta al legittimario leso nella quota di legittima contro qualunque donatario, anche se non erede del defunto, il diritto alla collazione è attribuito reciprocamente ai discendenti e al coniuge contro il coerede che ha ricevuto una donazione dal de cuius e non sia stato espressamente dispensato [39].
Infine, sotto il profilo delle interferenze tra la collazione e l’azione di riduzione, in giurisprudenza [40] si è osservato che l’eccedenza della donazione, ai fini della riduzione, consiste nel fatto che la misura della donazione comprende parte dei beni che sono necessari a completare la misura della quota di riserva, mentre l’eccedenza della donazione, ai fini della collazione, sta solo a indicare che il donatario ha ricevuto più di quanto a lui spetta nel concorso con gli altri condividenti come lui discendenti dal de cuius. I due concetti, pertanto, non coincidono e, conseguentemente l’eccedenza ai fini della collazione non significa anche eccedenza come lesione della quota di riserva.
Secondo ultima cassazione [41] la domanda di divisione si propone quando, costituitasi la comunione ereditaria in seguito alla apertura della successione legittima o testamentaria, gli eredi chiedono lo scioglimento e le conseguenti assegnazione delle porzioni o attribuzione dei beni. Poiché anche la divisione comporta la collazione e l’imputazione (art. 724 c.c.), carattere precipuo della domanda di divisione é che, con questa, nessun erede deduce di aver subito una lesione della quota di riserva: in altre parole, gli eredi tenuti alla collazione ed alla imputazione non affermano che quanto dal defunto, direttamente o indirettamente, é stato donato abbia ecceduto la disponibile. Il petitum, pertanto, consiste nel conseguimento della quota ereditaria, mentre la causa petendi é data dalla semplice qualità di erede legittimo o testamentario.
L’azione di riduzione, invece, si propone nel caso in cui le disposizioni testamentarie o le donazioni siano eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre e ha come scopo, anzitutto, la determinazione dell’ammontare concreto della quota di legittima: vale a dire, della quota di cui il defunto poteva disporre e di stabilire come ed in quale misura le singole disposizioni testamentarie o le donazioni debbano ridursi per integrare la legittima. Essendo stabilito dalla legge il diritto del legittimario ad una determinata quota, con l’azione di riduzione egli mira a conseguire in concreto tale diritto e cioé ad accertare, nei confronti della successione che lo riguarda, l’ammontare della quota di riserva e, quindi, della lesione che ad essa hanno apportato le disposizioni del de cuius, nonché le modalità e l’ammontare delle riduzioni di dette disposizioni lesive. Contestualmente, l’attuazione della reintegrazione in concreto implica la proposizione delle istanze di restituzione.
Nell’azione di riduzione, quindi, assumono una fisionomia a sé tanto il petitum, quanto la causa petendi. Il primo consiste nel conseguimento della quota di riserva, previa determinazione di essa mediante il calcolo della disponibile e la susseguente riduzione delle disposizioni testamentarie o delle donazioni compiute in vita dal de cuius; la seconda é data dalla qualità di erede legittimario e dalla asserita lesione della quota di riserva. Nel petitum e nella causa petendi dell’azione di riduzione sono presenti elementi ulteriori e piu’ specifici di quelli costituenti il petitum e la causa petendi della domanda di divisione.
Da questo quadro ricostruttivo, i cui tratti sono costantemente delineati nella giurisprudenza di legittimità [42], deriva che é da escludere che il giudicato sullo scioglimento della comunione ereditaria in seguito all’apertura della successione legittima, nella specie limitato al relictum essendo stato il coerede donatario dispensato dalla collazione[43], comporti un giudicato implicito sulla insussistenza della lesione della quota di legittima, per effetto della donazione compiuta in vita dal de cuius, in capo a ciascun coerede condividente.
Ancora per ultima sentenza di merito [44] nella domanda di divisione di beni in comunione ereditaria conseguente all’apertura di una successione legittima o testamentaria, l’assegnazione o lo scioglimento della stessa da parte degli eredi comporta la collazione e l’imputazione ai sensi dell’art. 724 del c.c. sempre che nessun erede lamenti la lesione della propria quota di riserva ovvero che, quanto donato, non abbia ecceduto il disponibile. Per contro, nell’azione di riduzione occorre determinare proprio in concreto l’ammontare della quota di legittima ossia quella porzione di cui il defunto poteva disporre per stabile la misura delle singole disposizioni testamentarie e delle donazioni.
Per la Corte Capitolina [45] la domanda di divisione ereditaria e quella di riduzione sono nettamente distinte ed autonome, presupponendo la prima l’esistenza di una comunione ereditaria che si vuole sciogliere ed essendo la seconda diretta al soddisfacimento dei diritti del legittimario che si ritenga leso dalle disposizioni testamentarie o dalle donazioni, indipendentemente dalla divisione. L’azione di riduzione spetta, dunque, al legittimario, leso nella quota di legittima, contro qualunque donatario o legatario, anche se non sia erede del defunto, e tende a far caducare le attribuzioni che abbiano leso in tutto o in parte la quota di riserva, al fine di ricostituirla. La collazione, che raffigura uno strumento di disciplina della divisione, attraverso cui viene attuato in modo concreto lo scioglimento della comunione, compete, invece, al discendente erede contro il suo coerede donatario che non sia stato dispensato e scopo di essa è quello di assicurare parità di trattamento tra tutti i discendenti. Da ciò discende che la domanda di integrazione della quota di riserva non può ritenersi implicitamente contenuta in quella di collazione (e in generale di divisione) ed è preclusa la sua proposizione nel corso del giudizio, trattandosi di domanda nuova, per diversità di causa petendi e di petitum, rispetto a quella inizialmente proposta.
Da ultimo è intervenuta anche la Cassazione
Corte di Cassazione, civile, Sentenza|10 dicembre 2020| n. 28196.
andando a stabilire che mentre la riduzione sacrifica i donatari nei limiti di quanto occorra per reintegrare la legittima lesa ed è quindi imperniata sul rapporto fra legittima e disponibile, la collazione, nei rapporti indicati nell’art. 737 c.c., pone il bene donato, in proporzione della quota ereditaria di ciascuno, in comunione fra i coeredi che siano il coniuge o discendenti del “de cuius”, donatario compreso, senza alcun riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile. Nondimeno, il rilievo che la collazione può comportare di fatto l’eliminazione di eventuali lesioni di legittima, consentendo agli eredi legittimi di conseguire nella divisione proporzioni uguali, non esclude che il legittimario possa contestualmente esercitare l’azione di riduzione verso il coerede donatario, atteso che solo l’accoglimento di tale domanda assicura al legittimario leso la reintegrazione della sua quota di riserva con l’assegnazione di beni in natura, privando i coeredi della facoltà di optare per l’imputazione del relativo valore. Al contempo, e in modo speculare, deve riconoscersi che l’azione di riduzione, una volta esperita, non esclude l’operatività della collazione con riguardo alla donazione oggetto di riduzione, fermo restando che mentre la collazione, ove richiesta in via esclusiva, comporta il rientro del bene donato nella massa, senza riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile, nel caso di concorso con l’azione di riduzione essa interviene in un secondo tempo, dopo che la legittima sia stata reintegrata, al fine di redistribuire l’eventuale eccedenza, e cioè l’ulteriore valore della liberalità che esprime la disponibile.
D) L’Imputazione
Mentre la riunione fittizia è un’operazione puramente matematica fatta, per così dire, a tavolino e lo stesso è a dirsi per la imputazione ex se (art. 750) del legittimario ai fini della verifica della quota di riserva.
La Collazione, invece, è operata per
- imputazione effettiva alla quota del donatario del valore dei beni donati
- ovvero con conferimento in natura (solo con i beni immobili) degli stessi alla comunione.
Per la S.C.[46] in presenza di donazioni fatte in vita dal de cuius, la collazione ereditaria — in entrambe le forme previste dalla legge, per conferimento del bene in natura ovvero per imputazione — è uno strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere al fine di assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote, da determinarsi, in relazione alla misura del diritto di ciascun condividente, sulla base della sommatoria del relictum e del donatum al momento dell’apertura della successione, e quindi garantire a ciascuno degli eredi la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla propria quota.
Ne consegue che l’obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione (salva l’espressa dispensa da parte del «de cuius» nei limiti in cui sia valida) e che i beni donati devono essere conferiti indipendentemente da una espressa domanda dei condividenti, essendo sufficiente a tal fine la domanda di divisione e la menzione in essa dell’esistenza di determinati beni, facenti parte dell’asse ereditario da ricostruire, quali oggetto di pregressa donazione. Incombe in tal caso sulla parte che eccepisca un fatto ostativo alla collazione l’onere di fornirne la prova nei confronti di tutti gli altri condividenti.
art. 737 c.c. soggetti tenuti alla collazione
i figli [legittimi e naturali] e i loro discendenti legittimi e naturali ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire (ATTO) ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati.
La dispensa da collazione non produce effetto se non nei limiti della quota disponibile (c.c.556).
La collazione per imputazione costituisce una fictio iuris per effetto della quale il coerede, che, a seguito di donazione operata in vita dal de cuius, abbia già anticipatamente ricevuto una parte dei beni a lui altrimenti destinati solo con l’apertura della successione, ha diritto a ricevere beni ereditari in misura ridotta rispetto agli altri coeredi, tenuto conto del valore (attuale) di quanto precedentemente donatogli, senza che i beni oggetto della collazione tornino materialmente e giuridicamente a far parte della massa ereditaria, incidendo i medesimi esclusivamente nel computo aritmetico delle quote da attribuire ai singoli coeredi [47].
Nel giudizio di divisione ereditaria, una volta che il condividente donatario abbia optato per la collazione per imputazione – che si differenzia da quella in natura per il fatto che i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del medesimo condividente – la somma di denaro corrispondente al valore del bene donato, quale accertato con riferimento alla data di apertura della successione, viene sin da quel momento a far parte della massa ereditaria in sostituzione del bene donato, costituendo in tal modo ab origine un debito di valuta a carico del donatario cui si applica il principio nominalistico; ne consegue che anche gli interessi legali vanno rapportati a tale valore e decorrono dal medesimo momento [48].
Occorre, altresì, precisare come da recente Cassazione
Corte di Cassazione, civile, Sentenza|| n. 17409
che quando la donazione abbia avuto ad oggetto un immobile il coerede donatario non ha bisogno di alcuna dispensa dalla collazione per ritenere il bene donato, imputandone il valore alla propria porzione, giacche’ proprio la legge (articolo 746 c.c.) riserva a lui la scelta fra il conferimento in natura e quello per imputazione (Cass. n. 1521/1980).
La collazione, in entrambe le forme in cui e’ prevista dalla legge (in natura e per imputazione) rappresenta un istituto preordinato dalla legge per la formazione della massa ereditaria, allo scopo di assicurare l’equilibrio e la parita’ di trattamento in senso relativo tra i coeredi in modo da far si’ che non venga alterato il rapporto di valore tra le varie quote e sia garantita a ciascun coerede la possibilita’ di conseguire una quantita’ di beni proporzionata alla propria quota. La differenza tra i due modi di collazione consiste in cio’ che, mentre quella in natura consta di un’unica operazione, che implica un effettivo incremento dei beni in comunione che devono essere divisi, la collazione per imputazione ne postula due, l’addebito del valore dei beni donati, a carico della quota dell’erede donatario, ed il contemporaneo prelevamento di una corrispondente quantita’ di beni da parte degli eredi non donatari, cosicche’ soltanto nella collazione per imputazione, non in quella in natura, i beni rimangono sempre in proprieta’ del coerede donatario, che li trattiene in virtu’ della donazione ricevuta e deve versare alla massa solo l’equivalente pecuniario, il che di norma avviene soltanto idealmente” (Cass. n. 2453/1976).
Insomma, solo con la collazione in natura il bene diventa, in termini reali, oggetto di comunione fra il donatario e gli altri coeredi: esso sara’ diviso fra i coeredi insieme alle altre cose presenti nell’asse in ragione della rispettiva quota ereditaria (Cass. n. 4777/1983); con la collazione per imputazione e’ ripartito invece il valore della stessa donazione: attraverso il metodo dei prelevamenti o altro equivalente i coeredi non donatari conseguono sulla massa comune, in aggiunta al valore della quota quale sarebbe stata senza la collazione, anche il valore che loro compete sul bene donato in proporzione di quella stessa quota. Il bene donato, conferito per imputazione, rimane di proprieta’ del donatario (Cass. n. 25646/2008; n. 9177/2018).
In conformita’ con tali principi e’ stato chiarito che la sentenza che disponga la collazione della donazione, senza specificare il modo in cui essa debba aver luogo, non comporta necessariamente il conferimento in natura del bene donato: ne consegue che non e’ ravvisabile alcuna violazione di giudicato nella statuizione successiva che abbia disposto, in conformita’ della scelta della parte, la collazione per imputazione con versamento in denaro rispetto alla quota spettante (Cass. n. 1481/1979). Costituisce inoltre principio acquisito che, nei casi in cui la legge attribuisce al coerede donatario la facolta’ di scelta fra il conferimento in natura ed il conferimento per imputazione, tale facolta’ di scelta deve intendersi attribuita senza alcun limite, e quindi anche per l’ipotesi in cui il valore del bene donato sia superiore al valore della quota. In tale ipotesi, ove il coerede scelga l’imputazione, come in tutti gli altri casi in cui l’imputazione e’ l’unico modo di collazione ammesso dal Codice civile, il coerede dovra’ imputare alla sua quota il valore della donazione ricevuta fino a concorrenza del valore della quota stessa, e dovra’ versare alla massa l’equivalente pecuniario dell’eccedenza (Cass. n. 3598/1956; n. 28196/2020).
E’ naturale che, all’interno di questo sistema, imperniato sulla facolta’ di scelta attribuito al donatario, che la collazione di una donazione di bene immobile, in mancanza di una specifica manifestazione di volonta’ del donatario per il conferimento in natura, deve avvenire per imputazione.
In palese contrasto con questi principi, è la sentenza impugnata ha inserito l’appartamento nel progetto di divisione, nel caso di specie trattato dalla Cassazione del 2023 sopra indicata, considerandolo alla stregua di un bene comune, stimato per il valore attuale e incluso in una delle porzioni da estrarre a sorte, come se fosse stato conferito in natura. Diversamente, in assenza di scelta per il conferimento in natura, l’immobile doveva ritenersi conferito ai coeredi per imputazione per il valore determinato ex articolo 747 c.c. Pertanto, restando ferma la proprieta’ del donatario, i coeredi avrebbero dovuto concorrere sul valore di esso mediante il metodo dei prelevamenti, avuto riguardo alla parita’ voluta dal testatore e tenuto conto naturalmente dell’esito della riduzione (Cass. n. 28196/2020).
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Beni mobili
Con l’imputazione il bene donato non passa alla massa ereditaria ma nella determinazione del relictum e nella formazione della porzione di ciascun coerede, si tiene conto del suo valore e, in conseguenza, la porzione che sarebbe spettata al coerede – donatario viene ridotta in misura pari al valore del bene donato trattenuto.
art. 750 c.c. collazione di mobili
La collazione dei mobili si fa soltanto per imputazione, sulla base del valore che essi avevano al tempo dell’aperta successione (c.c.456, disp. di att.al c.c. 1353).
Se si tratta di cose delle quali non si può far uso senza consumarle, e il donatario le ha già consumate, si determina il valore che avrebbero avuto secondo il prezzo corrente (c.c.1474) al tempo dell’aperta successione.
Se si tratta di cose che con l’uso si deteriorano, il loro valore al tempo dell’aperta successione è stabilito con riguardo allo stato in cui si trovano.
La determinazione del valore dei titoli dello Stato, degli altri titoli di credito quotati in borsa e delle derrate e delle merci il cui prezzo corrente è stabilito dalle mercuriali, si fa in base ai listini di borsa e alle mercuriali del tempo dell’aperta successione.
Esempio
Tizio è morto ab intestato, lasciando a sé superstiti 2 figli – Primo e Secondo, a ciascuno dei quali spetta ½ dell’asse ereditario, che è di 40 mila euro. Al figlio Primo egli donò in vita un gioiello di 60.000 euro.
Primo, se conosce il valore dell’asse ereditario, deve rinunziare all’eredità. Se, invece, accetta, l’asse aumenterà a 100.000 euro (40.000 di relictum più 60.000 donatum) e il donatario dovendo imputare 60.000 (né potrà conferire in natura trattandosi di bene mobile, dovrà versare l’eccedenza 10.000 euro dal proprio patrimonio.
Collazione di denaro
Principio nominalistico
Si effettua secondo il valore legale della specie donata, cosicché se sono state donate mille lire nel 1940 e la successione del donante si apre nel 1980, la somma oggetto di collazione (sempre 1000 lire) avrà perso gran parte del valore di acquisto.
Determina quindi uno squilibrio rispetto al regime della collazione per imputazione di beni mobili e immobili, il cui valore è calcolato al momento dell’apertura della successione e non già a quello della donazione, cosicché la tendenza è quella opposta della rivalutazione e non già della valutazione.
art. 751 c.c. collazione del danaro
la collazione del danaro donato (c.c.1923) si fa prendendo una minore quantità del danaro che si trova nell’eredità, secondo il valore legale della specie donata o di quella ad essa legalmente sostituita all’epoca dell’aperta successione (c.c.1277 e ss.).
Quando tale danaro non basta e il donatario non vuole conferire altro danaro o titoli dello Stato, sono prelevati mobili o immobili ereditari, in proporzione delle rispettive quote.
Con intervento recente il Tribunale di Roma [49] ha affermato che la collazione del denaro deve compiersi all’interno dell’operazione di divisione dell’asse ereditario, con la formazione delle quote ereditarie spettanti a ciascun coerede. Invero la collazione si attua per imputazione, sul necessario presupposto che in precedenza si sia proceduto ad un’operazione di divisione dell’asse ereditario realizzandosi l’imputazione, appunto, attraverso un minor prelievo rispetto a quanto altrimenti spetterebbe pro quota al donataro sull’intero asse.
La collazione di quote partecipative di società di comodo e di società in generale
Con questo tipo di società (di comodo) i membri della famiglia non mantengono l’intestazione diretta dei beni immobili, ma li conferiscono in società, rimanendo titolari di quote o di azioni corrispondenti ai conferimenti stessi.
Ogni vicenda traslativa pertanto anche le donazioni, avviene attraverso gli strumenti che lo schema societario consente, e avrà per oggetto non cespiti immobiliari, ma partecipazioni che ne rappresentano la proiezione in società.
In questi casi non si applica l’imputazione prevista per i beni immobili, ossia, l’imputazione effettiva o il conferimento in natura, ma il regime previsto per i beni mobili, per la considerazione che non si deve tener conto della composizione qualitativa del patrimonio sociale, quale risultante dello stato patrimoniale, ma del regime della circolazione delle quote o delle azioni, in quanto unici beni oggetto del trasferimento.
Quale valore verrà applicato ?
- valore nominale della partecipazione o
- valore reale (preferibile) della partecipazione al tempo dell’apertura della successione (per analogia in merito alla liquidazione della partecipazione [50])
Si faccia un esempio: Tizio, e i suoi figli Primo e secondo sono soci con pari partecipazioni di una s.a.s. con capitale sociale pari ad euro 150,00, e con un patrimonio immobiliare pari ad 1 milione di euro. Tizio dona a Primo la sua quota. È evidente che l’obbligo di collazione non potrà essere pari a 150 euro, ma dovrà avvenire con riferimento al patrimonio, e quindi per un importo di poco superiore ai 333.000 euro.
Inoltre, saranno imputate anche le partecipazioni comprensive di altre azioni o quote di società controllate o collegate.
In tal caso, il valore di ciascuna partecipazione societaria trasferita deve essere considerato anche alla luce del patrimonio della società c.d. partecipata.
Per tale operazione risulterà utile lo strumento del bilancio consolidato, il quale consente una valutazione complessiva.
Mentre per quanto riguarda il valore delle azioni delle S.p.A. aperte, oscillante in ogni momento a causa delle contrattazioni di borsa, sarà determinato al momento in cui fu aperta la successione, ossi al momento della morte del de cuius.
Sul punto la Cassazione[51] ha affermato che mentre è soggetta a collazione per imputazione, prevista dall’art.750 c.c. per i beni mobili, la quota di società, in quanto – non conferendo ai soci un diritto reale sul patrimonio societario riferibile alla società, che è soggetto distinto dalle persone dei soci – attribuisce un diritto personale di partecipazione alla vita societaria, va compiuta, secondo le modalità previste dall’art. 746 c.c. per gli immobili, la collazione della quota di azienda, che rappresenta la misura della contitolarità del diritto reale sulla universitas rerum dei beni di cui si compone, sicchè – ove si proceda per imputazione – deve aversi riguardo al valore non dei singoli beni ma a quello assunto dall’azienda, quale complesso organizzato, al tempo dell’apertura della successione.
Successivamente tale principio è stato confermato da ultimo spunto della medesima Cassazione [52], la quale confermando ulteriormente il principio più volte eneunciato sulla collazione della donazione indiretta (che si avrà modo di esplicare successivamente [53]) ha statuito che la cessione gratuita di quote di una cooperativa edilizia finalizzata all’assegnazione dell’alloggio in favore del cessionario può integrare una donazione indiretta dell’alloggio stesso, soggetta alla morte del donante a collazione ereditaria ai sensi dell’art. 746 c.c.
La giurisprudenza di questa Corte – si legge nella sentenza richiamata – in materia di collazione ha più volte affermato, in fattispecie similari, che nel caso di donazione indiretta forma oggetto di collazione il bene ultimo che in definitiva il disponente intendeva donare. Così è stato ritenuto[54] che nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, si configura la donazione indiretta dell’immobile e non del denaro impiegato per l’acquisto; pertanto, in caso di collazione, secondo le previsioni dell’articolo 737 c.c., il conferimento deve avere ad oggetto l’immobile e non il denaro.
Mutando ciò che v’è da mutare, il caso di specie non si sottrae, secondo la Cassazione, all’applicazione espansiva del principio appena richiamato.
In primo luogo è vana osservazione quella per cui la quota societaria è un bene in sè che attribuisce un diritto di partecipazione esso stesso immediatamente donato. Bene in sé é anche il denaro e ogni diritto trasferibile in maniera da produrre un arricchimento gratuito e di tipo indiretto, sicché la natura della quota non é argomento spendibile in un senso piuttosto che in un altro.
È stato, poi, osservato nella medesima sentenza che la quota di partecipazione al capitale di una società é un bene che può racchiudere in sè anche utilità di tipo diverso da quelle insite nella sola comunione di scopo, e che in aggiunta a queste possono consistere anche nel godimento diretto di beni societari presenti o futuri, a misura delle dimensioni, della compagine e dell’oggetto sociale. Non a caso la giurisprudenza di questa Corte ha talvolta affermato – sia pure in altro contesto – che le azioni e le quote delle societa’ di capitali costituiscono beni di “secondo grado”, in quanto non sono del tutto distinti e separati da quelli compresi nel patrimonio sociale, e sono rappresentative delle posizioni giuridiche spettanti ai soci in ordine alla gestione e all’utilizzazione di detti beni, funzionalmente destinati all’esercizio dell’attività sociale[55]
Nell’ipotesi di società cooperativa, il cui oggetto sia la costruzione di alloggi da assegnare in proprietà ai soci, il collegamento della quota al bene non è espressione di un’aspettativa, ma di un vero e proprio credito nell’ambito del rapporto di scambio che lega la cooperativa al socio e che ha ad oggetto l’assegnazione dell’alloggio, rapporto che si aggiunge a (senza confondersi con) quello puramente associativo da cui discende, invece, l’obbligo dei conferimenti e delle contribuzioni alle spese comuni di organizzazione e di amministrazione [56].
Il distacco temporale tra la cessione della quota e l’assegnazione dell’alloggio e la possibilità che la cooperativa non realizzi il suo oggetto, costituiscono variabili eventuali che possono trovare rispondenza in qualsivoglia negozio indiretto. Non senza ragione, dottrina e giurisprudenza parlano piu’ propriamente di procedimento negoziale indiretto proprio per sottolineare la successione – necessariamente concettuale, eventualmente anche cronologica – tra negozio mezzo e negozio fine.
Nulla osta, pertanto, all’astratta configurabilità di una donazione indiretta dell’alloggio per il tramite della cessione gratuita della quota di partecipazione alla cooperativa, allo stesso modo in cui ogni altro mezzo giuridico dell’autonomia privata può essere utilizzato per uno scopo diverso. L’accertamento del relativo procedimento negoziale indiretto, basato sulla volontà congiunta del disponente e del cessionario, compete al giudice di merito, la cui statuizione, ove sorretta da una motivazione congrua ed esente da vizi logico-giuridici, si sottrae al sindacato della Corte di legittimità.
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Beni immobili
Atto di conferimento, che ha struttura di negozio traslativo (il bene si trasferisce con effetto retroattivo dal donatario alla massa ereditaria), unilaterale (gli altri coeredi non devono manifestare alcuna volontà, ma subire quella del conferente), recettizio (deve essere portato a conoscenza degli altri coeredi per divenire efficace: art. 1334) irrevocabile, formale e nel caso in cui si tartta di un atto di trasferimento di diritti immobiliari, è necessaria la forma scritta.
Per la S.C.[57] la collazione per imputazione dei beni immobili si fa avuto riguardo al valore del bene al tempo dell’aperta successione; ciò comporta che prima si deve stimare il bene in relazione alla consistenza e al valore che esso presenta all’epoca dell’aperta successione e poi si possono fare, all’importo così determinato, le detrazioni del caso in relazione al valore delle migliorie, addizioni e spese straordinarie. Non è esatto, invece, il procedimento opposto, secondo il quale, prima si dovrebbe valutare la consistenza del bene donato con riferimento all’epoca della donazione, e dopo si dovrebbe stimare il bene, con riferimento al valore dell’epoca dell’aperta successione ma alla consistenza del momento della donazione, in quanto non tutte le modificazioni della cosa donata possono risolversi in deduzioni o aumenti dell’importo da conferire. Infatti il concetto che sta a base della deducibilità a favore del donatario o del suo obbligo di maggior conferimento e sempre quello dell’attività del donatario stesso, ovvero dell’imputabilità a lui delle modificazioni dello stato e del valore del bene.
art. 746 c.c. collazione d’immobili
la collazione di un bene immobile si fa o 1) col rendere il bene in natura o 2) con l’imputarne il valore alla propria porzione, a scelta di chi conferisce (può essere imposta dal donante tale scelta).
Se l’immobile è stato alienato o ipotecato, la collazione si fa soltanto con l’imputazione.
art. 747 c.c. collazione per l’imputazione
La collazione per imputazione si fa avuto riguardo al valore dell’immobile al tempo dell’aperta successione (456).
art. 748 c.c. miglioramenti, spese e deterioramenti
In tutti i casi, si deve dedurre a favore del donatario il valore delle migliorie apportate al fondo nei limiti del loro valore al tempo dell’aperta successione (c.c.456, 1150).
Devono anche computarsi a favore del donatario le spese straordinarie da lui sostenute per la conservazione della cosa, non cagionate da sua colpa.
Il donatario dal suo canto è obbligato per i deterioramenti che, per sua colpa, hanno diminuito il valore dell’immobile.
Il coerede che conferisce un immobile in natura può ritenerne il possesso sino all’effettivo rimborso delle somme che gli sono dovute per spese e miglioramenti (c.c.1152).
Al fine di identificare il concetto di miglioria tenuto presente dall’art. 748 c.c., per la S.C.[58] deve riconoscersi natura di miglioria a quell’opera che si incorpori nel fondo ed aumenti le opere esistenti, ovvero ne migliori l’efficienza; non può invece riconoscersi natura di miglioria a quell’opera che valga solo a conservare le opere esistenti, minacciate di deperimento o di crollo, giacché in tal caso si tratta piuttosto di spese di straordinaria manutenzione. La miglioria finisce quindi necessariamente per ripercuotersi in un miglioramento della cosa, in un suo aumento, e, quindi, in un aumento del suo valore, con la conseguenza che il valore della miglioria, ai fini dell’art. 748 c.c., non può che coincidere con l’aumento di valore della cosa migliorata.
Per ultima Cassazione,
Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 6 ottobre 2016, n. 20041
stabilisce l’articolo 747 c.c., che la collazione per imputazione si fa avuto riguardo al valore dell’immobile al tempo del aperta successione.
La collazione per imputazione costituisce una fictio iuris, per effetto della quale il coerede che, a seguito di donazione operata in vita dal de cuius, abbia gia’ anticipatamente ricevuto una parte dei beni a lui altrimenti destinati solo con l’apertura della successione, ha diritto a ricevere beni ereditari in misura ridotta rispetto agli altri coeredi, tenuto conto del valore di quanto precedentemente donatogli: valore determinato al detto momento dell’apertura della successione, senza che i beni oggetto della collazione tornino materialmente e giuridicamente a far parte della massa ereditaria, incidendo i medesimi esclusivamente nel computo aritmetico delle quote da attribuire ai singoli coeredi secondo la misura del diritto di ciascuno (Cass. 30 luglio 2004, n. 14553, in motivazione; Cass. 27 febbraio 1998, n. 2163).
Se il valore del bene donato va quantificato al momento dell’apertura della successione, non sono pero’ irrilevanti, ai fini del computo del detto valore, i miglioramenti che abbiano interessato l’immobile fino a quel momento.
Stabilisce, infatti, l’articolo 748 c.c., che si deve dedurre a favore del donatario il valore delle migliorie apportate al fondo nei limiti del loro valore al tempo dell’aperta successione. Cio’ significa, in concreto, secondo la sentenza in commento, che il valore del bene al momento dell’apertura della successione debba essere ridotto in ragione del valore delle migliorie apportate al bene.
Nel caso di alienazione l’articolo 749 c.c., dispone, poi, che i miglioramenti fatti dall’acquirente vadano computati nei termini indicati.
Le regole poste dagli articoli 748 e 749 c.c. (che riguardano anche le spese straordinarie e deterioramenti occorsi per colpa del donatario, che qui non rilevano) sono comunemente ritenute espressione dei principi generali che reggono il possesso di buona fede (articolo 1150 c.c.) e, piu’ in generale, di quelli in tema di indebito arricchimento.
In particolare, il rimborso dei miglioramenti e’ reso necessario dal rilievo per cui non sarebbe ragionevole imporre al donatario di conferire un valore che non e’ riferito all’originaria consistenza della res donata, ma che dipende, piuttosto, da iniziative da lui assunte (nel caso di miglioramenti eseguiti a sua cura e spese) o da interventi di terzi che abbiano inteso favorirlo (nel caso in cui i miglioramenti siano apportati da altri: la giurisprudenza – cfr. Cass. 18 giugno 1981, n. 4009 – infatti riconosce che la norma di cui all’articolo 748 c.c., trovi applicazione anche nel caso di migliorie eseguite da terzi).
Le migliorie di cui agli articoli 748 e 749 c.c., si identificano in quelle opere che si incorporino nel fondo ed aumentino le opere esistenti, ovvero ne migliorino l’efficienza (Cass. 5 ottobre 1974, n. 2621); movendo poi dal rilievo per cui la relazione al libro III del codice civile indica come miglioramenti la liberazione della cosa da pegni, ipoteche, oneri reali, servitu’ (e che si era percio’ ritenuto superfluo riprodurre nel codice l’articolo 546 del progetto della commissione reale che riconosceva al possessore di diritto a indennita’ per le spese fatte per realizzare tali liberazioni), la S.C. ha identificato una miglioria anche nell’affrancazione del fondo enfiteutico, sempreche’ il donatario provi di avervi provveduto a propria cura e spese (Cass. 23 gennaio 1991, n. 649). E’ escluso, invece, che possano costituire migliorie le vicende che non abbiano alcuna attinenza alle evenienze descritte, come l’acquisizione, da parte del fondo, di una attitudine edificatoria prima mancante. Il mutamento della destinazione urbanistica del fondo non dipende da un’attivita’ del donatario o del terzo che e’ diretta a incrementare il valore del bene: non e’ correlativo a un esborso del donatario o all’arricchimento, corrispondente al valore delle opere realizzate, che il terzo abbia voluto porre in essere in favore di quel soggetto; essa non risponde, quindi, alla finalita’ che sottende il regime dei miglioramenti della res donata.
Vero e’, invece, che tale mutamento della destinazione del bene costituisce una variabile economica da tenere in conto ai fini della stima del bene al momento dell’apertura della successione. Sul punto, la stessa Corte ha infatti ritenuto che poiche’ ai fini della determinazione della quota di eredita’ riservata al legittimario il valore dell’asse ereditario residuo e dei beni donati in vita dal de cuius va calcolato al momento dell’apertura della successione, anche l’inizio di un procedimento di trasformazione urbanistica e’ di per se’ sufficiente ad incidere sul valore di mercato di un immobile compreso nell’area oggetto dello strumento urbanistico (Cass. 24 novembre 2009, n. 24711).
Rimane quindi – conclude la Cassazione – confermato che, anche nell’ipotesi di alienazione del bene – il quale abbia subito un incremento di valore per effetto di una destinazione edificatoria insussistente al momento del trasferimento – il bene debba essere stimato, ai fini della collazione, facendo riferimento al momento in cui si apre la successione.
art. 749 c.c. miglioramenti e deterioramenti dell’immobile alienato
Nel caso in cui l’immobile è stato alienato dal donatario, i miglioramenti e i deterioramenti fatti dall’acquirente devono essere computati a norma dell’articolo precedente.
Va tenuto conto che predetti effetti della collazione non possono essere paralizzati dall’eccezione di usucapione del donatario.
Infatti, la collazione opera ex nunc e il donatario, almeno fino a quando non si verificano i suoi effetti, non esercita sulla cosa un potere di fatto suscettibile di dar luogo ad un acquisto del diritto di proprietà a titolo originario col decorso del tempo [59].
Perimento cosa donata
art. 744 c.c. perimento della cosa donata
Non è soggetta a collazione la cosa perita per causa non imputabile al donatario (c.c.1256).
E) I soggetti della collazione
art. 737 c.c. soggetti tenuti alla collazione
i figli [legittimi e naturali] e i loro discendenti legittimi e naturali ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire (ATTO) ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati.
La dispensa da collazione non produce effetto se non nei limiti della quota disponibile (c.c.556).
La norma è totalmente mutata rispetto a quella anteriore alla legge di riforma del diritto di famiglia sia per l’equiparazione, anche ai fini della collazione, dei figli e discindenti naturali ai figli e discendenti legittimi e sia per l’inclusione del coniuge superstite.
Con ultimo intervento il legislatore, con la Legge 10 dicembre 2012 n. 219 – disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali[60], in merito alla successione dei figli naturali, ha determinato una modifica imponente, determinando per lo effetto la caducazione dell’atavica distinzione tra figli naturali e legittimi e con il successivo decreto legislativo 154/2013 [61] (in attuazione della delega contenuta all’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219) è stata portata a compimento la più radicale modifica del diritto di famiglia successiva alla legge 19 maggio 1975, n. 151.
Pertanto, è stata abrogata la distinzione tra figli naturali e legittimi prevista dall’art. 737 c.c.
Quindi oltre ai menzionati figli rientrano quelli legittimati e quelli adottivi anche dei maggiorenni in quanto l’uguaglianza è stata chiaramente enunciata dall’intervento normativo.
Per il Tribunale Roma [62], la collazione opera solo nei confronti dei donatari, rientranti nelle categorie di congiunti contemplate dall’art. 737 c.c., e che siano chiamati come coeredi; nei confronti degli estranei, unico rimedio è dato dalla riduzione; se la riduzione non sia stata chiesta contro il donatario ovvero se l’azione sia inammissibile, il legittimario in linea di principio non ha interesse a fare accertare la simulazione di eventuali atti di liberalità posti in essere dal de cuius, se non al limitato fine della riunione fittizia, per accertare l’eventuale riducibilità di disposizioni testamentarie fatte in favore di soggetti chiamati come coeredi; tale interesse deve tuttavia a priori negarsi quando, sulla base degli stessi valori forniti dall’interessato, il rapporto fra beni relitti e beni donati sia tale da escludere la possibilità di modificare la ripartizione dei beni prefigurata dal testamento, tenuto conto che in materia vige solo il principio della riduzione delle disposizioni lesive della riserva, mentre deve escludersi un diritto del legittimario di ripartire proporzionalmente fra tutti la ipotetica lesione derivante dalle pretese donazioni.
La Cassazione
Corte di Cassazione, civile, Sentenza|| n. 17409
da ultimo ha avuto modo di precisare che per il diritto vigente l’erede e’ tenuto a conferire in collazione soltanto le donazioni personalmente ricevute, con esclusione di ogni altra liberalita’ fatta al di lui discendenti o al coniuge (articolo 739 c.c.). Tale regola subisce una rilevante eccezione nel caso del discendente che subentra per rappresentazione all’ascendente. In questo caso, il discendente deve infatti conferire “cio’ che e’ stato donato all’ascendente, anche nel caso in cui abbia rinunciato all’eredita’ di questo”. La ratio della disposizione e’ riposta nella considerazione che i coeredi non debbono subire pregiudizio dal fatto che in luogo del donatario partecipano alla successione i suoi figli e nipoti.
La disposizione detta una regola chiara: il discendente che subentra per rappresentazione deve conferire la donazione ricevuta dal suo ascendente anche se non abbia conseguito alcun vantaggio, per avere rinunziato all’eredita’ di questo. Se ne deduce, a fortiori, che nella successione del donante, il discendente che succede per rappresentazione e’ invariabilmente tenuto a conferire l’intera donazione ricevuta dal suo ascendente, ancorche’, succedendo a questo, abbia conseguito un vantaggio minore, a causa del concorso con soggetti estranei alla successione del donante.
Liquidazione preventiva quota estranei
Se coeredi non sono i soli figli, loro discendenti e coniugi, ma anche altri soggetti, si dovrà procedere in 2 tempi successivi:
- innanzitutto si dovrà liquidare la quota di costoro
- poi stralciata la loro posizione, si passerà ad operare la collazione, indi a dividere
Collazione per il coniuge
art. 738 c.c. limiti della collazione per il coniuge
non sono soggetti a collazione le donazioni di modico valore fatte al coniuge.
La norma si ricollega, da un lato, all’eliminazione del divieto di donazione tra i coniugi operata dalla Corte Costituzionale e, dall’altro lato, alla posizione radicalmente nuova, assunta dal coniuge in sede di successione legittima e necessaria (non più semplice legatario ex lege di una quota di usufrutto, ma erede).
Inoltre, la norma è una chiara eccezione all collazione delle donazioni di modico valore ex art. 783.
art. 783 c.c. donazioni di modico valore
la donazione di modico valore che ha per oggetto beni mobili (c.c.812) è valida anche se manca l’atto pubblico, purché vi sia stata la tradizione.
La modicità deve essere valutata anche in rapporto alle condizioni economiche del donante.
Collazione per i discendenti
Fra le assegnazioni fatte a causa di matrimonio rientra anche il fondo patrimoniale [63] costituito dal genitore a favore dei figli, ipotesi di liberalità non donativa.
art. 741 c.c. collazione di assegnazioni varie
è soggetto a collazione ciò che il defunto ha speso a favore dei suoi discendenti per assegnazioni fatte a causa di matrimonio, per avviarli all’esercizio di un’attività produttiva o professionale, per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita a loro favore o per pagare i loro debiti.
Donazioni fatte a terzi
art. 739 c.c. donazioni ai discendenti o al coniuge dell’erede – donazioni a coniugi
l’erede non è tenuto a conferire le donazioni fatte ai suoi discendenti o al coniuge, ancorché succedendo a costoro ne abbia conseguito il vantaggio.
Se le donazioni sono state fatte congiuntamente a coniugi di cui uno è discendente del donante, la sola porzione a questo donata è soggetta a collazione.
art. 740 c.c. donazioni fatte all’ascendente dell’erede
il discendente che succede per rappresentazione (c.c.467) deve conferire ciò che è stato donato all’ascendente anche nel caso in cui abbia rinunziato all’eredità di questo.
La ragione di tale norma è evidente: i coeredi non devono subire pregiudizio per il fatto che, in luogo del coerede donatario, partecipino alla successione i suoi figli o i suoi nipoti.
È sorta questione se il discendente, che succede per rappresentazione, debba conferire, oltre alle donazioni fatte al c.d. rappresentato, anche le donazioni a lui fatte dal de cuius.
Nonostante qualche opinione contraria, è preferibile la tesi negativa[64]: la ratio dell’art. 740 c.c., infatti, è quella di conservare al c.d. rappresentante l’identica posizione successoria del c.d. rappresentato.
F) Oggetto della collazione
Sono oggetto di collazione
- donazioni dirette;
- donazioni indirette;
- donazioni di modico valore – art. 783c.;
- donazioni rimuneratorie – art. 770 c.;
- donazioni modali [65] – perché il modus non altera la natura giuridica del negozio – la dottrina prevalente ritiene che debba essere conferita la differenza tra il valore dei beni donati e il valore dell’onere, ossia ciò di cui il donatario si è effettivamente arricchito;
- donazioni invalide (annullabili) – devono essere conferite, se non sono state ancora annullate, perché il coerede può preferire il conferimento invece di far valere l’invalidità del negozio;
- donazioni di usufrutto [66] – si deve conferire il valore che ha l’usufrutto al momento dell’apertura della successione, vale a dire il capitale che sarebbe necessario per acquistare, in base alle probabilità di sopravvivenza del donatario, un reddito uguale a quello dell’usufrutto [67]. La collazione per imputazione dell’immobile donato in nuda proprietà con riserva di usufrutto va effettuata con riferimento al valore corrispondente alla piena proprietà come acquisita dal donatario all’epoca di apertura della successione, sia perché solo in tale momento si può stabilire il valore dell’intera massa da dividere ed attuare lo scopo della collazione di ricomposizione in modo reale dell’asse ereditario, sia perché l’acquisizione della piena proprietà del bene in capo al donatario alla morte del donante (ovvero al tempo di apertura della successione, come individuato dall’art. 456 c.c.) è, comunque, effetto riconducibile al suddetto atto di donazione [68].
- Donazioni dissimulate; dall’esercizio dell’azione di simulazione [69] da parte dell’erede per l’accertamento di dedotte dissimulate donazioni non deriva necessariamente che egli è terzo, al fine dei limiti alla prova testimoniale stabiliti dall’art. 1417 c.c., perché, se egli agisce per lo scioglimento della comunione, previa collazione delle donazioni – anche dissimulate – per ricostituire il patrimonio ereditario e ristabilire l’uguaglianza tra coeredi, subentra nella posizione del de cuius [70]; è, invece, terzo, se agisce in riduzione, per pretesa lesione di legittima, perché la riserva è un suo diritto personale, riconosciutogli dalla legge, e perciò può provare la simulazione con ogni mezzo.
- Donazioni di denaro; le elargizioni di denaro a titolo di liberalità in favore del figlio sono assoggettate alla disciplina della collazione, non rilevando in contrario il soggettivo convincimento del de cuius di rispondere esse ad un obbligo morale [71].
Le donazioni indirette
Esplicativa sulle differenze tra la donazione diretta e quella indiretta risulta una pronuncia del Tribunale Milanese [72] a mente della quale l’intento di donare, quale volontà del donante finalizzata a compiere a favore di un altro soggetto un’attribuzione patrimoniale gratuita, ovvero priva di controprestazione, consiste nella coscienza del compimento di un’elargizione patrimoniale ad altri in assenza di un vincolo giuridico che determini tale comportamento.
Pertanto, lo spirito di liberalità richiamato dall’art. 769 c.c. si identifica non con un intento benefico o altruistico, ma con lo scopo obbiettivo che si raggiunge attraverso il negozio e che ne costituisce la causa, rappresentato dalla gratuita attribuzione del bene al donatario.
Ciò vale in ogni caso, sia per le donazioni dirette che per le cosiddette donazioni indirette, consistendo la differenza tra donazioni dirette e donazioni indirette non tanto nella diversità dell’effetto pratico che da esse deriva, quanto piuttosto nel mezzo con il quale viene attuato il fine di liberalità, mezzo che, per le prime, si identifica con il contratto di donazione, mentre, per le seconde, si compendia in un atto che, pur essendo rivolto, secondo lo scopo pratico delle parti, ad attuare il medesimo fine, lo realizza obliterando la causa tipica del negozio [73].
La donazione indiretta è dunque caratterizzata dal fatto che viene posto in essere, anziché il tipico negozio della donazione diretta, un negozio oneroso, che produce, in concomitanza con l’effetto diretto che gli è proprio, l’effetto indiretto dell’arricchimento senza corrispettivo dei destinatario della liberalità [74].
Alla luce di tali considerazioni, è stato escluso dal Tribunale Meneghino che il versamento del controvalore di titoli sul conto intestato possa qualificarsi come donazione indiretta, trattandosi, invece, di donazione diretta, in quanto, in questo caso, lo spirito di liberalità della donante risultava essersi realizzato nella diretta elargizione di una somma di denaro (cui il trasferimento di titoli quotati è evidentemente assimilabile), e non attraverso l’attuazione di un negozio oneroso idoneo a produrre, oltre l’effetto diretto suo proprio, l’effetto indiretto dell’arricchimento senza corrispettivo (animo donandi) del destinatario della liberalità.
Intestazione immobiliare
Caso scolastico della donazione indiretta si ha in tema di intestazione immobiliare. Altro non è che una specifica applicazione dell’istituto dell’adempimento del terzo. Se un soggetto fornisce il denaro per l’acquisto di un bene immobile, là dove non vi sia interposizione fittizia [75], ci sarà bensì acquisto in capo all’acquirente, ma nei rapporti con chi ha fornito il denaro sarà ravvisabile una donazione indiretta dell’immobile stesso e non del denaro, perché la vendita altro non è se non lo strumento puramente formale del trasferimento della proprietà del bene.
Pertanto, la collazione, ove operi, riguarderà l’immobile e non il denaro, con applicazione degli artt. 746 – 747 c.c..
ESEMPIO: Tizio si reca presso la sede della società immobiliare < Alfa S.p.A.>, il cui amministratore unico è Filano, al fine di acquistare l’appartamento per il prezzo di 300.000 €, in fase di costruzione, sito in Napoli al terzo piano di un edificio in via Manzoni n. 45, composto di 5 stanze ed accessori [un affare praticamente]. Viene stabilito che l’appartamento verrà intestato alla figlia Caia, ma il prezzo sarà pagato dal padre. Questo caso può essere realizzato attraverso una pluralità di fattispecie:
A) donazione diretta del denaro – è questa l’ipotesi più semplice: il padre dona al figlio una somma di denaro allo scopo di fargli acquistare un bene immobile; per la dottrina e la giurisprudenza che prevalgono nettamente tale donazione ha ad oggetto il denaro perché solo di questo il donante si è spogliato;
B) cessione del preliminare [76]; la giurisprudenza ha ridimensionato la tesi della collazione del denaro nell’ipotesi in cui esiste un collegamento sicuro tra l’acquisto definitivo del figlio ed il preliminare in proprio del genitore in ordine allo stesso immobile.
In altri termini qualora il padre abbia stipulato un contratto preliminare con un terzo e, successivamente, abbia ceduto il diritto di stipulare il definitivo al figlio pagando egli il prezzo, non può dirsi che manca qualunque legame fra la donazione del denaro e l’acquisto dell’immobile.
Pertanto, stante lo stretto collegamento esistente fra il preliminare del padre ed il definitivo del figlio, deve ravvisarsi un atto di disposizione dell’immobile da parte del genitore a favore del figlio che realizza gli estremi di una donazione indiretta. Di conseguenza oggetto della collazione sarà l’immobile.
C) Pagamento da parte del donante del prezzo dell’immobile acquistato direttamente dal beneficiato – in tal caso, afferma la giurisprudenza della cassazione, la vendita costituisce soltanto uno strumento formale per attuare, attraverso un complesso procedimento, l’arricchimento del compratore.
Con la pronuncia a Sezioni Unite del 5 agosto 1992, n. 9282, la Cassazione ha enunciato il principio secondo cui nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, con la sua adesione, la compravendita costituisce strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, e, quindi, integra donazione indiretta del bene stesso, non del denaro, sicché, in caso di collazione, secondo le previsioni dell’articolo 737 c.c., il conferimento deve avere ad oggetto l’immobile, non il denaro impiegato per il suo acquisto.
Alla base di questa soluzione – convalidata anche dalla giurisprudenza successiva [77] – vi é la sottolineatura che, nel caso del denaro corrisposto dal donante al donatario allo specifico scopo dell’acquisto del bene o mediante il versamento diretto dell’importo all’alienante o mediante la previsione della destinazione della somma donata al trasferimento immobiliare, c’é un collegamento tra l’elargizione del danaro e l’acquisto del bene da parte del beneficiario.
Con ultima pronuncia la Cassazione [78] ha riconfermato il principio suddetto in questi termini: nel caso di soggetto che abbia erogato il denaro per l’acquisto di un immobile in capo ad uno dei figli si deve distinguere l’ipotesi della donazione diretta del denaro, impiegato successivamente dal figlio in un acquisto immobiliare, in cui, ovviamente, oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il donante fornisce il denaro quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione. In tale caso il collegamento tra l’elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione (indiretta) dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto.
Spese esenti
art. 742 c.c. spese non soggette a collazione
non sono soggette a collazione le spese di mantenimento e di educazione e quelle sostenute per malattia, ne quelle ordinarie fatte per abbigliamento o per nozze.
Le spese per il corredo nuziale e quelle per l’istruzione artistica o professionale sono soggette a collazione solo per quanto eccedono notevolmente la misura ordinaria, tenuto conto delle condizioni economiche del defunto (809).
Non sono soggette a collazione le liberalità previste dal secondo comma dell’art. 770.
La norma di cui all’art. 742 c.c. che dispensa dalla collazione le liberalità e le spese in essa previste, secondo la S.C.[79], non pone un principio inderogabile che non possa essere superato dalla volontà contraria del testatore, dovendosi riconoscere a questi la facoltà di imporre la collazione anche nei casi previsti dalla norma cit., quale strumento per incidere sulla misura dell’attribuzione patrimoniale a favore dell’erede. La suddetta facoltà incontra il solo limite posto dall’ordinamento, con gli articoli 536 e segg. c.c., alla libertà del de cuius disporre dei propri beni dopo la sua morte, a tutela dei diritti dei congiunti piu’ stretti.
Utili societari
La legge fa riferimento alla società personale, ne resterebbero secondo una interpretazione restritiva fuori le società di capitali e l’impresa familiare.
art. 743 c.c. società contratta con l’erede
non è dovuta collazione di ciò che si è conseguito per effetto di società contratta senza frode tra il defunto e alcuno dei suoi eredi, se le condizioni sono state regolate con atto di data certa (c.c.2704).
Frutti e interessi
art. 745 c.c. frutti e interessi
i frutti (c.c.820) delle cose e gli interessi sulle somme soggette a collazione non sono dovuti che dal giorno in cui si è aperta la successione (c.c.456).
G) La dispensa
La dispensa viene considerata come una liberalità supplementare, analoga al legato liberatorio, perché il donatario viene esonerato dall’obbligo di conferire. Non è peraltro una liberalità indipendente, ma solo un rafforzamento di quella principale.
Essa può essere contenuta nella medesima donazione ovvero un testamento successivo.
La previsione codicistica vuole solo riconfermare il principio dell’intangibilità della quota di riserva [80].
Pertanto, qualora la dispensa dovesse comportare lesione di legittima, il donatario sarà tenuto a conferire quanto ricevuto in eccedenza rispetto alla disponibile.
Secondo una lontana sentenza della S.C.[81] la dispensa dalla collazione non ha lo scopo di attribuire la liberalità alla disponibile, ma ha la finalità, potenziando la facoltà di disposizione del donante, di esonerare il donatario dal conferimento del donatum, con l’effetto che la successione si svolge, e la determinazione delle quote di eredità si attua, come se la donazione non fosse stata fatta e il bene, che ne fu l’oggetto, non fosse uscito dal patrimonio del de cuius a titolo liberale.
A differenza della imputazione ex se, che è incardinata sul rapporto riserva-disponibile, la collazione prescinde, infatti, dai concetti di legittima e disponibile e, correlativamente, le relative dispense oltre ad avere diversa disciplina, hanno finalità diverse.
Da ciò consegue che — se la dispensa dalla collazione non implica dispensa dalla imputazione, che deve risultare autonomamente ed espressamente, per cui la dispensa dalla collazione ha luogo anche se il donatario deve imputare la liberalità alla legittima — le due dispense possono, tuttavia, coesistere, con il risultato che il donatario è esonerato dal conferimento e dall’imputazione ex se. In contrario non rileva che l’art. 737 c.c. neghi efficacia alla dispensa dalla collazione oltre il limite della disponibile, non significando l’imposizione di tale limite che la dispensa operi l’attribuzione della liberalità alla disponibile, ma soltanto che il donatario è esposto, per l’eccedenza, all’azione di riduzione.
Per ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 30 maggio 2017, n. 13660
è soggetta a riduzione, secondo i criteri indicati negli articoli 555 e 559 c.c., la donazione fatta ad un legittimario dal defunto a valere in conto legittima e per l’eventuale esubero sulla disponibile, con dispensa da collazione, non implicando tale clausola una volonta’ del de cuius diretta ad attribuire alla stessa liberalita’ un effetto preminente rispetto alle altre in caso di esercizio dell’azione di reintegrazione da parte degli altri legittimari lesi, secondo quanto invece stabilito per le disposizioni testamentarie dall’articolo 558 c.c., comma 2, e rimanendo, pertanto, il medesimo donatario esposto alla riduzione per l’eccedenza rispetto alla sua porzione legittima.
NATURA
1) Secondo alcuni ha un valore di clausola accessoria[82]
Ritengono la dispensa sia una clausola accessoria della donazione – chi dona un bene non vuole due cose distinte, ma vuole, invece, attribuire al donatario in guisa che rimanga intoccabile ed indenne presso di lui. Si tratta, perciò, di un unico negozio (donazione con dispensa) così come sono negozi unici la donazione modale e la donazione remuneratoria.
Una conseguenza giuridica, aderendo a questa tesi, è la previsione della forma solenne per la dispensa anche se contenuta in un negozio inter vivos posteriore.
2) Secondo altri [83], invece, come negozio autonomo;
negozio autonomo ancorché collegato [84] con il negozio di donazione:
- innanzitutto perché essa può essere contenuta anche in un testamento, ossia in un atto separato dalla donazione;
- in secondo luogo, per la sua specifica funzione mortis causa, palesemente distinta dalla funzione della donazione, negozio, invece, tipicamente inter vivos.
Una conseguenza giuridica aderendo a questa tesi è quella per la quale è prevista per la forma del negozio una libertà di forma.
Alcune pronunce di merito sul punto.
Per il Tribunale di Cassino [85] in applicazione dell’art. 737 c.c., devono essere sottoposte a collazione tutte le donazioni dirette o indirette che il de cuius ha compiuto nei confronti dei figli legittimi o naturali, dei loro discendenti legittimi o naturali e del coniuge, a meno che il primo non abbia espressamente dispensato i donatari. La sussistenza di una dispensa, in particolare, deve risultare da elementi probatori significativi e concreti che dimostrino l’esistenza di una reale intenzione in tal senso. La circostanza che gli atti di liberalità effettuati dal beneficiante si siano tradotti nel sostegno economico per la stipula di atti onerosi di acquisto non è, sic et simpliciter, stante quanto detto, sufficiente al fine di ritenere che sia stata disposta una tacita dispensa alla futura collazione.
Per il Tribunale Barese [86], in tema di successione, la disposizione di cui all’ultimo comma dell’art. 737 c.c. che confina l’effetto della dispensa dalla collazione nei limiti della disponibile deve essere interpretata nel senso che l’eventuale eccedenza della liberallità ricevuta, rispetto alla quota disponibile spettante per legge, espone il donatario all’azione di riduzione solo rispetto all’eccedenza. Non comporta, in altre parole l’attribuzione della donazione alla disponibile ma solo che il donatario (dispensato da collazione) conserva l’attribuzione nei limiti dati dalle quote di riserva dei legittimari.
Il donante ha il solo potere di dispensare il donatario dalla collazione, ma non può in alcun modo vincolare la sua scelta, qualora egli sia tenuto alla collazione, di conferire in natura il bene (immobile) ricevuto ovvero di attuare la collazione per imputazione [87].
È stato, poi, precisato [88] che la clausola con cui il donante stabilisca che l’attribuzione a titolo gratuito deve ritenersi compiuta in conto di legittima e, per l’eventuale eccedenza, in conto disponibile non implica dispensa dalla collazione, se é vero che, a quest’ultima, sono sottoposti tutti i beni donati, sia quelli della disponibile che della legittima: tale imputazione del donante non interferisce, difatti, nei rapporti tra coeredi, ma solo sul limite che la quota di legittima rappresenta per il potere di disposizione del de cuius.
Inoltre, sempre per la Corte di Piazza Cavour [89], con riguardo alla donazione che il de cuius abbia fatto in vita e in favore di uno o di alcuni dei propri eredi, la dispensa della collazione, che si traduce, con svantaggio degli altri coeredi, nell’esonero del donatario del conferimento del donatum in sede di formazione della massa ereditaria da dividere, non può essere implicitamente ravvisata nelle clausole con le quali il donante abbia regolato l’imputazione della donazione medesima in conto di legittima o sulla disponibile, atteso che tale imputazione non interferisce, come la dispensa dalla collazione, nei rapporti tra coeredi, ma solo sul limite che la quota di legittima rappresenta per il potere di disposizione del de cuius.
In merito, poi, alla revocabilità della dispensa, se essa è contenuta nell’atto stesso di donazione è revocabile solo con l’accordo del donatario, se contenuta in un testamento sarà sempre revocabile.
Quando la dispensa è contenuta in un atto inter vivos successivo alla donazione, la revocabilità si presenta in modo diverso a seconda della soluzione data al problema della struttura bilaterale o unilaterale della dispensa stessa.
Se all’atto si attribuisce una struttura unilaterale la dispensa sarà revocabile, mentre sarà irrevocabile se all’atto si attribuisce natura contrattuale.
Mentre per quanto riguarda la forma della dispensa contenuta nella donazione indiretta, la dottrina comunemente ritiene che la dispensa contestuale è valida purché espressa nelle forme richieste per la liberalità indiretta, cui accede, per il noto principio della simmetria degli atti.
Dal fatto che deve ritenersi ius receptum in giurisprudenza ed in dottrina che la donazione indiretta non ha bisogno della forma solenne della donazione diretta, ma soggiace agli oneri di forma dello schema negoziale concretamente adottato, una dottrina ne deduce l’ulteriore corollario che in alcuni casi la dispensa (nella donazione indiretta perfezionata verbalmente oppure nella donazione manuale) è valida anche se espressa in forma verbale.
La dispensa dalla collazione, oltre che essere espressa, può essere anche tacita, ossia risultare da atti che dimostrino l’intenzione del de cuius di assegnare il bene donato come beneficio in più rispetto alla quota ereditaria nella successione legittima. L’ammissione della dispensa tacita viene desunta dal tenore letterale dell’art. 737 c.c., il quale consente al donante di dispensare il coerede da siffatto obbligo, senza ulteriori specificazioni in ordine al carattere della dispensa.
In giurisprudenza è costante l’affermazione che la dispensa può essere anche tacita, ma deve però risultare dal contesto della donazione o del testamento, e non potrebbe essere aliunde desunta da altre circostanze estrinseche al testo.
In ogni caso la dispensa tacita dalla collazione non può essere desunta da indizi vaghi ed incerti, dovendo risultare da un’implicita manifestazione di volontà del disponente ovvero da fatti concludenti che rilevino inequivocabilmente l’intenzione del de cuius di escludere, in relazione ad una data donazione, l’obbligo di collazione. In questo contesto la giurisprudenza ha, più volte, escluso la possibilità di ravvisare una dispensa tacita dalla collazione nel caso in cui il donante dichiara che la donazione è fatta in conto della disponibile, in quanto se è vero che la dispensa opera nei limiti della disponibile stessa, è anche vero che nella divisione ereditaria sono soggetti a collazione tutti i beni donati, sia quelli prelevati sulla legittima, sia quelli prelevati sulla disponibile, cosicché detta dichiarazione è ambigua.
Infine, va segnalato, come la dispensa espressa o tacita dall’obbligo di conferire alla massa il bene ricevuto in donazione non si estende al valore dei miglioramenti e delle addizioni che il de cuius abbia apportato, con il proprio denaro, al bene stesso dopo la donazione, in quanto tali miglioramenti e addizioni, essendo intervenuti quando i beni erano usciti dal suo patrimonio ed erano entrati in quello del beneficiario dell’atto di liberalità, costituiscono delle vere e proprie donazioni indirette, in relazione alle quali l’obbligo di collazione viene meno solo in presenza di altra specifica dispensa.
Dispensa dalla collazione e lesione di legittima
La dispensa, secondo una impostazione, fa si che il rapporto collatizio non sorga e che, pertanto, ai fini della collazione, la liberalità dispensata viene del tutto ignorata.
In presenza di dispensa, al limitato fine della collazione, la successione e la divisione si svolgono in tutto e per tutto come se la donazione dispensata non vi fosse mai stata e come se il bene fosse uscito definitivamente dal patrimonio del defunto per qualsiasi altra causa non liberale.
L’unico limite è costituito dall’intangibilità della quota di riserva[90] di altri legittimari.
Quindi, la dispensa dalla collazione non sottrae il donatario agli effetti di una eventuale azione di riduzione che venga esercitata contro di lui dagli altri riservatari al fine di recuperare la quota parte dei beni donati in eccedenza della disponibile.
Conseguentemente il donatario dispensato dall’obbligo di collazione può ritenere la donazione fino alla concorrenza della quota disponibile e della sua quota di riserva.
Secondo altra interpretazione, l’art. 737 c.c. sta a significare che qualora la donazione ecceda il limite della disponibile, la dispensa opera solo per la parte ammessa dalla legge, mentre la porzione eccedente deve essere conferita ai coeredi collatizi per la divisione, senza necessità di domanda da parte di alcuno. In tal modo l’art. 737, II comma, c.c. privando di effetto la dispensa, oltre il limite della disponibile, consente di eliminare la necessità dell’azione di riduzione e di pervenire al medesimo risultato anche decorso il termine decennale di prescrizione dell’azione di riduzione.
É di tutta evidenza che accettare la prima o la seconda teoria non è senza rilievo pratico.
Nell’ambito di tale dibattito è necessario richiamare un indirizzo della Suprema Corte[91], che con puntuale e coerente motivazione si pone in una posizione intermedia.
Secondo il Supremo Collegio, è vero che l’azione di riduzione contro il coerede donatario – coniuge o discendete del de cuius – presuppone che egli sia stato dispensato dalla collazione; altrimenti, il solo meccanismo della collazione sarebbe sufficiente per fare conseguire ad ogni coerede la porzione che gli spetta sulla eredità, senza bisogno di ricorrere nei confronti del coerede donatario alla specifica tutela che la legge appresta per la quota di legittima.
A tale tutela specifica sarebbe invece indispensabile ricorrere quando il coerede donatario è stato dispensato dalla collazione e la donazione intacchi la quota di legittima degli altri.
In tal caso, infatti, solo con l’azione di riduzione è possibile obbligare il donatario a conferire ai legittimari la eccedenza, in modo da reintegrare la legittima loro spettante (artt. 555, 737 c.c.).
Ciò non significa, secondo la Corte, che il rigetto dell’azione di riduzione (per prescrizione) pregiudichi la decisione sugli effetti della dispensa in una divisione ereditaria alla quale partecipano eredi legittimari.
Infatti, la partecipazione del legittimario alla successione ab intestato ha effetti suoi propri che prescindono dalla proposizione dell’azione di riduzione.
In ogni caso il donatum non è del tutto estraneo alla successione e il donatario non può ritenersi partecipante alla divisione del relictum come se egli non avesse ricevuto quelle donazioni, o come se avesse ricevuto quei beni a titolo diverso dalla donazione. Una diversa interpretazione troverebbe un ostacolo insormontabile nell’art. 553 c.c.
Infatti, per il collegio, in base a quest’ultima norma, anche nel caso in cui i successori siano tutti legittimari, il legittimario, essendo chiamato alla successione ad intestato sul relictum in una quota non inferiore alla sua quota di riserva, non ha alcun bisogno, per ottenere quanto riservatogli, di ricorrere all’azione di riduzione delle donazioni ai sensi dell’art. 555 c.c., qualora il relictum sia sufficiente a coprire la quota predetta quale risulta dalla riunione fittizia[92] tra relictum e donatum.
Confermato tale principio anche da ultima pronuncia di merito[93] secondo la quale l’istituto della collazione, di cui all’art. 737 c.c., a fronte della espressa dispensa contenuta in un atto pubblico di donazione fatta in vita dal de cuius, opera nei soli limiti in cui la dispensa è inefficace, ossia per la quota eccedente la disponibile, senza necessità di esercitare l’azione di riduzione, posta l’automatica operatività dell’istituto della collazione. In presenza di donazioni fatte in vita da de cuius, invero, la collazione è uno strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere al fine di assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote, da determinarsi, in relazione alla misura del diritto di ciascun condividente, sulla base della sommatoria del relictum e del donatum all’apertura della successione. L’obbligo della collazione, pertanto, sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione, tale che i beni donati devono essere conferiti indipendentemente da un’espressa domanda dei condividenti, essendo a tal fine sufficiente la domanda di divisione e la menzione, in essa, della esistenza di determinati bene oggetto di pregressa donazione.
Questa operazione, non essendo finalizzata soltanto all’attuazione della riduzione, deve essere compiuta non solo quando si debba procedere a tale azione ma in ogni caso di concorso di legittimari nella successione, al fine di determinare la quota di riserva spettante a ciascuno di essa [94].
Da ciò consegue che, nel caso di successione di figli legittimi, la dispensa dalla collazione relativa alle donazioni effettuate in favore di uno dei coeredi, se da una lato comporta che la successione e la divisione (secondo le quote previste dall’art. 556 c.c.) debbano essere limitate al relictum, senza che a detta dispensa, nel caso di prescrizione dell’azione di riduzione, possa opporsi il limite costituito dall’intangibilità della legittima, dall’altro non esclude che la porzione spettante sul relictum al coerede donatario debba essere ridotta di quanto necessario ad integrare la quota di riserva spettante (in base all’operazione predetta) agli altri coeredi, ferma peraltro – in forza della prescrizione dell’azione di riduzione – l’inattaccabilità della donazione anche nel caso in cui il relictum non sia sufficiente all’integrazione della quota di riserva [95].
Occorre, infine, riportare ultima sentenza della Cassazione
Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|5 maggio 2022| n. 14193
la quale con ampia esegesi ha spiegato i termini della problematica andando a spiegare, ulteriormente, che:
la dispensa dalla collazione ha la finalita’, potenziando la facolta’ di disposizione del donante, di esonerare il donatario dal conferimento del donatum, con l’effetto che la successione si svolge, e la determinazione delle quote di eredita’ si attua, come se la donazione non fosse stata fatta e il bene, che ne fu l’oggetto, non fosse uscito dal patrimonio del de cuius a titolo liberale (Cass. n. 711/1966; n. 268/1984; n. 989/1995); il tutto, naturalmente, fino all’invalicabile limite dell’intangibilita’ della quota di riserva dei legittimari (Cass. n. 2633/1969). E’ fin troppo ovvio, infatti, tenuto conto del carattere cogente delle norme sulla c.d. successione necessaria, che la dispensa dalla collazione non importa l’esclusione del bene donato dalla riunione fittizia, ai fini della determinazione della porzione disponibile (Cass. n. 74/1967), ne’ implica la non assoggettabilita’ della donazione alla riduzione. Cio’ risulta dall’articolo 737 c.c., comma 2, ove si dice che “da dispensa non produce effetto se non nei limiti della disponibile”: il che non significa che, se il valore della donazione dispensata eccede la disponibile, l’eccedenza e’ soggetta a collazione, ma piuttosto che il donatario e’ esposto per l’eccedenza all’azione di riduzione (Cass. n. 711/1966).
[…] E’ stato sopra chiarito che la dispensa dalla collazione sottrae il donatario del conferimento, ma non importa l’esclusione del bene donato dalla riunione fittizia ai fini della determinazione della porzione disponibile (Cass. n. 74/1967), ne’ sottrae la donazione dalla riduzione, se essa sia lesiva della legittima altrui (Cass. n. 13660/2017; n. 12317/2019).
[…] Senza che sia minimamente necessario stabilire, in assenza di censura, se il tenore del testamento del de cuius, con una chiamata congiuntiva dei tre figli in parti uguali sul relictum, consentisse di intendere le disposizioni in esso contenuto quale generica istituzione di (OMISSIS) nella disponibile, e’ sufficiente rilevare che, una volta messasi su questa via, la corte di merito avrebbe dovuto procedere in primo luogo alla determinazione della disponibile con la riunione fittizia ex articolo 556 c.c., includendo naturalmente in essa tutte le donazioni. Si ricorda che la riunione fittizia e’ un’operazione non solo preliminare per stabilire se la legittima sia salva o se invece, per la sua integrazione, si renda necessaria la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni, ma anche necessaria ogni qual volta sia rilevante stabilire quale sia nel caso la disponibile, anche quando non vi sia questione di riduzione di disposizioni lesive. All’ipotesi, gia’ proposta nella giurisprudenza della Corte, in cui legittimari concorrano con successori legittimi, ex articolo 553 c.c. (Cass. n. 7/1967; n. 837/1986), si deve certamente aggiungere quella del concorso di legittimari con istituiti non in quote determinate, ma genericamente nella disponibile.
Le operazioni sono quelle solite, indicate nell’articolo 556 c.c.. In primo luogo, si determina il valore dei beni appartenenti al defunto al tempo della morte. Il valore del relictum va determinato con riferimento al momento dell’apertura della successione. Dal valore cosi’ calcolato si detrae l’ammontare dei debiti ereditari (se ci sono). Al valore netto del relictum si aggiunge il valore dei beni elargiti con atti di disposizione tra vivi a titolo gratuito, determinato in base alle regole dettate dagli articoli 747 a 750 c.c.. Per determinare la quota spettante a ogni singolo legittimario occorre pero’ ancora un’ulteriore operazione: occorre imputare alla sua porzione legittima le donazioni ed i legati a lui fatti, salvo che ne sia stato espressamente dispensato (Cass. n. 12919/2012; n. 27352/2014). Il valore dei beni oggetto di liberalita’ in conto (o di legati in sostituzione di legittima) deve essere imputato alla porzione indisponibile fino a concorrenza delle quote individuali spettanti ai gratificati. In aggiunta a quanto ricevuto, il legittimario ha diritto di conseguire, a titolo di legittima, soltanto la differenza tra il valore della quota in astratto riservatagli dalla legge e quello dei beni a lui donati o legati (purche’, si intende, il valore di tale quota sia maggiore di quello di questi beni).
[..] In presenza di una generica istituzione nella disponibile, la dottrina ammette generalmente la partecipazione passiva alla collazione del mero legittimario, tenuto, a tale titolo, in favore dei discendenti istituiti nella disponibile, al conferimento di cio’ che gli sia stato donato oltre l’ammontare della legittima. Si chiarisce che la pretesa di restituzione alla massa fatta al discendente mero legittimario non e’ avanzata dall’erede della disponibile allo scopo di integrare la disponibile (non si tratta cioe’ di una pretesa riduzione vietata dall’articolo 557 c.c.), bensi’ nella qualita’ di discendente o coniuge, come tale avente diritto alla collazione delle donazioni ricevute senza dispensa dai coeredi della medesima categoria. E’ utile richiamare la regola secondo cui allorche’ il bene donato superi in valore la quota ereditaria dei discendente (o coniuge) donatario, costui, se sceglie di conferire per imputazione, deve versare in modo effettivo nell’asse l’equivalente pecuniario dell'”eccedenza” (Cass. n. 74/1960;n. 1481/1979).
E’ chiaro che il termine “eccedenza”, rispetto alla collazione, ha un significato diverso rispetto a quello che il medesimo termine assume ai fini della riduzione. L’eccedenza della donazione ai fini della riduzione consiste nel fatto che la misura della donazione comprende parte dei beni che sono necessari a completare la misura della quota di riserva, mentre l’eccedenza della donazione ai fini della collazione sta solo a indicare che il donatario ha ricevuto piu’ di quanto a lui spetta nel concorso con gli altri condividenti, come lui discendenti del de cuius; i due concetti pertanto non coincidono e, conseguentemente, l’eccedenza ai fini della collazione non significa anche eccedenza come lesione della quota di riserva (Cass. n. 1481/1979; n. 28196/2020).
[..] Ipotizzando il concorso di tre eredi figli Primo, Secondo e Terzo, Primo istituito genericamente nella disponibile. Relictum di 150 (zero debiti), donatum 345: 180 a Primo con dispensa dalla collazione, 120 a Secondo senza dispensa, 45 a un estraneo. Ammontando l’asse a 495, la disponibile (1/3) e’ 165; legittima (2/3) 330, suddivisa fra i tre figli, la cui quota di riserva individuale ammonta a 110 ciascuno.
Primo, in ipotesi istituito nella disponibile, avrebbe diritto alla propria legittima di 110 e alla disponibile residua di 120 (la disponibile al netto della donazione all’estraneo): in totale 230. Egli avendo ricevuto in donazione 180, con dispensa da collazione, avrebbe diritto di pretendere ancora 50, che gli competono quale erede della disponibile. Terzo deve prendere la propria legittima per intero di 110 sul relictum di 150, che si riduce a 40, che sono prelevati da Primo, il quale integrera’ quanto ancora gli manca per eguagliare il proprio diritto, pretendendo 10, a titolo di collazione, da Secondo, che ha ricevuto in donazione 120, che superano l’ammontare della quota di riserva. Si puo’ notare che il relictum di 150 costituisce oggetto della riserva solo nei limiti della quota individuale di Terzo, avendo gli altri legittimari gia’ ricevuto in donazione un valore maggiore. Il residuo di 40 fa parte della disponibile, che si assume attribuita per testamento a Primo.
H) La collazione volontaria
La collazione volontaria è quel fenomeno del conferimento collatizio imposto dalla concreta volontà del de cuius, oltre le fattispecie previste dalla legge.
Si adduce generalmente la derogabilità delle norme sulla collazione, argomentata dalla facoltà, che la legge riconosce al de cuius attraverso la dispensa di esonerare il donatario della collazione entro il limite della quota disponibile
La dottrina se da un lato è concorde nel ricondurre nel fenomeno tutte le fattispecie in cui l’imposizione del conferimento avviene in relazione ad attribuzioni patrimoniali che il legislatore dichiara espressamente esenti da collazione legale ovvero a carico e/o a beneficio di soggetti che concorrono alla successione del donante ma che non sono a lui legati da vincolo di coniugio o di discendenza, dall’altro si discute del suo ambito di operatività. Più precisamente, è controverso se oggetto del conferimento volontario possano essere, oltre che le liberalità inter vivos, anche i legati; se vi possa essere dissociazione tra la qualità di coerede tenuto al conferimento e quella di donatario del bene da conferire, nonché se possono essere derogate le disposizioni concernenti le modalità di attuazione del conferimento.
Nonostante tali incertezze, la dottrina è concorde nel ritenere la piena legittimità della collazione volontaria, data la derogabilità della disciplina legale a sua volta fisiologico corollario della natura dispositiva dell’istituto collatizio.
Il fondamento è probabilmente nello stesso principio generale dell’autonomia privata.
La giurisprudenza, interrogata sul punto, ha risolto positavamente la questione.
Infatti, secondo la Suprema Corte[96] l’art. 742 c.c. che dispensa dalla collazione le liberalità e le spese in essa previste non pone un principio inderogabile che non possa essere superato dalla volontà contraria del testatore, dovendosi riconoscere a questi la facoltà di imporre la collazione anche nei casi previsti dalla norma cit., quale strumento per incidere sulla misura dell’attribuzione patrimoniale a favore dell’erede. La suddetta facoltà incontra il solo limite posto dall’ordinamento, con gli art. 536 ss. c.c., alla libertà del de cuius di disporre dei propri beni dopo la sua morte, a tutela dei diritti dei congiunti più stretti.
Mentre la Suprema Corte sembra ammettere l’esercizio della collazione c.d. volontaria anche per testamento, in dottrina, chi avverte delle affinità con l’istituto della revocazione delle donazioni di cui agli artt. 800 ss. c.c. subordina la validità di tale esercizio alla necessaria contestualità della liberalità da conferire. Infatti, un tale esercizio importa una sostanziale revoca della liberalità, la cui programmazione in un epoca successiva al perfezionamento della donazione si pone in contrasto con il principio di tassatività delle cause di revocazione delle donazioni, in quanto non sorretta da una corrispondente previsione normativa.
Secondo altra parte della dottrina, invece, l’esercizio della collazione volontaria è astrattamente svincolato dal contesto spazio temporale dell’attribuzione liberale. Secondo tale impostazione, ferma la legittimità della collazione volontaria che costituisce parte integrante del negozio donativo, la facoltà di una imposizione ex post del meccanismo è consentita solo se contenuta in un testamento, mentre è invalida, per contrarietà al generale divieto dei patti successori, se contemplata da un atto inter vivos.
Pertanto, vi è una convergenza nell’assegnare alla collazione contestuale dell’atto donativo la natura di onere modale ad esso accessorio, mentre laddove si ammette la relativa previsione per testamento si ritiene che in tal caso essa assuma la natura giuridica di legato mortis causa.
In tale contesto si ritiene che alla collazione volontaria si applicano, per analogia, le norme che disciplinano la collazione ex lege, se il donatario non ha diversamente disposto.
I) Collazione e divisione fatta dal testatore
La giurisprudenza di legittimità[97], risalente ma non superata da successive pronunzie, ha escluso che nella divisio inter liberos possa trovare applicazione l’istituto della collazione, considerato che lo stesso, essendo diretto ad accrescere la massa che deve effettivamente dividersi tra gli eredi, può operare soltanto nei rapporti in cui tra i coeredi si instauri una comunione;il che non si verifica nella divisione suddetta, con la quale il testatore abbia già provveduto, a propria discrezione, tenendo conto dei bisogni e delle attitudini di ciascun erede, a determinare le quote loro spettanti, che (fatto salvo il rispetto delle riserve in favore dei legittimari), possono essere anche disuguali .
In senso generale la divisione può anche essere effettuata dal testatore con la conseguenza di impedire il sorgere della comunione. In tal caso egli potrà anche stabilire quali beni assegnare ai singoli eredi ivi compresi i legittimari.
art. 734 c.c. divisione fatta dal testatore
il testatore può dividere i suoi beni tra gli eredi comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile (c.c.536 e seguenti).
Se nella divisione fatta dal testatore non sono compresi tutti i beni lasciati al tempo della morte, i beni in essa non compresi sono attribuiti conformemente alla legge (c.c.566 e seguenti), se non risulta una diversa volontà del testatore.
La fattispecie prevista dall’art. 734 si compone, infatti, di due negozi autonomi, ancorché collegati (l’istituzione e la divisione), com’è evidenziato anche dall’art. 735 che dichiara nulla per preterizione la divisione, ma non l’istituzione.
In altri termini se Tizio così dispone: <nomino eredi Caio, Sempronio e Mevio e così divido tra loro tutti i miei beni…>, egli avrà fatto in un primo tempo un’istituzione di erede in parti uguali e, in secondo tempo, una divisione testamentaria; se in questo secondo atto non comprende Mevio, resterà valida l’istituzione, mentre sarà nulla la divisione.
L’assegno divisionale qualificato (734 c.c.) può essere totale o parziale e, in quest’ultima ipotesi
A) soggettivamente parziale nel senso che il testatore assegni le quote di fatto solo ad alcuni degli eredi, mentre per gli altri eredi istituiti lascia una massa di beni comuni (ancora indivisi) che saranno poi assegnati con una futura divisione ereditaria a farsi tra gli eredi dopo la sua morte.
La ragione della validità di una siffatta disposizione, ammessa dalla più attenta [98] dottrina [99], parte del presupposto che la nullità della preterizione si ha solo quando non siano stati lasciati fuori dalla divisione soggettivamente parziale beni sufficienti a formare le porzioni dei soggetti pretermessi.
In altri termini, se Tizio ha 3 fondi di pari valore e nomina eredi universali, Primo, Secondo e Terzo, attribuendo a Primo uno dei fondi, non si avrà preterizione, ma divisione soggettivamente parziale (valida), perché gli altri due fondi sono sufficienti a soddisfare i diritti di Secondo e Terzo, i quali li riceveranno in comunione.
B) La divisione può essere anche oggettivamente parziale nel senso che il testatore divida fra gli eredi solo una parte dei suoi beni: in tal caso, i residui beni sono attribuiti conformemente alla legge se non risulta una diversa volontà del testatore (734, II comma).
Indubbiamente è un problema di fatto (pratico – interpretativo) consistente nell’interpretazione della volontà e la dottrina, ad esempio ha individuato un caso in cui traspare la volontà di escludere la vocazione legittima: il testatore indica le quote, che sommate raggiungonol’intero, pur assegnando solo parte dei beni; il testatore, pur distribuendo solo una parte del suo patrimonio fra gli eredi testamentari, dichiara espressamente di volere escludere dalla successione gli eredi legittimi; il testatore attribuisce agli eredi istituiti tutti i beni di cui è titolare e successivamente acquista altri beni.
J) Questioni processuali
Prima di tutto è opportuno sottolinerae che la collazione, tendendo a consentire, in sede di divisone, la determinazione delle quote dei coeredi senza che venga alterato il trattamento spettante a ciascuno di essi, partecipa della imprescrittibilità che la legge prevede per l’azione di divisione tra coeredi; e pertanto, i suoi effetti non possono essere paralizzati dall’eccezione di usucapione del donatario, giacché la collazione opera ex nunc e il donatario, almeno fino a quando non si verifichino i suoi effetti, non esercita sulla cosa un potere di fatto suscettibile di dar luogo ad un acquisto del diritto di proprietà a titolo originario col decorso del tempo, bensì la piena titolarità del diritto sul bene a lui donato [100].
Per il Tribunale Capitolino [101], in senso generale, l’’istituto della collazione non soltanto non soccorre qualora non sussiste una comunione ereditaria di cui il legittimario leso possa ritenersi partecipe – avendo il de cuius esaurito l’asse con donazioni o con legati sacrificando uno o più eredi necessari – ma è negata in via assoluta la possibilità di invocare l’operatività della collazione ogni qualvolta si sia al di fuori dal procedimento di divisione giudiziale dell’asse ereditario.
In tema di giudizio di divisione ereditaria, secondo una pronuncia di merito[102], successivamente alla costituzione dei convenuti, non può più essere chiesta una formazione delle quote diversa da quella cui il giudice debba attenersi in relazione al patrimonio del de cuius individuato dalle parti nei loro scritti difensivi iniziali. Ne deriva che la deduzione del fatto che un condividente sia tenuto alla collazione di un bene donato, costituendo eccezione in senso proprio, in quanto diretta a paralizzare la pretesa di tale condividente a partecipare alla divisione secondo quanto gli spetterebbe ove tale donazione non avesse avuto luogo, è soggetta alle preclusioni di cui all’art. 167, comma 2, c.p.c.. Nel caso di specie, stante i predetti principi, si è dichiarata inammissibile, in quanto tardivamente proposta, la domanda del convenuto diretta a far accertare che il de cuius aveva donato ad una delle figlie la somma da quest’ultima utilizzata per il pagamento della quota di un dato immobile e la conseguente domanda di collazione.
Principio ripreso da una precedente Cassazione [103], secondo la quale in tema di giudizio di divisione ereditaria, successivamente alla costituzione dei convenuti non può più essere chiesta una formazione delle quote diversa da quella cui il giudice debba attenersi in relazione al patrimonio del de cuius individuato dalle parti nei loro scritti difensivi iniziali. Ne consegue che la deduzione del fatto che un condividente sia tenuto alla collazione di un bene donato, costituendo eccezione in senso proprio, in quanto diretta a paralizzare la pretesa di tale condividente a partecipare alla divisione secondo quanto gli spetterebbe ove tale donazione non avesse avuto luogo, è soggetta alle preclusioni di cui all’art. 167, secondo comma, c.p.c.
Secondo altra pronuncia della Cassazione [104], in tema di comunione ereditaria ed in ipotesi di domanda di divisione giudiziale dei beni, tutte le questioni che sorgono nel corso del giudizio vanno esaminate nell’insieme dei rapporti reciproci dei condividenti e, quindi, come incidenti relativi all’unico, inscindibile, giudizio principale. Ne consegue che non possono ritenersi nuove, e perciò precluse, la domanda di simulazione dell’atto di vendita di un bene effettuato dal de cuius in favore di uno dei coeredi e la conseguente domanda di collazione del bene nella massa proposte successivamente nel corso del giudizio di primo grado, in quanto entrambe sono volte a far rientrare nell’asse ereditario il bene fittiziamente compravenduto. Se poi il bene sia stato venduto anche ad un terzo, questi deve far parte del giudizio nel quale si discute della simulazione della vendita conclusa anche da lui, non potendo il terzo essere pregiudicato, se non interviene, dalla sentenza resa tra i condividenti.
Mentre a mente di una sentenza della Corte Capitolina[105] in tema di giudizio d’appello non costituisce domanda nuova, tale da comportare la declaratoria di inammissibilità, la qualificazione del contratto impugnato non più come donazione ma come negozio misto con donazione, trattandosi di mera precisazione della domanda consentita in sede di gravame, in quanto ne conserva sostanzialmente intatto il fatto costitutivo originario e modifica solo quantitativamente, riducendolo, il petitum, senza peraltro incidere sulla sussistenza dell’obbligo di collazione ai sensi dell’art. 737 c.c.
NOTE
[1] Polacco – Azzariti – De Ruggiero – Maroi
[2] Forchielli e Angeloni
[3] Barassi – Casulli
[4] Forchielli e Angeloni – Gazzarra
[5] Coviello – Messineo
[6] Forchielli e Angeloni – Gazzarra
[7] Santoro Passarelli – Niccolò – Gazzarra
[8] Capozzi
[9] Forchielli – Angeloni – Barbero Burdese – Cannizzo – Capozzi
[10] Corte di Cassazione, sentenza 28 giugno 1976, n. 2453, conforme Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 1 febbraio 1995, n. 1159, in presenza di donazioni fatte in vita dal de cuius, la collazione é una operazione necessaria nel corso del procedimento divisionale, essendo diretta a ristabilire l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti, cosi’ da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote e garantire a ciascuno degli eredi la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla propria quota. Ne consegue che l’obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione e che i beni donati devono essere conferiti indipendentemente da una espresse domanda dei condividenti, mentre chi eccepisce un fatto ostativo alla collazione ha l’onere di fornire la prova; Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 19 novembre 2004, n. 21896, l’esercizio dell’azione di divisione ereditaria tra eredi legittimari comporta l’applicazione della collazione (art. 737 c.c.), in virtù della quale i beni donati devono essere compresi o conferiti nella massa attiva del patrimonio ereditario, ed essa ha la funzione di conservare tra gli eredi stessi la proporzione stabilita nel testamento o nella legge, permettendo la divisione tra i coeredi in proporzione delle quote a ciascuno spettanti, indipendentemente dal’esperimento dell’azione di riduzione; Ancora secondo altra pronuncia Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 18 luglio 2005, n. 15131, in presenza di donazioni fatte in vita dal “de cuius“, la collazione ereditaria – in entrambe le forme previste dalla legge, per conferimento del bene in natura ovvero per imputazione – è uno strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere al fine di assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote, da determinarsi, in relazione alla misura del diritto di ciascun condividente, sulla base della sommatoria del relictum e del donatum al momento dell’apertura della successione , e quindi garantire a ciascuno degli eredi la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla propria quota. Ne consegue che l’obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione (salva l’espressa dispensa da parte del de cuius nei limiti in cui sia valida) e che i beni donati devono essere conferiti indipendentemente da una espressa domanda dei condividenti, essendo sufficiente a tal fine la domanda di divisione e la menzione in essa dell’esistenza di determinati beni, facenti parte dell’asse ereditario da ricostruire, quali oggetto di pregressa donazione. Incombe in tal caso sulla parte che eccepisca un fatto ostativo alla collazione l’onere di fornirne la prova nei confronti di tutti gli altri condividenti.
[11] Tribunale Treviso, civile sentenza 8 novembre 2013, n. 2052
[12] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 15131/2005
[13] Tribunale Roma, Sezione X civile, sentenza 13 maggio 2013, n. 10286 Nella specie a differenza di quanto dedotto da parte attrice, il chiesto accertamento della donazione dissimulata non fa ricadere l’immobile nella massa ereditaria ex artt. 737 e 746 c.c., poiché non sono tali gli effetti delle richiamate disposizioni, attinenti, per quanto innanzi, all’istituto della collazione che postula come suo fondamento l’acquisizione del donatum all’asse ereditario in rapporto necessariamente strumentale alle operazioni di divisione ereditaria, ovvero nelle ipotesi di azione di riduzione
[14] Cicu
[15] Forchielli – Angeloni
[16] Barassi – Coviello – Polacco – Forchielli – Angeloni – Capozzi – Corte di Cassazione, sentenza 1 febbraio del 1995, n. 1159
[17] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 3013 del 10 febbraio 2006
[18] Corte di Cassazione, sentenza 5 marzo 1970, n. 543
[19] Corte di Cassazione, sentenza 16 giugno 1963, n. 671 secondo la quale l’oggetto della collazione non può comprendere anche i legati ed ancor meno i prelegati, i quali ultimi hanno una funzione tipica (favorire ante partem uno dei coeredi) che mal si concilia con la funzione tipica e contrapposta della collazione (porre tutti gli eredi su un piano paritetico.
[20] Corte di Cassazione, sentenza 19 novembre 2004, n. 21895 ai sensi dell’articolo 737 del c.c. l’obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione, salva l’espressa dispensa da parte del de cuius e sempre nei limiti della sua validità; pertanto, i beni donati devono essere conferiti indipendentemente da una specifica domanda in tal senso da parte dei condividenti, essendo sufficienti la domanda di divisione e la menzione in essa di determinati beni, indicati come oggetto di pregressa donazione diretta o indiretta e quali facenti parte dell’asse ereditario da ricostruire, a sollecitare che il preliminare accertamento da parte del giudice della consistenza dell’asse abbia luogo con riferimento anche ai detti beni, con l’ulteriore ovvia conseguenza che sulla parte che eccepisca un fatto ostativo alla collazione grava l’onere di fornirne la prova nei confronti di tutti gli altri condividenti.
[21] Per una maggiore consultazione sull’istituto dell’accettazione dell’eredità aprire il seguente collegamento on-line http://renatodisa.com/2015/01/22/acquisto-delleredita-accettazione-espressa-o-tacita-accettazione-con-beneficio-dinventario/
[22] Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 30 ottobre 1992, n. 11831, conforme Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 17 dicembre 1986, n. 7622 le azioni previste dagli artt. 737 ss c.c., per il conferimento alla massa ereditaria di quanto abbia formato oggetto delle donazioni effettuate in vita dal disponente spettano unicamente ai soggetti indicati in tale norma divenuti eredi e, di conseguenza, non sono proponibili prima della morte del donante e della apertura della successione sui beni del medesimo, in quanto l’attore che, a quel momento, non é ancora erede, difetta per ciò stesso della legittimazione ad agire, mentre, ove si limiti a sollecitare il mero accertamento delle dette donazioni, é comunque privo di un interesse attuale e concreto nei confronti della chiesta pronuncia. Peraltro – dovendo la legittimazione ad causam, come l’interesse ad agire, quale condizione dell’azione, sussistere al momento della decisione – il giudice é tenuto ad esaminare nel merito la domanda di collazione od imputazione quando nelle more del giudizio, sia intervenuto il decesso del de cuius e l’istante, accettando l’eredità, ne sia divenuto erede.
[23] Cfr par.fo G) La dispensa – pag. 53
[24] Azzariti
[25] Forchielli – Mengoni – Burdese – Capozzi
[26] Corte di Cassazione, sentenza n. 6116 del 2001
[27] Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 14 giugno 2013, n. 15026
[28] Per un maggior approfondimento sull’istituto della riunione fittizia aprire il seguente collegamento on-line http://renatodisa.com/2013/09/26/i-legittimari-azione-di-riduzione-e-di-restituzione/
[29] Gazzoni
[30] Carnevali
[31] Cicu
[32] Per un maggior approfondimento sull’istituto della riunione fittizia aprire il seguente collegamento on-line http://renatodisa.com/2013/09/26/i-legittimari-azione-di-riduzione-e-di-restituzione/
[33] Andreoli
[34] Forchielli e Angeloni
[35] Per un maggior approfondimento sull’istituto della riunione fittizia aprire il seguente collegamento on-line http://renatodisa.com/2013/09/26/i-legittimari-azione-di-riduzione-e-di-restituzione/
[36] Capozzi
[37] Tribunale Cassino, civile, sentenza 2 febbraio 2009, n. 111
[38] Corte di Cassazione, sentenza 2 febbraio 1979, n.726
[39] Di conseguenza, le azioni previste dagli art. 737 e ss. c.c., non sono proponibili prima della morte del donante e dell’apertura della successione sui beni del medesimo, in quanto l’attore che, a quel momento, non è ancora erede, difetta per ciò stesso della legittimazione ad agire, mentre, ove si limiti a sollecitare il mero accertamento delle dette donazioni, è comunque privo di interesse attuale e concreto nei confronti della chiesta pronuncia; peraltro, dovendo la legittimazione ad causam, come l’interesse ad agire, quale condizione dell’azione, sussiste al momento della decisione, il giudice è tenuto ad esaminare nel merito la domanda di collazione od imputazione quando nelle more del giudizio sia intervenuto il decesso del de cuius e l’istante, accettando l’eredità, ne sia divenuto erede: così Corte di Cassazione, sentenza 7622/86
[40] Corte di Cassazione, sentenza 16 giugno 1963 n. 671 secondo la quale l’oggetto della collazione non può comprendere anche i legati ed ancor meno i prelegati, i quali ultimi hanno una funzione tipica (favorire ante partem uno dei coeredi) che mal si concilia con la funzione tipica e contrapposta della collazione (porre tutti gli eredi su un piano paritetico.
[41] Corte di Cassazione, Sezione II civile, Sentenza 3 settembre 2013, n. 20143
[42] Corte di Cassazione, sezione II, 16 novembre 2000, n. 14864; Corte di Cassazione, sezione II, 23 gennaio 2007, n. 1408; Corte di Cassazione, sezione II, 13 gennaio 2010, n. 368
[43] Corte di Cassazione, sezione II, 6 marzo 1980, n. 1521
[44] Tribunale Bari, Sezione I civile, sentenza 21 gennaio 2015, n. 258
[45] Corte d’Appello Roma, Sezione III civile, sentenza 22 marzo 2011, n. 1205
[46] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 15131 del 18 luglio 2005
[47] Corte di Cassazione, sentenza 27 febbraio 1998, n. 2163
[48] Corte di Cassazione, sentenza n. 25646 del 23 ottobre 2008
[49] Tribunale Roma, Sezione VIII civile, sentenza 11 ottobre 2012, n. 19045
[50] Capozzi
[51] Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 15 gennaio 2003, n. 502,
[52] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 3 gennaio 2014, n. 56, per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 3 gennaio 2014, n. 56
[53] cfr par.fo F) Oggetto della collazione – Le donazioni indirette – pag. 45
[54] Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza n. 9282/92
[55] Corte di Cassazione, sentenze nn. 18181/04 e 3370/04
[56] Corte di Cassazione, sentenza n. 11015/13
[57] Corte di Cassazione, sentenza 5 ottobre 1974, n. 2621
[58] Corte di Cassazione, sentenza del 5 ottobre 1974, n. 2621
[59] Cfr. Corte di Cassazione, sentenza 2 febbraio 1979, n.726
[60] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link: Legge 10 dicembre 2012 n. 219 – disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali
[61] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link DECRETO LEGISLATIVO 28 dicembre 2013, n. 154. Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219
[62] Tribunale di Roma, sentenza 17 maggio 2001
[63] Per un approfondimento maggiore sull’istituto del fondo patrimoniale aprire il seguente link http://3.70.129.172/2014/08/27/il-fondo-patrimoniale/
[64] Capozzi
[65] Corte di Cassazione, Sezione II civile Sentenza 7 aprile 2015, n. 6925. Per la consultazione integrale della sentenza cliccare il seguente collegamento on line Corte di Cassazione, Sezione II civile Sentenza 7 aprile 2015, n. 6925 L’aggiunta del modus non snatura l’essenza della donazione, non potendo assegnarsi ad esso la funzione di corrispettivo, con la sussunzione della donazione modale nella categoria dei contratti a titolo oneroso, ma comporta che la liberalita’, che resta sempre la causa del negozio, attraverso il modus, viene ad esserne limitata. Ne consegue che, nel concorrere alla successione dell’ascendente, i figli legittimi e naturali e i loro discendenti legittimi e naturali, essendo tenuti a conferire ai coeredi tutto ciò che direttamente e indirettamente abbiano ricevuto dal defunto (articolo 737 c.c.), sono assoggettati all’obbligo della collazione anche nell’ipotesi di donazione modale, limitatamente alla differenza tra il valore dei beni donati e il valore dell’onere. Conforme Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 27 novembre 1985, n. 5888; l’aggiunta del modus non snatura l’essenza della donazione, non potendo assegnarsi ad esso la funzione di corrispettivo, con la sussunzione della donazione modale nella categoria dei contratti a titolo oneroso, ma comporta che la liberalità, che resta sempre la causa del negozio, attraverso il modus, viene ad esserne limitata. Ne consegue che, nel concorrere alla successione dell’ascendente, i figli legittimi e naturali e i loro discendenti legittimi e naturali, essendo tenuti a conferire ai coeredi tutto ciò che direttamente e indirettamente abbiano ricevuto dal defunto (art.. 737 c.c.), sono assoggettati all’obbligo della collazione anche nell’ipotesi di donazione modale, limitatamente alla differenza tra il valore dei beni donati e il valore dell’onere.
[66] Per una maggiore approfondimento sull’istituto dell’usufrutto aprire il seguente collegamento on-line http://renatodisa.com/2011/06/17/usufrutto/
[67] Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 16 dicembre 2010, n. 25473 la collazione per imputazione dell’immobile donato in nuda proprietà con riserva di usufrutto va effettuata con riferimento al valore corrispondente alla piena proprietà come acquisita dal donatario all’epoca di apertura della successione, sia perché solo in tale momento si può stabilire il valore dell’intera massa da dividere ed attuare lo scopo della collazione di ricomposizione in modo reale dell’asse ereditario, sia perché l’acquisizione della piena proprietà del bene in capo al donatario alla morte del donante (ovvero al tempo di apertura della successione, come individuato dall’art. 456 c.c.) è, comunque, effetto riconducibile al suddetto atto di donazione. In caso contrario, il donatario si avvantaggerebbe ingiustificatamente del mancato conferimento alla massa di un importo corrispondente alla differenza tra il valore equivalente alla nuda proprietà e quello equivalente alla piena proprietà del bene stesso.
[68] Tribunale Treviso, civile, sentenza 8 novembre 2013, n. 2052 così Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 25473/2010
[69] Per un approfondimento maggiore sull’istituto della simulazione aprire il seguente collegamento on-line http://renatodisa.com/2013/04/04/la-simulazione/
[70] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 25 maggio 2001, n. 7134
[71] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 12477 del 7 luglio 2004
[72] Tribunale Milano, Sezione IV civile, sentenza 21 aprile 2011, n. 5611
[73] Corte di Cassazione, sentenza n. 1465/1969
[74] Corte di Cassazione, sentenza n. 5410/89
[75] Per un approfondimento maggiore sull’istituto della interposizione fittizia aprire il seguente collegamento on-line http://3.70.129.172/2013/04/04/la-simulazione/
[76] Per un approfondimento maggiore sull’istituto del preliminare aprire il seguente collegamento on-line http://renatodisa.com/2011/02/01/le-trattative-ed-il-contratto-preliminare/
[77] Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 8 febbraio 1995, n. 1257, nell’ipotesi di acquisto di un immobile con danaro proprio del disponente e di intestazione dello stesso bene ad un altro soggetto, che il disponente abbia inteso in tale modo beneficiare, costituendo la vendita mero strumento formale di trasferimento della proprietà del bene per l’attuazione di un complesso procedimento di arricchimento del destinatario del detto trasferimento, si ha donazione indiretta non già del danaro ma dell’immobile poiché, secondo la volontà del disponente, alla quale aderisce il donatario, di quest’ultimo bene viene arricchito il patrimonio del beneficiario; conseguentemente il conferimento, ai sensi dell’art. 737 c.c., avrà ad oggetto l’immobile, con il valore acquisito al tempo dell’apertura della successione e non il danaro impiegato per l’acquisto; Corte di Cassazione, Sezione II, 29 maggio 1998, n. 5310; Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 22 settembre 2000, n. 12563; Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 25 ottobre 2005, n. 20638, nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, si configura la donazione indiretta dell’immobile e non del denaro impiegato per l’acquisto;pertanto, in caso di collazione, secondo le previsioni dell’art. 737 c.c., il conferimento deve avere ad oggetto l’immobile e non il denaro; Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 6 novembre 2008, n. 26746; Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 12 maggio 2010, n. 11496, secondo quest’ultima pronuncia nell’ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l’acquisto del bene con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, la compravendita costituisce lo strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, che ha quindi ad oggetto il bene e non già il denaro. Tuttavia, alla riduzione di siffatta liberalità indiretta non si applica il principio della quota legittima in natura (connaturata all’azione nell’ipotesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 c.c.), poichè l’azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l’acquisizione riguarda il loro controvalore, mediante il metodo dell’imputazione; pertanto mancando il meccanismo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell’investimento finanziato con la donazione indiretta dev’essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito, con la conseguenza che, nell’ipotesi di fallimento del beneficiario, la domanda è sottoposta al rito concorsuale dell’accertamento del passivo ex artt. 52 e 93 della legge fall.
[78] Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 2 settembre 2014, n. 18541, per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 2 settembre 2014, n. 18541
[79] Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 2 gennaio 1997, n. 1. Nella specie trattavasi di clausola testamentaria prescrivente la collazione di ordinarie spese nuziali, ritenuta valida dai giudici di merito, con sentenza confermata dalla S.C.
[80] Per un maggior approfondimento sull’istituto della quota di riserva aprire il seguente collegamento on-line http://renatodisa.com/2013/09/26/i-legittimari-azione-di-riduzione-e-di-restituzione/
[81] Corte di Cassazione, sentenza 12 marzo 1966, n. 711
[82] Azzariti – Messineo e la prevalente giurisprudenza Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 1 ottobre 2003, n. 14590. In tema di divisioni ereditarie, la dispensa dalla collazione, contenuta in una donazione, si configura come una clausola accessoria al contratto che, come tale, non può essere eliminata dal contesto per atto unilaterale di volontà di uno solo dei contraenti. La natura contrattuale di tale clausola non contrasta col divieto dei patti successori, trattandosi di una mera modalità dell’attribuzione, destinata ad avere efficacia dopo la morte del donante, e non di un atto con cui questi dispone da vivo della propria successione.
[83] Forchielli – Angeloni – Burdese – Cariota – Ferrara – Capozzi
[84] Per un approfondimento maggiore sull’istituto del collegamento negoziale aprire il seguente collegamento on-line http://renatodisa.com/2011/10/27/il-collegamento-negoziale/
[85] Tribunale di Cassino, sentenza 24 marzo 2011, n. 254
[86] Tribunale Bari, sezione I civile, sentenza 12 maggio 2009, n. 1566
[87] Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 4 agosto 1982, n. 4381
[88] Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 18 marzo 2000, n. 3235
[89] Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 27 gennaio 1995, n. 989
[90] Per un maggior approfondimento sull’istituto della quota di riserva aprire il seguente collegamento on-line http://renatodisa.com/2013/09/26/i-legittimari-azione-di-riduzione-e-di-restituzione/
[91] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 6 marzo 1980 n. 1521. In sede di divisione ereditaria, le richieste di ciascun coerede di prelevamenti dal relictum a soddisfazione di crediti verso il de cuius configurano non delle eccezioni ma delle vere e proprie domande, soggette, perciò, al divieto stabilito dal primo comma dell’art. 345 c.p.c., in quanto dirette non a paralizzare la domanda di divisione, bensì ad ottenere l’attribuzione diretta di un bene della vita (credito) e, correlativamente, a diminuire la massa da dividere.
[92] Secondo il collegio, che il calcolo della quota di riserva nel modo previsto da detto articolo è un espediente contabile adottato dalla legge per la determinazione quantitativa dei diritti dei legittimari ed è pertanto applicabile in via generale quanto concorrono nella successione eredi necessari (Corte di Cassazione, sentenza 15 ottobre 1958, n. 3277). Quindi la riunione fittizia ha una finalità ben più ampia della sola attuazione della riduzione, appunto quella di poter stabilire, in correlazione con la determinazione della porzione disponibile, quale sia la quota di riserva spettante ai legittimari, sia per il caso che gli stessi possano soddisfare le loro ragioni sui beni relitti, sia per il caso che non lo possano (Corte di Cassazione, sentenza 7 gennaio 1967, n. 74).
[93] Tribunale Treviso, civile, sentenza 8 novembre 2013, n. 2052
[94] Secondo la Suprema corte il fine pratico della riunione fittizia è anzitutto quello di stabilire, prima dell’inizio della divisione che dovrà portare alla formazione delle singole porzioni spettanti a ciascun coerede, quale sia l’ammontare della quota di riserva. Quindi le singole porzioni non possono che determinarsi concretamente se non con riguardo all’intero patrimonio del defunto calcolato nel modo prescritto dall’art. 556 c.c..
[95] In senso contrario Corte di Cassazione, sentenza 10 maggio 1967, n. 956 nella quale si legge: una volta estinto per prescrizione il diritto alla reintegra della quota di riserva, tale diritto non può farsi valere in alcun modo, onde è preclusa, per tale causa estintiva, sia l’azione di riduzione delle donazioni prevista dall’art. 555 c.c., sia l’azione di collazione per reclamare l’obbligo da parte degli altri coeredi discendenti del conferimento di quella parte delle donazioni che eccede la quota disponibile, ai sensi dell’art. 737, 2° comma, c.c., perché in entrambi i casi il legittimario non ad altro tende che a fare accertare e attuare il proprio diritto alla quota di riserva.
[96] Corte di Cassazione, sentenza 2 gennaio 1997, n. 1
[97] Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 23 maggio 2013, n. 12830 per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 23 maggio 2013, n. 12830 Corte di Cassazione sentenze nn. 2989/1957 e 1988/1969
[98] Capozzi
[99] Mengoni – Forchielli – Angeloni
[100] Corte di Cassazione, sentenza 2 febbraio 1979, n. 726
[101] Tribunale di Roma, sezione VIII civile, sentenza 3 novembre 2009, n. 22489
[102] Tribunale Trento, civile, sentenza 20 febbraio 2014, n. 231
[103] Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 28 dicembre 2011, n. 29372
[104] Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 20 febbraio 2003, n. 2568
[105] Corte d’Appello Roma, civile, sentenza 29 gennaio 2014, n. 604 cfr. Corte di Cassazione, Sezione II civile sentenza 28 gennaio 2013, n. 1861. In tema di giudizio d’appello, non costituisce domanda nuova, tale da comportare la declaratoria di inammissibilità, la qualificazione del contratto impugnato non più come donazione, secondo quanto indicato nell’atto di citazione di primo grado, ma come negozio misto con donazione, trattandosi di mera precisazione della domanda consentita in sede gravame, in quanto ne conserva sostanzialmente intatto il fatto costitutivo originario e modifica solo quantitativamente, riducendolo, il petitum, senza peraltro incidere sulla sussistenza dell’obbligo di collazione ai sensi dell’art. 737 c.c.
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