Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 24 marzo 2016, n. 12478
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IZZO Fausto – Presidente
Dott. PICCIALLI Patrizia – Consigliere
Dott. DOVERE Salvatore – rel. Consigliere
Dott. MONTAGNI Andrea – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore Generale presso la Corte d’appello di L’Aquila;
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
nei confronti di:
(OMISSIS), n. il (OMISSIS);
(OMISSIS), n. il (OMISSIS);
(OMISSIS), n. il (OMISSIS);
(OMISSIS), n. il (OMISSIS);
(OMISSIS), n. il (OMISSIS);
(OMISSIS), n. il (OMISSIS);
(OMISSIS), n. il (OMISSIS);
inoltre:
(OMISSIS), n. il (OMISSIS) Presidenza del Consiglio dei Ministri;
avverso la sentenza n. 2583/2013 pronunciata dalla Corte d’appello di L’Aquila il 10/11/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 19/11/2015 la relazione del Cons. Dott. Dovere Salvatore e del Cons. Dott. Dell’Utri Marco;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. FODARONI M. G., che ha concluso: 1) per il rigetto dei ricorsi del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di L’Aquila, dell’imputato (OMISSIS) e del responsabile civile Presidenza del Consiglio dei Ministri; 2) per la dichiarazione d’inammissibilita’ dei ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS) e del ricorso cumulativo di (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
udito, per le parti civili (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
udito, per le parti civili (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
udito, per le parti civili (OMISSIS); (E ALTRI OMISSIS)
udito, per le parti civili (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
udito, per le parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), l’avv.to (OMISSIS), del foro di L’Aquila, che ha concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;
udito, per le parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), l’avv.to (OMISSIS), del foro di L’Aquila, che ha concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;
udito, per le parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), l’avv.to (OMISSIS), del foro di Lanciano, che ha concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;
udito, per le parti civili (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
udito, per la parte civile (OMISSIS), l’avv.to (OMISSIS), del foro di Teramo, che ha concluso per l’accoglimento del proprio ricorso nonche’ per il rigetto del ricorso dell’imputato (OMISSIS) riportandosi alle conclusioni scritte depositate unitamente alla nota spese;
udito, per la parte civile non ricorrente (OMISSIS), l’avv.to (OMISSIS), del foro di L’Aquila, che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte depositate unitamente alla nota spese, insistendo per accoglimento del ricorso del Procuratore Generale nonche’ per l’inammissibilita’ del ricorso dell’imputato (OMISSIS);
udito, per la parte civile non ricorrente (OMISSIS), l’avv.to (OMISSIS), del foro di L’Aquila, che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte depositate, insistendo per accoglimento del ricorso del Procuratore Generale nonche’ per il rigetto del ricorso dell’imputato (OMISSIS);
udito, per gli eredi (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
udito, per la parte civile non ricorrente (OMISSIS), l’avv.to (OMISSIS), del foro di L’Aquila, che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte depositate unitamente alla nota spese;
udito, per la parte civile non ricorrente (OMISSIS), l’avv.to (OMISSIS), del foro di L’Aquila, che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte depositate unitamente alla nota spese;
udito, per la parte civile non ricorrente (OMISSIS), l’avv.to (OMISSIS), del foro di L’Aquila, che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte depositate unitamente alla nota spese, insistendo per la dichiarazione d’inammissibilita’ dei ricorsi dell’imputato (OMISSIS) e del responsabile civile, con la conferma delle statuizione civili della sentenza impugnata;
udito, per la parte civile non ricorrente Comune di L’Aquila, l’avv.to (OMISSIS), del foro di L’Aquila, che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte depositate unitamente alla nota spese;
udito, per il responsabile civile Presidenza del Consiglio dei Ministri l’Avvocatura Generale dello Stato in persona dell’avv.to (OMISSIS), del foro di Roma, che ha concluso per l’accoglimento del proprio ricorso;
udito, per l’imputato (OMISSIS), l’avv.to (OMISSIS), del foro di Roma, che ha concluso per accoglimento del proprio ricorso, nonche’ per il rigetto dei ricorsi delle parti civili;
udito, per l’imputato non ricorrente (OMISSIS), l’avv.to (OMISSIS), del foro di Roma, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi del Procuratore generale e delle parti civili;
udito, per l’imputato non ricorrente (OMISSIS), l’avv.to (OMISSIS), del foro di Roma, che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilita’, ovvero per il rigetto, dei ricorsi del Procuratore generale e delle parti civili;
udito, per l’imputato non ricorrente (OMISSIS), l’avv.to (OMISSIS), del foro di Roma, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi del Procuratore generale e delle parti civili;
udito, per l’imputato non ricorrente (OMISSIS), l’avv.to (OMISSIS), del foro di Roma, che ha concluso per conferma della sentenza impugnata;
udito, per l’imputato non ricorrente (OMISSIS), l’avv.to (OMISSIS), del foro di Catania, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi del Procuratore generale e delle parti civili;
udito, per l’imputato non ricorrente (OMISSIS), l’avv.to (OMISSIS), del foro di Pavia, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi del Procuratore generale e delle parti civili.
RITENUTO IN FATTO
PARTE I – Le vicende processuali e i ricorsi per cassazione.
1. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), sono stati tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di L’Aquila per rispondere, con plurime contestazioni, della violazione dell’articolo 113 c.p., articolo 589 c.p., commi 1 e 3, articolo 590 c.p., poiche’ in cooperazione colposa tra loro:
(OMISSIS), quale Presidente vicario della Commissione Nazionale per la Previsione e la Prevenzione dei Grandi Rischi e Ordinario di Vulcanologia dell’Universita’ Roma Tre;
(OMISSIS), quale Vice Capo settore tecnico operativo del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile;
(OMISSIS), quale Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e Ordinario di Fisica Terrestre dell’Universita’ di Bologna;
(OMISSIS), quale Direttore del Centro Nazionale Terremoti;
(OMISSIS), quale Direttore della (OMISSIS) e Ordinario di Progettazione in zona sismica dell’Universita’ di Pavia;
(OMISSIS), quale Ordinario di fisica terrestre dell’Universita’ di Genova;
(OMISSIS), quale Direttore dell’Ufficio Rischio Sismico del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile e Ordinario di Tecnica delle costruzioni dell’Universita’ di Napoli Federico II;
tutti, quali componenti della Commissione Nazionale per la Previsione e la Prevenzione dei Grandi Rischi, riunitasi a L’Aquila in data 31/3/2009 con “l’obbiettivo di fornire ai cittadini abruzzesi tutte le informazioni disponibili alla comunita’ scientifica sull’attivita’ sismica delle ultime settimane”;
per colpa consistita in negligenza imprudenza, imperizia;
in violazione della L. 24 febbraio 1992, n. 225, articoli 2, 3, 9, della L. 9 novembre 2001, n. 401, articoli 5 e 7 bis, della L. 26 gennaio 2006, n. 21, articolo 4, del D.P.C.M. 3 aprile 2006, n. 23582, articolo 3; in violazione altresi’ della normativa generale della L. 7 giugno 2000, n. 150 in materia di disciplina delle attivita’ di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni;
effettuando, in occasione della detta riunione, una “valutazione dei rischi connessi” all’attivita’ sismica in corso sul territorio aquilano dal dicembre 2008 approssimativa, generica ed inefficace in relazione alle attivita’ e ai doveri di “previsione e prevenzione”;
fornendo, in occasione della detta riunione, sia con dichiarazioni agli organi di informazione sia con redazione di un verbale, al Dipartimento Nazionale della Protezione Civile, all’Assessore Regione Abruzzo alla Protezione Civile, al Sindaco di L’Aquila, alla cittadinanza aquilana, informazioni incomplete, imprecise e contraddittorie sulla natura, sulle cause, sulla pericolosita’ e sui futuri sviluppi dell’attivita’ sismica in esame, in tal modo vanificando le finalita’ di “tutela dell’integrita’ della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamita’ naturali, da catastrofi e da altri grandi eventi che determinino situazioni di grave rischio”;
affermando che sui terremoti “non e’ possibile fare previsioni”, “e’ estremamente difficile fare previsioni temporali sull’evoluzione dei fenomeni sismici”, “la semplice osservazione di molti piccoli terremoti non costituisce fenomeno precursore” e al contempo l’esatto contrario ovvero “qualunque previsione non ha fondamento scientifico”;
ritenendo che “i forti terremoti in Abruzzo hanno periodi di ritorno molto lunghi. Improbabile il rischio a breve di una forte scossa come quella del 1703, pur se non si puo’ escludere in maniera assoluta”;
ritenendo che “non c’e’ nessun motivo per cui si possa dire che una sequenza di scosse di bassa magnitudo possa essere considerata precursore di un forte evento”;
rilevando che “le registrazioni delle scosse sono caratterizzate da forti picchi di accelerazione, ma con spostamenti spettrali molto contenuti di pochi millimetri e percio’ difficilmente in grado di produrre danni alle strutture, c’e’ quindi da attendersi danni alle strutture piu’ sensibili alle accelerazioni quali quelle a comportamento fragile”; qualificando lo sciame sismico che interessa L’Aquila da circa tre mesi come un normale fenomeno geologico; esso “si colloca diciamo in una fenomenologia senz’altro normale dal punto di vista dei fenomeni sismici che ci si aspetta in questo diciamo in questa tipologia di territori che poi, e’ centrata attorno all’Abruzzo pero’, ha colpito un po’ il Lazio, un po’ le Marche, oscillata diciamo nella zona del centro Italia”; affermando che allo stato attuale, non vi e’ pericolo, la situazione e’ favorevole perche’ c’e’ uno scarico di energia continuo, “non c’e’ un pericolo, io l’ho detto al Sindaco di Sulmona, la comunita’ scientifica mi continua a confermare che anzi e’ una situazione favorevole percio’ uno scarico di energia continuo, e quindi sostanzialmente ci sono anche degli eventi piuttosto intensi, non sono intensissimi, quindi in qualche modo abbiamo avuto abbiamo visto pochi danni”;
venendo cosi’ meno ai doveri di valutazione del rischio connessi alla loro qualita’ e alla loro funzione e tesi alla previsione e alla prevenzione e ai doveri di informazione chiara, corretta, completa;
cagionavano, in occasione della violenta scossa di terremoto (magnitudo momento MW = 6.3, magnitudo locale ML = 5.8) del 6/4/2009, ore 3,32, la morte e il ferimento di tutte le persone indicate nel capo d’imputazione, indotte a rimanere in casa per effetto esclusivo della condotta sopra descritta, nonostante le scosse di terremoto che si ripetevano numerose da mesi con frequenza e magnitudo crescenti, fino a quella del 6 aprile 2009 ore 3,32.
In L’Aquila tra il 31/3/2009, data della riunione della Commissione Nazionale per la Previsione e la Prevenzione dei Grandi Rischi e il 6/4/2009, data dell’evento.
2. Il Tribunale di L’Aquila, con sentenza resa in data 22/10/2012, ritenuti tutti gli imputati responsabili dei reati cosi’ come loro ascritti, li ha condannati alle pene di giustizia, oltre al risarcimento del danno in favore di talune delle parti civili costituite, in solido con la Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per la Protezione civile, quale responsabile civile.
Nella lunga, complessa e articolata motivazione dettata a sostegno della decisione di condanna, il giudice aquilano ha proceduto, in sequenza, alla ricognizione dei fatti rilevanti ai fini della decisione, e quindi all’esame e alla risoluzione dei diversi nodi problematici affrontati.
Il Tribunale ha, in tal senso, ricordato come, sin dal giugno del 2008, in corrispondenza del territorio del Comune di L’Aquila e in altri limitrofi, si fossero verificati frequenti eventi sismici, intensificatisi dal gennaio del 2009, con un crescendo di entita’ tale da giungere alla data del 30/3/2009, allorquando una scossa di magnitudo 4.1 ebbe a determinare percepibili e talora sensibili danni al patrimonio edilizio della citta’.
Nel frattempo, in concomitanza con tali eventi, il Tribunale aquilano ha ricordato come, tra la cittadinanza, si fossero largamente diffuse notizie allarmistiche circa la prevedibile imminenza di un terremoto di piu’ vaste e financo catastrofiche proporzioni; notizie propalate da soggetti non meglio identificati postisi alla circolazione nelle vie della citta’ con automobili dotate di megafono, nonche’ da un ricercatore, tale (OMISSIS), il quale aveva indicato, a fondamento delle pessimistiche previsioni pubblicamente diffuse, l’attendibilita’ di un asserito metodo di previsione dei terremoti, dallo stesso messo a punto, fondato sulla misurazione del gas radon di superficie.
Contemporaneamente alla diffusione di tali pessimistiche previsioni, gli organi locali della Protezione civile avevano viceversa provveduto a diffondere notizie circa la mancata esistenza di alcuna previsione di eventi sismici di possibile imminente verificazione.
La scossa di terremoto del 30/3/2009, unitamente alle contraddittorie notizie diffusesi circa la possibilita’ di ulteriori, anche piu’ gravi, eventi sismici, aveva fortemente impressionato, preoccupato e disorientato la comunita’ interessata, al punto da indurre gli organi centrali del dipartimento della Protezione civile a convocare, su iniziativa del Capo del Dipartimento, per la data del 31/3/2009, una riunione, presso le strutture della regione Abruzzo a L’Aquila; riunione cui avrebbero preso parte alcuni esperti della Commissione Grandi Rischi (d’ora innanzi CGR), organo consultivo del Dipartimento della Protezione civile, oltre ad altri studiosi ed esponenti dello stesso dipartimento e delle amministrazioni locali.
Tale riunione avrebbe avuto ad oggetto (secondo le indicazione della relativa lettera di convocazione) la “disamina degli aspetti scientifici e di protezione civile relativi alla sequenza sismica degli ultimi quattro mesi”, e il generale obiettivo (secondo il comunicato stampa diffuso dal Dipartimento nazionale della Protezione civile) di fornire ai “cittadini abruzzesi tutte le informazioni disponibili alla comunita’ scientifica sull’attivita’ sismica delle ultime settimane”.
Proprio nel corso e a margine di detta riunione ebbero quindi a concretizzarsi le diverse condotte degli odierni imputati ritenute penalmente rilevanti dal Tribunale aquiliano secondo lo schema seguito nei capi d’imputazione in precedenza ricapitolati.
Nell’articolazione del proprio discorso, il Tribunale di L’Aquila ha, dunque, proceduto alla qualificazione giuridica della riunione del 31/3/2009, ritenendo che la stessa valesse a configurarsi quale vera e propria riunione della CGR, rispetto alla quale i vizi riguardanti le formalita’ di convocazione e il difetto di quorum strutturale non ne avevano pregiudicato i requisiti minimali di esistenza e dunque l’efficacia in termini giuridici, anche tenendo conto dell’effettivita’ delle funzioni in tale sede svolte dai soggetti convocati.
Sulla base di tale premessa, il Tribunale ha proceduto alla fissazione del criterio di giudizio del comportamento in tale occasione tenuto dagli imputati, programmaticamente identificato, non gia’ da un parametro di giudizio d’indole scientifica, bensi’ dalla normativa vigente alla data della riunione concernente l’operato della CGR, alla cui stregua valutare l’adeguatezza e la correttezza dell’operato degli imputati.
In breve, secondo la prospettazione del primo giudice, il giudizio di prevedibilita’ ed evitabilita’ tipico della colpa non avrebbe avuto ad oggetto il terremoto, quale evento naturalistico, bensi’ l’attivita’ di previsione e di prevenzione del rischio sismico e dunque dell’evento lesivo del bene (vita e integrita’ fisica) giuridicamente tutelato dalle fattispecie di reato contestate.
Sotto altro profilo, il primo giudice ha evidenziato come nell’occasione, gli imputati, nella loro qualita’ di componenti della commissione, avevano dimostrato di condividere la parziale torsione funzionale (in chiave informativa) dell’organo consultivo dettata dal Capo del Dipartimento della Protezione civile (plasticamente rivelata dalla collocazione geografica del luogo della riunione nella citta’ di L’Aquila e dalle modalita’ di apertura al pubblico del consesso), assumendo impropri compiti di divulgazione pubblica delle informazioni scientifiche trattate in sede consultiva, in tal modo assumendone, di fatto, i conseguenti oneri sul piano della correttezza e della congruita’ dell’informazione pubblica.
Cosi’ determinato l’ambito della valutazione della colpevolezza degli imputati, il Tribunale ha quindi proceduto alla specifica identificazione del sensibile scostamento del comportamento degli imputati, rispetto a quanto agli stessi imposto in termini di adeguatezza e approfondimento della valutazione del rischio sismico e di correttezza e congruita’ della divulgazione informativa.
In particolare, gli imputati (in cooperazione colposa tra loro, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 113 c.p.) avrebbero negligentemente trascurato di approfondire e valorizzare le conoscenze in loro possesso, con particolare riguardo alla disamina dei fattori suscettibili di assumere il ruolo di fenomeni c.d. precursori del terremoto, al fine di delineare un attendibile quadro previsionale relativo al rischio sismico in atto (con particolare riguardo agli indicatori della pericolosita’ sismica del territorio, dell’esposizione al rischio e della vulnerabilita’ sismica dei beni esposti), direttamente e indirettamente lasciando che le generiche e falsamente rassicuranti informazioni scaturite dall’incontro pervenissero alla pubblica opinione, in modo tale da incidere in termini decisivi sull’abbassamento della soglia di attenzione e di prudenza dei cittadini, inducendoli a trascurare le essenziali ed elementari precauzioni (come quella di abbandonare i luoghi chiusi in corrispondenza delle prime manifestazioni del terremoto) in precedenza costantemente seguite, anche in forza degli imperativi dettati dalle consuetudini tipiche della locale “cultura del terremoto” invalsa per tradizione.
Alla data del 6/4/2009, preceduta nel giro di poche ore da due scosse di minore intensita’, alle ore 3,32 la citta’ di L’Aquila fu colpita da un violentissimo terremoto di magnitudo 6.3, dal quale conseguirono gravissime perdite in termini di vita umana, oltre al grave danneggiamento della citta’.
Tale evento (nelle sue manifestazioni fisiche e distruttive) non avrebbe raggiunto, secondo la ricostruzione del Tribunale, i caratteri del fattore eccezionale e imprevedibile tale da risolvere il legame di consequenzialita’ causale tra il comportamento negligente e imprudente degli imputati e il decesso e la lesione dell’integrita’ fisica di ciascuna delle vittime partitamente richiamate in sentenza.
Nel caso di specie, il primo giudice, analizzando in modo circostanziato il comportamento tenuto da ciascuna delle vittime in occasione del terremoto delle ore 3,32 del 6/4/2009 – e rinvenendo nella relativa scelta di non seguire piu’ la precauzione (in precedenza costantemente osservata) di abbandonare la propria abitazione in occasione delle prime manifestazioni del terremoto, il segno dell’incidenza causale, sul piano psicologico, delle false rassicurazioni negligentemente e imprudentemente propalate dagli imputati – ha cosi’ attestato la responsabilita’ penale di questi ultimi per gli omicidi e le lesioni colpose agli stessi contestati in sede d’accusa, ad eccezione dei soggetti in relazione ai quali non era stata accertata la sussistenza del nesso di causalita’ tra le condotte degli imputati e gli eventi lesivi rilevati.
In particolare, in termini esplicativi della causalita’, il Tribunale ha rimarcato gli indici di evidenza probatoria confermativi dell’inveramento, in corrispondenza di ciascuna delle vicende lesive per le quali era stata pronunciata condanna, di una specifica legge scientifica di copertura, nella specie individuata nella c.d. “teoria dei modelli di rappresentazione sociale”, ovvero, in ogni caso, della puntuale concretizzazione di massime di esperienza comunemente note, capaci di dar conto dell’effettiva incidenza condizionante, sul comportamento individuale, della comunicazione istituzionale dotata di qualificata autorevolezza, quale quella nella specie collettivamente trasmessa dagli odierni imputati.
3. Avverso la sentenza di primo grado hanno proposto appello tutti gli imputati, il responsabile civile, il locale Procuratore della Repubblica (limitatamente all’assoluzione pronunciata in relazione al decesso di (OMISSIS)), nonche’ le parti civili legate alle vittime per le quali non era stata accertata la sussistenza del nesso di causalita’ tra il comportamento degli imputati e gli eventi lesivi.
4. Con sentenza resa in data 10/11/2014, la Corte di appello di L’Aquila, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha assolto (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dai reati loro ascritti per insussistenza del fatto.
Ha altresi’ assolto (OMISSIS) dai reati allo stesso ascritti, limitatamente a taluni eventi lesivi, per insussistenza del fatto, rideterminando la pena a suo carico, per la residua parte delle imputazioni, in due anni di reclusione, confermando, nel resto, la sentenza impugnata.
4.1. A sostegno delle assoluzioni pronunciate, la corte territoriale ha preliminarmente evidenziato come la riunione svoltasi presso la Regione Abruzzo in L’Aquila, il 31/3/2009, non potesse in nessun caso qualificarsi quale riunione della CGR, a tal fine ostando le evidenti irritualita’ della convocazione (diramata dal capo del Dipartimento anziche’ dal presidente della medesima commissione) e la presenza di soli quattro membri titolari della stessa, a dispetto della necessaria presenza di almeno dieci membri ai fini della relativa valida costituzione, ai sensi del D.P.C.M. n. 23582 del 2006, articolo 3.
Nel caso di specie, peraltro, secondo la corte aquilana, apparivano piuttosto realizzati i presupposti per il riconoscimento dell’integrazione dell’ipotesi di cui al richiamato articolo 3, comma 10 ai sensi del quale il Capo del Dipartimento per la Protezione civile puo’ richiedere in ogni momento ai singoli componenti della CGR di effettuare “ricognizioni, verifiche e indagini”.
In forza di tale premessa, la Corte di appello ha evidenziato come non potesse conseguentemente tenersi conto, ai fini della valutazione delle condotte degli imputati, della disciplina normativa concernente l’attivita’ della commissione (peraltro priva di uno specifico contenuto d’indole strettamente cautelare), dovendo inevitabilmente procedersi, a tal fine, a una verifica (non gia’ di carattere meramente normativo, bensi’) di natura prettamente scientifica, volta a discernere, nel comportamento degli imputati (ad eccezione del (OMISSIS), non chiamato, per difetto di qualificazione soggettiva, all’adempimento di qualsivoglia incombente di natura scientifica), l’eventuale scostamento rispetto a quanto dagli stessi ragionevolmente esigibile sul piano della qualita’ scientifica dell’espressione, e pertanto alla stregua di un parametro di giudizio di derivazione squisitamente sociale, tipico della valutazione condotta nei termini della c.d. colpa generica.
Cio’ posto, la corte territoriale ha proceduto alla disamina dei pareri espressi da ciascun imputato in occasione del consesso, traendone la conclusione della piena correttezza scientifica di quanto da costoro sostenuto e dell’assoluta assenza di qualsivoglia contenuto tranquillizzante delle valutazioni dagli stessi operate in ordine all’eventuale prevedibilita’ di fenomeni sismici a breve termine.
In particolare, la Corte di appello ha escluso che, nell’ambito della discussione collettiva, fosse mai stata trattata (ne’ tantomeno condivisa) la tesi del cosiddetto “scarico di energia” sismica.
Secondo tale tesi (largamente circolata nelle comunicazioni mediatiche rese a margine della riunione e rapidamente diffusasi nel dibattito pubblico), la presenza di scosse di minore entita’, dissipando energia, avrebbe reso sempre meno probabile la verificazione di un fenomeno sismico di piu’ grave intensita’ e proporzione.
La Corte di appello, ribadito che tale tesi (del tutto priva di adeguate conferme sul piano scientifico) era rimasta estranea ai contenuti della riunione cosi’ come del tutto corretta, in termini scientifici, si era rivelata l’affermazione, ripetutamente sostenuta nel quadro degli interventi, circa l’impossibilita’ di attribuire alcun significato, in termini previsionali, alla sequenza sismica allora in atto -, ha escluso la sussistenza di alcun profilo di colpa ravvisabile nella condotta degli imputati.
Sotto altro profilo, la corte aquilana ha evidenziato l’assoluta erroneita’ dell’affermazione fatta propria dal primo giudice, circa la condivisione, da parte degli imputati (ad eccezione del solo (OMISSIS), quale esponente operativo del Dipartimento della Protezione civile), delle finalita’ mediatiche della riunione del 31/3/2009 indetta dal Capo del Dipartimento, escludendo che il (OMISSIS), il (OMISSIS), il (OMISSIS), il (OMISSIS), l’ (OMISSIS) ed il (OMISSIS) avessero direttamente o indirettamente assunto alcuna forma di corresponsabilita’ sul piano della correttezza, della congruita’ e della prudenza della comunicazione pubblica dei contenuti della riunione, la’ dove le dichiarazioni rilasciate dal (OMISSIS) nel corso della conferenza stampa successiva alla riunione, non aveva assunto alcun contenuto rassicurante, circa i prevedibili rischi sismici paventati, rimanendo del tutto ininfluente sul piano causale in relazione agli eventi lesivi posti a oggetto dell’odierno processo.
4.2. Esclusa la ravvisabilita’ di alcun aspetto penalmente rilevante nella condotta di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte di appello ha viceversa ritenuto Bernardo (OMISSIS) responsabile di taluni degli eventi lesivi allo stesso ascritti.
In particolare, la corte aquiliana ha ritenuto il (OMISSIS) responsabile dell’imprudente propalazione pubblica di comunicazioni mediatiche dal contenuto avventatamente rassicurante, con particolare riguardo all’intervista televisiva rilasciata pochi minuti prima della riunione degli esperti del 31/3/2009, durante la quale, rimarcando la normalita’ della situazione, aveva richiamato la tesi del cosiddetto “scarico di energia” sismica, alludendo al relativo significato favorevole o propizio; dichiarazioni non smentite, ne’ corrette, in occasione della conferenza stampa successiva alla riunione, nel corso della quale l’imputato aveva altresi’ affermato come, al momento, non ci si attendesse, a breve, alcun fenomeno sismico d’intensita’ maggiore rispetto a quelli gia’ verificatisi (“non ci si aspetta un aumento della magnitudo”).
Tali comunicazioni pubbliche, ritenute dal giudice d’appello certamente rimproverabili per negligenza e imprudenza, avevano prevedibilmente indotto la cittadinanza a tralasciare le tradizionali precauzioni finora costantemente osservate, cosi’ esercitando una sicura efficienza causale (d’indole psicologica) sulla decisione di talune delle vittime (specificamente richiamate in sentenza) convinte, dopo le prime due scosse di terremoto verificatesi nella notte tra il 5 e il 6 aprile, a permanere all’interno della propria abitazione, rimanendone cosi’ travolte a seguito della successiva tremenda scossa distruttiva delle ore 3,32.
Nella specie, la corte territoriale, giudicando non sufficientemente fondata, sul piano scientifico, la c.d. “teoria delle rappresentazioni sociali” (a cui il primo giudice aveva fatto ricorso al fine di configurare la spiegazione dei legami causali tra la condotta degli imputati e gli eventi lesivi riscontrati), ha ritenuto allo scopo sufficiente il richiamo delle consolidate massime di esperienza inclini a confermare, nei termini di una ragionevole attendibilita’, la prevedibile influenzabilita’ dei processi decisionali della persona per effetto della divulgazione pubblica di comunicazioni istituzionali, segnatamente qualora le stesse siano ricondotte alla forza argomentativa di soggetti scientificamente qualificati.
Esaminati e riscontrati gli aspetti di colpevolezza e l’efficienza causale della condotta del (OMISSIS) nella verificazione degli eventi lesivi specificamente descritti in motivazione, la Corte di appello ha quindi disposto la relativa condanna alla pena di due anni di reclusione, oltre al risarcimento, in solido con la Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento per la Protezione civile, quale responsabile civile, dei danni sofferti dalle parti civili indicate, rigettando, nel resto, le impugnazioni del pubblico ministero e delle restanti parti civili appellanti.
5. Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione Bernardo (OMISSIS); la Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento per la Protezione civile; il Procuratore generale presso la Corte di appello di L’Aquila e le parti civili: 1) (OMISSIS) e (OMISSIS); 2) (OMISSIS); 3) (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
6. (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, propone ricorso sulla base di sette motivi di impugnazione.
6.1. Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale riconosciuto la sussistenza del nesso di causalita’ tra la condotta dell’imputato e gli eventi lesivi allo stesso ascritti, senza procedere a un’analitica disamina di tutti gli elementi di caratterizzazione dei singoli eventi concreti oggetto di giudizio, al fine di apprezzarne la verosimile incidenza sui processi decisionali che indussero le vittime a non allontanarsi dalle proprie abitazioni nella notte tra il 5 ed il 6 aprile 2009; elementi di caratterizzazione del tutto idonei ad assumere autonomamente il ruolo di spiegazioni alternative del comportamento delle vittime, e dunque di risolverne ogni legame causale con la condotta dell’imputato (o di prospettarne ragionevolmente il dubbio).
Sul punto, il (OMISSIS) denuncia la mancata considerazione, da parte della corte territoriale, dell’incidenza condizionante assunta dai fattori, enumerati in ricorso, sinteticamente riconducibili: 1) alle fonti di informazione pubblicamente diffuse in epoca anteriore al 31 marzo 2009; 2) alle informazioni scientifiche diffuse prima del 6 aprile 2009; 3) alle fonti di informazione successive al 31 marzo 2009: informazioni, tutte, che per i contenuti oggettivamente tranquillizzanti (o, tutt’al contrario, inequivocamente allarmistici) che divulgavano, ben avrebbero potuto integrare gli estremi per una spiegazione diversa e alternativa dei processi decisionali che condussero le vittime a rimanere nelle proprie abitazioni la notte tra il 5 e il 6 aprile 2009.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole dell’erronea applicazione, da parte della corte territoriale, dell’articolo 40 c.p., laddove viene negata alcuna rilevanza, sul piano del discorso causale, alle circostanze costituite: 1) dal nesso eziologico tra la decisione delle vittime di permanere presso le proprie abitazioni (costituente il frutto diretto del condizionamento psichico dell’imputato) e il decesso delle stesse; 2) dall’inesistenza di una regola che consenta di individuare con sufficiente certezza la durata dell’allontanamento dalla propria abitazione, in occasione di scosse sismiche, al fine di scongiurare un rientro prematuro; 3) dalla natura individuale o collegiale (ossia all’esito di consulti familiari o amicali) della decisione delle vittime di permanere presso le proprie abitazioni; 4) dall’esatta identificazione della fonte informativa da cui le vittime avevano appreso le parole dell’imputato; 5) dalla natura psichica della causalita’, legittimamente invocabile in relazione all’ipotesi del concorso nella commissione di reati, ma non nei casi in cui la c.d. “condotta finale” non rivesta alcuna rilevanza penale.
Da ultimo, il ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nell’omettere di giustificare la ritenuta irrilevanza causale della vulnerabilita’ degli edifici crollati a seguito del terremoto, sul presupposto dell’ammessa sovrapponibilita’ del profilo soggettivo della prevedibilita’ inerente la colpa a quello oggettivo inerente il nesso causale.
6.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la corte territoriale ritenuto sussistente il nesso di causalita’ tra la condotta dell’imputato e gli eventi lesivi allo stesso ascritti, negando la sussistenza di una legge scientifica di copertura esplicativa del decorso causale e avvalendosi di massime di esperienza del tutto inidonee a tal fine.
Sul punto, l’imputato evidenzia l’intima contraddittorieta’ della sentenza impugnata nella parte in cui, dopo aver escluso la riconducibilita’ dei comportamenti umani a spiegazioni meccanicistiche suscettibili di generalizzazione, ha nondimeno concluso nel senso dell’avvenuto decisivo condizionamento della condotta delle vittime per effetto delle informazioni propalate dall’imputato, in assenza di alcuna ragionevole certezza al riguardo, e senza procedere ad alcuna disamina delle argomentazioni in tema sostenute dai consulenti tecnici della difesa nel corso del giudizio, che avevano radicalmente e definitivamente confutato la rinvenibilita’ di un qualsivoglia legame causale tra le informazioni pubblicamente diffuse dal (OMISSIS) e la condotta delle vittime, a dispetto delle asserite massime di esperienza sul punto infondatamente e arbitrariamente selezionate dalla corte territoriale.
6.3. Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la corte territoriale escluso che la negligente – e sostanzialmente distorcente – gestione dell’intervista rilasciata dall’imputato prima della riunione del 31/3/2009, da parte dei mezzi di comunicazione di massa, avesse costituito una causa di interruzione del nesso di causalita’ tra la condotta dell’imputato e gli eventi lesivi allo stesso ascritti: decisione assunta, dal giudice d’appello, sulla base di un’infedele rappresentazione dei fatti e in totale assenza di un’adeguata motivazione sul punto.
6.4. Con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la corte territoriale ritenuto sussistente il nesso di causalita’ tra la condotta contestata all’imputato e i tredici decessi per i quali e’ intervenuta condanna.
Sul punto, l’imputato (nel ripercorrere partitamente e in modo analitico ognuna delle vicende riferite alle singole vittime) evidenzia come la Corte di appello abbia ricostruito ciascuna singola posizione sulla base di un’errata, illogica o infedele (e dunque travisata) interpretazione degli elementi di prova acquisiti e, in particolare, delle testimonianze richiamate, da ritenere in larga misura prive di adeguata attendibilita’, in ragione della genericita’ ed equivocita’ delle deposizioni rese, nonche’ del personale interesse vantato da gran parte dei testimoni escussi rispetto all’esito del giudizio.
Cio’ posto, la corte territoriale avrebbe ritenuto sussistente il descritto nesso di causalita’ sulla base di un discorso giustificativo del tutto inidoneo ad attestarne l’effettivo ricorso oltre il limite del ragionevole dubbio, anche in forza dell’esame del comportamento tenuto dalle vittime nel corso dei diversi episodi sismici verificatisi nel tempo e in occasione della stessa vicenda sismica del 30/3/2009.
6.5. Con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la corte territoriale ritenuto la condotta dell’imputato affetta da colpa, sulla base di un’erronea impostazione del giudizio di prevedibilita’ e di evitabilita’ dell’evento, avendo considerato, quale referente del giudizio di prevedibilita’ ex ante, un evento (il mutamento di abitudini delle vittime) diverso da quello tipico, ampliandolo al punto di ricomprendervi l’ipotesi di un decesso derivante da un evento (il terremoto) riconosciuto dalla stessa Corte di appello assolutamente imprevedibile.
In particolare, la corte aquilana avrebbe erroneamente ricondotto, alla condizione prospettica dell’imputato, l’asserita prevedibilita’ delle conseguenze dannose della propria condotta, in assenza di indici o evidenze suscettibili di concretizzarne adeguatamente il giudizio, potendosi l’imputato, al momento dell’azione, prospettare (non gia’ la possibilita’, bensi’) unicamente il “sospetto” di eventuali conseguenze lesive della stessa: presupposto, quest’ultimo idoneo (secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimita’) a giustificare l’eventuale adozione di mere “precauzioni” (prive di penale rilevanza), ma non gia’ a fondare la costruzione di un sistema di regolare cautelari da assumere a parametro del giudizio di responsabilita’ colposa.
Peraltro, la corte territoriale avrebbe illogicamente e contraddittoriamente omesso di considerare (nel quadro di una valutazione integrata della condotta dell’imputato) il contenuto della conferenza stampa partecipata dal (OMISSIS) dopo la riunione del 31/3/2009, nel corso della quale lo stesso ebbe a rilasciare dichiarazioni (anch’esse riprese dagli organi di stampa) dal contenuto tutt’altro che rassicurante sul piano della ritenuta prevedibilita’ di eventi sismici di piu’ grave entita’ rispetto a quelli gia’ verificatisi.
Cio’ posto, analogamente a quanto evidenziato in tema di causalita’, il ricorrente sottolinea l’assoluta arbitrarieta’ della selezione operata dalla corte territoriale, in relazione alle massime di esperienza esplicative del comportamento dei destinatari di messaggi istituzionali scientificamente qualificati, ribadendone l’impossibilita’ di considerarle alla stregua di generalizzazioni empiriche indipendenti dal caso concreto.
In tal senso, deve ritenersi certamente erroneo il giudizio del giudice d’appello riferito alla prevedibilita’ del comportamento dei destinatari delle informazioni fornite dall’imputato, tenuto altresi’ conto della radicale infondatezza dell’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, circa la prevedibilita’, da parte del (OMISSIS), della circostanza per cui, quanto dallo stesso dichiarato nel corso dell’intervista precedente la riunione del 31/3/2009, avrebbe potuto essere attribuito, dai destinatari del messaggio, alle conclusioni della CGR, attesa l’inequivocabilita’ in senso contrario delle espressioni contenute nella medesima intervista; espressioni imprevedibilmente poste a oggetto di un’opera di inequivocabile semplificazione e distorsione da parte dei mezzi di comunicazione di massa.
Quanto al fattore costituito dalla vulnerabilita’ degli edifici aquilani crollati a seguito del terremoto del 6/4/2009, osserva il ricorrente come del tutto erroneamente la corte territoriale ne abbia riconosciuto la prevedibilita’, da parte del (OMISSIS) al momento della condotta incriminata.
Al riguardo – dopo aver evidenziato la mancata previsione di tale tema nel capo d’accusa sollevato nei confronti dell’imputato (con la conseguente violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza) -, il ricorrente evidenzia la sussistenza di significativi e sicuri indici di conferma dell’impossibilita’, per il (OMISSIS), di rappresentarsi ex ante la natura dei vizi strutturali e progettuali e il conseguente pericolo di crollo degli edifici privati distrutti dal terremoto, con la logica esclusione dei presupposti per l’affermazione della prevedibilita’ dell’evento tipico ai fini della formulazione del giudizio di responsabilita’ colposa, tenuto conto dell’insussistenza di concreti ed effettivi elementi di prevedibilita’ dello stesso evento sismico poi di fatto verificatosi.
Da ultimo, il ricorrente si duole della contraddittorieta’ della motivazione dettata dalla corte territoriale in relazione all’identificazione delle regole cautelari asseritamente violate dall’imputato, avendo, da un lato, affermato la responsabilita’ del (OMISSIS) a titolo di colpa generica, e, dall’altro, proceduto alla identificazione di precisi doveri informativi derivanti dalla posizione istituzionale rivestita dallo stesso (OMISSIS) nell’occasione contingente, adombrando la prospettabile configurazione di una colpa specifica, in insanabile contrasto logico con le premesse dell’argomentazione illustrata sul punto.
6.6. Con il sesto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la corte territoriale ritenuto la condotta dell’imputato affetta da colpa, nonostante l’inesigibilita’ di alcun comportamento alternativo lecito, avuto riguardo alla piena conformita’ del contenuto dell’intervista rilasciata dal (OMISSIS) prima della riunione del 31/3/2009, ai criteri della prudenza e della correttezza informativa, ivi compresa l’allusione alla questione dello “scarico di energia”, la cui configurabilita’ era stata propriamente confermata, nel corso del processo, dal medesimo Capo del Dipartimento della Protezione civile, sulla scorta di affermazioni ripetutamente sostenute in altre sedi da studiosi della materia.
Nella specie, la comunicazione dell’imputato si era limitata a una ragionevole ricognizione delle condizioni contingenti senza mai assumere alcun tono di superficiale rassicurazione, spingendosi piuttosto a raccomandare il mantenimento dello stato di attenzione da parte della popolazione, attesa l’impossibilita’ di fornire alcuna tranquillizzazione in ordine alla prevedibilita’ di futuri eventi sismici.
Sul punto, peraltro, la corte territoriale sarebbe incorsa in un’evidente contraddizione laddove, dopo aver censurato la condotta del ricorrente per aver diffuso concetti scientificamente errati, dall’altro ha ammesso che esponenti della comunita’ scientifica avessero diffuso i medesimi concetti in epoca anteriore all’intervista rilasciata dall’imputato.
6.7. Con il settimo e ultimo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, avendo la corte territoriale confermato la responsabilita’ penale dell’imputato nonostante il riconosciuto mancato superamento della soglia della colpa lieve, essendosi nella specie trattato della contestata violazione di un canone di prevedibilita’ di eventi che avrebbe richiesto l’esecuzione di valutazioni caratterizzate da particolare difficolta’ e complessita’ in un contesto di urgenza; presupposto tale da giustificare l’applicazione del parametro di giudizio di cui all’articolo 2236 c.c., in conformita’ agli orientamenti sul punto maturati dalla piu’ recente giurisprudenza di legittimita’.
7. La Presidenza del Consiglio dei ministri, quale responsabile civile, a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, propone ricorso sulla base di tre motivi d’impugnazione.
7.1. Con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale confermato la condanna del (OMISSIS) per i delitti colposi allo stesso ascritti nonostante l’indiscussa imprevedibilita’ degli eventi lesivi contestati.
In particolare, la ricorrente si duole della contraddittorieta’ della motivazione dettata dalla Corte di appello nella parte in cui, dopo aver rilevato la conclamata imprevedibilita’ del terremoto del 6/4/2009, ha ugualmente ritenuto prevedibili gli eventi lesivi oggetto di giudizio, affermando in termini positivi il giudizio di responsabilita’ colposa formulato a carico dell’imputato.
Sotto altro profilo, la responsabile civile evidenzia come nelle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) nel corso dell’intervista rilasciata immediatamente prima della riunione del 31/3/2009 non fosse ravvisabile alcun passaggio suscettibile di rimprovero, dovendo escludersi che il contenuto di dette dichiarazioni potesse oggettivamente intendersi alla stregua di una ragionevole rassicurazione circa l’esclusione di eventi sismici a breve, essendo unicamente dirette a stigmatizzare le catastrofiche previsioni nei giorni immediatamente precedenti diffuse dal ricercatore (OMISSIS).
La stessa corte, del resto, sarebbe entrata in contraddizione nell’interpretazione delle intenzioni del Capo della Protezione civile in ordine alla convocazione della riunione del 31/3/2009, avendo, dapprima, evidenziato come la convocazione di detta riunione a L’Aquila era stata prevista allo scopo di evitare, tanto pericolosi allarmismi quanto generiche ed erronee rassicurazioni, per poi successivamente sostenere l’idea di un’operazione mediatica tranquillizzante destinata a diffondersi tra la popolazione indipendentemente dall’esito della valutazione scientifica degli esperti.
7.2. Con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la Corte di appello confermato la responsabilita’ penale del (OMISSIS) nonostante la sussistenza di fattori interruttivi del nesso di causalita’ tra la condotta dell’imputato e gli eventi a lui addebitati.
In particolare, la responsabile civile evidenzia il ruolo distorsivo nella vicenda rivestito dai mezzi di informazione nella diffusione dell’intervista del (OMISSIS) e, piu’ in generale, nel rilancio delle notizie relative ai giorni intercorsi tra la riunione del 31/3 e l’evento sismico del 6/4/2009.
Piu’ in generale, nel caso di specie, gli eventi addebitati al (OMISSIS) si sarebbero posti al di la’ della sfera di rischio riferibile alla condotta dell’agente, siccome integralmente riconducibili alle scelte d’azione delle vittime, nella specie condizionate in modo determinante dalle distorsioni del messaggio dell’imputato da parte dei mezzi d’informazione.
7.3. Con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, avendo la corte territoriale confermato la responsabilita’ del (OMISSIS) nonostante il riconoscimento dell’inesistenza di alcuna legge scientifica di copertura esplicativa del decorso causale esaminato.
Nella specie, i giudici d’appello si sarebbero avvalsi dell’asserita valenza interpretativa di generiche massime di esperienza, del tutto inidonee a fornire adeguate certezze in ordine alla ricostruzione del nesso di derivazione causale tra il comportamento dell’imputato e gli eventi lesivi allo stesso addebitati.
8. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di L’Aquila propone ricorso avverso la sentenza d’appello sulla base di un unico articolato motivo d’impugnazione, con il quale denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nella pronuncia dell’assoluzione degli imputati.
Secondo il procuratore ricorrente, la sentenza della corte territoriale sarebbe caduta in un’insanabile contraddizione logica nella parte in cui, dopo aver accertato la predisposizione di un’operazione mediatica da parte dei vertici della protezione civile, in relazione alla riunione della CGR del 31/3/2009, ha successivamente ritenuto come gli esperti convocati si fossero in realta’ limitati a condurre un’analisi del fenomeno sismico del tutto astratta e avulsa dal contesto in cui la riunione era stata convocata.
Nel dettaglio, il procuratore ricorrente evidenzia come la corte territoriale avesse erroneamente escluso che la riunione del 31/3/2009 potesse integrare gli estremi di una formale riunione della CGR, in tal senso ponendosi in contrasto con tutte le risultanze documentali acquisite e con le stesse dichiarazioni in piu’ sedi rese dal Capo del dipartimento per la Protezione civile.
Sotto altro profilo, il ricorrente evidenzia come il tema posto ad oggetto della riunione imponesse a ciascun componente la predisposizione di contenuti ben piu’ concreti di un mero esame generico circa la prevedibilita’ di terremoti, tanto piu’ in un contesto geografico e collettivo animato (come attestato dalla stessa decisione dei vertici della protezione civile, attraverso la scelta della sede della riunione e del relativo carattere aperto) dall’ineludibile aspettativa di valutazioni previsionali dotate di concreto spessore conoscitivo e operativo, ben nota a ciascuno dei protagonisti convocati.
Cio’ posto, il procuratore ricorrente sottolinea come gli imputati avessero nell’occasione condotto l’esame loro affidato con modalita’ inammissibilmente superficiali, trascurando di evidenziare tutti gli indicatori in loro possesso ai fini di una piu’ approfondita e realistica analisi del rischio sismico in atto, idonea a prospettare alla popolazione interessata un quadro informativo piu’ corretto e aggiornato.
In tal senso, tutti gli imputati avrebbero colpevolmente lasciato che tra la popolazione circolasse, senza alcuna doverosa smentita, la tesi (scientificamente infondata) dello “scarico di energia” come fenomeno propizio sul piano previsionale, e senza che fosse evidenziata alcuna opportuna precisazione sulla portata delle rassicurazioni fornite, ossia limitatamente alla smentita delle (tanto catastrofiche quanto scientificamente infondate) previsioni del ricercatore (OMISSIS).
Sulla base di tali premesse, il ricorrente ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata, attesa l’evidente responsabilita’ degli imputati per il decesso dei cittadini colpiti dalla scossa sismica dal 6/4/2009, siccome imprudentemente rassicurati dal messaggio minimale trasmesso dai membri della CGR del 31/3/2009.
9. Con atto a firma del comune difensore avv. (OMISSIS), hanno proposto ricorso per cassazione le parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e perche’ erede di (OMISSIS), quali congiunti di (OMISSIS), deceduta in occasione del terremoto del 6.4.2009.
9.1. Con un primo motivo l’esponente deduce contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della sentenza impugnata, limitatamente all’assoluzione del (OMISSIS) in relazione alla morte di (OMISSIS).
Tali vizi sarebbero determinati dalla tecnica utilizzata dalla Corte di Appello di estrapolare alcune frasi dal complessivo contributo testimoniale recato al processo dai genitori della giovane, con l’effetto di dare una errata lettura delle risultanze processuali. In particolare si fa riferimento ai passi delle deposizioni dibattimentali nei quali si tratta della determinazione della ragazza a proseguire l’attivita’ universitaria, e quindi di permanere a L’Aquila, che per la Corte di Appello era stata originata dall’obiettivo di conseguire al piu’ presto la laurea e che una corretta interpretazione del dato probatorio correlerebbe invece alla paura per il pericolo incombente sulla propria incolumita’. Neppure coglierebbe il vero l’affermazione della Corte distrettuale per la quale dopo la scossa del 30.3.2009 a L’Aquila segui’ un periodo di relativa tranquillita’, essendosi contate nell’arco di tempo 1-6 aprile 2009 settantaquattro scosse. Si contesta, poi, il giudizio di decisiva contraddittorieta’ espresso dalla Corte di Appello a riguardo delle dichiarazioni dei genitori della (OMISSIS), rammentando che il primo giudice aveva motivatamente dato prevalente rilievo alla testimonianza del padre. Rammentando poi le dichiarazioni testimoniali pertinenti, si nega la fondatezza dell’affermazione fatta dalla Corte di Appello del persistente dubbio circa l’esistenza di un mutamento di abitudine da parte della giovane a seguito della riunione della CGR.
Si conclude, da tali premesse, che risulta provata la sussistenza del nesso causale tra la condotta del (OMISSIS) e la morte di (OMISSIS).
9.2. Con un secondo motivo l’esponente lamenta contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della sentenza impugnata in relazione alle assoluzioni pronunciate a riguardo dei restanti imputati.
dopo ampia premessa nella quale illustra l’evoluzione della normativa concernente la CGR, puntualizzandone i compiti e le modalita’ di funzionamento, e si sofferma sull’obbligo di informazione gravante sul dipartimento nazionale di Protezione civile e sulle autorita’ locali di protezione civile, sulle premesse fattuali della riunione del 31.3.2009 (allarmi lanciati dal tecnico (OMISSIS), dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, e comunicato della Protezione civile regionale del 30.3.2009), sulla infondatezza scientifica della teoria dello scarico di energia sismica – a partire dalla quale si propone una interpretazione dello scopo assegnato alla riunione della CGR dal Capo del dipartimento e della conoscenza di esso da parte dei convenuti a L’Aquila – l’esponente rammenta che il giudice di primo grado aveva ritenuto che gli imputati avessero assunto un onere di informazione diretta nei confronti della popolazione interessata sia consentendo l’accesso e la presenza alla sala di persone non componenti della CGR e non partecipanti alla riunione, sia attraverso la partecipazione alla conferenza stampa conclusiva del (OMISSIS), del (OMISSIS), del (OMISSIS) e del (OMISSIS); quindi, reputando scientificamente inesatto quanto affermato nell’occasione dal (OMISSIS) circa la valenza di molte scosse ravvicinate, critica la Corte di Appello per aver ritenuto tali affermazioni non censurabili perche’ prive di contenuti tranquillizzanti.
Dopo essersi soffermato sulla posizione del (OMISSIS), l’esponente censura la Corte di Appello per aver ritenuto che non si fosse trattato di una riunione della CGR, contestando l’interpretazione data sia del quadro normativo che dei fatti acquisiti al giudizio – in particolare la lettera di convocazione della riunione – e le conclusioni che la Corte distrettuale ne ha tratto, negando la posizione di garanzia degli imputati e l’operativita’ di regole espresse fondanti una eventuale colpa specifica, ad onta della affermata – dalla Corte di Appello irrilevanza della questione.
Muovendo dalla considerazione che, quale che fosse la qualificazione da attribuirsi all’incontro, l’operato degli esperti che vi parteciparono doveva essere comunque osservante dei canoni di diligenza, perizia e prudenza, e ricordata l’impostazione prescelta dalla Corte di Appello, l’esponente conclude che anche essa avrebbe dovuto condannare i sei esperti, le cui valutazioni contrastavano con le migliori conoscenze scientifiche relative a fenomeni sismici disponibili alla data del 31 marzo 2009.
Dopo aver analizzato la componente commissiva della condotta contestata e in particolare le dichiarazioni rese in tema di prevedibilita’ dei terremoti, quelle sull’evoluzione dello sciame in corso, quelle sulla normalita’ del fenomeno dello scarico di energia, egli evidenzia l’effetto rassicurante avuto da tali dichiarazioni, aderendo a quanto gia’ ritenuto dal Tribunale. Espone, quindi, muovendo dalla ricostruzione fatta dal primo giudice, la componente omissiva della condotta degli esperti, a partire dall’evidenziazione degli indicatori disponibili per formulare un adeguato giudizio di prevedibilita’ del rischio a fini di prevenzione, ovvero la pericolosita’ sismica del territorio, l’esposizione al rischio e la vulnerabilita’ sismica dei beni esposti. Si sofferma quindi sulla valutazione da darsi a tali indicatori e che gli stessi esperti avrebbero dovuto dare, contestando l’affermazione della Corte di appello secondo la quale lo scarico di energia in corso di sciame sismico e’ un fenomeno neutro e non aumenta ne’ diminuisce la probabilita’ di scosse piu’ forti. Per sostenere tale critica l’esponente si dilunga nel commento a talune dichiarazioni degli imputati che, a suo avviso, risultano vuote di significato concreto oppure scientificamente errate e che ciononostante la Corte di appello ha assunto a base del proprio percorso motivazionale. La Corte territoriale avrebbe poi attribuito al termine “probabile” non gia’ il significato che esso ha nell’ambito scientifico ma quello che gli riconosce il linguaggio comune. L’assunto dell’esponente e’ che non bisogna confondere il concetto di previsione con quello di aumento della probabilita’ e che l’affermazione della Corte di appello secondo la quale la cosiddetta rassicurazione riguardo’ soltanto gli allarmi di forte scosse imminenti provenienti dal (OMISSIS) e non gia’ la valutazione di una scarsa pericolosita’ dello sciame in corso, urta con la considerazione che l’analisi riferita al passato e non alla prevenzione futura e’ un elemento rassicurante perche’ induce a credere erroneamente che non ci saranno danni futuri e quindi forti scosse future. Peraltro tale affermazione della Corte si fonda su una premessa errata perche’ dalla lettera di convocazione, dalla bozza e dal verbale della riunione non risulta alcun cenno agli allarmi lanciati dal (OMISSIS). dopo aver riportato un ampio passo della sentenza impugnata, l’esponente contrappone ad esso alcuni passaggi della sentenza pronunciata da questa Corte a riguardo dei fatti di Sarno (n. 16761/2010) e contesta la fondatezza dell’affermazione della Corte di appello, secondo la quale la condotta degli imputati e’ delimitata dal compito consultivo che attiene direttamente al profilo della previsione e solo indirettamente a quello della prevenzione, rilevando in chiave critica che la CGR e’ pienamente soggetta alla disciplina della legge 225 del 1992, la quale affida alla stessa anche compiti consultivi in funzione della prevenzione. Afferma quindi chiaramente che la Corte di appello ha errato nel ritenere scientificamente corrette le conclusioni degli esperti, sostenendo l’esponente che i criteri di correttezza scientifica rendevano doverosa un’esplicita valutazione di aggravamento del rischio, non formule vuote generiche, o addirittura sbagliate. Contesta, poi, al riguardo della valenza predittiva degli sciami sismici, il fatto che la Corte di appello abbia liquidato le dichiarazioni dei periti professori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) come “opinamenti di segno diverso, talvolta opposto, tuttavia non paragonabili ove si consideri la specificita’ dei dati e delle valutazioni operate dai primi due e la genericita’ delle affermazioni degli ultimi quattro”. L’esponente assume che la sentenza di secondo grado e’ errata perche’ la corte territoriale e’ voluta entrare nel merito delle valutazioni scientifiche senza averne la competenza. L’impalcatura dell’intero ragionamento logico e’ fondato su un falso presupposto. Giustifica gli inequivocabili contenuti rassicuranti sostenendo che devono intendersi riferiti agli allarmi del (OMISSIS) e non allo sciame sismico in atto. Attribuisce alla Protezione civile obblighi di prevenzione tralasciando di considerare che la legge vigente attribuiva nel 2009 alla CGR una funzione propositiva anche nella prevenzione e nella formulazione attuale una funzione consultiva anche nella prevenzione. Attribuisce alla sola Protezione civile il compito e dunque la responsabilita’ della comunicazione senza considerare che il contenuto della comunicazione non prescinde dal contenuto della previsione perche’ se e’ sbagliato il secondo sara’ di conseguenza sbagliata anche la prima. La Corte territoriale afferma che non era possibile fare meglio nonostante nessuno degli imputati in parola si fosse opposto alla teoria dello scarico di energia sismica nel momento in cui il (OMISSIS) ne fece menzione durante la riunione. Pur a conoscenza di tale omissione e ciononostante, contraddittoriamente, il giudice di secondo grado reputa corretto il comportamento degli scienziati. Ancora contraddittoriamente la Corte di Appello da un canto critica l’affermazione del giudice di primo grado secondo la quale obiettivo del (OMISSIS) era quello di rassicurare la popolazione aquilana e poi, in un ulteriore passo, afferma che la finalita’ della riunione era proprio quello di fornire alla popolazione un messaggio di rassicurazione. La distinzione tra metodo e merito, continua l’esponente, e’ artificiosa e poco credibile e ribadisce l’incompiutezza della valutazione demandata alla commissione. Critica che la Corte di appello abbia ritenuto del tutto irrilevante nell’ambito della riunione un approfondimento teorico dei temi della vulnerabilita’ e dell’esposizione e abbia fatto cio’ ritenendo che gli esperti non avrebbero dovuto pronunciarsi sullo stato di rischio presente nella situazione data ma soltanto su un eventuale aumento del rischio come conseguenza dello sciame sismico. Tale ridefinizione dei compiti della riunione, infatti, non trova riscontro nella lettera di convocazione. Ad avviso dell’esponente e’ falso, illogico e contraddittorio che il (OMISSIS) abbia comunicato alla popolazione la diagnosi di “non terremoto” in totale autonomia e antinomia rispetto agli altri scienziati. Egli contesta la valutazione che degli elementi fattuali ha fatto a questo riguardo la Corte di appello. Ancorche’ essa abbia deciso di condurre una valutazione della correttezza scientifica delle valutazioni espresse dagli esperti, cio’ ha fatto senza servirsi di un consulente neutrale e recependo acriticamente gli argomenti difensivi. Manifestamente illogico e’ poi utilizzare espressioni di critica nei confronti del cosiddetto “modello delle rappresentazioni sociali” e poi utilizzarlo nei confronti del (OMISSIS).
9.3. Con memoria depositata in data 4/11/2015, il difensore delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) (in proprio e quale erede di (OMISSIS)), nell’illustrare con approfondimenti le questioni gia’ introdotte con il ricorso introduttivo (concernenti i temi della colpa degli imputati e del nesso di causalita’ tra le relative condotte e il decesso delle vittime), ha insistito per l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata.
10. Con unitario atto ricorrono avverso la sentenza riportata in epigrafe (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), in proprio e in qualita’ di eredi di (OMISSIS), ed altresi’ (OMISSIS), (OMISSIS) – congiunti di (OMISSIS) ed eredi di (OMISSIS), parte civile gia’ costituita quale madre di (OMISSIS) e deceduta in corso del giudizio -, (OMISSIS), in proprio e quale erede di (OMISSIS) ed erede di (OMISSIS), a mezzo del difensore avv. (OMISSIS); nonche’ (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali eredi di (OMISSIS) e di (OMISSIS), e (OMISSIS), quale congiunto di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), a mezzo del difensore avv. (OMISSIS).
Dopo aver esposto una ricostruzione dei fatti che avevano preceduto il terremoto del 6.4.2009, tanto con riferimento ai fenomeni sismici che alle condizioni della popolazione aquilana, si’ da inquadrare la fissazione e lo svolgimento della riunione della CGR del 31.3.2009, gli esponenti ripropongono lo svolgimento del giudizio di primo grado e i termini della conclusiva decisione nonche’ il contenuto dei diversi atti di impugnazione, aggregati su due fondamentali poli (sussistenza di colpa e del nesso causale tra condotte contestate ed eventi illeciti), giungendo quindi ad illustrare i contenuti maggiormente rilevanti della sentenza di secondo grado.
Infine si articolano i seguenti motivi di ricorso:
10.1. Violazione di legge in relazione agli articoli 40, 43 e 113 c.p. nonche’ contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione. Si contesta la valutazione della Corte di Appello di dover procedere ad una valutazione del comportamento degli esperti alla stregua delle conoscenze scientifiche acquisite al 31.3.2009, aderendo per converso all’impostazione del Tribunale, incline ad una valutazione alla stregua dei parametri della conformita’ a regole cautelari positivizzate e della diligenza, prudenza, perizia; e se ne censurano le conclusioni come frutto di una disorganica, parcellizzata, comunque parziale e capziosa analisi delle singole affermazioni degli imputati. Gli esponenti sviluppano poi una valutazione delle diverse affermazioni fatte dagli esperti nel corso della riunione, cosi’ come riportate nella relativa bozza di verbale, chiosandole con valutazioni circa il carattere oggettivamente rassicurante che ad esse si sarebbe dovuto riconoscere e affermandone la genericita’, approssimazione e contraddittorieta’, tale da privarle di utilita’ ai fini della valutazione del rischio e da dimostrare l’erroneita’ della valutazione scientifica, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di Appello, che erra anche nel riferire le osservazioni al passato piuttosto che al futuro (l’assunto viene ribadito dopo ulteriore esposizione e commento di brani della bozza di verbale e del verbale: pg. 121-130, nelle quali si contesta anche la ricostruzione operata dalla Corte distrettuale a riguardo della trattazione del tema del significato da attribuire allo “scarico di energia”). Ne deducono, gli esponenti, che la decisione impugnata e’ illogica ed in contrasto con le risultanze probatorie laddove afferma la correttezza della valutazione scientifica operata dagli esperti, “viepiu’ in considerazione del fatto che, giusta base d’accusa, la complessiva condotta cooperante costituisce causa dell’evento”. Contraddittorio e manifestamente illogico e’ poi assumere la correttezza della valutazione scientifica e ritenere il (OMISSIS) responsabile per non essersi rappresentato la possibilita’ del verificarsi di un forte terremoto.
Si sostiene, poi, che la Corte di Appello ha completamente ignorato talune dichiarazioni (riportate nel testo del ricorso) dell’ (OMISSIS) e del (OMISSIS), incorrendo cosi’ nel travisamento della prova per omissione.
10.2. Con un secondo motivo si deduce vizio motivazionale, anche sub specie di travisamento della prova per omissione, e lo si specifica lamentando che la Corte di Appello abbia valorizzato la testimonianza di (OMISSIS) facendola prevalere sul dato documentale pur avendo criticato il Tribunale per aver attribuito maggior valore alle testimonianze piuttosto che alle trascrizioni concernenti la riunione. Si contesta allo stesso modo la valutazione della dichiarazione del (OMISSIS), concludendo per la incoerenza e non univocita’ del criterio di valutazione della prova. Si affronta poi il tema della valenza rassicurante delle affermazioni fatte dagli esperti nel corso della riunione per contestare il giudizio espresso dalla Corte di appello a riguardo.
10.3. Con un terzo motivo si deduce vizio motivazionale e violazione di legge, in relazione alla L. 255 del 1992, articolo 2, articolo 3, commi 2 e 3, e articolo 9 e L. n. 401 del 2001, lamentando che la Corte di Appello abbia ricostruito i contenuti della riunione del 31.3.2009 facendo leva sui soli documenti, cosi’ omettendo di valutare le ulteriori emergenze processuali attinenti al tema e con cio’ incorrendo in travisamento della prova per omissione. Si afferma, richiamando una dichiarazione del (OMISSIS) ed alcune del (OMISSIS), che si tratto’ di una riunione ex articolo 3, commi 2 e 3 cit. e che gli esperti vennero meno ai loro doveri. La Corte di Appello ha errato nell’escludere la colpa perche’ l’articolo 3 prevede la previsione e la prevenzione e la inosservanza di tale regola cautelare costituisce colpa specifica; alla medesima conclusione si deve pervenire anche a ritenere che tali norme non abbiano contenuto precettivo e anche a ritenere che gli imputati non ne fossero destinatari.
E cio’ perche’, alla luce del dato fattuale, gli imputati incorsero in colpa generica, poiche’ essi, alla luce di tutte le circostanze del caso, erano tenuti all’osservanza di generali norme di prudenza e diligenza. In tale prospettiva si rimarca che la Corte di Appello ha scisso l’aspetto valutativo da quello informativo, laddove i materiali di causa dimostrano che la riunione aveva ed assolse ad un compito informativo, anche per la presenza di soggetti estranei alla CGR. Si rimarca che la Corte di Appello ha errato nel ritenere non provate le dichiarazioni rilasciate in conferenza stampa, evidenziando al riguardo, a sostegno di un diverso giudizio, le dichiarazioni del (OMISSIS), il frammento di registrazione della conferenza stampa, la deposizione del (OMISSIS), la sovrapponibilita’ dei concetti espressi dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS) con quelli percepiti dai presenti alla riunione, la deposizione del (OMISSIS).
10.4. Un quarto motivo, che evoca la violazione di legge e il vizio motivazionale, investe la decisione della Corte di Appello di non ritenere applicabile al caso in esame l’istituto della cooperazione colposa, che invece si ritiene si attagli esattamente alle condotte degli imputati; si richiama, a riguardo, la normativa che disciplina le modalita’ di funzionamento della CGR e si afferma che gli imputati erano pienamente consapevoli della rilevanza del proprio contributo e del rilievo espresso dai singoli partecipanti in relazione all’oggetto della riunione e che il (OMISSIS) espresse la posizione di tutti e non sconfesso’ quanto espresso dal (OMISSIS) nella intervista che precedette la riunione.
10.5. Un quinto motivo investe l’omessa indagine in merito alla incidenza causale delle condotte poste in essere dagli imputati assolti, rilevando la contraddizione in termini di una decisione che ritiene “di poter escludere aprioristicamente qualsiasi adeguatezza di antecedente causale ad una condotta che si pone per converso in perfetta linea con quella del Prof. (OMISSIS)”.
10.6. Un sesto motivo denuncia violazione di legge e vizio motivazionale relativamente al giudizio di inidoneita’ della prova a dare dimostrazione del nesso causale tra la condotta del (OMISSIS) e la morte di (OMISSIS) e di (OMISSIS). La Corte di Appello ha ritenuto fossero emersi possibili fattori condizionalistici alternativi, in forza dei quali i predetti potevano aver deciso di non lasciare le loro abitazioni, ma cio’ ha fatto omettendo di prendere in considerazione tutti e ciascuno degli elementi processualmente emersi. Si riportano, al proposito, le dichiarazioni di (OMISSIS), delle quali si lamenta il travisamento, e quelle di (OMISSIS), che la Corte territoriale avrebbe completamente ignorato. Ci si sofferma, quindi, nell’evidenziazione degli elementi che avrebbero dovuto condurre la Corte di appello a ritenere che i fattori alternativi non avevano avuto incidenza sul processo motivazionale di (OMISSIS).
10.7. Un settimo motivo denuncia violazione di legge e vizio motivazionale laddove non si e’ riconosciuto il nesso causale tra la condotta del (OMISSIS) e la morte di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). In particolare si lamenta che la Corte di Appello abbia riformato la pronuncia di primo grado senza adempiere all’obbligo di motivazione rafforzata; e si contesta la valutazione che di talune circostanze ha operato il giudice di secondo grado, ritenendo illogica la relativa motivazione (180), assunta pretermettendo l’analisi di ulteriori elementi di prova (testimonianza di (OMISSIS)).
11. Propone ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, avv. (OMISSIS), la parte civile (OMISSIS) deducendo vizio motivazionale e violazione di legge, in relazione agli articoli 43 e 113 c.p. e dell’articolo 530 c.p.p., per aver la Corte di Appello valutato la riunione del 31.3.2009 in modo formalistico, senza considerare, in conformita’ ai principi di effettualita’ e di realismo, il concreto esercizio da parte degli esperti delle funzioni tipiche istituzionalmente spettanti all’organismo tecnico-consultivo del quale facevano parte; valutato in difformita’ del canone di logica ragionevolezza la funzione ed il contenuto della detta riunione, affermando – anche in contrasto con quanto dai medesimi esposto in limine all’incontro e con le finalita’ perseguite dal Capo del dipartimento della Protezione civile con la convocazione – che agli esperti era stata richiesta una mera valutazione o sintesi ricognitiva retrospettivamente orientata sui fenomeni tellurici gia’ verificatisi invece che una valutazione del rischio sismico determinato dallo sciame in corso sul territorio aquiliano in funzione del compimento di attivita’ di previsione e di prevenzione e di informazione della comunita’ locale.
Anche a condividere il giudizio della Corte distrettuale, della qualificazione dell’incontro come ricognizione, verifica ed indagine DPCM 23582 del 2006, ex articolo 3, comma 10, deve trovare applicazione la disciplina in materia di cooperazione colposa, poiche’ le condotte in questione, provenienti da componenti della CGR contestualmente riuniti configurano una operativita’ convergente ed integrata di piu’ soggetti, istituzionalmente accomunati dal perseguimento del fine dell’ausilio alla corretta gestione del rischio da parte dell’organo preposto. Non e’ quindi corretta l’affermazione della Corte di Appello per la quale, in carenza di una deliberazione collegiale, il contributo di ogni partecipante deve essere analizzato singolarmente, al di fuori di modelli di accertamento unitario della responsabilita’ colposa.
Risulta frutto di una interpretazione illogica e non penetrante dei passaggi della decisione di primo grado l’affermazione della sentenza d’appello secondo cui il Tribunale avrebbe omesso ogni verifica sulla condotta degli imputati sotto il profilo del rispetto del canone della perizia, cosi’ non cogliendo che la colpa rimproverata investe l’imprudenza di fondo dell’atteggiamento comunicativo assunto dal consesso degli esperti e la negligente e imprudente rassicurativita’ delle informazioni dagli stessi fornite, che implica un giudizio di intrinseca inattendibilita’ scientifica del contributo informativo fornito.
Il giudizio espresso dalla Corte di Appello della correttezza scientifica e della assenza di indebita rassicurazione delle valutazioni degli esperti e’ frutto di un vaglio motivazionale omissivo e non complessivo ne’ logico delle risultanze probatorie, non tenendo conto delle stesse affermazioni fatte dagli esperti e degli stessi toni dei discorsi effettuati, dei complessivi atteggiamenti degli esperti, direttamente percepiti ed integrativi della annotazione sintetica nel verbale della riunione nonche’ di quanto dichiarato dalla (OMISSIS), dal (OMISSIS) (le cui affermazioni sono state pretermesse ancorche’ decisive: 16) dal (OMISSIS) (immotivatamente svalutate: 17) e, nella conferenza stampa che segui’ la riunione, dal (OMISSIS) (non vagliate: 19). La sentenza, inoltre, supera con operazione arbitraria e illogica il tenore letterale delle espressioni formulate dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS) nel corso della riunione a riguardo dei danni alle strutture, elude e forza il contenuto delle dichiarazioni dibattimentali del (OMISSIS), riduce a personale convincimento le affermazioni del (OMISSIS), per concludere quindi in modo manifestamente illogico – anche in rapporto all’utilita’ di quanto prospettato – che il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) non avevano formulato una prognosi per il futuro ma solo informato circa i danni alle cose verificatisi sino a quel momento. Rimarca l’esponente la gravita’ del fraintendimento perche’ esso si riverbera sull’accertamento della colpa escludendo un importante fattore produttivo dell’effetto di rassicurazione; rileva che la Corte ha con motivazione inadeguata ritenuto che dello scarico di energia non si fosse parlato dopo il quesito iniziale posto dal (OMISSIS) e sottolinea che, a rimanere alla ricostruzione operata dalla Corte, questa avrebbe dovuto comunque ritenere che il silenzio serbato dagli esperti costituiva violazione dell’obbligo giuridico al “corretto attingimento del fine comune di fornire ausilio alla Protezione Civile e di informare, sia pure per via indiretta, la popolazione” (24). Obbligo tanto piu’ stringente attesa la presenza di “profani” sul piano della conoscenza scientifica, ed il cui mancato adempimento rileva ex articoli 40 cpv. e 113 c.p.. Al che si connette anche il vizio di motivazione mancante o illogica per non aver la Corte di Appello considerato che la mancata negazione della valenza scientifica della teoria dello scarico di energia, gia’ espressa dal (OMISSIS) prima della riunione, ebbe l’effetto di radicarla nei convincimento della collettivita’ (26).
Lamenta, ancora, l’esponente, che la Corte di Appello abbia selezionato in modo arbitrario e sostanzialmente immotivato i contributi scientifici e fondato il giudizio sulle valutazioni di due esperti che pero’ appaiono in palese contraddizione con la ritenuta assenza di colpa.
Motivazione carente e manifestamente illogica si rinviene anche a riguardo della esclusione della colpa in relazione all’opera informativa resa. L’asserzione della mancanza di un compito di informazione diretta alla popolazione gravante sulla CGR e’ corretta ma non tiene conto delle circostanze del caso concreto che, segnalando una decisiva deviazione dalla previsione legale, con la natura non riservata della riunione e la partecipazione di alcuni degli esperti alla successiva conferenza stampa, rendeva rappresentabile agli imputati la immediata e diretta divulgazione all’esterno dei contenuti delle loro affermazioni.
Decisivo e’ comunque che i contenuti dell’informazione abbiano raggiunto la collettivita’ che li ha riferiti alla CGR, anche grazie al fedele resoconto dei mezzi di informazione.
12. Hanno proposto ricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), parti civili patrocinate dall’avv. (OMISSIS).
12.1. Con un primo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all’assoluzione pronunciata nei confronti di sei degli imputati e in relazione alla ritenuta assenza di nesso causale tra la condotta del (OMISSIS) ed il decesso dei genitori delle parti civili (in realta’ oggetto di uno specifico motivo).
Piu’ specificamente, si censura che, nel valutare la natura della riunione della CGR, la Corte di Appello non abbia tenuto in conto che nell’ambito del diritto penale viene in rilievo la posizione del titolare di fatto, equiparata a quella del titolare di diritto; principio che si reputa tanto piu’ pertinente al caso di specie in cui sono state ascritte condotte commissive. A sostegno di tali assunti l’esponente cita ampi passi della sentenza di primo grado asserendo di fare proprie le ragioni di diritto in esse esposte.
12.2. Con un secondo motivo evocativo di violazione di legge e vizio motivazionale, l’esponente censura altresi’ la decisione impugnata laddove ricostruisce i contenuti della riunione, sostenendo, in opposizione, che attraverso essa si espresse un giudizio di previsione e di prevenzione del rischio e che fu fornita una rassicurazione alla popolazione da parte di tutti gli esperti. Sostiene che la sentenza impugnata e’ manifestamente contraddittoria perche’ rende affermazioni discordi quanto alla funzione rassicuratrice attribuita alla riunione dal (OMISSIS). Rileva che la Corte di Appello ha sostituito alla contestazione di indebita rassicurazione il concetto di omesso avviso di aggravamento del rischio, privo di riscontro nell’imputazione. Priva di fondamento giuridico e’ la critica rivolta alla sentenza di primo grado di aver utilizzato un parametro normativo nella valutazione della colpa. Afferma l’esponente che avrebbe dovuto trovare applicazione il principio di precauzione, che ha solide basi normative nel diritto comunitario e dell’Unione ed e’ stato richiamato anche dalla giurisprudenza di legittimita’ (n.16761/2010). La Corte di Appello, per contro, ha preteso che dovesse raggiunta la prova certa di un aumento del rischio sismico, e su cio’ ha fondato l’esclusione della colpa degli imputati. Con cio’, per l’esponente, manifestando di non aver compreso la differenza tra prevedere l’evento terremoto e prevedere uno scenario di aggravamento del rischio legato all’eventualita’ di un terremoto.
L’affermazione della correttezza scientifica delle valutazioni degli esperti e’ illogica e contraddittoria: emerge dagli elementi acquisiti che nel corso della riunione venne evocata la teoria dello scarico di energia. La Corte di Appello non considera che essa non fu confutata da nessuno degli esperti e che tanto e’ sufficiente a collegare la condotta del (OMISSIS) a quella dei coimputati (si rammentano o si riportano, quindi, alcune testimonianze: 40-44).
Anche al riguardo della titolarita’ degli obblighi di informazione alla cittadinanza la Corte di Appello incorre in vizi logico-giuridici e in travisamento della prova “nella parte in cui,…, non trae le dovute conseguenze dalla circostanza oggettiva che alla riunione parteciparono l’assessore Stati, il Sindaco (OMISSIS) ed il dott. (OMISSIS)”. Rammentando la cornice normativa, si afferma che da essa discende che sulla CGR grava un obbligo di informazione in favore del DPC, presupposto necessario ed indefettibile dell’informazione alla popolazione alla quale e’ tenuto quest’ultimo. E la Corte di Appello ha quindi erroneamente affermato che la riunione non fu pubblica e non ha considerato che la conferenza stampa fu tenuta alla presenza del Sindaco e di quattro componenti della CGR (si riportano, ad ulteriore sostegno, stralci della sentenza di primo grado).
12.3. Con un terzo motivo si denuncia violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla negazione del nesso di causalita’ tra la condotta del (OMISSIS) e la morte di (OMISSIS) e (OMISSIS).
Rileva l’esponente che i dubbi espressi dalla Corte territoriale sulla sussistenza del nesso di causalita’ psichica derivano da una non condivisibile applicazione della “concezione condizionalistica della causalita’”, ricercata in sentenza senza fare adeguato ricorso a massime di esperienza o ad adeguate generalizzazioni. In particolare, la Corte di Appello non ha dato adeguato rilievo alla spiegazione data dell’effetto delle informazioni provenienti dalla CGR sulla popolazione aquilana, per come descritto dal primo giudice sulla scorta del contributo del c.t. del p.m. dr. (OMISSIS), ed in particolare su (OMISSIS) e (OMISSIS). Ed anche a ritenere le tesi dell’esperto prive di sufficiente validazione scientifica, la motivazione della Corte di Appello risulta viziata perche’ non applica le massime di esperienze e le adeguate generalizzazioni suggerite dalla sentenza di primo grado e dal compendio probatorio e non considera il carattere delle vittime, i loro principi, il loro livello culturale e tutte le altre specifiche personali. Si rinviene poi un errore logico-giuridico nell’impostazione seguita dalla Corte di Appello, laddove la medesima ha ritenuto necessario accertare che vi fosse stato un mutamento delle abitudini pregresse delle vittime – nonostante l’imputazione menzioni un effetto induttivo e non indichi un effetto costrittivo – e che dovesse risultare possibile affermare che quelle, una volta uscite dall’abitazione non vi avrebbero fatto rientro sino alle ore 3,32 del 6.4.2009.
Con estesa esposizione dei materiali di prova di volta in volta implicati dal rilievo enunciato, l’esponente censura che la Corte di Appello abbia espresso un giudizio di insussistenza del nesso causale svincolato da un effettivo confronto e da una logica confutazione del percorso motivazionale della sentenza riformata e dai plurimi riferimenti probatori in essa presenti; abbia parcellizzato e scomposto le dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS); abbia applicato erroneamente i criteri di accertamento della causalita’ psichica rispetto ad un evento ad eziologia multifattoriale, non rilevando che anche il solo rafforzamento della decisione di rimanere in casa e’ in grado di sostenere il giudizio di colpevolezza; abbia creato le leggi causali psichiche adottate; abbia escluso per talune posizioni fattori condizionanti alternativi sulla base di circostanze non valutate o valutate in modo opposto con riguardo alla posizione di (OMISSIS) e di (OMISSIS); non abbia valutato correttamente la rilevanza del principio di precauzione al quale si sarebbe dovuto informare il comportamento degli imputati nell’analisi del rischio; abbia valutato le dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS) senza tener conto del contesto aquilano; abbia indebitamente preteso che fosse provato il mutamento di abitudini delle vittime dopo il 31.3.2009; abbia dato peso a sospetti di inattendibilita’ basati su vaghi indizi.
12.4. Con memoria contenente motivi nuovi depositata in data 30/10/2015, i ricorrenti, puntualizzando e sviluppando le argomentazioni gia’ introdotte con il ricorso, hanno insistito sui vizi di violazione di legge e di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale, la’ dove ha erroneamente ritenuto sussistente una situazione di perplessita’ e incertezza circa il nesso di causalita’ riguardante la determinazione del decesso di (OMISSIS) e di (OMISSIS), a fronte della logica, esaustiva e coerente motivazione su tale punto dettata dalla sentenza di primo grado, rimasta totalmente priva di confutazione con particolare riguardo all’analisi e alla valutazione delle evidenze disponibili complessivamente acquisite.
13. Propongono ricorso (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
Deducono erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicita’ della motivazione, avendo la Corte di Appello escluso la responsabilita’ degli imputato per insussistenza della colpa specifica in carenza della qualita’ di componenti della CGR, ed avendo quindi gli stessi operato uti singuli. Rammentano gli esponenti che la giurisprudenza di legittimita’ ritiene non venir meno la qualita’ di pubblico ufficiale non viene meno in presenza di irregolarita’ nel procedimento di conferimento dell’ufficio assumendo rilievo il mero esercizio dei poteri autorizzativi con il consenso dell’amministrazione interessata (si cita, al riguardo Cass. n. 12175/2005). Pertanto il (OMISSIS), il (OMISSIS), il (OMISSIS) e l’ (OMISSIS) rivestirono la qualita’ di pubblico ufficiale in occasione della riunione aquiliana, mentre il (OMISSIS), il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) furono funzionari di fatto, gravati da colpa per assunzione. Come tali, tutti erano investiti di una posizione di garanzia nei riguardi della tutela della incolumita’ pubblica e privata e dell’obbligo giuridico di fornire agli organi della Protezione civile tutte le informazioni destinate alla popolazione perche’ potesse provvedere alla salvaguardia della vita. Si aggiunge che sussiste comunque la colpa generica, compendiata nella frase pronunciata dal (OMISSIS) nel corso della conferenza stampa successiva alla riunione: “non ci si aspetta un aumento della magnitudo”; frase che, argomentano gli esponenti, rappresentava il pensiero unanime della CGR.
14. Ricorrono per cassazione (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
Premessa la esposizione della vicenda processuale, l’esponente enuncia quattro motivi di impugnazione.
14.1. Il primo attiene alla violazione degli articoli 40, 41, 589 e 590 c.p., nonche’ dell’articolo 192 c.p.p. della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ed altresi’ vizio motivazionale per “inadeguatezza ed incongruita’ della motivazione” nonche’ travisamento della prova e “mancanza, contraddittorieta’ e illogicita’ della motivazione”.
Nell’esplicazione si precisa che la Corte di Appello non ha provveduto ad una totale ricostruzione della vicenda sulla base delle risultanze processuali ma si e’ limitato ad enucleare da esse quanto appariva funzionale alla critica portata alla sentenza di primo grado; si e’ limitata ad esprimere un giudizio di intrinseca non credibilita’ delle persone offese e delle parti civili, contrastante con quello espresso dal primo giudice; si e’ arrestata a tale giudizio senza valutare anche la valutazione della credibilita’ soggettiva dei dichiaranti ed omettendo di verificare le dichiarazioni in atti e i dati obiettivi di riscontro.
La Corte di Appello non ha ritenuto sussistente il nesso causale tra la condotta del (OMISSIS) e gli eventi che hanno riguardato (OMISSIS) e le parti offese (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), perche’ non dimostrato che in assenza della conoscenza delle dichiarazioni dell’imputato esse non avrebbero trascorso la notte tra il 5 ed il 6 aprile 2009 all’interno della casa dello studente.
Tale giudizio avrebbe dovuto trovare fondamento nell’esame degli elementi probatori e nella loro cautela e coerente valutazione; per contro, la Corte di Appello non ha reso esplicito di aver eseguito tali verifiche. L’esponente indugia, quindi, nella esposizione e nella valutazione che avrebbe dovuto farsi dei contenuti delle dichiarazioni di (OMISSIS) (la cui testimonianza si assume esser stata sostanzialmente pretermessa: 43), di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS) (ma si indicano poi anche quelle di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS)), lamentando la loro mancata valutazione e l’assenza di un iter motivazionale proprio della Corte distrettuale, la quale si sarebbe limitata a recepire le osservazioni fuorvianti del difensore dell’imputato, senza esplicitare un autonomo ed alternativo iter argomentativo rispetto a quello esposto dal Tribunale (54). Nella omissione della verifica del nesso di causalita’ si rinviene la lamentata violazione di legge.
L’esponente lamenta, poi, che la valutazione della prova testimoniale sia stata influenzata da una preconcetta sfiducia del teste; laddove il giudice deve verificare l’intrinseca credibilita’ dello stesso partendo dal presupposto che, fino a prova contraria, egli riferisce il vero. Cio’ posto, si conclude che la Corte di Appello non ha valutato ne’ l’attendibilita’ intrinseca ne’ l’attendibilita’ estrinseca della prova. Se le avesse valutate avrebbe dovuto affermare la sussistenza del ricercato nesso causale per essere stato accertato che a seguito delle dichiarazioni del (OMISSIS) i ragazzi della Casa dello studente mutarono le loro abitudine precauzionali e furono indotti a rimanere all’interno dell’edificio della Casa dello studente.
Rinviene nella omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con la nuova escussione dei testi ritenuti inattendibili un error in iudicando per essere incorsa la Corte di Appello nella violazione del principio espresso dalla Corte e.d.u. nel caso Dan c/Moldavia, per il quale il giudice di secondo grado che esprima un giudizio attinente alla attendibilita’ di un teste di segno opposto a quello espresso dal primo giudice deve, in linea di massima, procedere alla diretta escussione; principio che, formulato in caso di condanna che segue ad assoluzione, l’esponente ritiene debba trovare applicazione anche nell’ipotesi inversa, anche in considerazione del rilievo che nelle decisioni della Corte europea si afferma una sempre maggior tutela della parte civile (si richiama, a conferma dell’assunto, la sentenza nel caso Alikaj ed altri c/Italia).
14.2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’obbligo di motivazione per come specificamente incombente sul giudice di secondo grado che pronunci in senso difforme a quello di primo grado. Nel caso di specie, si sostiene, la sentenza di riforma si basa su mere opinioni corroborate da elementi congetturali. Il giudizio di inattendibilita’ dei testi persone offese e’ fondato su un travisamento della prova e dei fatti; segnatamente sull’assunzione di una informazione inesistente, ovvero che la prima denuncia – del 25.5.2009 – era stata presentata esclusivamente nei confronti dei responsabili dei controlli strutturali e dei soggetti che avevano rassicurato gli studenti sulla stabilita’ dell’edificio. Invero, i genitori di (OMISSIS) non hanno mai presentato alcuna denuncia-querela; le denunce-querele presentate dalle altre persone offese hanno contenuto diverso da quello indicato dalla Corte di Appello (e viene in parte riportato: pg. 74 del ricorso). Ulteriore travisamento della prova ed omissione, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione si rinviene laddove la Corte di Appello ha fondato il giudizio di inattendibilita’ sul fatto che non puo’ essere escluso che le persone offese dichiaranti abbiano scontato inconsapevolmente comprensibili suggestioni cui hanno contribuito psicologi e psichiatri; mentre, lungi dal potersi basare su presunzioni inesistenti, avrebbe dovuto verificare la ricorrenza di riscontri a quelle dichiarazioni. Si indicano, poi, i vizi della valutazione della prova nella quale sarebbe incorsa la Corte di Appello (sottovalutazione della sindrome post-traumatica da stress patita dai ragazzi e della relativa spiegazione scientifica dato in dibattimento dal Prof. (OMISSIS); omessa valutazione delle modalita’ di conduzione dell’escussione da parte degli interroganti e della qualita’ della narrazione dell’escusso; omessa valutazione dei riscontri – che si espongono da pg. 80 a 84; omessa verifica del livello di suggestionabilita’ dei ragazzi).
14.3. Con il terzo motivo si contesta che il travisamento operato dalla Corte di Appello delle deposizioni di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) nella parte relativa alla indicazione delle fonti dalle quali avevano acquisito le informazioni corrispondenti a quanto dichiarato dal (OMISSIS), con ampia esposizione dei materiali di prova che evidenzierebbero siffatto travisamento, esitato nel giudizio di inattendibilita’ dei testi in parola.
14.4. Con il quarto motivo si investe l’affermazione della sussistenza di fattori condizionalistici alternativi, rappresentati dalle rassicurazioni derivanti dall’esito del sopralluogo eseguito alla Casa dello Studente il 30.3.2009, censurando il travisamento della prova, essendo state assunte informazioni inesistenti ( (OMISSIS) e (OMISSIS) non ebbero alcun contatto con l’arch. (OMISSIS), la denuncia – che la Corte di Appello assume esser stata indirizzata verso coloro che avevano eseguito i controlli strutturali – non fu presentata o attenne ad altri soggetti), cosi’ dimostrando di non aver eseguito un’attenta analisi dei materiali disponibili. Si contesta, poi, che la Corte di Appello abbia dato rilievo nel senso dianzi indicato alle rassicurazioni fatte dal (OMISSIS) perche’ esse si fondarono sulla mera constatazione, all’esito di un controllo visivo, dell’assenza di danni strutturali provocati dalla scossa di magnitudo 4,1., sia perche’ neppure ebbero realmente effetto di rassicurazione, come dimostrato dal fatto che gli studenti chiesero di poter trascorrere la notte nella sala studio a pianterreno. In conclusione, afferma l’esponente, la condotta del (OMISSIS) non ebbe alcun rilievo causale sul mutamento di abitudini operato dagli studenti dal 1.4.2009.
Si lamenta altresi’ che la Corte di Appello abbia estrapolato alcune affermazioni fatte dai testi e si contesta l’approdo ricostruttivo per tal via conseguito.
Si assume che la sentenza manifesti la violazione degli articoli 40 e 41 c.p., per non aver esaminato il nesso causale tra la condotta del (OMISSIS) e l’evento e non aver esaminato la portata e l’incidenza causale dei fattori preesistenti. Il principio di equivalenza delle cause implica l’inidoneita’ ad escludere il nesso causale che fa capo alla condotta dell’imputato del comportamento presunto colposo del (OMISSIS); il quale neppure assume valenza di causa da sola efficiente, secondo la previsione dell’articolo 41 c.p..
La Corte di Appello ha anche travisato la dichiarazione del teste Lauri e le risultanze istruttorie relative alla circostanza – affermata dalla Corte di Appello per la quale egli avrebbe trasmesso agli studenti, ancora dopo la scossa delle ore 22,48 del 5.4.2009, l’invito a stare tranquilli fatto pervenire telefonicamente dai responsabili della struttura, (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ dal (OMISSIS). L’esponente, poi, ribadisce che alcuna rassicurazione venne dal (OMISSIS), riportando molteplici stralci delle dichiarazioni testimoniali pertinenti, munite di commento.
Con specifico riferimento al decesso di (OMISSIS), l’esponente rimarca l’assunto della difesa dell’imputato secondo il quale la ricostruzione dei fatti coinvolgenti l’ (OMISSIS) sarebbe ricavabile dalle sole dichiarazioni di (OMISSIS), sulla cui attendibilita’ esprime dubbi; e pur precisando che tali deduzioni non sono state prese in considerazione dalla Corte di Appello, svolge alcuni rilievi antagonisti: la vicenda dell’ (OMISSIS) e’ stata descritta anche da (OMISSIS) e i dubbi in merito all’attendibilita’ dell’ (OMISSIS) non sono fondati.
15. Con atto sottoscritto dall’avv. (OMISSIS), propongono ricorso per cassazione le parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS), quale erede di (OMISSIS).
Il percorso motivazionale che ha condotto la Corte di Appello ad escludere che fosse stata raggiunta la prova del nesso causale tra le dichiarazioni del (OMISSIS) e la decisione della (OMISSIS) di rimanere in casa la notte tra il 5 ed il 6 aprile 2009 appare palesemente contraddittorio con le dichiarazioni del teste (OMISSIS) mentre e’ stata attribuita erronea rilevanza alla circostanza che nessuno ebbe ad interloquire con la (OMISSIS) in quella notte.
Anche con riguardo alla valutazione della prova in relazione al decesso di (OMISSIS) e (OMISSIS), l’esponente lamenta la non condivisibilita’ della stessa.
16. Con memoria pervenuta in data 3/11/2015, il difensore dell’imputato (OMISSIS), nel procedere a un’analitica confutazione di taluni dei passaggi argomentativi illustrati nel ricorso della Procura generale presso la Corte di appello di L’Aquila, ha concluso per la dichiarazione della relativa inammissibilita’, ovvero, in via gradata, per il relativo rigetto.
17. Con “memoria difensiva” pervenuta l’11.11.2015 il difensore di (OMISSIS) ha argomentato in merito alla ritenuta estraneita’ delle censure avanzata dal P.G. ricorrente dal novero delle doglianze ammissibili in sede di legittimita’; ed in merito alla infondatezza dei ricorsi delle parti civili, dei quali si e’ chiesto il rigetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
PARTE II – I ricorsi concernenti la posizione di (OMISSIS).
1. Premessa. (OMISSIS) e’ stato assolto, in sede di appello, in relazione alle imputazioni di omicidio colposo nei confronti di (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
E’ stato viceversa condannato in relazione all’omicidio colposo di (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
In conseguenza di tale condanna, la Corte di Appello ha altresi’ condannato la Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento della Protezione civile, quale responsabile civile, al risarcimento dei danni, in solido con l’imputato, in favore delle parti civili costituitesi in relazione agli omicidi per i quali e’ stata confermata la condanna dell’imputato.
Le posizioni processuali del (OMISSIS) e del responsabile civile sono state quindi investite dal ricorso dell’imputato e da quello della Presidenza del Consiglio dei ministri, con specifico riguardo alle condanne pronunciate nei relativi confronti, nonche’ dal ricorso delle parti civili in relazione ai punti indicati a fondamento del rigetto delle domande risarcitorie.
Tali impugnazioni, ciascuna in relazione alle questioni e ai punti dalle stesse specificamente argomentati, hanno sostanzialmente toccato l’esame dei diversi aspetti concernenti il tema del nesso di causalita’ tra la condotta informativa dell’imputato e gli eventi lesivi allo stesso contestati, nonche’ la verifica di una pluralita’ di profili connessi al tema della responsabilita’ colposa rinvenuta a suo carico.
Nel condurre l’esame relativo ai motivi d’impugnazione avanzati dai ricorrenti, si ritiene opportuno procedere a una trattazione unitaria e congiunta di tutte le questioni oggetto di contestazione, nel corso della quale trovera’ risposta ciascuna delle doglianze formulate in termini critici dalle parti impugnanti.
Sul piano dell’organizzazione del discorso, detta trattazione muovera’ preliminarmente dall’analisi relativa ai presupposti della responsabilita’ colposa dell’imputato, per pervenire successivamente all’esame congiunto delle questioni sollevate, in tema di causalita’, tanto dall’imputato e dal responsabile civile, quanto dalle restanti parti civili ricorrenti.
2. I punti critici del discorso sulla colpa. In termini generali e sintetici, i punti critici del discorso condotto dai ricorrenti in relazione al tema della responsabilita’ colposa dell’imputato hanno investito le questioni concernenti la genesi della norma cautelare (asseritamente violata dall’imputato) attraverso la conduzione dei giudizi di prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento; la distinzione tra le norme cautelari (in senso proprio) e le mere misure di precauzione penalmente irrilevanti; la valutazione integrata del comportamento osservato dall’imputato, anche in relazione alle dichiarazioni dallo stesso rilasciate nel corso della conferenza stampa tenuta successivamente alla riunione del 31/3/2009; l’effettiva evitabilita’ degli eventi lesivi alla luce dell’inadeguatezza delle massime di esperienza selezionate dal giudice d’appello in ordine al prevedibile comportamento delle vittime; l’oggettiva imprevedibilita’ della vulnerabilita’ degli edifici aquilani; la contraddittorieta’ della motivazione in relazione all’identificazione delle regole cautelari asseritamente violate (sotto il profilo della distinzione tra colpa generica e colpa specifica); l’adeguatezza del comportamento informativo dell’imputato sotto il profilo scientifico (avuto riguardo alle affermazioni sostenute in altre sedi da studiosi della materia); il tema della colpa lieve dell’imputato e la rilevanza penalistica del parametro di cui all’articolo 2236 c.c..
3. La condotta dell’imputato. In linea preliminare, varra’ sottolineare come la corte territoriale – su tali punti sostanzialmente concorde con le considerazioni svolte nella sentenza di primo grado – abbia correttamente rispettato un’adeguata misura di corrispondenza tra la descrizione della condotta imputata al (OMISSIS) negli atti di accusa sollevati nei relativi confronti e quella indicata a fondamento della decisione di condanna emessa ad esito dell’istruzione dibattimentale. Nel caso di specie, si e’ trattato (come agevolmente desumibile dalla lettura dell’imputazione e da quella riguardante i passaggi dedicati alla verifica probatoria della contestazione accertata a carico dell’imputato) dell’identificazione di una scorretta condotta informativa (di natura attiva) posta in essere dall’imputato in violazione di norme di colpa generica, in particolare di norme di origine sociale (scientifica o esperienziale) attinenti alla diligenza e alla prudenza esigibili nei confronti di un dirigente del dipartimento della Protezione Civile, in relazione alla comunicazione del rischio connesso alla previsione di eventi sismici, potenzialmente lesivi dell’integrita’ della popolazione civile: comunicazione di contenuto inopportunamente e scorrettamente tranquillizzante, tale da indurre taluni destinatari all’abbandono di consuetudini di comportamento autoprotettivo rivelatosi fatale per le relative sorti, avendo cioe’ gli stessi deciso, proprio sulla scorta delle informazioni rassicuranti pubblicamente propalate dell’imputato, di non seguire piu’ la tradizionale scelta di allontanarsi dalla propria abitazione in occasione dei primi segnali di scosse sismiche, cosi’ rimanendo travolti dal crollo di dette abitazioni determinato dal terremoto verificatosi in data 6/4/2009.
Rispetto a tale descrizione della condotta dell’imputato (consistita tra l’altro – secondo le indicazioni contenute nel capo d’imputazione – nel fornire pubblicamente, con dichiarazioni agli organi d’informazione, notizie incomplete, imprecise e contraddittorie sulla natura, le cause, la pericolosita’ e sui futuri sviluppi dell’attivita’ sismica in esame), nessun rilievo puo’ essere ascritto, al fine di dotare di natura “specifica” i profili di colpa addebitati all’imputato, al richiamo della disciplina positiva delle attivita’ d’informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni (cfr. la L. 7 giugno 2000, n. 150), trattandosi, con riguardo a tale ultima disciplina, di normativa di discutibile indole cautelare, ed avendo l’organo del pubblico ministero comunque contestato all’imputato la violazione dei tradizionali parametri della colpa generica.
Sotto altro profilo, con specifico riguardo alla tradizionale distinzione tra condotte attive e omissive, non ignora il collegio come detta contrapposizione costituisca, come generalmente riconosciuto, una mera semplificazione della realta’ a fronte di un’esperienza di riflessione dottrinaria e di applicazione giudiziaria assai variegata. E’ noto, infatti, come accanto a situazioni riconducibili con sicurezza all’ambito dell’indole attiva od omissiva della condotta, esistono molti casi di incerta collocazione, sovente risolti dalla giurisprudenza con il richiamo all’astratta distinzione tra la violazione di un divieto (nel caso della condotta commissiva) o di un comando (nel caso della condotta omissiva) (cfr. Sez. 4, n. 16761 del 11/03/2010, P.G. in proc. Catalano e altri), ovvero attraverso il ricorso al criterio che impone di cogliere il ruolo che, nella spiegazione dell’evento, abbia avuto la condotta dell’imputato, selezionandone l’indole commissiva od omissiva in dipendenza della maggiore significativita’ o preponderanza dell’una o dell’altra (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri).
Nel caso di specie, non vi e’ dubbio alcuno che la corte territoriale (in assoluta consonanza con la descrizione contenuta nel capo d’imputazione corrispondente) abbia correttamente ascritto all’imputato il compimento di una condotta informativa d’indole attiva (per la violazione del divieto della scorretta comunicazione/informazione pubblica del rischio sismico), alla quale ha causalmente collegato la realizzazione della successione di eventi che hanno condotto alla verificazione dei decessi allo stesso addebitati (sulla natura attiva della condotta consistita nella pubblica divulgazione di contenuti impropriamente tranquillizzanti in relazione alla prevedibile verificazione di calamita’ naturali, v. Sez. 4, n. 16761 del 11/03/2010, P.G. in proc. Catalano e altri, cit.).
Il rilievo non dev’essere riguardato alla stregua di una preoccupazione d’indole meramente astratta o classificatoria, derivando piuttosto, da tale precisazione, conseguenze certamente non trascurabili sul piano pratico, quale, ad esempio, quella relativa alla sostanziale irrilevanza dell’individuazione di una posizione di garanzia dell’imputato (nel senso “ristretto” o “rigoroso” dell’espressione, che ne evidenzia l’improprieta’ del richiamo nella ricostruzione dei profili causali della condotta attiva; sul punto, si veda anche infra, Parte III, par. 3), ovvero quella concernente la natura del ragionamento controfattuale da elaborare in relazione al controllo della causalita’, tanto della colpa (con riguardo al tema della evitabilita’ dell’evento o di quello definito nella prospettiva della “concretizzazione del rischio” implicato dalla norma cautelare), quanto della stessa condotta.
4. Il tema della colpa. Prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento. Alla luce delle insistite censure difensive dell’imputato e del responsabile civile, ritiene il Collegio di dover muovere da una preliminare chiarificazione riguardante gli aspetti strutturali della colpa e i delicatissimi problemi che attengono alla genesi della regola cautelare, segnatamente in relazione all’identificazione dei caratteri della prevedibilita’ e dell’evitabilita’ dell’evento lesivo come estremi della regola di colpa generica riferita alla condotta dell’imputato.
Sulla scia delle piu’ recenti riflessioni dedicate al tema dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, cit.), va osservato come la formula legale della colpa espressa dall’articolo 43 c.p., col richiamo alla negligenza, imprudenza e imperizia e alla violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline, delinei un primo e non controverso tratto distintivo di tale forma di imputazione soggettiva, di carattere oggettivo e normativo.
Tale primo obiettivo profilo della colpa, incentrato sulla condotta posta in essere in violazione di una norma cautelare, ha la funzione di orientare il comportamento dei consociati ed esprime l’esigenza di un livello minimo ed irrinunciabile di cautele nella vita sociale.
La dottrina che sul piano sistematico prospetta la doppia collocazione della colpa, sia nel fatto che nella colpevolezza, colloca significativamente tale primo profilo dell’imputazione sul piano della tipicita’, svolgendo esso un ruolo insostituibile nella configurazione delle singole fattispecie colpose.
Accanto al profilo obiettivo e impersonale cosi’ indicato, ve n’e’ un altro di natura piu’ squisitamente soggettiva, solo indirettamente adombrato dalla definizione legale, che sottolinea nella colpa la mancanza di volonta’ dell’evento.
Tale connotato negativo ha un significato inevitabilmente ristretto che si risolve essenzialmente sul piano definitorio e classificatorio, alludendo infatti alla certificazione del confine con l’imputazione dolosa.
In positivo, il profilo soggettivo e personale della colpa viene generalmente individuato nella capacita’ soggettiva dell’agente di osservare la regola cautelare, ossia nella concreta possibilita’ di pretendere l’osservanza della regola stessa: in poche parole, nell’esigibilita’ del comportamento dovuto.
Si tratta di un aspetto che puo’ essere collocato nell’ambito della colpevolezza, in quanto esprime il rimprovero personale rivolto all’agente: un profilo della colpevolezza colposa cui la riflessione giuridica piu’ recente ha dedicato molta attenzione, nel tentativo di rendere personalizzato il rimprovero dell’agente attraverso l’introduzione di una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto non solo dell’oggettiva violazione di norme cautelari, ma anche della concreta capacita’ dell’agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualita’ personali.
Dunque, in breve, il rimprovero colposo riguarda la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l’esigibile osservanza delle norme cautelari violate.
Tali accenni mostrano che, da qualunque punto di vista si guardi alla colpa, la prevedibilita’ ed evitabilita’ del fatto svolgono un articolato ruolo fondante: sono all’origine delle norme cautelari e sono inoltre alla base del giudizio di rimprovero personale.
Anche la giurisprudenza di legittimita’ ha in numerose occasioni sottolineato il ruolo fondante della prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento. E’ sufficiente richiamare, per tutte, la fondamentale pronunzia (Sez. 4, n. 4793 del 06/12/1990, Bonetti, Rv. 191798) che, nel contesto di un complesso e delicato caso giudiziario, ha posto in luce che la prevedibilita’ altro non e’ che la possibilita’ dell’uomo coscienzioso ed avveduto di cogliere che un certo evento e’ legato alla violazione di un determinato dovere oggettivo di diligenza, che un certo evento e’ evitabile adottando determinate regole di diligenza.
E’ ben vero che una parte della giurisprudenza di legittimita’, ispirandosi alla criticata concezione oggettivante della colpa, tende a ritenere che la prevedibilita’ e prevenibilita’ dell’evento sono elementi estranei all’imputazione soggettiva di cui si parla. Tuttavia si e’ per lo piu’ in presenza di pronunzie risalenti nel tempo, ispirate a concezioni della colpa che non trovano piu’ credito nel presente della riflessione giuridica (sul punto, in termini, v. Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, cit.).
5. Norme cautelari e misure di precauzione. Nel procedere a un’analisi piu’ dettagliata dei parametri della prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento, ritiene il collegio di doversi sia pure incidentalmente soffermare – muovendo dagli spunti critici sul punto evidenziati negli scritti difensivi dell’imputato – sulla definizione dei criteri di distinzione tra la natura propriamente cautelare delle regole che disciplinano la condotta dell’agente in un ben determinato e definito contesto di rischio e, viceversa, l’indole meramente precauzionale di talune misure o indicazioni di condotta che, lungi dal fornire adeguate garanzie circa l’evitabilita’ dell’evento lesivo prefigurato, valgano quanto meno a scongiurare l’eventuale aggravamento dei rischi connessi alla verificazione di detto evento, in assenza di alcun concreto riscontro circa la relativa potenziale idoneita’ a impedire l’evento.
Nel caso di specie, i difensori dei ricorrenti hanno sottolineato come, in relazione alla incontestabile e obiettiva imprevedibilita’, sul piano scientifico, di un terremoto di portata distruttiva (nella sua specifica identita’ e concretezza), l’eventuale adozione di misure di protezione civile assuma, non gia’ l’indole propria di un adempimento di norme cautelari idonee a fondare un ipotetico rimprovero penalmente rilevante (ove violate), bensi’ la consistenza specifica di misure di precauzione del tutto irrilevanti sul piano penalistico.
Secondo quanto generalmente riconosciuto nel discorso giuridico, il principio di precauzione e’ correttamente richiamato nei casi per i quali si e’ rimasti a livello del sospetto che, in presenza di certi presupposti, possano verificarsi effetti negativi in particolare sulla salute dell’uomo (gli esempi sono noti: le onde elettromagnetiche, la telefonia cellulare, gli organismi geneticamente modificati) e dunque quando, non solo manchi in senso assoluto una possibile spiegazione dei meccanismi causali, ma neppure si disponga di concreti elementi d’indagine (sia pure di consistenza empirica e non scientifica) idonei a formulare attendibili e concrete previsioni circa il ricorso di eventuali connessioni tra la condotta sospetta e gli eventi lesivi che s’intenda cautelare.
Ben diversi sono i casi di effetti nocivi provocati, ad es., da sostanze per le quali sono gia’ conosciuti effetti lesivi importanti o per i quali e’ stata verificata concretamente l’attitudine lesiva anche se non e’ stato ancora spiegato il meccanismo causale; casi nei quali non ha dunque senso invocare il principio di precauzione.
Anticipando quanto si avra’ modo di precisare nel prosieguo del discorso, osserva il collegio come la nozione di prevedibilita’ rilevante ai fini della costruzione della norma cautelare chieda d’essere ancorata, non gia’ al parametro dell’elevata credibilita’ razionale che l’evento in presenza di una certa condotta si verifichi (come avviene in relazione alla ricostruzione del decorso causale), bensi’ alla possibilita’ (concreta e non ipotetica) che la condotta possa determinare l’evento. In tal senso, l’efficacia delle leggi scientifiche – non diversamente da quelle fondate su regole d’esperienza – non sara’ mai diretta e immediata ma dovra’ essere filtrata attraverso la regola cautelare. Com’e’ stato infatti affermato, il fine di tutela non puo’ essere desunto direttamente dalle leggi scientifiche e di esperienza che pure convalidano l’efficacia preventiva della norma cautelare, dovendosi l’interprete attenere ai termini in cui esse vengono filtrate dalla fonte di produzione della regola. diversamente opinando, infatti, si finirebbe per vanificare, anche per quanto riguarda gli effetti che ne discendono sul piano della tipicita’ penale, la specifica funzione delle regole cautelari giuridiche, che e’ quella di imporre una determinata cautela standardizzata.
Com’e’ stato ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 4, n. 16761 del 11/03/2010, P.G. in proc. Catalano e altri, cit.), una diversa ricostruzione costituirebbe un’indebita trasposizione delle regole che governano l’accertamento della causalita’ al tema della colpevolezza.
La trasposizione e l’utilizzazione all’accertamento della colpa dei criteri utilizzati per l’accertamento della causalita’ comporterebbe, in tema di prevenzione di rischi (ed in particolare di quelli alla salute), che sarebbe esigibile l’adozione delle regole cautelari solo dopo che fosse stato accertato, in termini di elevata credibilita’ razionale (secondo i criteri indicati da Sez. U, n. 30328 del 10/7/2002, Franzese, in tema di causalita’), che alla mancata adozione di regole di cautela consegua un determinato effetto dannoso.
Ma questa operazione ermeneutica avrebbe come ovvio risultato quello di porre nel nulla la natura preventiva delle regole cautelari dirette ad evitare il verificarsi di eventi dannosi anche se scientificamente non certi (purche’ non solo congetturali) ed anche se non preventivamente e specificamente individuati.
E’ dunque da ritenere obbligata la conclusione che (a differenza dell’addebito oggettivo per il quale, sotto il profilo della causalita’, e’ necessario accertare che l’evento non si sarebbe verificato con elevato grado di credibilita’ razionale se fosse stata posta in essere la condotta richiesta) ben inferiore e’ la soglia che impone l’adozione della regola cautelare.
Sul punto varra’ richiamare l’orientamento fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimita’ (correttamente richiamato nella sentenza impugnata: v. pag. 239), secondo cui la soglia – insita nei concetti di diligenza e prudenza espressamente richiamati dall’articolo 43 c.p. – oltre la quale l’agente puo’ prevedere le conseguenze lesive della sua condotta, non e’ costituita dalla certezza scientifica, ma dalla probabilita’ o anche della sola possibilita’ (purche’ fondata su elementi concreti e non solo congetturali) che queste conseguenze si producano (Sez. 4, n. 4675 del 17/05/2006, P.G. in proc. Bartalini).
Il principio di colpevolezza deve dunque ritenersi rispettato nella misura in cui il soggetto, al momento della condotta, possa seriamente rappresentarsi la rischiosita’ del suo agire o del suo omettere rispetto a determinati eventi, corrispondenti a quelli poi verificatisi, anche laddove sulla pericolosita’ della condotta non vi sia, ex ante, pieno consenso della comunita’ scientifica. In tal senso, nella letteratura si e’ sottolineata l’importanza dei signa facti, quanto alla necessita’ di adozione di determinate cautele, attraverso l’esempio dell’aumento delle dermatiti in lavoratori che maneggino determinate sostanze: aumento che genera anzi tutto, prima che ne venga accertata scientificamente l’origine, l’obbligo di far utilizzare i guanti protettivi.
A non diverse conclusioni rispetto a quelle derivanti dall’esperienza empirica deve pervenirsi nei casi in cui ci si trovi in presenza dei primi approfondimenti scientifici o di studi epidemiologici ancora incompleti o di esperimenti condotti su animali. A meno che i primi esiti siano idonei ad escludere l’ipotesi causale, o esistano ragioni plausibili per escludere l’applicabilita’ all’uomo dell’esperimento condotto su animali, sorge, o persiste, l’obbligo dell’adozione delle cautele necessarie per evitare il prodursi degli eventi dannosi che, di volta in volta, potranno individuarsi nell’adozione di piu’ rigorose cautele (per es. la riduzione dei livelli di esposizione), nell’innovazione degli impianti concretamente ritenuta esigibile o, addirittura, nella sospensione dell’attivita’ quando, per es., non sia individuabile una soglia di dannosita’ e il rischio sia troppo rilevante.
Le considerazioni sin qui illustrate valgono quindi a tener ben distinto il tema della colpa con il principio di precauzione che da esso si differenzia significativamente.
Nel caso di specie, del tutto correttamente la corte territoriale ha riconosciuto la prevedibilita’ degli eventi lesivi collegati alla condotta informativa contestata all’imputato (riconducendone lo spettro al discorso sulla colpa), evidenziando la concretezza della possibilita’ (e dunque non il mero sospetto) che l’imprudente informazione pubblica relativa al rischio sismico (proprio del territorio aquilano) valesse a prefigurare la possibilita’ di una riduzione della soglia di attenzione della popolazione rispetto ai pericoli connessi al rischi del terremoto (non gia’, naturalmente, nella sua specifica identita’ di evento storico con le proprie specifiche e irripetibili caratteristiche, bensi’ – come avra’ modo di precisarsi piu’ avanti – quale fenomeno appartenente alla propria omogenea categoria di eventi corrispondenti), trattandosi di fatti che, alla luce delle conoscenze disponibili, apparivano ampiamente preventivabili in termini empirici, tenuto conto della riconosciuta elevata sismicita’ del territorio aquilano, prima ancora del carattere (genericamente) allarmante dei fenomeni sismici in loco ancora in atto continuativamente da molti mesi (in nessun caso qualificabili come improbabili fenomeni precursori); fatti, dunque, concretamente prevedibili come possibili nella loro sufficiente specificita’, benche’ di non certa verificazione e non del tutto spiegabili ex ante sotto il profilo dei relativi meccanismi causali di produzione.
A indiretta conferma di tale rilievo, varra’ richiamare quanto espressamente attestato nel corso della riunione del 31/3/2009 da parte dello stesso imputato (OMISSIS), la’ dove ha affermato come “questa sequenza sismica non preannuncia niente ma sicuramente focalizza di nuovo l’attenzione su una zona sismogenetica in cui prima o poi un grosso terremoto ci sara’” (cfr. pag. 30 della sentenza d’appello).
Tale valutazione, peraltro, appare in linea con quanto gia’ da tempo affermato dalla giurisprudenza di questa corte, la’ dove ha chiarito come i terremoti, anche di rilevante intensita’, siano da considerare alla stregua di eventi rientranti tra le normali vicende del suolo, e non possano essere giudicati come accadimenti eccezionali e imprevedibili quando si verifichino in zone gia’ qualificate ad elevato rischio sismico, o comunque formalmente classificate come sismiche (particolarmente Sez. 4, n. 24732 del 27/01/2010, Rv. 248115). In breve, si tratta di eventi con i quali i professionisti competenti sono chiamati a confrontarsi (Sez. 4, n. 17492 del 16/11/1989, Rv. 182859) senza poterne fondatamente addurre la relativa scientifica imprevedibilita’.
Nel riassumere le considerazioni sin qui esposte e’ dunque possibile formulare il principio secondo cui “la regola cautelare, fondata sulla prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento, ha riguardo ai casi in cui la verificazione di questo, in presenza della condotta colposa, puo’ ritenersi, se non certa, quanto meno possibile sulla base di elementi d’indagine dotati di adeguata concretezza e affidabilita’, sia pure solo di consistenza empirica e non scientifica. Essa, invece, non puo’ essere individuata sulla scorta del principio di precauzione, che ha riguardo ai casi per i quali si e’ rimasti a livello del “sospetto” che, in presenza di certi presupposti, possano verificarsi effetti negativi (in particolare sulla salute dell’uomo) – e dunque quando manchi in senso assoluto una possibile spiegazione dei meccanismi causali o non si disponga di concreti elementi d’indagine (sia pure di consistenza empirica e non scientifica) idonei a formulare attendibili e concrete previsioni circa il ricorso di eventuali connessioni causali tra la condotta sospetta e gli eventi lesivi”.
6. La descrizione dell’evento prevedibile. Le considerazioni sin qui svolte sul tema della prevedibilita’, quale parametro di commisurazione della regola cautelare (distinta dal contesto del principio di precauzione), chiedono d’essere integrate dall’analisi concernente la definizione dell’ambito oggettivo del ridetto giudizio di prevedibilita’, ossia dalla determinazione dell’identita’ dell’evento o degli eventi suscettibili di costituire l’oggetto del giudizio prognostico rilevante.
A tale analisi andra’ inoltre strettamente affiancato l’esame destinato all’identificazione del punto di vista soggettivo da adottare per la corretta formulazione del giudizio di colpevolezza: tema comunemente legato alla costruzione del c.d. “agente modello” (homo ejusdem condicionis et professionis) quale figura paradigmatica costruita ai fini del controllo dell’adeguatezza del rimprovero colposo.
In breve, una volta affermata la necessita’ di fare riferimento all’evento, ai fini del giudizio di prevedibilita’ che fonda la colpa, occorre determinare il criterio in base al quale individuare le particolarita’ dell’evento nella sua complessita’ che vengono selezionate ai fini della sua definizione. Si tratta, appunto, del problema della “descrizione” dell’evento prevedibile.
Sul punto, la riflessione giuridica ha evidenziato l’astratta adottabilita’ di due distinti approcci: l’uno, che descrive l’evento cosi’ come si e’ storicamente verificato, con tutti i suoi contingenti dettagli; l’altro che, invece, coglie lo stesso evento in senso generalizzante, come un evento del genere di quello prodotto.
Sono evidenti le diverse conclusioni applicative cui conducono le due opposte soluzioni: l’una restringe a dismisura l’area del prevedibile, giacche’ esistera’ sempre una descrizione abbastanza ricca da cogliere l’irripetibilita’ ed unicita’ di ciascun evento (che verra’ cosi’ sottratto ad ogni possibilita’ di ripetizione); l’altra la amplia, in relazione alle diverse modalita’ con le quali si conduce la selezione degli aspetti del fatto considerati ai fini della costruzione in senso generalizzante della tipologia o classe di evento.
La scelta tra le due alternative attinge a una matrice logica. E’ stato osservato che il giudizio di prevedibilita’ altro non e’ che il giudizio circa la possibilita’ di previsione di eventi simili e, dunque, di eventi che hanno in comune con il risultato concreto prodottosi determinate caratteristiche. Appurare se un evento e’ prevedibile implica allora l’elaborazione di una generalizzazione, una descrizione nella quale siano incluse certe particolarita’ del caso e non altre.
Cosi’ posto il problema, si delinea un ulteriore, importante passaggio afferente l’individuazione dei criteri in base ai quali procedere alla generalizzazione dell’evento, cioe’ delle modalita’ rilevanti. Un nodo non marginale, giacche’ l’esito del giudizio di prevedibilita’ e’ per lo piu’ strettamente condizionato dal tipo di descrizione data dell’evento.
L’aspetto piu’ problematico riguarda l’inclusione, nella descrizione dell’evento, dello svolgimento causale.
L’accoglimento della tesi che esclude la rilevanza dello sviluppo causale comporta un’ingiustificata moltiplicazione delle ipotesi di responsabilita’; e disperde la fondamentale istanza, gia’ evocata, che attiene alla congruenza tra ragioni della regola cautelare e cause dell’evento.
In dottrina non si dubita che in materia di colpa la prevedibilita’ non debba essere accertata rispetto al solo evento finale, ma anche in relazione al decorso causale, almeno nelle sue linee essenziali. Si tratta di porre a confronto il decorso causale che e’ all’origine dell’evento conforme al tipo con la regola di diligenza; e di controllare se tale evento possa ritenersi la realizzazione del pericolo in considerazione del quale e’ stata posta la regola cautelare.
In linea con le conclusioni sul punto raggiunte dalla riflessione delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, cit.), occorrera’ quindi verificare se lo svolgimento causale fosse tra quelli presi in considerazione dalla regola violata, tenendo pur sempre conto di come, anche sotto il profilo causale, la necessaria prevedibilita’ dell’evento non possa estendersi fino al punto di ricomprendere la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue piu’ minute articolazioni, dovendo necessariamente circoscriversi alla classe di eventi in cui quello oggetto del processo si colloca.
Gia’ in altre occasioni, la Corte di cassazione (Sez. 4, n. 39606 del 28/06/2007, Marchesini e altro, Rv. 237880) ha avuto modo di considerare come la descrizione dell’evento non possa discendere oltre un determinato livello di dettaglio, dovendo mantenere un certo grado di categorialita’; giacche’ un fatto descritto in tutti i suoi accidentali ragguagli diviene sempre, inevitabilmente, unico ed in quanto tale irripetibile e imprevedibile.
Nel caso di specie, gli eventi tipici (costituiti dai decessi delle vittime addebitati alla condotta informativa dell’imputato) chiedono certamente d’essere ricostruiti, sul piano della prevedibilita’ ex ante, in stretta correlazione ai tratti del decorso causale che s’ipotizza, dovendo certamente ritenersi rilevante, in relazione alla natura della violazione cautelare contestata all’imputato, il nesso tra la negligente o imprudente comunicazione pubblica del rischio sismico, in atto al momento della divulgazione da parte dell’imputato, e gli eventi tipici di omicidio, atteso il considerevole significato (nel rapporto tra la specifica condotta addebitata all’imputato e il decesso delle vittime) dell’incidenza dell’informazione fornita sulla condotta autoprotettiva delle persone offese, nonche’ della verificazione di un terremoto di proporzioni distruttive con il successivo crollo delle abitazioni.
Sotto questo profilo, lo sviluppo argomentativo seguito nella motivazione della sentenza impugnata deve ritenersi del tutto immune da vizi, tanto d’indole giuridica quanto di natura logica, avendo la corte territoriale partitamente affrontato il tema della prevedibilita’ degli eventi tipici di reato, estendendone il riscontro all’esame – come si vedra’ -, tanto dei profili concernenti l’eventuale incidenza della comunicazione del rischio sulla condotta autoprotettiva dei destinatari, quanto della verificazione del terremoto, come evento generico, nonche’ dell’inadeguatezza del patrimonio edilizio della citta’ di L’Aquila in rapporto al rischio di eventi sismici di significativa entita’.
7. L’agente modello. Cio’ posto, definito l’ambito oggettivo della prevedibilita’ ex ante degli eventi di reato, occorre procedere alla determinazione dello specifico punto di vista soggettivo cui predicare la concreta possibilita’ di previsione e di prevenzione degli stessi eventi cosi’ come sin qui individuati.
Sul punto, e’ noto come la giurisprudenza e la dottrina dominanti si rifacciano con regolarita’ a criteri che rifiutano i livelli di diligenza esigibili dal concreto soggetto agente (al fine di non premiare l’ignoranza pericolosa), o dall’uomo piu’ esperto (che condurrebbe a convalidare ipotesi di responsabilita’ oggettiva), o dall’uomo normale (con il rischio di privilegiare prassi scorrette), invitando invece a considerare la condotta esigibile dal c.d. “agente modello” (homo ejusdem professionis et condicionis), ossia al modello rappresentato da un agente ideale in grado di svolgere al meglio, anche in base all’esperienza collettiva, il compito assunto, evitando i rischi prevedibili e le conseguenze evitabili.
La scelta di tale soluzione (inevitabilmente oggettivante) muove dalla considerazione in forza della quale, una volta stabilito che un soggetto intraprenda una determinata attivita’ (tanto piu’ se pericolosa), deve ritenersi che lo stesso assuma anche l’obbligo di acquisire le conoscenze necessarie al fine di svolgerla senza porre in pericolo beni di terzi, o in modo da limitare il pericolo nei limiti del possibile, nel caso di attivita’ pericolose consentite.
E’ stato inoltre sottolineato come la necessita’ di individuare un modello standard di agente si renda ancor piu’ necessaria nei casi in cui manchino regole cautelari codificate, dovendosi di volta in volta determinare un modello di agente in relazione alle singole attivita’ svolte, si’ che lo standard della diligenza, della perizia e della prudenza imposte possa identificarsi con quelle proprie del modello di agente che svolga la stessa professione, lo stesso mestiere, lo stesso ufficio, la stessa attivita’, insomma, dell’agente reale, nelle medesime circostanze concrete in cui quest’ultimo opera.
Il parametro di riferimento non dovra’ quindi identificarsi sulla base di cio’ che forma oggetto del sapere di una ristretta cerchia di specialisti, o di quello acquisito a seguito di ricerche eseguite in laboratori d’avanguardia, ma, per converso, neppure di cio’ che usualmente viene fatto; dovendosi invece aver riguardo a cio’ che “dovrebbe essere fatto” dall’agente standard adeguatamente “concretizzato” (per cosi’ dire) in coerenza al procedimento di progressiva e conveniente approssimazione al caso materiale oggetto d’esame; e cio’, tanto al fine di sfuggire ai surrettizi rischi di convalidazione di forme di responsabilita’ oggettiva, quanto allo scopo di conservare una misura di indispensabile coerenza con il principio di colpevolezza su cui si fonda la soggettiva rimproverabilita’ della condotta contestata a carico dell’agente concreto.
Si e’ parlato, a tale proposito, dell’individuazione di un gruppo di persone “omologhe” all’agente reale (altresi’ definito come “circolo di rapporti”), sufficientemente approssimato al punto da tener conto delle eventuali note caratteristiche (o conoscenze particolari o superiori) dell’agente reale, purche’ assumibili a indici di selezione del circolo di rapporti (e dunque “relativamente” generalizzabili) dal quale poi sara’ mentalmente estrapolato l’esponente coscienzioso e avveduto dal cui punto di vista andranno quindi valutate le effettive possibilita’ di previsione di prevenzione degli eventi tipici di reato.
Entro questi limiti occorre quindi interpretare la necessita’ (piu’ volte rilevata nella giurisprudenza di legittimita’) di tener conto, nel comporre la base del giudizio di rappresentabilita’ dell’evento di reato, (non solo di cio’ che rientri nel “conoscibile”, ma anche) di cio’ che fosse stato concretamente e attualmente conosciuto dall’agente (Sez. 4, n. 25648 del 22/05/2008, Ottonello, Rv. 240859), ovvero del principio secondo cui la prevedibilita’ ex ante dell’evento di reato dev’essere commisurata al parametro dell’agente modello (dell’homo eiusdem professionis et condicionis), arricchito dalle eventuali maggiori conoscenze dell’agente concreto (Sez. 4, n. 37473 del 09/07/2003, Bruno, Rv. 225958).
Nel caso di specie, il giudizio di prevedibilita’ e di prevenibilita’ degli eventi di reato (nella relativa dimensione oggettiva in precedenza definita) chiede d’esser soggettivamente commisurato al parametro dell’agente modello coincidente con il professionista (di grado elevato) del servizio della Protezione Civile impegnato nell’attivita’ di comunicazione pubblica del rischio sismico, ossia nella pubblica divulgazione delle informazioni concernenti i rischi di possibili eventi sismici nelle condizioni (geografiche, storiche, etc.) effettivamente date.
Anche sotto tale profilo, la sentenza impugnata appare del tutto immune da vizi d’indole logica o giuridica, avendo la corte territoriale correttamente evidenziato come, nel condurre il giudizio di colpevolezza, “il giudice deve fare riferimento non a cio’ che normalmente si fa in un determinato contesto spazio-temporale, ma a cio’ che si sarebbe dovuto fare, assumendo, quale parametro di giudizio, il comportamento che, in quelle stesse circostanze spazio-temporali, avrebbe tenuto l’uomo ideale, identificato come l’agente modello, costituito sulla base dell’idea guida dell’homo eiusdem condicionis et professionis, atteso che se un soggetto intraprende un’attivita’, tanto piu’ se inserita, come nel caso di specie, in un contesto di comunicazione sul rischio, ha l’obbligo di acquisire le conoscenze necessarie per svolgerla senza porre in pericolo (o in modo da limitare il pericolo, nei limiti del possibile nel caso di attivita’ consentite) i beni dei terzi. Cio’ in quanto la collettivita’ esige che l’operatore concreto si ispiri a quel modello ideale e faccia tutto cio’ che da questo ci si attende” (pag. 237 della sentenza d’appello).
In breve, “il punto di vista piu’ adeguato attraverso il quale valutare la prevedibilita’ e l’evitabilita’ dell’evento e’ quello di un osservatore ideale esterno diverso dall’agente concreto, che non sia ne’ esponente medio, ne’ esponente espertissimo di un determinato gruppo di persone omologhe all’imputato (circolo di rapporti), ma, bensi’, ne sia esponente coscienzioso e avveduto. Tale figura viene comunemente indicata come agente modello” o come homo eiusdem condicionis et professionis” (pag. 242 della sentenza d’appello).
8. La “comunicazione sociale” del rischio nel contesto della Protezione civile. L’allusione al modello di agente parametrato sull’attivita’ del dirigente del servizio della Protezione Civile impegnato nell’attivita’ di comunicazione pubblica del rischio sismico (qual era il (OMISSIS) al momento del fatto), impone di procedere a un preliminare esame circa il ruolo assegnabile all’attivita’ dell’informazione pubblica nel quadro delle generali competenze di prevenzione del servizio della Protezione Civile.
Sul punto varra’ tener conto dell’esigenza di inquadrare il senso della comunicazione e dell’informazione pubblica, da parte degli organi del dipartimento della Protezione Civile, in una prospettiva che ne accentui la particolare qualificazione funzionale, siccome attivita’ dirette, non gia’ (o non tanto) al banale rilancio di un contenuto informativo (piu’ o meno elaborato sul piano professionale), bensi’ a concorrere alla realizzazione delle specifiche finalita’ operative di prevenzione e di protezione proprie del dipartimento.
Vuole qui alludersi al ruolo funzionale, nell’ambito dell’attivita’ di prevenzione e protezione civile, rivestito dalla gestione e dal controllo, attraverso l’informazione pubblica, dei comportamenti collettivi, come “leva” essenziale per l’impostazione delle policies di tutela collettiva contro i rischi volta a volta affrontati.
Il rilievo – di tale significativita’ da costituire uno degli punti specifici della riscrittura della legge istitutiva del servizio della protezione civile (v. vedi della L. n. 225 del 1992, l’attuale articolo 3, comma 3, la’ dove specifica che “la prevenzione dei diversi tipi di rischio si esplica in attivita’ non strutturali concernenti”, tra le altre, quella dell'”informazione alla popolazione”) – trova un innegabile ed eloquente riscontro nelle parole dello stesso Capo del dipartimento della Protezione civile, (OMISSIS), (se non proprio nello stesso significato da questi assegnato all’iniziativa volta ad attirare sulla citta’ di L’Aquila l’attenzione della pubblica opinione in relazione alla riunione del 31/3/2009) cosi’ come pronunciate in occasione della deposizione dallo stesso resa all’udienza del 15/2/2012 (v. pagg. 147 ss. della sentenza di primo grado).
Nel corso di tale deposizione, il Capo del dipartimento della Protezione civile, dopo aver dichiarato di aver severamente stigmatizzato l’allarmismo diffuso dalle propalazioni che avevano determinato un preoccupante accrescimento del livello di panico nella comunita’ locale, ha altresi’ espressamente riferito di aver rimproverato la scelta dell’amministrazione regionale di smentire le informazioni oggettivamente catastrofiche del (OMISSIS) (e di altri soggetti non identificati) attraverso la diffusione di notizie a loro volta concepite in termini imprudentemente tranquillizzanti, al di la’ della relativa correttezza sul piano scientifico (scelta comunicativa dallo stesso (OMISSIS) definita in udienza come “demenziale”: cfr. pag. 152 della sentenza di primo grado). Un rimprovero che trova la propria obiettiva giustificazione proprio nell’avvertita percezione del rischio di un’inappropriata rassicurazione della pubblica opinione rispetto a rischi collettivi in nessun modo superati o eliminati; una tranquillizzazione suscettibile di compromettere concretamente la conservazione di un (accettabile) livello della tensione emotiva collettiva, a sua volta indispensabile ai fini della funzionale gestione dei meccanismi dell’autoprotezione individuale dei cittadini.
La vicenda vale plasticamente a rappresentare i termini del rilevante spessore “tecnico” della gestione dell’informazione pubblica da parte dell’amministrazione della Protezione Civile, spettando agli organi di quest’ultima il compito di rendere compatibili, con l’obbligo della trasparenza, della correttezza (segnatamente sul piano scientifico) e della verita’ dei contenuti informativi diffusi (certamente ineludibile nel quadro di un sistema democratico liberale, quale quello delineato nella Costituzione repubblicana), la necessita’ del controllo della tensione emotiva della pubblica opinione: da un lato scongiurando l’irrazionalita’ del panico e del disorientamento collettivo (gravemente disfunzionali per la realizzazione dei programmi di prevenzione e di protezione eventualmente adottati), dall’altro rifuggendo dalla pubblica assunzione di atteggiamenti ingiustificatamente consolatori e rassicuranti, tali da incidere negativamente sul fondamentale apporto collaborativo garantito, all’impegno della prevenzione e della protezione civile, dai meccanismi spontanei dell’autoprotezione individuale (quale, ad es., quello di abbandonare i luoghi chiusi al primo avvertimento di scosse sismiche significative).
Puo’ quindi, in breve, sintetizzarsi efficacemente il senso delle considerazioni sin qui svolte rilevando come l’organo della Protezione Civile, che provvede a fornire informazioni alla pubblica opinione circa la previsione, l’entita’ o la natura di paventati eventi rischiosi per la pubblica incolumita’, deve ritenersi a tutti gli effetti protagonista attivo dell’esercizio di una concreta funzione operativa di prevenzione e di protezione, si’ da assumere concretamente, accanto a quello della trasparenza, della correttezza e della verita’ delle informazioni diffuse, tutti gli obblighi connessi all’ottimale gestione della leva dei comportamenti collettivi attraverso la “comunicazione sociale” del rischio (come forma “qualificata” di informazione sull’incidenza di pericoli collettivi); obblighi da assolvere in forme coerenti con le finalita’ (oltre che di informazione “pura”, altresi’) di “guida” del comportamento collettivo, rispettose del delicatissimo crinale che tiene insieme, con il controllo del panico e dell’ansia comuni, la conservazione dei tradizionali meccanismi dell’autoprotezione individuale obiettivamente funzionale: misure spontanee di fondamentale e (talora) decisivo rilievo nella realistica attuazione di qualunque programmazione di prevenzione e di protezione civile.
Appartiene al novero delle conseguenze di tale rilievo l’impegno, imposto dalla natura della comunicazione, a una particolare cura nella scelta dei contenuti e delle forme del linguaggio comunicativo, tenuto conto del contesto sociale di destinazione, psicologicamente turbato e allarmato dalle circostanze del rischio incombente, oltre che sprovveduto (in termini generali) sul piano delle cognizioni scientifiche. E tenuto altresi’ conto della prevedibile e sempre possibile alterazione dei contenuti della comunicazione nell’inevitabile transito attraverso il filtro del sistema mediatico: evenienza tale da imporre il massimo possibile dell’inequivocita’ nella trasmissione del messaggio affidato al rilancio del sistema dell’informazione pubblica.
Correttezza scientifica, chiarezza, univocita’, comprensibilita’, avvedutezza e prudenza assumono in tal senso un ruolo determinante nella qualita’ del “gioco linguistico” della comunicazione del rischio, avuto riguardo alle qualificate finalita’ e all’indole complessa dei relativi piani funzionali, si’ da renderne del tutto distinta la collocazione rispetto ad ogni altro tipo di “gioco linguistico”, in primo luogo di quello propriamente scientifico, per sua natura libero dalle immediate preoccupazioni prudenziali e dalle finalita’ tipiche dell’amministrazione operativa della Protezione civile.
Proprio in tale prospettiva si comprende il senso dell’impianto legislativo che impone la preventiva trasmissione diretta degli elaborati degli organi scientifici della Protezione civili (quale ad es. la Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi) ai relativi organi amministrativi (e non quindi con immediatezza alla fruizione della pubblica opinione) affinche’ questi ultimi abbiano – nell’esercizio delle proprie qualificate competenze operative – a filtrarne i contenuti e ad elaborarne le forme della comunicazione in coerenza al complesso dei profili funzionali e delle finalita’ in precedenza descritte.
Approssimando il discorso alla vicenda oggetto dell’odierno giudizio, deve dunque evidenziarsi come, oltre all’obiettiva prevedibilita’ di eventi sismici in corrispondenza di territori caratterizzati da elevato rischio sismico (come nel caso del territorio aquilano) (cfr. supra par. 5), deve ritenersi appartenere, all’orizzonte di prevedibilita’ del dirigente operativo della Protezione civile, anche la condizionabilita’ dei comportamenti individuali attraverso le informazioni pubblicamente trasmesse sui termini, l’entita’ e la natura del rischio incombente: condizionabilita’ desumibile, con elementare evidenza, dallo stesso significato funzionale delle prerogative d’informazione pubblica attribuite ai compiti della Protezione civile cosi’ come sin qui rilevate (e legislativamente sanzionate).
In altri termini, deve ritenersi che l’ambito di prevedibilita’ dei comportamenti collettivi indotti da un’errata comunicazione del rischio sismico (imprudentemente accentuato, in ipotesi, sul versante della sottovalutazione o della minimizzazione del rischio) deve necessariamente ritenersi comprensivo, secondo l’angolo prospettico dell’agente modello, della possibile contrazione della soglia di tensione dei meccanismi di autoprotezione individuale come correlato del bisogno di rassicurazione in presenza di condizioni psicologiche particolarmente stressate: occorrenza cui certamente appare riconducibile il caso della scelta di permanere all’interno di luoghi chiusi pur in occasione di primi accenni di un fenomeno sismico in atto, che i responsabili della Protezione civile abbiano gia’ imprudentemente sottovalutato o minimizzato (nella diffusione dell’informazione pubblica) sotto il profilo della relativa pericolosita’ o rischiosita’.
Una simile condizionabilita’ dei comportamenti, se appare immediatamente intuibile in termini empirici sulla base delle generali cognizioni del funzionario (di grado e responsabilita’ elevati) della Protezione civile (rilievo gia’ di per se sufficiente, ai fini del riscontro dei requisiti di prevedibilita’ dell’evento di reato), ricevera’ inoltre conferma anche sul piano piu’ definito della causalita’ generale e di quella individuale, cosi’ come emergera’ dal prosieguo del successivo discorso.
Le considerazioni esposte consentono di formulare il principio in forza del quale “l’organo della Protezione civile, che provvede a fornire informazioni alla pubblica opinione circa la previsione, l’entita’ o la natura di paventati eventi rischiosi per la pubblica incolumita’, esercita una concreta funzione operativa di prevenzione e di protezione, ed e’ a tal fine tenuto ad adeguare il contenuto della comunicazione pubblica a un livello ottimale di trasparenza e correttezza scientifica delle informazioni diffuse, e ad adattare il linguaggio comunicativo ai canoni della chiarezza, oggettiva comprensibilita’ e inequivocita’ espressiva”.
9. L’esame della prevedibilita’ dell’evento nella sentenza d’appello. definita in termini generali l’obiettiva prevedibilita’ dei diversi passaggi causali costituiti dall’effettiva condizionabilita’ dei comportamenti collettivi (attraverso la comunicazione sociale del rischio) e dalla concreta possibilita’ di eventi sismici distruttivi in corrispondenza di territori segnalati come ad elevato rischio sismico, deve ritenersi altresi’ ricompresa gia’ in termini astratti, al bagaglio delle conoscenze esigibili dall’agente modello corrispondente alla posizione dell’odierno imputato (e dunque ai relativi margini di prevedibilita’), la stessa adeguatezza antisismica (e dunque la vulnerabilita’) del patrimonio edilizio proprio dei territori sottoposti a vigilanza, nel quadro delle contingenti attivita’ di prevenzione concretamente in corso; appare d’intuitiva ed elementare evidenza, infatti, l’impossibilita’ di procedere ad alcun apprezzamento (e gestione) dei rischi sismici in assenza di una preventiva valutazione delle capacita’ di “tenuta” del territorio (inteso nella sua piu’ larga e comprensiva accezione) operativamente soggetto a osservazione.
Cio’ posto, una volta accertata in termini positivi l’obiettiva prevedibilita’, da parte dell’agente modello identificato, dell’evento di reato nella sua comprensiva descrizione (estesa ai termini del decorso causale connesso alla natura della regola cautelare contestata come violata dall’agente), occorrera’ procedere sulla scorta delle sollecitazioni critiche contenute nei motivi d’impugnazione degli odierni ricorrenti – alla verifica della corretta trasposizione, ad opera della corte territoriale, dei principi generali sin qui richiamati all’esame del caso di specie.
E invero, la corte territoriale, dopo aver sinteticamente riassunto le circostanze di fatto relative al ruolo rivestito dal (OMISSIS) nella complessiva vicenda relativa alla riunione del 31/3/2009 in L’Aquila, ha plausibilmente sottolineato, sotto il profilo della prevedibilita’ degli eventi di reato, come appartenesse all’ambito di consapevolezza dell’imputato la circostanza che le sue parole avrebbero raggiunto una significativa platea di ascoltatori, avendo lo stesso affidato la propria comunicazione sul rischio a un’intervista videoripresa destinata ad essere diffusa tramite canali televisivi; strumenti di comunicazione in quei giorni particolarmente frequentati dalla popolazione aquilana in ragione della diffusa condizione di disagio e di preoccupazione determinata dallo sciame sismico in atto da molti mesi.
In modo congruamente persuasivo, sotto il profilo logico, la corte territoriale, dopo aver sottolineato la consapevole valenza oggettivamente rassicurante delle affermazioni rese nel corso di detta intervista (valenza su cui avra’ modo di tornarsi), ha sottolineato come l’imputato avrebbe dovuto (e potuto) necessariamente prevedere che le proprie parole avrebbero prodotto un effetto tranquillizzante sui destinatari del messaggio.
Al riguardo, la sentenza impugnata ha richiamato il valore eloquentemente rappresentativo degli elementi di prova (segnatamente identificati nelle dichiarazioni rese in sede dibattimentale dal Capo della Protezione civile) dai quali e’ emersa con certezza l’occorrenza secondo cui l’organizzazione della riunione nella citta’ di L’Aquila per la data del 31/3/2009 era stata propriamente finalizzata all’obiettivo di fornire alla popolazione aquilana un messaggio di rassicurazione.
Nell’esprimere quegli specifici concetti affidati all’intervista televisiva, insomma, l’imputato ben sapeva – secondo la coerente argomentazione articolata dalla corte territoriale – “che era necessario farlo per tranquillizzare la popolazione”, con la conseguente sua piena consapevolezza dell’incidenza che le proprie parole avrebbero avuto sui comportamenti di coloro che lo ascoltavano.
In breve, poiche’ la condotta posta in essere aveva un fine (quello di rassicurare i cittadini), e’ di tutta evidenza che colui che la realizzo’ agi’ nella consapevolezza che con essa quel fine egli avrebbe potuto raggiungere”, tanto piu’ in ragione del ruolo di assoluta responsabilita’ ricoperto dall’imputato, presentatosi a L’Aquila quale massima autorita’ (in quel momento) della Protezione civile e dunque come “l’organo al quale lo Stato aveva affidato il compito, lato sensu, di protezione dei cittadini in occasione del verificarsi di grandi rischi” (pp. 261 s. sentenza della Corte di Appello).
Quanto alla prevedibilita’, da parte dell’imputato, della circostanza che i cittadini aquilani (o almeno alcuni di essi) avrebbero mutato le proprie abitudini in conseguenza delle rassicurazioni dallo stesso fornite, la corte territoriale ha richiamato il valore della massima di esperienza (su cui avra’ modo di tornarsi in occasione dell’esame del nesso di condizionamento causale tra la condotta dell’imputato e gli eventi lesivi allo stesso ascritti) in forza dei quali l’elevata credibilita’ del messaggio proveniente da una fonte particolarmente attendibile e qualificata (come quella scientifica) assume una potente attitudine di condizionamento del comportamento dei destinatari, come eloquentemente confermato dalla stessa decisione di politica di gestione del rischio assunta dal Capo del dipartimento della Protezione civile di convocare i massimi scienziati nel campo della sismologia alla riunione del 31/3/2009; iniziativa propriamente concepita al fine di rendere avvertita l’opinione pubblica del carattere ingiustificato del panico diffusosi a seguito delle erronee previsioni del (OMISSIS) (e di altri soggetti non identificati), sulla base dell’espressione delle piu’ alte autorita’ nel campo scientifico.
In altre parole – secondo le coerenti e argomentate considerazioni della corte territoriale -, l’imputato, “utilizzando la normale diligenza, avrebbe dovuto prevedere che gli aquilani avrebbero interpretato le sue parole come fossero direttamente riferibili alla CGR, in considerazione delle modalita’ di tempo dell’intervista (effettuata a ridosso di una riunione ampiamente pubblicizzata) e del luogo nel quale essa fu rilasciata (lo stesso nel quale si sarebbe tenuta, di li’ a breve, la ridetta riunione)”. Conseguentemente, in termini pienamente coerenti, la corte territoriale ha sottolineato come l’analisi dell’orizzonte di prevedibilita’ dell’imputato continuasse “a ruotare intorno a quelle che erano le finalita’ rassicurative dell’operazione mediatica messa in piedi dal dipartimento della Protezione civile. Finalita’ che furono perseguite nella profonda consapevolezza, da parte dell’organismo (in quel contesto rappresentato da (OMISSIS)) che i cittadini aquilani attendevano notizie certe e che in base a queste avrebbero regolato i loro comportamenti (d’altro canto, non si vede per quale ragione si debba attendere ansiosamente un’informazione, se non al fine di modellare il proprio agire sulla base di essa)” (v. pag. 264 sentenza della Corte di Appello).
A tal fine, la corte territoriale ha correttamente ribadito come, ai fini del giudizio di prevedibilita’, non occorre che l’agente si sia specificamente rappresentato l’evento dannoso concretamente realizzatosi, essendo sufficiente che egli abbia potuto ipotizzare che la propria condotta potesse dar vita a una situazione o categoria di danno, e che la soglia di prevedibilita’ non e’ costituita dalla certezza scientifica, ma dalla probabilita’ o anche della sola possibilita’ (purche’ fondata su elementi concreti e non solo congetturali) che le conseguenze si producano (pag. 264 sentenza d’appello e supra par. 5).
Da ultimo, in termini pienamente lineari sul piano logico, la corte territoriale ha sottolineato come l’imputato ben fosse cosciente della grave sismicita’ del territorio aquiliano (circostanza dallo stesso riferita nell’intervista oggetto d’esame), con la conseguente piena prevedibilita’, da parte dello stesso, della concreta (e non meramente congetturale) possibilita’ di un forte terremoto a L’Aquila, pur senza poterne prevedere con precisione e certezza ne’ il momento o l’esatta entita’, ma per cio’ stesso non potendo neppure escluderne la relativa possibile verificazione.
Allo stesso modo, il giudice d’appello ha sottolineato l’assoluta prevedibilita’, da parte del (OMISSIS), del crollo degli edifici nei quali si trovavano le vittime al momento del terremoto, tenuto conto che lo stesso era a conoscenza (o avrebbe certamente dovuto esserlo) di quegli elementi di valutazione specificati nella sentenza di primo grado costituiti dal c.d. rapporto (OMISSIS) (Censimento di vulnerabilita’ degli edifici pubblici strategici e speciali nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia) promosso dal dipartimento della Protezione civile; nonche’ dall’articolo pubblicato nel 2007, a firma del (OMISSIS), del (OMISSIS) e del (OMISSIS), dal titolo “difendersi dai terremoti: la prevenzione sismica in Italia”, nel quale si dava atto dell’estrema vulnerabilita’ del patrimonio edilizio nazionale e si prevedeva che in caso di evento sismico a L’Aquila di intensita’ pari al massimo storico registrato le vittime sarebbero state tra le 4000 e le 14.500.
Sul punto, del tutto correttamente la corte territoriale ha in ogni caso sottolineato come, sotto il profilo della prevedibilita’ degli eventi, non occorresse dimostrare che l’imputato fosse a conoscenza delle specifiche criticita’ degli edifici privati aquilani (e non solo di quelli pubblici), essendo sufficiente accertare che lo stesso avesse un quadro di conoscenze anche approssimative che gli permettesse di prevedere la possibilita’ di crolli, trattandosi in ogni caso di edifici costruiti antecedentemente all’entrata in vigore della prima legge organica in materia di edilizia antisismica e, dunque, con tecniche inadeguate (v. pag. 267 sent. appello).
10. L’evitabilita’ dell’evento. L’esame sul punto nella sentenza impugnata. Si e’ in precedenza rilevato come, accanto alla prevedibilita’ dell’evento di reato (nella sua corretta descrizione sul piano tipico), costituisca parametro indispensabile, ai fini della costruzione della norma cautelare (sotto il profilo della colpa generica), il requisito della relativa evitabilita’ mediante l’adozione del comportamento appropriato.
Al riguardo, vale evidenziare come la giurisprudenza delle Sezioni unite di questa corte abbia di recente ribadito che l’articolo 43 c.p. adotta, sul punto, una formula ricca di significato: il delitto e’ colposo quando l’evento non e’ voluto e “si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia”. Viene cosi’ chiaramente in luce, e con forza, il profilo causale della colpa, che si estrinseca in diverse direzioni.
E’ da tempo chiaro che la responsabilita’ colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma e’ limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire. Tale esigenza conferma l’importante ruolo della prevedibilita’ e prevenibilita’ nell’individuazione delle norme cautelari alla cui stregua va compiuto il giudizio ai fini della configurazione del profilo oggettivo della colpa. Si tratta di identificare una norma specifica, avente natura cautelare, posta a presidio della verificazione di un altrettanto specifico evento, sulla base delle conoscenze che all’epoca della creazione della regola consentivano di porre la relazione causale tra condotte e risultati temuti; e di identificare misure atte a scongiurare o attenuare il rischio. L’accadimento da impedire deve cioe’ essere proprio tra quelli che la norma di condotta tende ad evitare, deve costituire la concretizzazione del rischio. L’individuazione di tale nesso consente di sfuggire al pericolo di una connessione meramente oggettiva tra regola violata ed evento; di una configurazione dell’evento come condizione obiettiva di punibilita’. Come si e’ sopra esposto, la valutazione in questione richiede di valutare gli anelli significativi della catena causale.
Ma la rilevanza del profilo causale si mostra anche da un altro punto di vista che attiene all’indicato momento soggettivo, quello cioe’ piu’ strettamente aderente al rimprovero personale. Affermare, come fa l’articolo 43 c.p., che per aversi colpa l’evento deve essere stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole implica che l’indicato nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) non avrebbe comunque evitato l’evento. Si ritiene da piu’ parti, condivisibilmente, che non sarebbe razionale pretendere, fondando poi su di esso un giudizio di rimproverabilita’, un comportamento che sarebbe comunque inidoneo ad evitare il risultato antigiuridico. Tale assunto rende evidente la forte connessione esistente in molti casi tra le problematiche sulla colpa e quelle sull’imputazione causale. Infatti, non di rado le valutazioni che riguardano lo sviluppo causale si riverberano sul giudizio di evitabilita’ in concreto.
Ai fini del presente discorso, muovendo dalla condotta concreta contestata all’imputato e dando preliminarmente per scontato, ipoteticamente, che il nesso di causalita’ materiale con gli eventi lesivi allo stesso ascritti sia stato gia’ riscontrato (tema su cui avra’ modo di soffermarsi piu’ avanti), la causalita’ di cui qui si parla e’ appunto quella della colpa. Essa si configura non solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l’esito antigiuridico, ma anche quando una condotta appropriata aveva apprezzabili, significative probabilita’ di scongiurare il danno. Su tale assunto la riflessione giuridica e’ sostanzialmente concorde, anche se non mancano diverse sfumature in ordine al livello di probabilita’ richiesto per ritenere l’evitabilita’ dell’evento. In ogni caso, non si dubita che sarebbe irrazionale rinunziare a muovere l’addebito colposo nel caso in cui l’agente abbia omesso di tenere una condotta osservante delle prescritte cautele che, sebbene non certamente risolutiva, avrebbe comunque significativamente diminuito il rischio di verificazione dell’evento o (per dirla in altri, equivalenti termini) avrebbe avuto significative, non trascurabili probabilita’ di salvare il bene protetto (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, cit.).
Nel caso di specie, il tema oggetto dell’esame condotto sul punto dalla corte territoriale e’ propriamente consistito nella verifica delle concrete, significative o non trascurabili, possibilita’ che una corretta comunicazione del rischio da parte dell’imputato avrebbe avuto di scongiurare gli eventi lesivi allo stesso addebitati;
in particolare, nel domandarsi se l’ottimale comunicazione del rischio sismico, funzionale alla conservazione dei tradizionali comportamenti autoprotettivi dei cittadini aquiliani, avrebbe potuto impedire (anche sul piano della significativa diminuzione dei rischi di verificazione) il decesso delle vittime come conseguenza della concatenazione causale degli eventi in precedenza descritti.
Sul punto, la motivazione elaborata dalla corte territoriale si segnala per l’inappuntabile correttezza del ragionamento logico seguito, avendo i giudici d’appello coerentemente e in modo argomentato sottolineato la sicura indubitabilita’ del fatto che, ove la condotta imprudente non fosse stata tenuta dall’imputato, e ove egli avesse mantenuto un profilo di maggiore prudenza nel corso dell’intervista (omettendo di riferire quei concetti rassicuranti capaci di incidere negativamente sul livello di attenzione e di precauzione propri dei tradizionali comportamenti autoprotettivi dei cittadini), l’evento non si sarebbe verificato.
La Corte di Appello, pur riconoscendo la naturale connessione del tema con quello relativo al nesso di causalita’ (opportunamente rinviando alla trattazione di quest’ultimo per l’integrazione delle argomentazioni offerte alla lettura), ha significativamente evidenziato come, attraverso l’approfondito esame delle risultanze dibattimentali, fosse rimasto pienamente comprovato, per alcune delle persone offese, che esse recepirono quale messaggio rassicurante proprio quello proveniente dalle parole dell’imputato, e non quello derivante da altre fonti, e che decisero di non abbandonare le loro abitazioni, cosi’ rimanendo coinvolte nel loro crollo, proprio dopo avere percepito ed elaborato tale messaggio, confermando, per tale specifico profilo (in forza delle ragioni successivamente esplicitate e che costituiranno materia del successivo discorso anche di questa corte di legittimita’), che senza la percezione sensoriale e intellettiva, delle parole del (OMISSIS), la decisione delle vittime di rimanere nelle case non sarebbe stata assunta.
Tali rilievi equivalgono a dire che, ove l’imputato non avesse detto cio’ che invece disse, e se, in sostanza, avesse diligentemente informato il proprio messaggio a uno standard d’indiscutibile correttezza scientifica e di piu’ accorta prudenza, circa la ragionevole valutazione (non spregiudicatamente favorevole) degli eventi e di assenza di pericolosita’, le morti non si sarebbero verificate, perche’ quei cittadini aquilani avrebbero continuato ad adottare, nel corso della notte tra il 5 e il 6 aprile 2009, le precauzioni conosciute. Ovvero, in altri termini, in accordo con gli orientamenti sul punto della giurisprudenza di legittimita’, sarebbe significativamente diminuito il rischio di verificazione degli eventi lesivi o vi sarebbero state significative, non trascurabili, probabilita’ di salvare i beni protetti (cfr., da ultimo, Sez. 4, n. 31980 del 06/06/2013, Nastro, Rv. 256745).
La corte territoriale ha dunque correttamente e plausibilmente sottolineato come gli eventi lesivi ascritti all’imputato non si sarebbero verificati (o, quanto meno, avrebbero avuto significative e non trascurabili probabilita’ d’esser scongiurati) ove l’intervento istituzionale del rappresentante della Protezione civile (concretizzatosi nella condotta informativa oggetto d’esame), nel tentativo di attenuare il livello del panico diffuso dalle allarmistiche propalazioni del (OMISSIS) (e di altri terzi), non avesse concretamente e imprudentemente alterato il funzionale equilibrio autoprotettivo gia’ spontaneamente realizzatosi in ambito collettivo.
Si tratta di un discorso giustificativo solidamente elaborato dal giudice d’appello, corretto sul piano giuridico, oltre che lineare e coerente in termini logici, tale da escludere la ravvisabilita’ di alcuno dei vizi infondatamente denunciati sul punto dagli odierni ricorrenti.
E’ appena il caso di segnalare l’opportunita’ del rinvio dell’esame delle censure critiche dei ricorrenti, circa la consistenza o il valore euristico delle massime di esperienza richiamate dalla corte territoriale a fondamento del rapporto di condizionamento tra la condotta comunicativa dell’imputato e la decisione delle vittime di permanere nella propria abitazione nella notte tra il 5 e il 6/4/2009, trattandosi di un tema suscettibile di ricevere, nel contesto del discorso che si andra’ svolgendo sul nesso di causalita’, le risposte piu’ adeguate e approfondite.
11. La violazione della norma cautelare da parte dell’imputato. Il giudizio d’infondatezza dei motivi d’impugnazione sollevati (dall’imputato e dal responsabile civile) in relazione al procedimento di identificazione della norma cautelare deve ritenersi comune a quello concernente le doglianze avanzate in ordine alla valutazione concreta operata dalla Corte di Appello circa il carattere colposo della condotta contestata all’imputato, ossia della relativa contrarieta’ al parametro cautelare espressivo del contegno appropriato, concretamente esigibile.
Sul punto, varra’ segnalare come i ricorrenti abbiano per lo piu’ circoscritto il proprio discorso critico sulla sentenza impugnata a una discordante lettura delle evidenze acquisite nel corso del giudizio, in difformita’ rispetto alla complessiva ricostruzione operata dai giudici di merito, limitandosi a dedurre i soli elementi astrattamente idonei a supportare la propria alternativa rappresentazione del fatto (peraltro, in modo solo parziale, selettivo e non decisivo), senza farsi carico della complessiva riconfigurazione dell’intera vicenda sottoposta a giudizio, sulla base di tutti gli elementi istruttori raccolti, che, viceversa, la Corte di Appello (sulla scia del discorso giustificativo dettato dal primo giudice) ha ricostruito con adeguata coerenza logica e linearita’ argomentativa.
In tema, e’ appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimita’, ai sensi del quale la modificazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006 consente la deduzione del vizio del travisamento della prova la’ dove si contesti l’introduzione, nella motivazione, di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia. Il sindacato della corte di cassazione resta tuttavia quello di sola legittimita’, si’ che continua a esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, avuto riguardo all’intangibilita’ della valutazione nel merito del risultato probatorio (v., ex multis, Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207; Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, P.G. in proc., Vignaroli, Rv. 236893).
Da cio’ consegue che gli altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame menzionati dal testo vigente dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, disarticolandone la costruzione al punto da evidenziarne la manifesta illogicita’, rimanendo esclusa la possibilita’ che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, Servidei, Rv. 237652).
Cio’ posto, in termini pienamente coerenti sul piano logico e lineari in chiave argomentativa, la corte territoriale ha sottolineato come l’imputato, attraverso l’intervista che rilascio’ all’emittente locale TV1 prima dell’inizio della riunione degli esperti del 31/3/2009, provvide a trasmettere ai cittadini aquilani, senza verificarne preventivamente la fondatezza scientifica, notizie non corrette e imprecise, sia sulla rilevanza dell’attivita’ sismica in atto, sia sui suoi possibili sviluppi, affermando che lo sciame in corso si collocava in una fenomenologia senz’altro normale dal punto di vista dei fenomeni sismici che ci si doveva aspettare, che non vi era pericolo e che la situazione era favorevole essendo in atto uno scarico di energia continuo.
Cosi’ facendo, l’imputato venne negligentemente meno ai doveri di corretta informazione che su di lui incombevano, quale massimo rappresentante (in quel contesto spazio-temporale) del dipartimento della Protezione civile, in assenza del Capo del dipartimento.
Proprio la portata tranquillizzante delle notizie cosi’ propalate dall’imputato indusse un considerevole numero di persone a mutare le proprie abitudini in presenza di fenomeni sismici e, dunque, a rimanere in casa anziche’, come accaduto in occasione di precedenti scosse, abbandonare le proprie abitazioni per recarsi in luoghi sicuri; persone che trovarono la morte nel crollo degli edifici nei quali erano rimaste nonostante il verificarsi delle due scosse di magnitudo 3.9 (delle ore 22,48 del 5 aprile) e 3.5 (delle ore 00,39 del 6 aprile) che precedettero quella disastrosa delle ore 03,32.
Nell’articolare il discorso giustificativo dettato con riguardo ai profili di colpa dell’imputato, la corte territoriale ha sottolineato gli aspetti della relativa negligenza per essersi il (OMISSIS) determinato, pur non essendo un esperto in materia sismica, ad esprimere valutazioni scientifiche prima ancora di aver acquisito il parere degli scienziati convocati e, dunque, senza possedere le necessarie conoscenze in ordine al fenomeno in corso, omettendo di verificare la correttezza dei concetti che si accingeva ad esprimere, soprattutto alla luce della propria conclamata (e piu’ volte rivendicata) incompetenza in materia sismologica.
Sotto altro profilo, la Corte di Appello ha evidenziato le forme dell’imprudenza riconoscibili nella condotta dell’imputato, per avere questi inopportunamente fornito alla popolazione aquilana notizie comunque rassicuranti, senza che ve ne fossero i presupposti, sia per l’oggettiva imprevedibilita’ degli sviluppi concreti e specifici dei fenomeni sismici, sia per l’infondatezza scientifica delle affermazioni relative alla positiva valutazione dei presunti effetti dello “scarico di energia”.
Del tutto opportunamente, la corte territoriale ha evidenziato come al (OMISSIS) non competesse l’onere di effettuare analisi o valutazioni dei rischi relativi ai fenomeni sismici in corso, non facendo lo stesso parte della Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi, ne’ essendo uno degli esperti chiamati a esprimere le proprie valutazioni nel corso della riunione del 31/3/2009.
Al (OMISSIS), viceversa, spettava (quale rappresentante, quel giorno, del soggetto istituzionale “fruitore” delle valutazioni tecniche degli scienziati) propriamente il compito di fornire ai cittadini, sulla base di dette valutazioni tecniche, le informazioni ritenuti utili nell’ottica della strategia comunicativa del dipartimento (sul punto ulteriori considerazioni saranno svolte infra Parte III, par. 6).
Cio’ posto, in modo logicamente consequenziale, la Corte di Appello ha evidenziato la sostanziale imprudenza della condotta tenuta dall’imputato, per aver anticipato, nel corso dell’intervista che precedette la riunione, valutazioni tecnico-scientifiche che non competeva a lui sviluppare, senza neppure chiarire, in occasione dell’intervista rilasciata a seguito della richiamata riunione, i concetti erronei precedentemente espressi, pur avendo gli scienziati fornito, nel corso della detta riunione, valutazioni non in linea con gli stessi.
Occorre evidenziare, infatti – sulla scorta del coerente e plausibile ragionamento condotto dalla corte territoriale (rispetto al quale nessun pregio puo’ essere ascritto alla diversa prospettazione in fatto degli odierni ricorrenti) -, come nel corso dell’intervista successiva alla riunione del 31/3/2009, l’imputato, pur non riproponendo le proprie teorie sul significato favorevole dello scarico di energia e sull’assenza di pericoli, non ritenne comunque di dover fornire precisazioni e chiarimenti sull’evidente diversita’ di contenuti tra le due interviste.
Quanto alla radicale improprieta’ scientifica del concetto di “scarico di energia” (come fenomeno asseritamente qualificabile in termini favorevoli e propizi, in relazione ai possibili sviluppi dei fenomeni sismici in atto) – concetto utilizzato dall’imputato nel corso dell’intervista rilasciata prima della riunione del 31/3/2009 -, la Corte di Appello ha evidenziato l’infondatezza delle tesi sostenute dal (OMISSIS) (e ribadite ancora in questa sede) circa la relativa corrispondenza a indicazioni in tal senso pretesamente fornite dalla comunita’ scientifica nel corso degli anni.
Sul punto, i giudici di secondo grado hanno argomentatamente sottolineato il carattere non particolarmente significativo dei precedenti arresti scientifici rivendicati dall’imputato, trattandosi di opinioni per lo piu’ assai risalenti nel tempo, espresse da soggetti non esperti nel campo dei terremoti e tratte da episodici lanci d’agenzia (e non gia’ da pubblicazione scientifiche); in quanto tali, non rappresentativi (in modo certo e controllabile) del pensiero scientifico internazionale.
Al contrario, in modo congruamente argomentato, la corte territoriale ha sottolineato come proprio le testimonianze rese dai piu’ autorevoli studiosi dei fenomeni sismici (acquisite al dibattimento) avessero “bollato” come “una sciocchezza” (o comunque come un assunto scientificamente scorretto) la possibilita’ di interpretare lo “scarico di energia” (di per se’ banalmente espressivo dell’elementare liberazione di energia che inevitabilmente accompagna ogni terremoto) come un fenomeno “favorevole” o propizio in relazione ai futuri sviluppi di uno sciame sismico.
Al di la’ delle valutazioni scientifiche esprimibili sul punto, in ogni caso, la conclamata incompetenza dell’imputato ne avrebbe comunque imposto secondo l’equilibrata e pertinente valutazione fatta propria dalla corte territoriale – l’astensione dall’esplicitarne (in un contesto di pubblica informazione sul rischio) il rilievo favorevole, circondandolo da esplicite allusioni all’indole propizia e (sostanzialmente) positiva in relazione ai prevedibili sviluppi del fenomeno sismico in atto.
Cosi’ come avrebbe imposto all’imputato di non insistere sull’asserita “normalita’” dello sciame sismico in corso, senza avvedersi che tale nozione avrebbe potuto al piu’ essere utilizzata (come peraltro avvenuto, secondo i puntuali richiami contenuti nella sentenza impugnata) unicamente in un contesto dialettico qualificato sotto il profilo scientifico, e non certo in occasione di una delicatissima comunicazione pubblica sull’entita’ del rischio sismico, senza incorrere nel pericolo di provocare (per l’assoluta incompetenza specifica dei destinatari) proprio quei tragici fraintendimenti che viceversa puntualmente condussero alla concreta verificazione degli eventi luttuosi oggetto d’esame.
Parimenti connotata da innegabile negligenza e imprudenza deve ritenersi secondo la coerente valutazione sul punto espressa nella sentenza impugnata l’affermazione resa dall’imputato (in occasione della ridetta intervista) in ordine all’assenza di pericoli nella situazione in corso, trattandosi di dichiarazione del tutto gratuita e integralmente destituita di fondamento scientifico, come al riguardo congruamente sottolineato dalla corte territoriale, segnatamente in relazione alle specifiche caratteristiche di sismicita’ del territorio aquiliano.
Devono essere inoltre integralmente condivisi – per la logica coerenza e la plausibilita’ dell’argomentazione che li sostiene – i passaggi dedicati dalla Corte di Appello (sulle orme del conforme giudizio espresso dal giudice di primo grado) circa il carattere “tranquillizzante” delle pubbliche dichiarazioni rese dall’imputato, avendo entrambi i giudici del merito correttamente evidenziato gli aspetti di obiettiva rassicurazione delle parole scelte dal (OMISSIS), in occasione dell’intervista oggetto d’esame, per avere quest’ultimo ritenuto (per cosi’ dire) di “calcare la mano” sul profilo prognostico del proprio messaggio, in un senso suscettibile di lasciarne apprezzare gli aspetti di favorevole assenza di pericoli, vieppiu’ confortata dal riferimento a una “normalita’” della situazione, tale da giustificare (“assolutamente”, secondo le parole dell’imputato) l’immagine (“enologica”) del brindisi, capace di infondere negli ascoltatori l’idea benaugurante di una positiva evoluzione del drammatico contesto che essi stavano vivendo.
In breve, il (OMISSIS), allo scopo di contrastare gli effetti di grave tensione creati nei giorni precedenti la riunione del 31/3/2009 dalle allarmistiche propalazioni del (OMISSIS) (e degli altri soggetti non identificati), ha finito coll’accentuare a dismisura (e ingiustificatamente) la dimensione rassicurante della comunicazione sociale del rischio, negligentemente e imprudentemente trascurando gli opposti pericoli, che andava inevitabilmente insinuando, sul piano del controllo dei meccanismi dell’autoprotezione individuale.
Quanto infine alla concreta esigibilita’ della condotta appropriata da parte dell’imputato, osserva il collegio come le argomentazioni sul punto elaborate dalla corte territoriale debbano ritenersi del tutto immuni da vizi d’indole logica o giuridica, avendo i giudici d’appello correttamente evidenziato come il (OMISSIS) ben avrebbe potuto prevedere in concreto, nella situazione descritta, l’effetto che ogni affermazione rassicurante avrebbe potuto esercitare sulle decisioni dei cittadini in relazione alle cautele da adottare in concomitanza con un possibile (siccome da lui prevedibile) fenomeno sismico.
L’imputato, infatti, lungi dal vestire i panni di un quisque de populo accidentalmente incaricato di svolgere una certa funzione, aveva gia’ assunto, all’epoca dei fatti, la carica di Vice Capo Operativo della Protezione civile e quella di facente-funzione (nella fattispecie concreta) del Capo del dipartimento.
Si trattava dunque, di un soggetto particolarmente qualificato, capace di discernere (al di la’ dell’incompetenza specifica) il carattere controverso o meno delle informazioni scientifiche che si arrischiava a diffondere, ben consapevole dei delicati meccanismi destinati a innescarsi tra le popolazioni interessate a fenomeni di elevato rischio collettivo, e infine certamente edotto sulle regole che presidiano l’attivita’ informativa in simili contesti rimessa alla responsabilita’ del servizio della Protezione civile.
Rispetto ai canoni di prevedibilita’ ed evitabilita’ degli eventi lesivi, e in spregio alla concreta esigibilita’ del comportamento appropriato, del tutto correttamente i giudici del merito hanno ritenuto la condotta contestata all’odierno imputato certamente affetta da innegabili profili di colpa, avendo lo stesso, attraverso le proprie dichiarazioni pubbliche, propriamente deluso l’enorme attesa di affidabilita’ scientifica collettivamente riposta negli apporti dell’istituzione della Protezione civile, in tal modo “tradendo” il senso degli oggettivi limiti scientifici di prevedibilita’ del rischio sismico, cosi’ di fatto vanificando, per la precipitosita’ (e l’erroneita’) del messaggio diffuso, il delicato compito di valutazione affidato agli effettivi protagonisti della riunione del 31/3/2009.
Il discorso giustificativo della corte territoriale, cosi’ complessivamente riassunto dall’articolata esposizione della sentenza d’appello, deve dunque ritenersi completo, esauriente, corretto in ogni sua parte sotto il profilo giuridico, e finemente elaborato sul piano logico nel rispetto di un’apprezzabile misura di coerenza e adeguatezza argomentativa, si’ da sottrarsi integralmente a ciascuna delle censure sul punto sollevate dagli odierni ricorrenti.
12. Il nesso di causalita’. Le questioni sollevate. Il tema del nesso di causalita’ tra la condotta del (OMISSIS) e gli eventi lesivi allo stesso addebitati e’ stato investito dalle impugnazioni proposte dallo stesso (OMISSIS), dal responsabile civile, nonche’ da ciascuno dei ricorsi avanzati dalle parti civili in relazioni alle quali detto nesso di causalita’ e’ stato escluso dalla sentenza del giudice d’appello.
In termini sintetici, i punti critici che hanno toccato il discorso sulla causalita’ hanno riguardato, dalla prospettiva dell’imputato e del responsabile civile: 1) l’incidenza decisiva (e asseritamente assorbente) dei fattori intermedi che hanno provveduto alla veicolazione del messaggio tra la comunicazione pubblica dell’imputato e i relativi destinatari; 2) l’asserita inconfigurabilita’ della c.d. causalita’ psichica (ricostruita sulla base delle massime di esperienza utilizzate) nell’ambito dei reati colposi, o comunque nelle ipotesi non riconducibili al concorso di persone nel reato o nei casi di condotta lecita del soggetto indotto; 3) l’assoluta eccezionalita’ di ciascuno degli eventi intermedi successivi alla diffusione del messaggio dell’imputato, suscettibili di incidere in termini risolutivi sul nesso di derivazione causale; eventi intermedi rappresentati dalla condotta delle vittime, dall’evento sismico in concreto verificatosi, nonche’ dal crollo degli edifici aquilani.
Diversamente, dalla prospettiva di ciascuna delle parti civili ricorrenti, il discorso critico ha investito ciascuno dei punti connessi alla valutazione del risultato probatorio fatto proprio dal giudice d’appello in ordine all’effettiva riconducibilita’, al fatto dell’odierno imputato, della condotta tenuta, nella notte del 6 aprile del 2009, dalle vittime per le quali e’ stata disattesa l’istanza risarcitoria.
13. Il ruolo dei mass-media e il rapporto delle vittime con le comunicazioni dell’imputato. Nell’economia della successiva esposizione, un carattere preliminare e dirimente dev’essere ascritto all’esame relativo all’asserita incidenza decisiva dei fattori intermedi intervenuti tra la comunicazione pubblica del (OMISSIS) e il relativo ricevimento da parte dei destinatari: di nessun possibile collegamento causale potrebbe infatti discutersi, in questa sede, la’ dove fosse adeguatamente comprovata l’avvenuta ricezione, da parte delle vittime, di un contenuto informativo non ragionevolmente riferibile alle parole contestate all’imputato, per effetto di un’ipotetica diffusione, ad opera degli strumenti di comunicazione di massa, di una forma del tutto distorta del relativo messaggio.
Sul punto, la corte territoriale, nel provvedere all’analitica valutazione, caso per caso, dei distinti elementi di prova acquisiti in relazione a ciascuna delle vittime in relazione alle quali e’ stata riconosciuta la sussistenza del nesso di causalita’, ha specificato come, sulla base delle dichiarazioni testimoniali acquisite, fosse emerso che ognuna delle vittime de quibus riferi’ espressamente di aver recepito i contenuti informativi diffusi dal (OMISSIS), tanto in modo diretto (alludendo propriamente alla persona dell’imputato come all’autore dei messaggi rassicuranti ricevuti), quanto in modo indiretto, ossia attraverso la ripetizione (talora pedissequa) delle medesime parole e degli stessi concetti che solo l’imputato, nella comunicazione televisiva pubblicamente trasmessa, aveva propalato in termini corrispondenti.
Tanto vale, in modo piu’ specifico, per la posizione relativa alle vittime (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
In relazione a ciascuna di tali posizioni, il discorso giustificativo elaborato dalla corte territoriale deve ritenersi articolato in termini congrui sul piano logico e lineari in chiave argomentativa, del tutto privo di vizi d’indole logica o giuridica, si’ da sfuggire a ciascuna delle censure sollevate dall’imputato e dal responsabile civile con riguardo a ognuna delle vittime richiamate.
Tali censure, infatti, oltre a limitarsi a una mera lettura discordante delle risultanze istruttorie acquisite nel corso del giudizio (in difformita’ rispetto alla complessiva ricostruzione operata dai giudici di merito), appaiono dedotte con riferimento ai soli elementi astrattamente idonei a supportare la propria alternativa rappresentazione del fatto (peraltro, in modo solo parziale, selettivo e non decisivo), senza farsi carico della complessiva riconfigurazione di ciascuna delle singole vicende sottoposte a giudizio, sulla base di tutti gli elementi istruttori raccolti, che, viceversa, la Corte di Appello (sulla scia del discorso giustificativo dettato dal primo giudice) ha ricostruito – vale ripeterlo – con adeguata coerenza logica e linearita’ argomentativa.
E’ solo appena il caso di ricordare come una simile proposta reinterpretativa del discorso probatorio del giudice di merito sfugga ai confini posti alla cognizione della corte di legittimita’, la’ dove la motivazione del giudice a quo risulti elaborata, come nel caso di specie, in modo fedele alle risultanze istruttorie complessivamente acquisite, sulla base di un canone argomentativo sviluppato e articolato secondo sequenze prive di spunti contraddittori o di altre forme equivalenti di carenza logica.
Sulla base di tali complessive considerazioni, devono essere pertanto disattese tutte le censure avanzate dai ricorrenti con riguardo alla supposta incidenza decisiva rivestita, sul piano causale, da ciascuna delle fonti informative (riconducibili alla carta stampata o alla diffusione televisiva, nei periodi antecedenti e successivi alla riunione degli esperti del 31 marzo 2009) richiamate dagli stessi ricorrenti, essendo emerso in termini inequivocabili il comprovato contatto diretto stabilito, con le dichiarazioni pubbliche rilasciate dall’imputato nel corso dell’intervista televisiva oggetto dell’imputazione, da ciascuna delle vittime in relazione alle quali la corte territoriale ha effettivamente riconosciuto la sussistenza del nesso di causalita’ con la condotta informativa dell’imputato.
14. La causalita’ psichica. Uno dei punti di maggiore delicatezza investiti dal discorso critico degli odierni ricorrenti attiene ai limiti di configurabilita’, nel quadro del sistema penale vigente, della categoria della causalita’ in relazione alle interazioni psichiche tra soggetti, ossia alle condizioni che circoscrivono la rinvenibilita’ di un rapporto qualificabile alla stregua di un nesso di derivazione causale tra la condotta determinativa o induttiva dell’agente e la successiva condotta del soggetto asseritamente determinato o indotto ad agire a seguito del condizionamento subito sul piano psicologico.
Nel caso particolare, l’imputato ha sottolineato come la natura psichica della causalita’ parrebbe legittimamente invocabile unicamente in relazione alle ipotesi criminose tipiche di matrice dolosa, ovvero nei casi di concorso morale nella commissione dei reati, con esclusione dei reati colposi o dei casi in cui la condotta del soggetto condizionato sia di per se’ priva di rilevanza penale.
Nella specie, secondo la prospettazione critica dei ricorrenti, pur quando le vittime fossero state raggiunte da un messaggio tranquillizzante dell’imputato (circa l’assenza di effettivi pericoli legati al sisma), la decisione delle stesse di permanere all’interno delle proprie abitazioni, pur in presenza di prime (non distruttive) manifestazioni del terremoto, non avrebbe potuto ricevere alcuna spiegazione alternativa a quella legata alla libera esplicazione delle proprie facolta’ di autodeterminazione, idonee a risolvere in termini decisivi ogni eventuale nesso di derivazione con il messaggio informativo dell’imputato.
Avendo la corte territoriale (e prima ancora il giudice di primo grado) viceversa confermato l’effettiva sussistenza, nel caso di specie, di un diretto legame di derivazione causale tra la condotta dell’imputato e la decisione delle vittime di permanere presso le proprie abitazioni, ritiene il collegio di doversi soffermare, con minore rapidita’, sul tema della causalita’ psichica, sia pure nei limiti imposti dall’indole del contesto motivazionale in cui la presente riflessione si dipana.
Occorre preliminarmente riconoscere come il tema della causalita’, calato nel contesto delle interazioni psichiche tra soggetti, si ponga in termini del tutto peculiari, rispetto alle forme tradizionali in cui il rapporto di causalita’ risulta trattato e risolto in relazione ai fenomeni d’indole fisico-naturalistica, apparendo d’intuitiva evidenza la difficile indagabilita’ di fenomeni che totalmente si combinano e risolvono nel chiuso della dimensione spirituale della persona, fuori da ogni possibile e concreta opportunita’ di osservazione o di verifica (per alludere a vocaboli che appartengono alle consuetudini di linguaggio dello scienziato).
Sul punto, il campo di riflessione risulta, per tradizione di pensiero, diviso tra coloro che privilegiano un approccio di tipo deterministico nella dinamica dei processi decisionali e volitivi del soggetto (ossia tra gli autori che, fuori da ogni ingenuita’ meccanicistica, tendono a privilegiare la sufficiente riconoscibilita’ di talune costanti o di forme di una – sia pur generica e controllabile – tipizzazione dei comportamenti), e coloro che, viceversa, escludono che possa darsi una qualunque forma di generalizzabilita’ delle reazioni della persona, una volta che gli stimoli o le sollecitazioni esterne siano state sottoposte al filtro degli schemi di rappresentazione conoscitiva e all’esercizio delle successive componenti volitive del singolo.
Al di la’ della risoluzione del tema – ricco di complessita’ e sfumature che trascendono la limitata dimensione degli studi giuridici, per investire l’interesse di vastissimi settori della conoscenza e della ricerca, dalla filosofia alla psicologia, dalla sociologia alla teoria della comunicazione, fino ai piu’ recenti sviluppi delle neuroscienze, per limitarsi a prime rapide indicazioni – varra’ evidenziare (riprendendo gli opportuni e corretti richiami dei ricorrenti) come il legislatore penale italiano (verosimilmente incoraggiato, secondo la ricostruzione di taluni autori, dalla temperie culturale e dagli approdi della filosofia della scienza del proprio tempo), dopo aver accolto con sicurezza e in termini generali la tradizionale categoria della causalita’, non ha esitato a tipizzare fattispecie di reato pacificamente riconducibili a forme qualificabili nei termini del condizionamento psichico (come accade, a titolo di esempio, per tutte le figure che alludono ai concetti dell’induzione, della determinazione, dell’istigazione, come nella truffa, nella circonvenzione di incapace, nella concussione, etc.), disciplinando infine (attraverso il ricorso a tecniche legislative generalizzanti) la figura del concorso di reato, di per se’ aperto alla considerazione di tutte le ipotesi o le forme del concorso morale, certamente dominato (o in ogni caso decisamente condizionato) dal ricorso alla categoria della causalita’.
La stessa esperienza giudiziaria dei decenni successivi (fino agli anni piu’ recenti), pur non affrontando ex professo il tema della causalita’ psichica, non ha riscontrato insuperabili difficolta’ nell’affrontare e risolvere questioni (sovente caratterizzate da aspetti di dolorosa singolarita’) che la riflessione della letteratura giuridica piu’ avvertita non ha esitato a ricondurre ai temi della causalita’ psichica, pur al di fuori del territorio delle fattispecie legislativamente tipizzate, senza alcun riferimento all’ambito del concorso (e dunque nel contesto di fattispecie rigorosamente monosoggettive causalmente orientate), financo riferite a condotte condizionanti d’indole colposa.
Cosi’ e’ accaduto in relazione al caso di un ingegnere autore di un manuale d’istruzioni per il pilotaggio d’aerei chiamato a rispondere delle erronee condotte dei piloti e del disastro aereo conseguitone, asseritamente determinato (anche) dall’oscurita’ delle indicazioni contenute nel manuale, in connessione alla verificazione di situazioni critiche (come quelle della ghiacciazione in volo) suscettibili di provocare incidenti (come puntualmente accaduto nell’occasione) (Sez. 4, n. 8825 del 27/5/1993, P.M. in proc. Rech, Rv. 196428); al caso dell’usuraio chiamato a rispondere del fatto del soggetto usurato, consistito nella decisione di uccidere i propri familiari e, successivamente, di suicidarsi per effetto della condizione psicologica in cui l’imputato l’aveva indotto (Sez. 1, n. 11055 del 19/10/1998, d’Agata, Rv. 211611); al caso del guaritore naturopata, chiamato a rispondere della decisione di una donna di sottrarsi alle terapie tradizionali contro il cancro (chemioterapia e radioterapia), per sottoporsi alle indicazione di cura della medicina alternativa suggerita dall’imputato; decisione di seguito rivelatasi fatale per la donna deceduta a causa della patologia tumorale non adeguatamente trattata (Sez. 1, n. 2112 del 22/11/2007, Laurelli, Rv. 238637).
In relazione a tali vicende, la dove non si e’ pervenuti alla condanna (come nel caso dell’usuraio o del guaritore naturopata), l’assoluzione dell’imputato (come accaduto nel caso dell’autore del manuale d’istruzioni di volo), lungi dal giustificarsi in relazione alla radicale inconfigurabilita’ della causalita’ psichica, e’ stata pronunciata in ragione dell’avvenuto conseguimento della prova che i piloti neppure si posero il problema di orientare la propria condotta, in modo diverso dall’abituale, in relazione alla situazione critica di ghiacciazione in volo, ossia senza neppure rappresentarsi la necessita’ di consultare le istruzioni contenute nel manuale redatto dall’imputato.
In realta’, lungi dal negare l’esistenza di effettivi rapporti di correlazione fondati sulle interazioni psichiche tra soggetti, la posizione incline ad ammettere la rilevanza penalistica delle sole condotte di condizionamento psichico legislativamente tipizzate trova le sue piu’ consistenti giustificazioni (non gia’ nell’esclusione di un qualunque nesso di derivazione tra una condotta condizionante e una condizionata, bensi’) nell’inspiegabilita’ del condizionamento psichico attraverso gli schemi tradizionali del modello causale fisico-naturalistico: nel caso delle interazioni psichiche, infatti, non si tratterebbe (propriamente) di “causare” un comportamento altrui, bensi’ di fornire, al destinatario del condizionamento, ragionevoli o plausibili motivi dell’azione.
In tale contesto s’inserisce il tema dell’irriconducibilita’ della causalita’ psichica a definiti paradigmi nomologici d’indole scientifica (sia pure meramente statistici), tipici della causalita’ naturalistica, cui vengono contrapposte forme di interpretazione degli eventi viceversa inclini a escludere la decifrabilita’ della condotta umana sulla base di schemi esplicativi generalizzanti.
14.1. In breve, coloro i quali sostengono l’esistenza di uno spazio di incomprimibile liberta’ nella decisione umana non contestano che le azioni umane abbiano una causa (rectius, una ragione), piuttosto negando che esse abbiano una causa (ragione) descrivibile attraverso una legge di carattere generale.
La ragione dell’azione, secondo tale impostazione, risiederebbe nella liberta’ del soggetto, che attua l’intenzione deliberata come per se’ valida dal giudizio interiore, inclinando verso la scelta di un motivo piuttosto che di un altro. La ragione dell’azione particolare non sarebbe dunque predeterminata dalla sequenzialita’ invariabile predetta da una legge di carattere generale, e non risulterebbe prevedibile con carattere di certezza.
In altre parole, l’indagine sulle ragioni dell’azione ben potrebbe disporsi a “comprendere” (Verstehen), piuttosto che a “spiegare” (Erk1.5ren), il senso del comportamento umano, valendosi di schemi operativi per lo piu’ modulati sul ricorso a paradigmi d’indole fondamentalmente prognostica, funzionali alla determinazione della concreta “idoneita’” o “adeguatezza” dell’azione condizionante rispetto alla verificazione del c.d. evento psichico.
Da questo punto di vista, solo il legislatore (nel rispetto del principio di legalita’ dell’imputazione penale) potrebbe disporsi a una prudente tipizzazione preventiva di condotte ritenute idonee sul piano prognostico ad assumere concreta idoneita’ o adeguatezza in relazione all’evento psichico determinante (o inducente), con l’esclusione di ogni altra possibilita’ di astratta previsione di forme di condizionamento psichico prive di consolidata tipicita’ legislativa.
Cio’ posto, osserva il collegio – in linea, peraltro, con le posizioni sul punto espresse dalla maggioranza della letteratura nazionale e straniera – come la trasposizione di tale modello all’ambito del giudizio penale inevitabilmente trascini con se’ il rischio di una grave frattura con i principi connessi alla personalita’ della responsabilita’ penale, tutte le volte in cui l’accertamento ai fini della condanna si arresti alla verifica dell’adozione di condotte astrattamente “idonee” o “adeguate”, senza alcuna effettiva chiarificazione o spiegazione delle ragioni che in concreto giustifichino l’attribuzione dell’evento al “suo” autore.
Rischi non dissimili si porrebbero con riguardo al rispetto del principio di legalita’, in ragione della prevedibile trasformazione, in fattispecie di pericolo astratto, di fattispecie incriminatrici legislativamente costruite come reati di danno.
Del resto, un eventuale tentativo di procedere alla verifica concreta, sul piano probatorio, dell’avvenuta realizzazione del condizionamento psichico indiziato dalla condotta astrattamente “idonea” o “adeguata” finirebbe con l’esasperare il carattere “individualizzante” dell’accertamento penale (in assenza di alcuna possibilita’ di generalizzazione), con la conseguente identificazione del legame tra condotta contestata ed evento su basi meramente psicologiche, in relazione alla sola esperienza personale dei protagonisti coinvolti nella vicenda, quando non dal mero svolgimento dei fatti e dalla relativa successione temporale (post hoc propter hoc).
14.2. Al contrario, per gli autori inclini a riconoscere la possibilita’ di procedere, in relazione alla causalita’ psichica, secondo modelli di ragionamento inferenziale non dissimili da quelli propri della causazione naturalistica, si e’ affermata la possibilita’ che il giudice giustifichi l’attribuzione causale muovendo dall’assunzione secondo cui, quando il fattore considerato sia una circostanza in presenza della quale gli uomini agiscono, essi generalmente si comportano in modo analogo al modo descritto nell’attribuzione, si’ che l’individuo del quale si discute agi’ presumibilmente, egli pure, nel modo in cui agi’, perche’ era presente quel dato fattore.
Secondo tale (piu’ tradizionale e seguita) impostazione, per la spiegazione delle azioni individuali e’ indispensabile procedere all’individuazione di generalizzazioni di qualche tipo, capaci di selezionare ex ante le condotte condizionanti (per cosi’ dire, socialmente o culturalmente tipizzate), da sottoporre all’accertamento causale ex post.
Naturalmente, le generalizzazioni adottate nella spiegazione delle azioni umane avranno solo una forma statistica in luogo di una forma rigorosamente universale; asseriranno, per esempio, che la maggior parte degli uomini, o che una percentuale di essi, si comporta, in date circostanze, in un dato modo, fornendo una base ipotetica di carattere generale e astratto che, solo attraverso il confronto con le evidenze del caso concreto, si propongono di assicurare (non soltanto l’attestazione di un avvenuto condizionamento psichico, bensi’) la “spiegazione” stessa del condizionamento in ipotesi accertato.
Una volta ammessa la possibilita’ di una spiegazione in termini causali del condizionamento psichico attraverso il ricorso a forme di generalizzazione astratta (e, dunque, a ipotesi di tipizzazione socialmente o culturalmente accreditate di condotte psicologicamente condizionanti), cade conseguentemente, tanto l’esigenza di una preventiva tipizzazione legislativa delle condotte astrattamente “idonee” o “adeguate”, quanto la limitazione della rilevanza penale della causalita’ psichica alle sole fattispecie dolose o a quelle di concorso, apparendo viceversa necessario unicamente procedere alla rigorosa verifica, in relazione a ciascuna fattispecie concreta, del ricorso di un condizionamento psichico causalmente giustificato alla luce della corrispondente generalizzazione della condotta indicata come condizionante.
Cio’ posto, ritiene il collegio di dover condividere integralmente tale ultima impostazione d’indole epistemologica, in relazione al tema della causalita’ psichica, giudicandosi irriducibilmente incompatibile, con il quadro dei principi costituzionali che presiedono alle regole dell’imputazione penale, l’idea dell’attribuzione, a carico dell’agente, di un fatto solo presumibilmente legato al compimento di una condotta dotata di astratta pericolosita’, ovvero ascritto al suo autore a seguito di un accertamento probatorio meramente Individualizzante’: un accertamento, quest’ultimo, a priori restio a fornire una ragionevole spiegazione del senso degli eventi (che pure si assume esser “propri” dell’agente) sulla base di una valutazione coerente al complesso delle conoscenze e dei saperi collettivi concretamente condivisi.
15. Principi-guida in tema di accertamento della causalita’. Il carattere essenziale e dirimente della generalizzabilita’ della condotta condizionante, nell’accertamento del nesso di causalita’, rappresenta, sul piano dei modelli epistemologici di riferimento, un punto largamente insistito nella riflessione della giurisprudenza di legittimita’, segnatamente a partire dall’arresto della nota sentenza delle Sezioni Unite del 10 luglio 2002, Franzese.
Come viene ricordato anche in uno dei piu’ recenti ritorni sul tema, da parte del supremo consesso giurisdizionale (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, cit., i cui passaggi rilevanti, ai fini del discorso che si conduce, vengono qui di seguito diffusamente riproposti), le discussioni sulla causalita’ vengono sovente precedute dall’evocazione di quella pronuncia, dalla quale tuttavia – non di rado capita di veder tratti principi ed enunciazioni tra loro financo opposte, si’ da imporre la necessita’ di procedere, a oltre dieci anni da quella importante e condivisa decisione, al tentativo di mettere a fuoco e di attualizzare talune questioni di principio, anche alla luce della piu’ recente esperienza giuridica.
Com’e’ noto, l’ordinamento accoglie la concezione condizionalistica della causalita’ cui e’ strettamente legato il giudizio logico controfattuale, necessario per riscontrare l’effettivo rilievo condizionante del fattore considerato: se dalla somma degli antecedenti si elimina col pensiero la condotta umana ed emerge che l’evento si sarebbe verificato comunque, allora essa non e’ condizione necessaria; se invece, eliminata mentalmente l’azione, emerge che l’evento non si sarebbe verificato, allora occorre ritenere che fra l’azione e l’evento esiste un nesso di condizionamento.
Naturalmente, il procedimento di eliminazione mentale, per poter funzionare, presuppone che siano gia’ note le regolarita’ scientifiche o esperienziali che governano gli accadimenti oggetto d’interesse.
Con particolare riguardo al momento dell’accertamento causale, la sentenza delle Sezioni Unite del 2002, sottolinea la necessita’ di considerare meramente utopistico un metodo d’indagine fondato su strumenti di tipo deterministico e nomologico-deduttivo, ossia affidato esclusivamente alla forza esplicativa di leggi scientifiche universali o dotate di un coefficiente probabilistico prossimo a uno. Tale modello viene ritenuto insufficiente a governare, da solo, il complesso contesto del diritto penale, che si trova di fronte alle manifestazioni piu’ varie della realta’.
Accade frequentemente che nel giudizio si debbano utilizzare leggi statistiche ampiamente diffuse nell’ambito delle scienze naturali, talvolta dotate di coefficienti medio-bassi di probabilita’ frequentista; nonche’ generalizzazioni empiriche del senso comune e Rilevazioni epidemiologiche.
Occorre, in tali ambiti, procedere a una verifica particolarmente attenta sulla fondatezza delle generalizzazioni e sulla loro applicabilita’ nella fattispecie concreta; ma nulla esclude che, quando sia scartata l’incidenza nel caso specifico di fattori interagenti in via alternativa, possa giungersi alla dimostrazione del nesso di condizionamento.
Raccogliendo spunti sparsi, la piu’ recente (gia’ citata) giurisprudenza delle Sezioni Unite del 2014 ha saputo cogliere, nella pronunzia del 2002, un modello dell’indagine causale capace di integrare abduzione e induzione, ossia l’ipotesi (l’abduzione) circa la spiegazione degli accadimenti e la concreta, copiosa caratterizzazione del fatto storico (l’induzione). Induzione e abduzione s’intrecciano dialetticamente: l’induzione (il fatto) costituisce il banco di prova critica intorno all’ipotesi esplicativa nella prospettiva di una ricostruzione del fatto dotata di alta probabilita’ logica, ovvero di elevata credibilita’ razionale.
Occorre prendere atto che la ripetuta utilizzazione del termine “probabilita’” nel testo della richiamata sentenza delle Sezioni Unite del 2002 ha involontariamente generato una certa confusione, ben documentata nella prassi, per lo piu’ dovuta alla non sempre chiara distinzione tra le nozioni della “probabilita’ statistica” e quella della “probabilita’ logica”.
Bisognera’ allora precisare che l’espressione “probabilita’ logica” esprime il concetto che la constatazione del regolare ripetersi di un fenomeno non ha significato solo sul terreno statistico, ma contribuisce ad alimentare l’affidamento sulla plausibilita’ della generalizzazione desunta dall’osservazione dei casi passati.
Si e’ da piu’ parti ritenuto che tale nozione, nel suo nucleo concettuale, possa essere utile nei giudizi della giurisprudenza. Anche qui si e’ in presenza di una base fattuale o induttiva costituita dalle prove disponibili, e si tratta di compiere una valutazione relativa al grado di conferma che l’ipotesi ha ricevuto sulla base delle prove: se tale grado e’ ritenuto “sufficiente”, l’ipotesi e’ attendibile e quindi puo’ essere assunta come base della decisione (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, cit.).
E’ stato peraltro sottolineato dalla richiamata sentenza delle Sezioni Unite del 2002 – quanto all’identificazione del grado di conferma (o probabilita’ logica) dell’ipotesi ricostruttiva del fatto prospettata dall’accusa che possa considerarsi “sufficiente” per vincere la presunzione d’innocenza e giustificare legalmente la condanna dell’imputato – che, essendo la condizione necessaria requisito oggettivo della fattispecie criminosa, essa dev’essere dimostrata con rigore secondo lo standard probatorio dell’oltre ogni ragionevole dubbio che il giudizio penale riserva agli elementi costitutivi del fatto di reato. Il giudice e’ impegnato nell’operazione logico-esplicativa alla stregua dei percorsi indicati dall’articolo 192 c.p.p., commi 1 e 2, quanto al ragionamento sull’evidenza probatoria, e dall’articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), per la doverosa ponderazione del grado di resistenza dell’ipotesi di accusa rispetto alle ipotesi antagoniste o alternative, in termini conclusivi di “certezza processuale” o di “alta probabilita’ logica” della decisione.
Il discorso, come appare evidente, risulta focalizzato sui ragionamenti esplicativi, che guardano il passato, tentano di spiegare le ragioni di un accadimento e di individuare i fattori che lo hanno generato. Il giudice, come lo storico, l’investigatore, il medico, compie continuamente tale tipo di ragionamento.
Esistono, tuttavia, pure ragionamenti predittivi che riguardano la verificazione di eventi futuri. Tali ragionamenti sono frequenti in ambito scientifico. Ma anche il giudice articola particolari previsioni retrospettive quando si trova a chiedersi cosa sarebbe accaduto se un’azione fosse stata omessa o se, al contrario, fosse stato tenuto il comportamento richiesto dall’ordinamento: si tratta di ragionamenti controfattuali che riguardano sia la causalita’ materiale sia l’evitabilita’ dell’evento che qualifica la giuridica rilevanza della colpa.
Come osservato dalle piu’ recenti precisazioni fornite sul tema dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza Espenhahn e altri, cit.), la distinzione dei due indicati ragionamenti e’ di grande quanto ignorata importanza; e va acquisita al patrimonio dei principi-guida nell’intricata materia, segnatamente nei casi – come quello in esame – in cui il tema della causalita’ e’ indagato con riferimento a condotte di reato attive (destinate ad essere ricostruite sulla base di un modello di ragionamento esplicativo), rispetto alle quali il peso del coefficiente probabilistico che caratterizza le leggi scientifiche (e piu’ in generale le informazioni generalizzanti utilizzate) risulta largamente inferiore a quello che si conviene all’economia del ragionamento predittivo.
Nell’ambito dei ragionamenti esplicativi noi giungiamo a esprimere giudizi causali sulla base di generalizzazioni causali congiunte con l’analisi di contingenze fattuali. In tale ambito il coefficiente probabilistico della generalizzazione scientifica o esperienziale non e’ solitamente molto importante.
Occorre considerare che assai spesso un evento puo’ trovare la sua causa, alternativamente, in diversi fattori. In tale frequente situazione, le generalizzazioni che enunciano le diverse categorie di relazioni causali costituiscono solo delle ipotesi causali alternative. Emerge, cosi’, che il problema dell’indagine causale e’, nella maggior parte dei casi, quello della pluralita’ delle cause. Esso puo’ essere plausibilmente risolto solo cercando sul terreno, cioe’ nell’ambito delle prove disponibili, i segni o i fatti che solitamente si accompagnano a ciascun ipotizzabile fattore causale e la cui presenza o assenza puo’ quindi accreditare o confutare le diverse ipotesi prospettate. Il ragionamento probatorio e’ dunque di tipo ipotetico, congetturale: ciascuna ipotesi causale viene messa a confronto, in chiave critica, con le particolarita’ del caso concreto che potranno corroborarla o falsificarla. Sono le contingenze concrete del fatto storico, i segni che noi vi scorgiamo, che possono in alcuni casi consentire di risolvere il dubbio e di selezionare una accreditata ipotesi eziologica; a meno che dai reperti fattuali tragga alimento un’alternativa, plausibile ipotesi esplicativa (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, cit.).
Come si vede, l’affidabilita’ di un assunto e’ temprata non solo e non tanto dalle conferme che esso riceve, quanto dalla ricerca disinteressata e strenua di fatti che la mettano in crisi, che la falsifichino. Tutto questo vuoi dire che le istanze di certezza che permeano il processo penale impongono al giudice di svolgere l’indicata indagine causale in modo rigoroso. Occorre un approccio critico: la teoria del caso concreto deve confrontarsi con i fatti, non solo per rinvenirvi i segni che vi si conformano ma anche, e forse soprattutto, per cercare elementi di critica, di crisi. Non puo’ esservi conoscenza senza un tale maturo e rigoroso atteggiamento critico, senza un disinteressato impegno ad analizzare severamente le proprie congetture e i fatti sui quali esse si basano. La spiegazione di un accadimento richiede sempre tale approccio dialettico.
Peraltro, la dialettica di cui si parla non e’ contesa verbale ma confronto tra l’ipotesi e i fatti; e tra le diverse ipotesi, alla ricerca della piu’ accreditata alla luce delle concrete contingenze di ciascuna fattispecie. La congruenza dell’ipotesi non discende dalla sua coerenza formale o dalla corretta applicazione di schemi inferenziali di tipo deduttivo, bensi’ dall’aderenza ai fatti espressi da una situazione data. In breve, occorre rivolgersi ai fatti, ricercarli e analizzarli con determinazione.
Secondo quanto condivisibilmente rilevato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite in relazione al tema in esame (sentenza Espenhahn e altri, cit.), l’ordine d’idee sin qui espresso non e’ dissimile da quello che traspare dalla gia’ richiamata, importante pronunzia delle Sezioni Unite del 2002 (sentenza Franzese): tale ultima sentenza, pur non distinguendo tra ragionamento esplicativo e ragionamento predittivo, sembra riferirsi in primo luogo proprio al primo. Come si e’ accennato, si parla infatti di abduzione, cioe’ di ipotesi, e di caratterizzazione del fatto storico, cioe’ di induzione: induzione e abduzione si confrontano dialetticamente: il fatto storico, costituisce lo strumento critico rispetto all’ipotesi esplicativa. La prospettiva, come si e’ accennato, e’ quella di una ricostruzione del fatto dotata di elevata probabilita’ logica.
Occorre tuttavia fortemente sottolineare che la valutazione che si conclude con il giudizio di elevata probabilita’ logica, di credibilita’ razionale dell’ipotesi esplicativa, ha un ineliminabile contenuto valutativo, sfugge a ogni rigida determinazione quantitativa, manifestandosi con essa (come e’ stato efficacemente considerato in dottrina) il prudente apprezzamento e il libero seppure non arbitrario convincimento del giudice.
Tale elaborazione concettuale e’ andata incontro ad alcuni inconvenienti che si registrano frequentemente nella prassi e di cui occorre prendere atto, per tentare di emendarli.
Da un lato, la probabilita’ logica viene spesso confusa con la probabilita’ statistica che, invece, esprime il coefficiente numerico della relazione tra una classe di condizioni e una classe di eventi ed e’ quindi scevra da contenuti valutativi. Per evitare fraintendimenti tra i diversi usi del termine probabilita’, il concetto di probabilita’ logica puo’ essere sostituito con quello di corroborazione dell’ipotesi; alludendosi con cio’ al resoconto che sintetizza l’esito della discussione critica sulle prove, alimentata dai segni di conferma o di confutazione delle ipotesi esplicative. In ogni caso, quando si parla di probabilita’ occorre aver presente la polisemia: si deve evitare l’errore di confondere le due categorie, e va pure vinta la tentazione di superare le difficolta’ ingenerate, in alcuni casi, nell’indagine causale, dall’insufficiente coefficiente numerico dell’informazione statistica, sostituendo fittiziamente alla probabilita’ statistica la probabilita’ logica.
Dall’altro lato, proprio l’indicato contenuto valutativo, discrezionale dell’idea di probabilita’ logica ha aperto la strada a degenerazioni di tipo retorico nell’uso di tale strumento concettuale: si propone una qualunque argomentazione causale e si afferma apoditticamente che essa e’, appunto, dotata di alta probabilita’ logica, cosi’ eludendo l’esigenza di una ricostruzione rigorosa del nesso causale.
E’ chiaro che la componente valutativa insita nel concetto di cui ci occupiamo lo rende particolarmente adatto all’uso giurisprudenziale. Ma dev’essere pure chiaro che cio’ puo’ avvenire solo in un modo rigidamente controllato; e il controllo critico puo’ essere costituito solo da una rigorosa attenzione ai fatti e ai dettagli di ciascuna contingenza quali fattori di superamento di cio’ che di astratto, retorico, fumoso puo’ esservi in tale elaborazione concettuale. Si tratta di un’esigenza di concretezza e di attenzione ai fatti che, del resto, puo’ essere senz’altro scorta nella recente giurisprudenza di legittimita’.
La corretta gestione di tale ordine concettuale – suscettibile di sottrarre la motivazione del giudizio di merito al vizio logico soggetto al sindacato di legittimita’ – deve ritenersi effettivamente rispettata dalla pronunzia oggetto delle odierne impugnazioni, secondo quanto il prosieguo del discorso cerchera’ opportunamente di lasciar emergere e di evidenziare.
16. Accertamento della causalita’ e sapere esperienziale. Il discorso sin qui rapidamente tracciato ha indicato come, secondo il modello epistemologico definitivamente accreditato (in tema di accertamento della causalita’) dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte ad esito di un itinerario di pensiero gia’ significativamente fatto proprio dalla giurisprudenza di questa Sezione (cfr. Sez. 4, n. 43786 del 13/12/2010, Cozzini e altri), il sapere scientifico di tipo probabilistico – caratterizzato cioe’ dal fatto di enunciare una relazione tra una categoria di condizioni e una categoria di eventi che non si concretizza in modo immancabile, ma solo in una determinata percentuale possa essere utilizzato in chiave congetturale e non deduttiva, sillogistica, quale base per la spiegazione di un evento concreto.
Si e’ inoltre accennato come il tratto probabilistico (che connota il richiamato sapere scientifico piu’ frequentemente problematico) consenta di stabilire una relazione di somiglianza tra detto sapere scientifico e le cosiddette massime di esperienza, da considerare nella loro indole di enunciati che, in relazione alla forza della relazione condizionalistica che affermano, non possono che caratterizzarsi in termini di ineliminabile incertezza.
Anche le massime di esperienza, come pure si e’ visto, vanno colte in chiave congetturale, una volta inserite nel quadro del modello epistemologico di tipo ipotetico piu’ sopra descritto: un modello che coniuga l’abduzione (che pone la spiegazione ricostruttiva in chiave ipotetica) e l’induzione, cui e’ affidato il compito di considerare le contingenze del caso concreto, al fine di pervenire a una ricostruzione corroborata del fatto.
Dunque, a determinate condizioni, anche le generalizzazioni esperienziali possono essere parte del ragionamento esplicativo della causalita’.
Gia’ in passato la giurisprudenza di legittimita’ ha affermato la possibilita’ di applicare regole d’esperienza nell’ambito del rapporto di causalita’, osservando che in diritto penale, attese le finalita’ di repressione che l’ordinamento persegue, la prova non puo’ essere identificata con quella scientifica e non puo’ essere quindi fondata esclusivamente su regolarita’ senza eccezioni: in molti casi, soprattutto nell’ambito della medicina e della biologia, in assenza di leggi scientifiche, devono considerarsi validi e sufficienti ai fini dell’indagine causale anche i risultati di generalizzazioni del senso comune (Sez. 4, n. 11243 del 2/11/1987, Mancinelli, Rv. 176926; Sez. 4, n. 13690 del 5/12/1986, Ponte, Rv. 174512).
Piu’ di recente, coerentemente a tali premesse, si e’ espressamente affermata la configurabilita’ del nesso di causalita’ tra condotta ed evento, pur quando il giudizio controfattuale, non fondato su una legge scientifica universale o meramente statistica (per l’assenza di una rilevazione di frequenza dei casi esaminati), si basi sulla generalizzazione dell’esperienza e del senso comune e sia stato ritenuto attendibile secondo criteri di elevata credibilita’ razionale, siccome fondato sulla verifica, anche empirica, ma scientificamente condotta, di tutti gli elementi di giudizio disponibili, criticamente esaminati (Sez. 4, n. 7026 del 13/02/2003, Loi e altri, Rv. 223749; Sez. 4, n. 29889 dell’11/07/2013, de Florentis, Rv. 257073).
La lettura integrata dei documenti piu’ significativi della nostra giurisprudenza di legittimita’ conferma come le massime d’esperienza vengano riconosciute come un utile e ineliminabile strumento conoscitivo in tutti i campi dell’ordinamento penale. Esse vengono definite come regole desunte dall’id quod plerumque accidit (Sez. 6, n. 27862 del 7/07/2009, de Noia, Rv. 244439), consolidate e affidabili, riconosciute come tali da chiunque e generalmente accettate (Sez. 6, n. 27862 del 7/07/2009, de Noia, Rv. 244439; Sez. 1, n. 13854 del 17/10/1989, Barranca, Rv. 182290).
Vi sono alcuni ambiti nei quali il richiamo all’esperienza compare con particolare insistenza e in modo sempre piu’ affinato. Si tratta delle situazioni nelle quali non e’ possibile scorgere direttamente i fatti da provare, o perche’ hanno carattere ipotetico (probabilita’, idoneita’, ecc.), o perche’ il processo non e’ in concreto giunto a inquadrarli (processo indiziario), o perche’ infine essi sfuggono per definizione all’osservazione diretta, come accade, proprio in relazione all’oggetto dell’odierno giudizio, con riguardo ai processi psichici.
La giurisprudenza sull’indizio costituisce il campo nel quale il richiamo alle regole d’esperienza ha la maggiore estensione. Nel solco di una consolidata tradizione la Corte ha definito l’indizio come un fatto certo dal quale, per inferenza logica basata su regole di esperienza consolidate e affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto incerto da provare secondo lo schema del cosiddetto sillogismo giudiziario. Ha tuttavia soggiunto, con un’impostazione concettuale di vasta portata, come l’indizio debba essere preso in esame dapprima nella sua intrinseca strutturazione in rapporto alla situazione processuale concreta ed essere poi valutato in correlazione con gli altri elementi indiziari acquisiti (v., per tutte, Sez. U, n. 6682 del 4/06/1992, P.M., p.c., Musumeci ed altri, Rv. 191230).
Ugualmente diffuso appare il richiamo al senso comune nell’ambito dei profili psicologici del reato, e cosi’ specialmente in tema di dolo (Sez. 1, n. 13237 del 25/11/1986, Catalano, Rv. 174397; Sez. 1, n. 2783 del 8/04/1986, Comparato, Rv. 172351; Sez. 1, n. 4193 del 7/05/1985, Polizzotto, Rv. 168973); di concorso morale nel reato (Sez. 1, n. 8763 del 8/07/1999, doronzo R e altri, Rv. 214114; Sez. 1, n. 11344 dell’11/12/1993, Algranati ed altri, Rv. 195772); di identita’ del disegno criminoso (Sez. 1, n. 395 dell’11/03/1994, Basile, Rv. 196677; Sez. 6, n. 3353 del 18/03/1994, Piacentini, Rv. 198977); di premeditazione (Sez. 1, n. 8375 del 24/07/1992, Melazzani ed altri, Rv. 191440).
Ancora, lo strumento delle norme d’esperienza viene ritenuto pertinente nell’ambito delle valutazioni probabilistiche relative ai reati di pericolo (Sez. 1, n. 6583 del 29/04/1989, Sanfilippo, Rv. 181205) e all’idoneita’ degli atti nel tentativo (Sez. 2, n. 152 del 8/01/1985, Boniolo, Rv. 167303).
Il ricorso costante e indiscusso alle regole dell’esperienza, come testimoniato dai rapidi richiami cui si e’ accennato, costituisce un dato di fatto carico di significato, suscettibile di fornire conferma a considerazioni che appare opportuno ribadire: quando non si disponga di regole elaborate scientificamente, il ricorso alle generalizzazioni del senso comune costituisce una reale e insuperabile necessita’ del giudizio. L’esperienza passata, consolidatasi in regole chiare, generalmente conosciute, accettate e altrettanto generalmente utilizzate con successo nella vita, viene posta al servizio della conoscenza di fatti ignoti attraverso un incedere inferenziale che discende dal generale al particolare, dal noto all’ignoto, pur senza attingere – com’e’ ovvio – la certezza dell’argomentazione propriamente deduttiva.
Spetta al giudice, naturalmente, il compito di accertare che le massime di esperienza utilizzate, lungi dal risolversi in semplici o arbitrari pregiudizi, rivestano un reale ruolo direttivo nella vita dell’uomo e siano quindi concretamente e diffusamente utilizzate con successo nell’esperienza quotidiana. Proprio l’idea del “successo”, calata nel contesto pratico di una teoria, assume un eloquente valore significativo (come pure riconosciuto dagli autori piu’ sensibili agli apporti della cultura senza aggettivi) nell’evocare i piu’ affermati criteri epistemologici propri del pensiero contemporaneo, attraverso l’elaborazione delle originarie intuizioni del pragmatismo filosofico.
Dunque, al giudice non e’ consentito sottrarsi al compito inevitabile della valutazione critica sul reale successo della massima di esperienza, essendo chiamato a sottoporre l’ipotesi esplicativa offerta dalla regola d’esperienza al piu’ serrato confronto con gli elementi fattuali che caratterizzano la fattispecie concreta.
17. L’utilizzazione giudiziaria del sapere esperienziale. Il diffuso riconoscimento del valore euristico del sapere esperienziale non sembra tuttavia essersi sempre associato, nel contesto dell’elaborazione giudiziaria, a una precisa indicazione circa i modi di utilizzazione delle informazioni da esso tratte nell’ambito del giudizio causale, e nel quadro della causalita’ umana, in particolare.
Varra’ preliminarmente sottolineare come, nell’ambito della causalita’ umana, in assenza di specifiche leggi scientifiche, il giudice, non potendo praticare il rifiuto del giudizio, dovra’ necessariamente attingere con prudenza agli indici sintomatici formatisi nell’ambito della psicologia del senso comune. I problemi legati alla mente umana sono cosi’ complessi e coinvolgono un cosi’ alto numero di fattori che appare poco realistico immaginare di poter giungere alla formulazione di generalizzazioni esplicative paragonabili a quelle delle scienze fisiche. Si e’ rilevato, del resto, come le teorie psicologiche piu’ profonde e rivoluzionarie affermatesi nella storia delle idee, non costituiscano affatto espressione di attivita’ scientifica rigorosamente controllabile, bensi’ stimolanti “teorie metafisiche”. dunque, la ricostruzione delle dinamiche psichiche che interessano il diritto penale dovra’ inevitabilmente avvenire alla luce delle generalizzazioni che regolano d’ordinario la vita dell’uomo: in breve, non potendo il giudice fare a meno del sapere incerto, occorrera’ esaminare i modi attraverso i quali quel sapere incerto debba essere utilizzato.
Un dato sovente poco percepito o evidenziato dalle enunciazioni giurisprudenziali e’ costituito dalla circostanza secondo cui le massime d’esperienza, anche quando sono affidabili, sono comunque incerte e “vaghe”, proprio perche’ esprimono generalizzazioni di senso comune e non leggi scientifiche. E’ difficile immaginare una delimitazione quantitativa attendibile di nozioni che tendono a riflettere genericamente quello che il senso comune considera normale o si aspetta che accada nella maggior parte dei casi.
Accade viceversa talvolta che quantificazioni percentuali di queste nozioni vengano adoperate, ma si tratta di modi di dire solitamente inattendibili e fuorvianti, sicuramente non idonei a un’effettiva riduzione della vaghezza di tali nozioni.
Allo stesso modo, utilizzando le regole esperienziali in chiave deduttiva, secondo il tradizionale stile sillogistico, si finisce col trasferire, nelle conclusioni del ragionamento inferenziale, la stessa vaghezza e l’incertezza da cui esse sono caratterizzate.
Si comprende allora come, sulla base di tali premesse, il pensiero dottrinario tradizionale, in tema di causalita’, sia stato indotto a escludere la possibilita’ di fare applicazione, nell’ambito causale, di regole tratte dall’esperienza, giacche’ la salvaguardia della certezza del diritto puo’ ritenersi garantita solo a patto che le regolarita’ utilizzate nel giudizio d’imputazione dell’evento siano regolarita’ stabilite dalla scienza e non generalizzazioni del senso comune, che difettano del requisito del “controllo critico” a differenza delle teorie scientifiche, che sono sottoposte al vaglio di numerosi ed eterogenei controlli.
Si e’ visto, tuttavia, come la proscrizione del sapere esperienziale costituisca un’enunciazione eccessivamente rigorosa e non praticabile realisticamente; destinata a contrastare con la stessa natura della giurisprudenza, che e’ scienza del multiforme atteggiarsi del reale ispirata al senso comune, sia pure con atteggiamento rigorosamente critico.
La conclusione (come si e’ specificato) e’ che con il sapere incerto, scientifico o esperienziale che sia, e’ inevitabile fare i conti, con una difficolta’ che costituisce il punto di massima e inesplorata complessita’ della scienza giuridica.
L’immagine suggerita dagli autori piu’ avvertiti della problematicita’ del tema e’ quella di un giudice alla prese con la risoluzione di un delicato problema culturale, orientato alla ricerca di criteri utili alla decisione in fatto entro un repertorio di topoi (propri della cultura media del tempo e del luogo in cui egli si trova) incerto, lacunoso e contraddittorio, ma che tuttavia rappresenta il contesto al quale il giudizio di fatto va ricondotto. In assenza di soluzioni prefabbricate, spetta al giudice fondare le proprie inferenze fattuali sulle migliori basi conoscitive disponibili nella cultura del proprio tempo.
Il rapporto tra la generalizzazione del senso comune (sapere esperienziale) e il fatto concreto non e’ dunque quello sillogistico formale tra premessa maggiore e conseguenza dedotta, bensi’ quello che (in coerenza al modello ipotetico-deduttivo) pone in tensione dialogica elementi congetturali razionalmente fondati sul sapere esperienziale e fatti concreti, in un circolo di reciproca conferma e concreta corroborazione, tra induzione e abduzione.
In breve, l’esperienza e’, tanto frutto di esercizio, quanto sviluppo di un percorso: sedimentazione di un sapere che vale come ipotesi per affrontare ogni compito successivo che resta disponibile anche ad ulteriori sviluppi.
Le generalizzazioni del senso comune esprimono l’intero universo del sapere pratico; talvolta fallaci e ingenue, talaltra realistiche e sensate. Tali generalizzazioni vanno considerate analiticamente: il giudice non le crea, ma neppure le accetta acriticamente. Vi sono regole che indirizzano con successo le scelte quotidiane e che, talvolta, costituiscono la volgarizzazione di leggi scientifiche. Il successo in un contesto pratico costituisce, da un punto di vista concettuale, condizione sufficiente perche’ una teoria sia scientifica, anche se l’applicazione di tale approccio implica delicati problemi in considerazione del carattere “confuso” in cui avvengono le applicazioni pratiche.
Nell’ambito delle generalizzazioni della vita pratica assumono un particolare significato le sedimentazioni dell’esperienza passata. Il riferimento all’esperienza passata e collettiva costituisce un tratto classico delle definizioni giurisprudenziali di massima di esperienza, che vale a distinguerla dalle mere congetture (qui intese come forme arbitrarie del sapere) (Sez. 6, n. 36430 del 1/09/2014, Schembri, Rv. 260813). Tuttavia, a ben vedere, occorre ammettere che l’affidabilita’ della regola nella maggior parte dei casi non e’ legata tanto all’analisi della sua conferma Induttiva’ quanto – invece – al suo carattere razionale. Cosi’, cio’ che nel linguaggio giuridico e’ norma tratta da esperienze consimili e’ sovente solo specificazione del carattere razionale dell’agente normale.
Anche guardando le cose da questo punto di vista appare il carattere in qualche modo congetturale (inteso come spiegazione meramente ipotetica del caso concreto) della generalizzazione; e l’analisi che si compie sulla sua “affidabilita’” puo’ esser vista, non tanto come una verifica sulla sua forza deduttiva, ma come una presa di misura sul suo coefficiente di problematicita’ e, conseguentemente, sulla problematicita’ dell’ipotesi sul caso concreto.
Il procedimento di collocazione della regola nei segni concreti del processo ha struttura essenzialmente falsificazionista: si tratta – come si e’ detto – di valutare sul piano logico e su quello fattuale se vi siano fatti incompatibili con l’ipotesi, o se – comunque – sia prospettabile realisticamente un’ipotesi alternativa.
Occorre tuttavia ribadire che in tale idea di preferenza razionale per l’ipotesi piu’ corroborata vi e’ un pericolo di fraintendimento: l’idea di scegliere tra due ipotesi tranciando il dubbio non puo’ costituire una scorciatoia. La ragionevole razionalita’ dell’ipotesi preferibile ha un aspetto comparativo riferito alle ipotesi alternative concrete o teoriche che devono costituire, rispetto a essa, un’eventualita’ inverosimile; ma essenzialmente discende dalla coerenza e soprattutto dalla ricchezza e vastita’ del quadro fattuale su cui si fonda. Se l’approccio ipotetico e’ un atteggiamento antidogmatico, esso puo’ esistere solo sulla base di un serrato confronto con i fatti che, conseguentemente, dovranno essere strenuamente e disinteressatamente ricercati.
Senza un quadro fattuale ricercato e interrogato ai limiti del possibile non vi e’ razionalita’ dell’ipotesi. Solo cosi’ la coerenza logico-argomentativa diviene oggettiva dimostrazione.
Nel quadro teorico che richiama l’esercizio della classica virtu’ della phronesis (come capacita’ di emettere giudizi sensati in relazione a un contesto) e sensatezza (come capacita’ di non farsi guidare dogmaticamente da principi astratti, ma dalla considerazione della situazione concreta) sta dunque il rapporto dialettico, di tensione, tra senso comune ed esperienza problematica. La composizione di tale tensione costituisce lo scopo dell’agire razionale: se tale relazione dialettica esiste, la stessa non va occultata o esorcizzata con rivestimenti sillogistici, ma messa a nudo e possibilmente risolta.
18. La c.d. affidabilita’ delle massime d’esperienza. Le considerazioni sin qui riassunte sulle condizioni di praticabilita’ del giudizio ipotetico-deduttivo in chiave di accertamento causale (scandito sulla base di generalizzazioni del senso comune) consentono di cogliere con immediatezza il vizio logico (ed epistemologico) in cui incorrono i ricorrenti in relazione alla critica del tasso di affidabilita’ delle massime di esperienza nella specie selezionate dai giudici d’appello.
Una volta poste con chiarezza le premesse del rapporto di natura tensionale (o dialettica) tra l’assunzione in chiave abduttiva (ipotetica) della massima di esperienza e l’interrogazione critica delle contingenze fattuali, va con decisione ribadito come, in una prospettiva ipotetico-deduttiva, le massime di esperienza non si prestano a essere giudicate in termini di affidabilita’ probabilistica (in vista di una loro eventuale e successiva generalizzazione nomologica), bensi’ in termini di effettiva appartenenza al consolidato sapere esperienziale proprio dello specifico settore di rapporti oggetto di giudizio e al loro riconoscibile carattere razionale.
L’affidabilita’ della regola, infatti, non e’ legata tanto all’analisi della sua conferma induttiva (come puo’ accadere per una legge scientifica di carattere probabilistico), quanto invece in relazione all’effettivita’ del suo statuto di sapere comune di carattere esperienziale e alla sua indole razionale: connotati che non valgono a modificarne la variabile misura congetturale, ma a porne il coefficiente di problematicita’ in relazione al caso concreto.
In breve, l’affidabilita’ o l’inaffidabilita’ probabilistica di una massima di esperienza non esime il giudice dal ricercarne i riscontri di corroborazione con le evidenze disponibili, e di seguito a privilegiare quella ricostruzione delle situazioni problematiche capace di imporsi con il piu’ elevato livello di aderenza ai fatti concreti, rispetto a ogni altra spiegazione alternativa possibile.
Come si e’ piu’ volte sottolineato, il problema della conoscenza nelle situazioni problematiche non puo’ essere risolto tutto intero nella logica deduttiva della probabilita’: per quanto affidabili siano, le massime di esperienza non possono essere utilizzate acriticamente in chiave deduttiva bensi’ in un’ottica problematica o ipotetica volta alla composizione del quadro fattuale con un confronto serrato tra il possibile e il reale.
Solo in tal senso potra’ ritenersi ragionevolmente e sensatamente preferibile un’ipotesi ricostruttiva, e trovare accoglimento le conclusioni da essa suggerite al termine dell’ineludibile dialogo critico con i fatti – oltre lo standard probatorio del ragionevole dubbio.
Ad esito del complesso delle argomentazioni sin qui esposte ritiene opportuno il collegio formulare i seguenti principi: “la c.d. causalita’ psichica, pur ponendosi in termini del tutto peculiari, rispetto alle forme tradizionali della causalita’ relativa ai fenomeni d’indole fisico-naturalistica (trattandosi di vicende che si combinano e risolvono integralmente nel chiuso della dimensione spirituale della persona, fuori da ogni possibile e concreta opportunita’ di osservazione o di verifica), non sfugge, ai fini del giudizio penale, alla necessita’ della preventiva ricerca di possibili generalizzazioni esplicative delle azioni individuali, sulla base di consolidate e riscontrabili massime di esperienza, capaci di selezionare ex ante le condotte condizionanti (socialmente o culturalmente tipizzabili), da sottoporre successivamente all’accertamento causale ex post.
Le massime di esperienza – al pari delle leggi scientifiche di tipo probabilistico (e dunque di ogni forma di “sapere incerto”) – possono essere utilizzate allo scopo di alimentare la concretezza di un’ipotesi causale, secondo il procedimento logico dell’abduzione. Alla posizione (in termini congetturali) di tale ipotesi deve peraltro necessariamente far seguito, ai fini dell’affermazione concreta della relazione causale, il rigoroso e puntuale riscontro critico fornito dalle evidenze probatorie e dalle contingenze del caso concreto (secondo il procedimento logico dell’induzione), suscettibili di convalidare o falsificare l’ipotesi originaria e, contestualmente, di escludere o meno la plausibilita’ di ogni altro decorso causale alternativo, al di la’ di ogni ragionevole dubbio”.
19. La conduzione del giudizio di causalita’ nella sentenza d’appello. La ricognizione delle coordinate e dei principi che governano l’accertamento della causalita’ (segnatamente in relazione ai nessi di condizionamento nelle interazioni psichiche attraverso il ricorso al sapere esperienziale), consente ora di procedere alla piu’ ravvicinata considerazione della motivazione elaborata dalla Corte di Appello nella sentenza impugnata, e della relativa misura di coerenza rispetto ai principi indicati, alla luce dei motivi d’impugnazione proposti dalle parti.
In primo luogo, va osservato come la corte territoriale abbia correttamente impostato il tema relativo all’accertamento della causalita’ della condotta dell’imputato, prospettandone la preliminare valenza condizionalistica attraverso la programmatica ricerca degli elementi di conferma della relativa incidenza sulla verificazione degli eventi lesivi, oltre all’accertamento, in chiave controfattuale, dell’eventuale idoneita’ salvifica di un’opposta condotta appropriata.
In breve, una volta comprovato il condizionamento psicologico determinato dall’attivita’ informativa dell’imputato, la corte territoriale si e’ adeguatamente posta il problema di Rilevare se, effettivamente, l’eliminazione controfattuale della condotta comunicativa del (OMISSIS) dal novero dei fatti accaduti, si sarebbe effettivamente accompagnata, al di la’ di ogni ragionevole dubbio, alla mancata verificazione degli eventi in contestazione.
Nel tracciare il modello operativo generalizzante richiamabile, sul piano epistemologico, quale spiegazione ipotizzabile degli eventi indagati, i giudici d’appello hanno preliminarmente escluso l’utilizzabilita’ della legge di copertura di natura sociologica prospettata dall’accusa tramite il proprio consulente (e fatta propria dal primo giudice).
Sul punto, la corte territoriale ha opportunamente segnalato come detta legge di copertura (identificata come il “modello delle rappresentazioni sociali”) difettasse di adeguata validazione scientifica, con riferimento ai noti criteri della controllabilita’, falsificabilita’ e verificabilita’, tenuto conto della percentuale di errore conosciuto o conoscibile, della possibilita’ che la teoria avesse formato oggetto di controllo da parte di altri esperti in quanto divulgata tramite pubblicazioni scientifiche o altri mezzi, o della presenza di standard costanti di verifica.
Sotto altro profilo, si e’ sottolineato come le indicazioni del consulente della procura – fondate sui principi del richiamato modello sociologico – fossero state elaborate, dallo stesso consulente, ex post, sulla scorta di dichiarazioni rilasciate dai testimoni nel corso dello stesso processo, e selezionate a sua discrezione in funzione di riscontro e corroborazione di tesi anticipatamente prospettate.
La stessa legge di copertura proposta dall’ausiliario della procura – secondo l’apprezzabile rigore critico della sentenza impugnata – avrebbe trovato origine dallo stesso vissuto del consulente, nato e residente in L’Aquila, con evidenti riflessi negativi sulle garanzie di terzieta’ della valutazione; e cio’, a tacere della circostanza consistita dall’avere, detto consulente, personalmente redatto un articolo pochi giorni dopo la diffusione della notizia dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari relative all’odierno procedimento: articolo nel quale e’ comparsa, accanto allo sviluppo dei temi fondamentali della propria teoria, l’espressione di sospetti e giudizi negativi sulle persone degli imputati, quasi prospettando che essi avessero finalizzato la loro condotta a lucrare vantaggi dalla futura e prevedibile scossa distruttiva.
Contestualmente a tali premesse, la corte territoriale ha sottolineato l’impossibilita’ di fondare il ricorso a eventuali leggi di copertura esplicative dei fatti oggetto d’esame sulla base delle argomentazioni illustrate dai consulenti della difesa, ritenute a loro volta inidonee a consentire alcuna possibile formulazione di leggi di copertura di carattere scientifico, in grado di attribuire un valore generalizzante alle sequenze delle condotte umane governate dalle interazioni psichiche.
Rivive, nelle pagine della sentenza impugnata, il diffuso riconoscimento dell’attuale e persistente incapacita’ del sapere scientifico di fornire elementi di conoscenza idonei (nonostante gli enormi progressi della riflessione neuroscientifica) a garantire in termini universali (o anche solo su un piano di apprezzabile consistenza statistica) la sicura spiegabilita’ del comportamento umano in relazione a prevedibili costanti riferite ai nessi di condizionamento sviluppabili nel quadro delle interazioni psichiche tra i soggetti.
E tuttavia, l’assenza di leggi capaci di fornire una spiegazione scientificamente fondata della scansione sequenziale dei nessi psichici generati dalle interazioni personali, non preclude – secondo l’argomentazione della corte territoriale fedelmente ancorata a principi di ragionamento coerenti alle forme dell’utilizzazione giudiziaria del sapere esperienziale, come in precedenza tratteggiate – di avvalersi di massime di esperienza largamente radicate nella pratica propria del settore di rapporti entro i quali ebbe a inserirsi il comportamento contestato all’odierno imputato, al fine precipuo di apprezzarne l’incidenza condizionante sul piano psicologico.
La corte territoriale – dopo aver fatto proprie le considerazioni a suo tempo espresse nella sentenza delle Sezioni unite del 2002 (sentenza “Franzese”), circa il carattere utopistico di un modello d’indagine causale esclusivamente fondato su strumenti di tipo deterministico e nomologico-deduttivo, “in quanto all’evidenza insufficiente a governare da solo il complesso contesto del diritto penale e costituito dalle piu’ varie manifestazioni della realta’” (cfr. pag. 272 della sentenza d’appello) – proietta fondatamente, nell’orizzonte del sapere esperienziale, la massima incline a riconoscere un significativo valore psicologicamente condizionante, poiche’ dotato di rilevante credibilita’ e autorevolezza, al messaggio pubblicamente diffuso dalle autorita’ istituzionali ove calibrato sul presupposto della convalidazione offerta dal sapere scientifico, e ne apprezza l’influente incidenza sul comportamento dei destinatari secondo cio’ che di regola accade (id quod plerumque accidit) nel quadro dei rapporti di gestione del rischio da parte degli organi della Protezione civile.
A fondamento di tale ricostruzione, i giudici d’appello richiamano le stesse parole dei massimi esponenti del dipartimento della Protezione civile (compreso lo stesso imputato) risuonate nel corso dell’odierno procedimento, inclini a confermare (direttamente o indirettamente) il valore determinante del pensiero scientifico e della sua pubblica diffusione, ad opera delle autorita’ istituzionali, al fine di gestire la leva del comportamento sociale come fattore determinante di impostazione delle politiche di protezione civile (cfr. pag. 273 della sentenza d’appello).
Gli e’ che la condizionabilita’ del comportamento, come regola di esperienza legata a cio’ che normalmente accade nella gestione dei comportamenti collettivi da parte dell’amministrazione della Protezione civile, appartiene ai contenuti di un sapere che, pur privo di fondamenti scientifici allo stato confermabili con sufficiente attendibilita’, appare talmente diffuso e radicato da spingere lo stesso legislatore, come si e’ gia’ scritto, a configurare la comunicazione sociale del rischio (vieppiu’ ove fondata sugli elementi di conoscenza forniti dagli organi di consulenza scientifica del dipartimento) come strumento di gestione del comportamento collettivo nel quadro delle competenze operative dell’amministrazione della Protezione civile (v. la L. n. 225 del 1992, l’attuale articolo 3, comma 3, la’ dove specifica che “la prevenzione dei diversi tipi di rischio si esplica in attivita’ non strutturali concernenti”, tra le altre, quella dell'”informazione alla popolazione”).
Tanto e’ quanto basta, sul piano dell’impostazione del giudizio causale, a giustificare, in termini congetturali (ipotetici), la considerazione dell’avvenuto condizionamento dei destinatari del messaggio televisivo dell’imputato alla stregua di una forma esplicativa, sufficientemente fondata in termini esperienziali, da offrire al confronto critico-dialettico con le contingenze fattuali del caso concreto, al fine di trarre, da esse, gli indispensabili elementi di corroborazione o, tutto al contrario, gli indici suscettibili di falsificarne il riscontro a vantaggio di possibili spiegazioni causali alternative (e verosimilmente piu’ plausibili) degli eventi.
A partire da tali premesse, la corte territoriale muove il confronto – occorre dire, con spirito critico e passione analitica di sicura e apprezzabile serieta’ – con le specifiche contingenze fattuali riferibili a ognuna delle fattispecie concrete oggetto d’esame, al fine di rinvenirne i concreti segni di corroborazione, ovvero la prevedibile falsificazione della regola esperienziale indicata come premessa ipotetica di spiegazione dei fatti.
In relazione a ciascuna delle vittime per le quali la corte territoriale ha ritenuto sussistente il concreto nesso di condizionamento ad opera della condotta dell’imputato, la motivazione della sentenza impugnata ha proceduto all’indicazione dei fatti concreti suscettibili di giustificare la ritenuta attendibilita’ dei testimoni escussi.
Si tratta di percorsi motivazionali fondati su circostanze concrete, coerentemente elaborate e argomentate con linearita’, che questo collegio giudica del tutto immuni dai vizi logici infondatamente denunciati dagli odierni ricorrenti; vizi che le odierne difese hanno ritenuto di individuare sulla base di proposte reinterpretative e riletture fattuali la cui ammissibilita’ deve ritenersi radicalmente esclusa in questa sede di legittimita’.
Allo stesso modo, per ciascuna delle vittime del sisma che la Corte di Appello ha ritenuto effettivamente condizionate dal messaggio televisivo dell’odierno imputato, la sentenza impugnata ha cura di indicare, in modo preciso e analitico, i singoli fatti concreti inequivocabilmente espressivi dell’effettiva, tradizionale e costantemente osservata abitudine, ricostruita per ciascuno di costoro, di allontanarsi dai luoghi chiusi al primo avvertimento di scosse di terremoto; dell’avvenuto contatto diretto con le parole dell’imputato e per cio’ stesso del conseguente radicale cambiamento di condotta (altrimenti inspiegabile e rimasto infatti non adeguatamente spiegato) in occasione delle prime scosse successive al 31 marzo 2009 (e, segnatamente, di quelle prime due scosse non distruttive verificatesi nella notte tra il 5 e il 6 aprile 2009): cambiamenti occorsi solamente e proprio a seguito della percepita tranquillizzazione pubblica fornita dal (OMISSIS), cui le stesse vittime, secondo il fedele resoconto dei testimoni escussi – hanno direttamente o indirettamente attribuito una chiara valenza rassicurante e la sicura idoneita’ a giustificare un radicale mutamento nelle reazioni da contrapporre alle prime, non distruttive, manifestazioni del terremoto.
20. L’analisi causale in relazione a ciascuna delle vittime. In questo contesto s’inserisce il racconto testimoniale della vicenda di (OMISSIS), sin da bambina adusa a uscire dai luoghi chiusi a ogni scossa di terremoto e pronta a evitare, in tali contingenze, ogni intrattenimento in locali ubicati nel centro storico di L’Aquila; la decisione della stessa, nel corso del lungo periodo funestato dallo sciame sismico aquilano, di trasferirsi a casa dei genitori dalla propria abitazione ubicata nel centro storico della citta’, ritenuta di minore stabilita’ rispetto a quella; le discussioni, successive alla propalazione delle dichiarazioni televisive dell’imputato, durante le quali la (OMISSIS) ebbe a manifestare l’effettiva tranquillizzazione ricevutane e la convinta affermazione della progressiva riduzione dei rischi in connessione al continuo “scarico di energia” del terremoto che avveniva proprio nella notte tra il 5 e il 6 aprile a ridosso delle prime manifestazioni del sisma. E ancora, il minuzioso e coerente accertamento dell’implausibilita’ delle spiegazioni alternative prospettate dalla difesa con riguardo alla decisione della vittima di permanere proprio quella notte presso la propria abitazione.
Allo stesso modo, la Corte di Appello ha esaminato il racconto testimoniale fermato sulla consolidata abitudine familiare dei coniugi (OMISSIS) ed (OMISSIS) di adottare immediate misure precauzionali individuali in occasione di singole scosse di terremoto valutate come significative; abitudine mantenuta fino al 30 marzo, allorquando, a fronte di una scossa percepita alle ore 15,38, tutti i componenti della famiglia (OMISSIS)i decisero di trascorrere l’intera notte in macchina, nonostante le non ottimali condizioni di salute dei due coniugi ormai anziani; notte a seguito della quale il (OMISSIS), unitamente al figlio, si reco’ ad acquistare delle brandine che furono sistemate nell’abitazione della sorella (OMISSIS), ubicata al piano terra e costruita in cemento armato. Anche con riguardo alle due anziane vittime, la corte territoriale ha valorizzato le dichiarazioni testimoniali acquisite, dalle quali e’ emerso l’avvenuto contatto del Liberati con il messaggio dell’imputato a seguito del quale lo stesso ebbe a manifestare inequivocabilmente l’avvenuta acquisizione di una ragionevole tranquillita’, in ragione della rilevata impossibilita’ del verificarsi di scosse di intensita’ maggiore rispetto a quelle passate, poiche’ lo sciame sismico in corso comportava uno “scarico di energia” da valutare positivamente. Proprio a seguito della profonda rassicurazione che i concetti diffusi dal (OMISSIS) avevano provocato nell’animo delle due vittime, le stesse decisero di modificare le proprie abitudini autoprotettive, rimanendo, nella notte tra il 5 il 6 aprile, nel proprio appartamento, nonostante i primi avvertimenti del sisma, rinunciando a recarsi presso l’abitazione della sorella (OMISSIS) dove gia’ erano state riposte le brandine da poco acquistate. La corte territoriale ha quindi proceduto alla confutazione delle ipotetiche spiegazioni alternative del comportamento delle vittime sostenute dalla difesa, sottolineando come l’esigenza di evitare il freddo o di esporsi a possibili malattie non aveva impedito ai due anziani coniugi, in circostanze anteriori a quella della notte tra il 5 e il 6 aprile, di passare la notte fuori casa, in macchina, fino a organizzare logisticamente il pernottamento presso la casa della sorella (OMISSIS), che le rassicurazioni dell’imputato hanno infine indotto a considerare superfluo.
Di seguito, l’esame analitico delle prove orali acquisite nel corso del processo ha consentito alla Corte di Appello di accertare come, sin dall’infanzia, (OMISSIS) fosse adusa, unitamente alla propria famiglia, in occasione dei prime scosse di terremoto, abbandonare i luoghi chiusi, financo stazionando in luoghi aperti l’intera notte all’interno di un’autovettura; come detta misura precauzionale fosse stata conservata da (OMISSIS) e dal suo nucleo familiare anche durante lo sciame sismico oggetto d’esame (fino alla scossa del 30 marzo 2009), essendone la vittima rimasta terrorizzata al punto da attivarsi per la realizzazione di una casetta in legno nel comune di (OMISSIS) ove la famiglia era proprietaria di un terreno. Gli elementi di prova analizzati hanno quindi consentito di affermare come la Visione fosse venuta a contatto con le dichiarazioni del (OMISSIS), rimanendone positivamente rassicurata e traendo dalle stesse ragioni di effettiva tranquillizzazione, al punto da decidere di mutare il proprio atteggiamento di fronte alle prime manifestazioni sismiche, financo arrivando a tranquillizzare la propria madre, nella notte tra il 5 e il 6 aprile, sostenendo, in conformita’ ai concetti televisivamente espressi dall’imputato, come le prime scosse avessero provveduto a “scaricare energia”, con la conseguente inesistenza di ulteriori pericoli. Anche in relazione a tale vicenda, la corte territoriale ha provveduto coerentemente e in modo lineare a escludere ciascuna delle spiegazioni alternative prospettate dalla difesa: sul punto, particolarmente significativa deve ritenersi l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata in forza della quale, quand’anche si ritenesse (senza peraltro ritenerlo nel caso di specie) che la vittima avesse deciso di rimanere in casa, nella notte tra il 5 e il 6 aprile, dopo aver “ragionato” con il proprio coniuge (superando iniziali perplessita’), tale ragionamento avrebbe comunque avuto, quale presupposto, l’acquisizione, attraverso le parole pronunciate dall’imputato, dei concetti riferiti allo scarico di energia come fenomeno favorevole, la cui esternazione si sarebbe pertanto posta in ogni caso quale condicio sine qua non della scelta della (OMISSIS) di permanere quella notte all’interno della propria abitazione, pur dopo le prime scossa del sisma, trovandone la morte assieme ai due piccoli figli, (OMISSIS) e (OMISSIS).
L’evidenza probatoria correttamente elaborata dalla corte territoriale ha quindi consentito di accertare come (OMISSIS), unitamente al coniuge e alla figlia maggiore (OMISSIS), a fronte della scossa delle ore 15,38 del 30 marzo 2009, si fosse determinata a fuoriuscire dalla propria abitazione e a trattenersi per ore nel parco adiacente il castello cinquecentesco spagnolo, tornando in casa solo nella tardissima serata, nonostante (OMISSIS) avesse la febbre a 39. Tale precauzione, del resto, si era posta in coerenza con la consuetudine del nucleo familiare (OMISSIS) – (OMISSIS) di fuoriuscire dalla propria abitazione a ogni scossa percepita come pericolosa, trattenendosi a lungo in luoghi aperti. Anche per costoro, le dichiarazioni dell’imputato, direttamente percepite, finirono con l’incidere in modo determinante sulla decisione di modificare le proprie abitudini autoprotettive, e di permanere in casa nella notte del 5 aprile, a seguito dell’avvertimento della prima scossa di terremoto non distruttiva, “non in base a quello che era l’istinto” (cfr. le dichiarazioni del teste (OMISSIS) riportate a pag. 306 della sentenza impugnata), bensi’ seguendo cio’ che era stato prospettato in chiave razionale dall’informazione appresa attraverso i concetti pubblicamente trasmessi dall’imputato. Anche per (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), dunque, la decisione di permanere presso la propria abitazione la notte del 5 aprile, a seguito delle rassicurazioni pubblicamente propalate dall’imputato, si rivelo’ fatale.
La stessa tragica sequenza delle storie sin qui riportate segna il racconto testimoniale della vicenda di (OMISSIS), studentessa in trasferta a L’Aquila al primo anno di universita’. Le contingenze fattuali acquisite in via istruttoria restituiscono la stessa alternanza, prima del 31 marzo 2009, di spavento per il terremoto e di ripetute consuetudini autoprotettive (consistenti nell’abbandono del proprio appartamento in presenza di prime scosse sismiche anche di notte). E ancora, il contatto con le rassicurazioni pubbliche dell’imputato e la decisione di permanere, a seguito di quelle, presso la propria abitazione nella notte tra il 5 e il 6 aprile, pur a seguito delle prime manifestazioni concrete del sisma. Anche in relazione alla storia della (OMISSIS), la corte territoriale si e’ incaricata di specificare le ragioni concrete idonee a confutare le argomentazioni difensive e le possibili spiegazioni alternative degli eventi, sulla scorta di un discorso giustificativo fedele alle risultanze istruttorie, coerente sul piano logico e lineare in chiave argomentativa.
Pienamente comprovate, attraverso le copiose evidenze testimoniali acquisite, sono ancora risultate le circostanze relative: alla consolidata abitudine della famiglia di (OMISSIS) e della figlia (OMISSIS) di abbandonare la propria abitazione in occasione delle varie scosse succedutesi durante lo sciame aquiliano; all’avvenuta conoscenza, da parte dei coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS), del contenuto dell’intervista rilasciata dal (OMISSIS) e della rassicurazione ricevutane attraverso l’acquisizione del significato favorevole del concetto di “scarico di energia” dallo stesso diffuso; alla conseguente decisione delle vittime (a tale rassicurazione immediatamente legata) di modificare le proprie abitudini autoprotettive e di permanere nella propria abitazione la notte tra il 5 e il 6 aprile, ivi trovando, (OMISSIS) e la figlia (OMISSIS), la propria tragica fine. Anche in relazione a costoro la corte territoriale ha provveduto a confrontarsi adeguatamente con le spiegazioni causali alternative prospettate dalle difese, destituendone la fondatezza sulla base di considerazioni argomentative dotate di equilibrata congruenza logica, pervenendo alla sicura attestazione della circostanza per cui, in assenza dell’intervento informativo dell’imputato, gli eventi lesivi in esame non si sarebbero verificati, oltre ogni ragionevole dubbio.
Da ultimo, il serrato confronto critico dell’ipotesi causale con le contingenze fattuali relative alla vicenda di (OMISSIS) ha consentito alla corte territoriale di pervenire all’accertamento, in termini di adeguata congruenza logica e linearita’ argomentativa, dell’avvenuto conseguimento, da parte della stessa, di una sicura tranquillita’ circa l’assenza di pericoli legati al terremoto; acquisizione avvenuta attraverso il contatto con le informazioni pubblicamente diffuse dall’imputato suscettibili di determinare, proprio dopo il 31 marzo 2009, il radicale mutamento delle consuetudini autoprotettive della donna viceversa costantemente osservate in occasione delle scosse di terremoto precedentemente succedutesi.
Ancora una volta – ed e’ un discorso che occorre ribadire con riferimento a tutte le vittime sin qui partitamente menzionate – lo sforzo prodotto dal giudice d’appello al fine di procedere a un serrato confronto critico con le specifiche contingenze fattuali relative a ciascuna situazione particolare e’ risultato opportunamente esteso, non solo alla considerazione degli elementi suscettibili di corroborare in positivo l’ipotesi causale originariamente prospettata, ma anche all’esame e al concreto apprezzamento di tutte le opposte argomentazioni difensive inclini a sostenere una differente spiegazione degli eventi, giungendo a svelarne l’assoluta infondatezza e, per altro verso, a sostenere la conferma che, in assenza del pubblico intervento informativo dell’imputato, le consuetudini autoprotettive costantemente e inderogabilmente osservate dalle vittime in epoca anteriore al 31 marzo 2009 avrebbero certamente scongiurato, oltre ogni ragionevole dubbio, la verificazione degli eventi lesivi tragicamente determinatisi nella notte tra il 5 e il 6 aprile 2009, poiche’ le vittime si sarebbero – come peraltro costantemente accaduto in precedenza – certamente allontanate dalle proprie abitazioni alle prime manifestazione del sisma della tarda sera del 5 aprile 2009, non facendosi sorprendere all’interno delle stesse dalla successiva scossa distruttiva delle 3,32 del 6 aprile 2009.
E’ appena il caso di rimarcare – con cio’ fornendo risposta alle corrispondenti notazioni critiche dei ricorrenti – come del tutto coerentemente, sul piano logico, la corte territoriale abbia ritenuto priva di concreto rilievo causale l’argomentazione riferita alla supposta impossibilita’ di stabilire astrattamente la durata del tempo dell’eventuale allontanamento delle vittime dalla propria abitazione nella notte tra il 5 e il 6 aprile, a seguito delle prime scosse di terremoto, avendo i giudici di merito correttamente sottolineato l’avvenuta acquisizione, sulla scorta delle emergenze processuali, della certezza (valutabile alla stregua di un alto grado di probabilita’ logica) che le vittime, qualora avessero fatto ricorso alle cautele gia’ adottate, non si sarebbero comunque trovate all’interno delle proprie abitazioni alle ore 3,32 del 6 aprile 2009 (cfr. pagg. 273-274 della sentenza d’appello). Al riguardo, proprio le pregresse condotte delle vittime, in relazione a circostanze del tutto sovrapponibili, ha ragionevolmente fornito riscontro della circostanza per cui, prevedibilmente e plausibilmente, tutti gli sfollati avrebbero con elevata credibilita’ razionale proceduto alla ricerca di sistemazioni logistiche alternative per l’intera nottata, attraverso l’accoglienza di parenti dotati di alloggi piu’ sicuri o mediante il consueto rifugio all’interno delle autovetture collocate in luoghi aperti.
Rispetto a ciascuna delle vittime in relazione alle quali e’ stato positivamente riscontrato il condizionamento psicologico (e dunque la concreta responsabilita’ causale) delle parole pubblicamente diffuse dall’odierno imputato, tutte le censure critiche in questa sede ripresentate dai ricorrenti si caratterizzano per la sterile riproposizione di riletture interpretative, tanto degli indici di attendibilita’ dei testimoni escussi, quanto dell’apporto conoscitivo dagli stessi fornito (o comunque della complessiva ricostruzione dei fatti), in modo tale da non intaccare la coerente linearita’ dell’argomentazione dipanata nella motivazione della sentenza impugnata, che, occorre ribadire, la corte territoriale ha elaborato in termini di piena fedelta’ alle risultanze processuali e nel rispetto di un’adeguata misura di coerenza logica e di congruita’ argomentativa, conclusivamente pervenendo alla ragionata, comprovata e adeguatamente corroborata (e dunque razionalmente convincente) conferma dell’ipotesi causale esplicativa secondo cui la condotta informativa contestata all’odierno imputato ebbe effettivamente a porsi quale causa condizionante della decisione delle vittime (in precedenza partitamente indicate) di permanere presso la propria abitazione nella notte tra il 5 e il 6 aprile 2009, ivi trovando la morte a seguito del crollo delle stesse per effetto del sisma delle ore 3,32.
21. I pretesi eventi interruttivi della causalita’: l’articolo 41 c.p. e la c.d. teoria del rischio. Un ultimo rilevante punto critico riferito al tema della causalita’ della condotta dell’imputato ha indotto i ricorrenti a ritenerne inconfigurabile il ricorso nel caso di specie, assumendo la specifica valenza interruttiva, del nesso di condizionamento tra la condotta dell’imputato e gli eventi lesivi allo stesso addebitati, rivestita da diverse evenienze a quella successive; evenienze nella specie costituite: dalla manipolazione mediatica del messaggio dell’imputato; dalla varia condivisione, da parte delle vittime, unitamente ad altri soggetti, delle valutazioni circa le decisioni sulla condotta da assumere nella notte tra il 5 e il 6 aprile; dalla verificazione effettiva dell’imprevedibile scossa distruttiva delle ore 3,32 e dell’imprevedibile crollo delle abitazioni.
Si tratta della collocazione di tali eventi nel quadro problematico regolato, sul piano della causalita’ giuridica, dall’articolo 41 cpv. c.p., ai sensi del quale le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalita’ quando siano state da sole sufficienti a determinare l’evento.
Sul punto, varra’ intanto considerare come, secondo un tradizionale orientamento della giurisprudenza di legittimita’, la definizione della causa sopravvenuta idonea a recidere il rapporto di causalita’ tra il fattore condizionante e l’evento condizionato deve ritenersi identificata, tanto dalle condizioni che innescano un percorso causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dall’agente, quanto da quelle che, pur inserite in un percorso causale ricollegato alla condotta (attiva od omissiva) dell’agente, si connotino per l’assoluta anomalia ed eccezionalita’, si’ da risultare imprevedibili in astratto e imprevedibili per l’agente (cfr., ex plurimis, Sez. 4, n. 43168 del 22/10/2013, Frediani, Rv. 258085; Sez. 4, n. 13939 del 3/04/2008, Bauwens e altro, Rv. 239593).
Al riguardo, si e’ gia’ in precedenza evidenziato come – mentre l’incidenza dell’asserita manipolazione mediatica del messaggio dell’imputato deve ritenersi ragionevolmente esclusa nel caso di specie, avendo i giudici del merito adeguatamente elaborato il complesso delle evidenze probatorie rappresentative dell’avvenuto diretto contatto delle vittime con le stesse parole pronunciate dall’imputato nel corso dell’intervista trasmessa per via televisiva – i diversi eventi costituiti dal terremoto verificatosi alle ore 3,32 del 6 aprile 2009 e il successivo istantaneo crollo delle abitazioni delle vittime ebbero a integrare il ricorso di evenienze agevolmente prevedibili gia’ alla stregua delle capacita’ di anticipazione del modello di agente cui la persona del (OMISSIS) puo’ essere accostata, e dunque sviluppi della relativa condotta informativa per nulla imprevedibili o eccezionali in relazione al decorso causale innescato dalla condotta dell’imputato.
Cio’ posto, rileva il collegio come occorra comunque procedere a un opportuno approfondimento e a una necessaria chiarificazione del tema connesso all’interpretazione dell’articolo 41 c.p., del comma 2 alla stregua della piu’ recente giurisprudenza di legittimita’ venutasi consolidando (attraverso Sez. 4, n. 22378 del 27/5/2015, Pg in proc. Volcan, Rv. 263494; Sez. 4, n. 33329 del 28/7/2015, Sorrentino e altri, Rv. 264365) a seguito della riflessione sul tema proposta dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, cit.) che il collegio condivide nella sua interezza, riproponendone qui di seguito i passaggi piu’ significativi.
A tale riguardo, occorrera’ preliminarmente considerare che la causalita’ condizionalistica, essendo basata in chiave logica, e’ caratterizzata dalla costitutiva, ontologica indifferenza per il rilievo e per il ruolo qualitativo delle singole condizioni, che sono tutte per definizione equivalenti. Ne discende l’esigenza di arginare l’eccessiva forza espansiva dell’imputazione del fatto determinata dal condizionalismo. Tale esigenza e’ alla base della causalita’ giuridica e costituisce una costante del diritto penale moderno, sia in ambito teorico che giurisprudenziale.
La necessita’ di limitare l’eccessiva e indiscriminata ampiezza dell’imputazione oggettiva generata dal condizionalismo e’ alla base di classiche elaborazioni teoriche: la causalita’ adeguata, la causa efficiente, la causalita’ umana, la teoria del rischio. Tale istanza si rinviene altresi’ nel controverso articolo 41 cpv. c.p.. L’esigenza cui tali teorie tentano di corrispondere e’ sempre la medesima: limitare, separare le sfere di responsabilita’, in modo che il diritto penale possa realizzare la sua vocazione a esprimere un ben ponderato giudizio sulla paternita’ dell’evento illecito.
Il contesto della sicurezza del lavoro – come paradigma di riferimento esemplificativo – fa emergere con particolare chiarezza la centralita’ dell’idea di rischio. Il rischio e’ categorialmente unico ma, naturalmente, si declina concretamente in diverse guise i’n relazione alle differenti situazioni lavorative. dunque, esistono diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilita’ che quel rischio sono chiamate a governare. Soprattutto nei contesti lavorativi piu’ complessi, si e’ frequentemente in presenza di differenziate figure di soggetti investiti di ruoli gestionali autonomi a diversi livelli degli apparati; ed anche con riguardo alle diverse manifestazioni del rischio. Cio’ suggerisce che in molti casi occorre configurare gia’ sul piano dell’imputazione oggettiva, distinte sfere di responsabilita’ gestionale, separando le une dalle altre. Esse conformano e limitano l’imputazione penale dell’evento al soggetto che viene ritenuto “gestore” del rischio, potendosi conseguentemente affermare, in modo sintetico, che il “garante” e’ il soggetto che gestisce il rischio.
E’ appena il caso di precisare – a scanso di ogni equivoco – come il termine “garante” (sul piano terminologico legato alla c.d. “posizione di garanzia” come espressione che allude in modo condensato all’obbligo giuridico di impedire l’evento che fonda la responsabilita’ in ordine ai reati commissivi mediante omissione, ai sensi dell’articolo 40 cpv. c.p.) risulti in realta’ ampiamente utilizzato nella prassi anche in situazioni nelle quali (come nel caso di specie) si e’ in presenza di causalita’ commissiva; ed ha assunto un significato piu’ ampio di quello originario, di cui occorre acquisire consapevolezza (sul punto si tornera’ infra, Parte III, par. 3 e 4).
Dunque l’accennata esigenza di delimitazione delle sfere di responsabilita’ e’ tanto intensamente connessa all’essere stesso del diritto penale, quale scienza del giudizio di responsabilita’, che si e’ fatta strada nella giurisprudenza, attraverso lo strumento normativo costituito dall’articolo 41 cpv. c.p., dovendo rilevarsi come, in concreto, la diversita’ dei rischi interrompa – o, per meglio dire, separi – le sfere di responsabilita’.
L’ordine d’idee cui si fa cenno si rinviene, sia pure talvolta inconsapevolmente, nella giurisprudenza di legittimita’. Cosi’, ad esempio, nel caso di abusiva introduzione notturna da parte del lavoratore nel cantiere irregolare, si e’ distinto implicitamente tra rischio lavorativo e rischio da ingresso abusivo ed e’ stata annullata la pronunzia di condanna anche se il datore di lavoro aveva violato le prescrizioni antinfortunistiche (Sez. 4, n. 44206, del 25/09/2001, Intrevado, Rv. 221149). La vittima e’ occasionalmente un lavoratore, ma la situazione pericolosa nella quale si e’ verificato l’incidente non e’ riferibile al contesto della prestazione lavorativa, sicche’ non entrano in questione la violazione della normativa antinfortunistica e la responsabilita’ del gestore del cantiere. Al momento dell’incidente non era in corso un’attivita’ lavorativa, pertanto il caso andava esaminato dal differente punto di vista delle cautele che avrebbero dovuto essere approntate dal responsabile del sito per inibire la penetrazione di estranei in un’area pericolosa come un cantiere edile (nello stesso senso, in contesto non molto dissimile, Sez. 4, n. 11311 del 07/05/1985, Bernardi, Rv. 171215; Sez. 4, n. 43168 del 17/06/2014 – dep. 15/10/2014, Cinque, Rv. 260947).
La riflessione sul punto condotta dalle Sezioni Unite si fa carico della rassegna dei diversi spunti che, nella trascorsa giurisprudenza di legittimita’, incoraggiano la conclusione secondo cui, con particolare riguardo al tema degli infortuni sul lavoro, appare viva e solidamente radicata la tendenza a considerare interruttiva del nesso di condizionamento tra la condotta del garante e l’evento infortunistico la condotta abnorme del lavoratore quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento e’ “interruttivo” (per restare al lessico tradizionale) non perche’ “eccezionale” ma perche’ “eccentrico” rispetto al rischio lavorativo che il garante e’ chiamato a governare. Tale “eccentricita’” rendera’ magari in qualche caso (ma non necessariamente) statisticamente eccezionale il comportamento ma cio’ e’ una conseguenza accidentale e non costituisce la reale ragione dell’esclusione dell’imputazione oggettiva dell’evento.
Riconosciuta la sfera di rischio come area che designa l’ambito in cui si esplica l’obbligo di governare le situazioni pericolose che conformano l’obbligo del garante, ne discende altresi’ la necessita’ di individuare concretamente la figura istituzionale che puo’ essere razionalmente chiamata a governare il rischio medesimo e la persona fisica che incarna concretamente quel ruolo.
Questa enunciazione richiede, tuttavia, di essere chiarita: occorre guardarsi dall’idea ingenua, e foriera di fraintendimenti, che la sfera di responsabilita’ di ciascuno possa essere sempre definita e separata con una rigida linea di confine; e che questa stessa linea crei la sfera di competenza e responsabilita’ di alcuno escludendo automaticamente quella di altri.
In realta’ le cose sono spesso assai piu’ complesse. Basti considerare la transitivita’ delle condizioni che si susseguono all’interno di una catena causale; l’intreccio di obblighi che spesso coinvolgono diverse figure e diversi soggetti nella gestione di un rischio; la complessa figura della cooperazione colposa. Questa serie di differenti connessioni, con il suo carico di complessita’, rende chiaro quanto delicata sia l’individuazione di aree di competenza pienamente autonome che giustifichino la compartimentazione della responsabilita’ penale (Sez. U, N.38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, cit.).
Le argomentazioni cosi’ articolate conducono alla formulazione di una conclusione di portata generale: l’effetto interruttivo della causalita’ puo’ essere dovuto a qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante e’ chiamato a governare.
Conclusivamente, la teoria del rischio (evocata dalle riflessioni delle Sezioni Unite qui puntualmente riproposte, anche in termini formali) offre strumenti di analisi e ponderazione meno vaghi e piu’ penetranti rispetto a quelli offerti dalla tradizione: in breve, l’individuazione del rischio quale chiave di volta per la lettura degli intrecci causali; l’intervento di fattori la cui concausalita’ e’ determinante e di significato tale da assorbire la spiegazione giuridica esclusiva dell’evento; la congruenza tra i rischi (Sez. 4, n. 33329 del 28/7/2015, Sorrentino e altri, Rv. 264365, cit.).
Le considerazioni esposte valgono a mettere a fuoco e chiarire la posizione dell’odierno imputato e del ruolo della comunicazione sociale del rischio sismico che lo stesso ha di fatto assunto attraverso l’adozione della condotta informativa allo stesso addebitata. E valgono a precisarla, segnatamente in relazione al piano della garanzia dallo stesso assunta con riguardo all’insieme dei rischi che il medesimo imputato, attraverso la propria condotta informativa di carattere istituzionale, ha finito concretamente col governare.
Su questo terreno, l’indagine condotta dalla sentenza della Corte di Appello si lascia apprezzare in termini assoluti per la precisione dell’analisi, la compiutezza e la copiosita’ degli elementi di riscontro suscettibili di tratteggiare con nettezza i termini fattuali della sequenza degli eventi intermedi in concreto esaminati.
In questo quadro occorre collocare, in sintesi, la prevedibile gestione dei messaggi informativi dell’imputato ad opera del sistema dei mezzi d’informazione; la relativa elaborazione (anche congiunta, sul piano familiare o amicale) da parte dei destinatari; la concreta prevedibilita’ di eventi sismici distruttivi in un contesto territoriale altamente sismico come quello aquilano, rispetto ai quali, come ammonisce la consolidata giurisprudenza di questa Corte, i professionisti competenti sono chiamati a confrontarsi (Sez. 4, n. 17492 del 16/11/1989, Rv. 182859) senza poterne fondatamente addurre la relativa scientifica imprevedibilita’; la fragilita’ del patrimonio edilizio della citta’ di L’Aquila, realizzato negli anni senza il rispetto di alcun criterio o politica antisismica, come abbondantemente documentato dalla pubblicistica di settore partitamente richiamata dalla sentenza d’appello.
Si tratta di una sequenza di eventi (e di prefigurazioni di eventi), culminati nel decesso delle vittime in precedenza nominativamente menzionate (rimaste intrappolate dal crollo degli edifici in cui erano restate), che il discorso della corte territoriale ha correttamente ascritto per intero all’ambito dei rischi governati dalla condotta informativa del (OMISSIS) assunta nel quadro e in esecuzione del ruolo (dallo stesso nell’occasione concretamente rivestito) di responsabile della comunicazione istituzionale della Protezione civile. Un ruolo che l’imputato ha di fatto concretamente svolto proprio in quello specifico contesto ambientale e di rischio gia’ in precedenza abbondantemente tratteggiato, rispetto al quale nessuno degli eventi qui richiamati puo’ ritenersi plausibilmente dotato di ragionevole “eccentricita’” rispetto alla condotta dell’imputato.
Anche su questo specifico punto, pertanto, la motivazione elaborata dalla Corte di Appello deve ritenersi immune da vizi d’indole logica o giuridica, scevra di contraddizioni e argomentata con linearita’, tale da sottrarsi integralmente alle censure al riguardo sollevate dagli odierni ricorrenti.
Deve dunque conclusivamente confermarsi, anche a seguito delle considerazioni dae ultimo esposte, il giudizio di radicale infondatezza di tutte le censure critiche sollevate dai ricorrenti in relazione alla valenza causale della condotta dell’imputato, cui ciascuno degli eventi lesivi allo stesso addebitati e’ direttamente ascrivibile.
22. Colpa lieve dell’imputato e rilevanza penalistica del parametro di cui all’articolo 2236 c.c.. Parimenti infondato deve ritenersi il motivo d’impugnazione avanzato dall’imputato in relazione alla pretesa “erronea applicazione della legge penale…, nella misura in cui nel caso di specie, attesa la riconosciuta “lievita’” della colpa” non ne ha escluso la responsabilita’, perche’ trovatosi ad operare “in una situazione complessa dal punto di vista scientifico”, “di particolare emergenza determinata dalla necessita’ di interloquire con una popolazione allarmata da uno sciame sismico”, “in una gestione alquanto problematica della comunicazione”.
I referenti normativi che si evocano al riguardo – evidentemente ritenendoli non correttamente applicati dalla Corte di Appello – sono l’articolo 2236 c.c., a riguardo del quale si rammenta che la giurisprudenza di questa Corte ha statuito trattarsi di norma dalla quale trarre una regola di esperienza cui il giudice puo’ attenersi nel valutare l’addebito di imperizia, sia quando si versi in una situazione emergenziale, sia quando il caso implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficolta’; nonche’ del Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, l’articolo 3 (conv. in L. 8 novembre 2012, n. 189), per sostenere che nell’interpretare la relativa disposizione questa Corte ha affermato che essa puo’ trovare applicazione anche in ipotesi di difetto di diligenza del medico, e non solo nei casi di imperizia.
Preliminarmente, va segnalata la correttezza del richiamo operato dal ricorrente a quelli che rappresentano, allo stato, alcuni degli orientamenti espressi da questa Corte con riguardo alla relazione corrente tra l’articolo 2236 c.c. e la responsabilita’ penale per illecito colposo, in particolare di evento, e dei presupposti applicativi del citato articolo 3.
Il dibattito penalistico intorno all’articolo 2236 c.c. si e’ sviluppato essenzialmente con riguardo all’attivita’ medica (anche se non mancano isolate pronunce concernenti differenti professioni: cfr. Sez. 4, n. 4023 del 30/04/1981, Talamazzi, Rv. 148613, in materia di; Sez. 4, n. 4793 del 29/04/1991, Bonetti ed altri, Rv. 191803, cit., a riguardo dell’attivita’ ingegneristica). Ed e’ noto che la piu’ risalente concezione giurisprudenziale del rapporto medico-paziente ne tratteggiava i lineamenti assegnandogli uno statuto del tutto particolare. La delimitazione della responsabilita’ dell’esercente una professione sanitaria, per un errore in cui il medesimo sia incorso nell’esercizio dell’attivita’, non trae origine si affermava – da un determinato grado di colpa, ma dalla natura e dalle caratteristiche dell’attivita’ espletata, dovendosi tener debitamente conto delle difficolta’ e dei rischi inerenti e valutando, pertanto, con una certa larghezza il comportamento del sanitario (Sez. 4, n.912 del 23/11/1971, Molinari, Rv. 119346; Sez. 4, n.2058 del 18.4.1972, del Vecchio, Rv. 120779). Ancor piu’ chiaramente si statuiva che la sussistenza della colpa professionale del sanitario deve essere valutata con larghezza e comprensione, per le peculiarita’ dell’esercizio dell’arte medica e per le difficolta’ dei casi particolari (Sez. 4, n.9367 del 22/10/1981, Fini, Rv. 150650).
Una simile accondiscendenza verso le ragioni dei sanitari rendeva pressoche’ irrilevante sul piano concreto il tema dell’applicabilita’ anche ai fini della delimitazione della responsabilita’ penale dell’articolo 2236 c.c., che restringe la responsabilita’ civile per i danni conseguenti ad errore commesso nell’esecuzione di attivita’ comportanti problemi tecnici di speciali difficolta’ alle ipotesi di colpa grave; ipotesi che nella lettura fornita dalla Corte costituzionale (sentenza del 28.11.1973, n. 166) puo’ darsi solo ove trattasi di imperizia.
Al mutare in senso piu’ rigorista dell’interpretazione giurisprudenziale si e’ fatta acuta l’attenzione al tema dell’estensione applicativa dell’articolo 2236 c.c.. Tema che ha pero’ visto il filone piu’ consistente della giurisprudenza di legittimita’ su posizioni di rifiuto della tesi di una diretta applicabilita’ dell’articolo 2236 c.c. ai fini del giudizio sulla colpa penale. Gli argomenti spesi per sostenere questa posizione possono rapidamente ricordarsi: carattere derogatorio dell’articolo 2236 c.c. gia’ rispetto alla regola posta dall’articolo 1176 c.c.; carattere settoriale dell’articolo 2236 c.c., avendo quale campo di applicazione l’obbligazione risarcitoria da illecito contrattuale; divieto di analogia; autosufficienza della disciplina penalistica in tema di colpa; estraneita’ al diritto penale di una rilevanza della misura della colpa sul piano dell’an della responsabilita’. Si tratta di una posizione decisamente vittoriosa, che pero’ ha trovato una versione meno intransigente a partire da alcune sentenze degli inizi del nuovo secolo, nelle quali, ribadita l’impossibilita’ di fare diretta applicazione dell’articolo 2236 c.c. in caso di colpa medica, si e’ affermato che da tale norma si ricava una regola di esperienza che il giudice non puo’ ignorare. In particolare, si e’ scritto che “detta norma civilistica puo’ trovare considerazione anche in tema di colpa professionale del medico quando il caso specifico sottoposto al suo esame imponga la soluzione di problemi di specifica difficolta’, non per effetto di diretta applicazione nel campo penale, ma come regola di esperienza cui il giudice possa attenersi nel valutare l’addebito di imperizia. da quanto suesposto segue che, sia quando non sia presente una situazione emergenziale, sia quando il caso non implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficolta’, cosi’ come quando venga in rilievo (e venga contestata) negligenza e/o imperizia, i canoni valutativi della condotta (colposa) non possono essere che quelli ordinariamente adottati nel campo della responsabilita’ penale per danni alla vita o all’integrita’ dell’uomo (articolo 43 c.p.), con l’accentuazione che il medico deve sempre attenersi a regole di diligenza massima e prudenza, considerata la natura dei beni che sono affidati alla sua cura” (Sez. 4, n. 39592 del 26/10/2007, Bugge’, Rv. 237875; in senso adesivo Sez. 4, n. 4391 del 01/02/2012, P.C. in proc. di Lella, Rv. 251941).
Piu’ di recente si e’ ribadito che l’articolo 2236 c.c., se rettamente inteso, “esprime un criterio di razionalita’ del giudizio”, ribadendosi che essa non puo’ avere “… diretta applicazione nel campo penale, ma come regola di esperienza cui il giudice possa attenersi nel valutare l’addebito di imperizia sia quando si versi in una situazione emergenziale, sia quando il caso implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficolta’…”, e concludendo che attraverso l’articolo 2236 c.c. assumono rilievo le problematiche contingenze del caso concreto “che dischiudono le valutazioni sul profilo soggettivo della colpa, sulla concreta esigibilita’ della condotta astrattamente doverosa” (Sez. 4, n. 16328 del 26/04/2011, p.c. in proc. Montalto e altro, Rv. 251960).
L’esponente coglie quindi un importante – ma non l’unico – filone interpretativo formatosi attorno al tema dei riflessi penalistici dell’articolo 2236 c.c.; un filone, occorre dirlo, che sinora non sembra aver germinato un principio oggetto di costante ed estesa applicazione.
Sul diverso fronte dell’interpretazione dell’articolo 3 del c.d. Decreto Balduzzi la giurisprudenza di questa Corte ha scandito alcuni punti fermi – che attengono al prodursi di un fenomeno di parziale abolitio criminis con i correlati effetti di cui all’articolo 2 c.p., comma 2, essendo state avulse dall’area di rilevanza penale le condotte connotate dalla conformita’ alle linee guida e alle buone pratiche accreditate e dal grado lieve della colpa – ed evidenziato un pensiero in evoluzione, che concerne essenzialmente l’applicabilita’ della norma oltre che alle condotte imperite anche a quelle negligenti ed imprudenti. Infatti, dopo che in talune pronunce si e’ affermato che la limitazione della responsabilita’ prevista dal Decreto Legge n. 158 del 2012, all’articolo 3 opera soltanto per le condotte professionali conformi alle linee guida contenenti regole di perizia, ma non si estende agli errori diagnostici connotati da negligenza o imprudenza (Sez. 4, n. 11493 del 11/03/2013, Pagano, Rv. 254756; Sez. 3, n. 5460 del 4/02/2014, P.C. in proc. Grassini, Rv. 258846; Sez. 4, n. 7346 del 18/02/2015, Sozzi e altri, Rv. 262243), si sono succedute ulteriori decisioni che hanno mitigato l’intransigenza delle prime affermazioni, precisando che la disciplina di cui al menzionato articolo 3, pur trovando terreno d’elezione nell’ambito dell’imperizia, puo’ tuttavia venire in rilievo anche quando il parametro valutativo della condotta dell’agente sia quello della diligenza (Sez. 4, n.47289 del 17/11/2014, Stefanetti, Rv. 260739; Sez. 4, n. 2168 del 16/01/2015, Anelli, Rv. 261764); venendosi poi a delineare un consapevole contrasto con la sentenza Sez. 4, n.16944 del 23.4.2015, Rota, n.m., nella quale si ribadisce la limitazione dell’applicazione dell’articolo 3 alla sola colpa per imperizia, escludendo che possa accedersi all’interpretazione piu’ estensiva sostenuta a partire dalla sentenza Stefanetti.
Anche in questo caso, il ricorrente evidenzia una delle posizioni espresse dalla giurisprudenza di questa Corte, stavolta a riguardo dell’articolo 3 cit.; in un panorama non privo di voci dissonanti.
Non puo’ essere questa la sede per assumere le determinazioni imposte da un rilevante contrasto giurisprudenziale. E cio’ in quanto la risoluzione dello stesso non assume alcun rilievo ai fini della presente decisione.
Lo scopo della precedente diffusa esposizione delle vicende interpretative succedutesi intorno all’articolo 2236 c.c. e al Decreto Legge n. 158 del 2012, articolo 3 e’ quello di evidenziare il tentativo del ricorrente di combinare alcune letture delle disposizioni in parola, come se esse convergessero, sommandosi per la definizione di un’unitaria disciplina. Tentativo, peraltro, in alcun modo argomentato. In realta’ l’articolo 2236 c.c. indubitabilmente concerne le sole condotte imperite; e quindi non puo’ trovare applicazione alla condotta del (OMISSIS), che lo stesso esponente conviene essere connotata essenzialmente da negligenza ed imprudenza, tanto che avverte la necessita’ di chiamare in causa l’articolo 3; che, tuttavia, anche a voler accedere all’interpretazione di maggior favore, trova applicazione esclusivamente nei confronti degli esercenti una professione sanitaria e alla particolare condizione della conformita’ della condotta a linee guida e buone pratiche accreditate. Non occorre aggiungere altro per escluderne la pertinenza al caso in esame.
Questa Corte non e’ ignara dei dubbi di legittimita’ costituzionale che sono affiorati nella dottrina a riguardo del Decreto Legge n. 158 del 2012, articolo 3. A differenza di quel che una prima lettura della norma puo’ far intendere, dalla stessa non viene la validazione di un atteggiamento burocratico del sanitario, che si sostanzi nell’acritico affidamento alle regole poste dalle linee guida e dalle best practices. Il medico e’ in primo luogo tenuto a valutare la pertinenza al caso concreto dei dettami delle linee guida, che offrono indicazioni valevoli nella generalita’ dei casi ma ben possono non essere valide alla luce delle particolarita’ del caso specifico. Vi e’ quindi una colpa per adesione alle linee guida in ipotesi in cui altre sarebbero dovute essere le regole dell’arte da osservare; e vi e’ una colpa per divergenza, allorquando ci si e’ indebitamente allontanati dalle indicazioni proposte dalle linee guida e dalle best practices. Solo nel primo caso, ove ricorra la colpa lieve (che quindi potra’ dipendere dall’errata preferenza accordata alle linee guida o ad un errore nella esecuzione dell’attivita’ suggerita), si potra’ ipotizzare la atipicita’ del comportamento del sanitario. Per contro, in caso di colpa per divergenza, non si potra’ mai invocare l’applicazione del Decreto Balduzzi, all’articolo 3, comma 1.
Proprio questa conclusione ha condotto taluno a parlare di “discriminazione interna”, per intendere il trattamento deteriore riservato a quei sanitari che non si siano attenuti alle linee guida, ma per aver correttamente accordato preferenza a un piu’ elevato patrimonio di conoscenze, non ancora consolidatosi ma maggiormente efficiente sul piano cautelare; e a chi e’ in colpa lieve rispetto a situazioni difficilissime non disciplinate da linee guida.
Ma in questa sede interessa maggiormente l’ulteriore critica avanzata alla disciplina in esame, determinata dal fatto di riservare un trattamento sanzionatorio di maggior favore ai soli esercenti la professione sanitaria nel piu’ ampio novero degli operatori alle prese con compiti di elevata complessita’ o che vedono parimenti governata la loro attivita’ da linee guida.
Cio’ potrebbe suggerire la necessita’ di ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimita’ dell’articolo 3 nella parte in cui limita agli esercenti la professione sanitaria la favorevole rilevanza della colpa lieve. Sarebbe questione di indubbia decisivita’ nella valutazione della posizione del (OMISSIS), qualora si ritenesse ricompreso nel perimetro di applicazione della norma anche il comportamento negligente o imprudente.
Ad avviso di questa Corte, tuttavia, non ricorrono le condizioni per la denuncia della norma ai giudici costituzionali. La formulazione di una questione di legittimita’ costituzionale presuppone – per consolidato insegnamento dei giudici della Consulta – che non sia possibile esperire con successo il tentativo di operare un’interpretazione adeguatrice della norma sospetta; una interpretazione, cioe’, che valga a renderla coerente con i principi costituzionali. Occorre tener conto che il giudizio di irragionevolezza ex articolo 3 Cost. ha una struttura ternaria, venendo in considerazione la norma sospetta, il parametro costituzionale e la norma (o il combinato disposto da piu’ norme) che funge da tertium comparationis (tra le molte, Corte cost. del 14.10.1996, n. 356). Da cio’ consegue che dalla norma di raffronto dipende l’evidenza stessa della dubbia costituzionalita’ di quella indagata. Ora, non sembra dubbio che nel caso in esame il tertium comparationis sia costituito dal combinato disposto dell’articolo 43 c.p. e dell’articolo 2236 c.c., dai quali si trae la disciplina della responsabilita’ colposa per gli esercenti una professione che implica la soluzione di problemi di speciale difficolta’ (quale frequentemente e’ l’attivita’ dei sanitari). Sicche’ la fisionomia della disciplina di raffronto muta a seconda dell’interpretazione che si accorda all’articolo 2236 c.c.. Piu’ esteso ne e’ l’ambito di applicazione, meno sospetta e’ la riserva a favore dei sanitari descritta dall’articolo 3.
A giudizio di questa Corte, l’interpretazione piu’ recente dell’articolo 2236 c.c. fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ in tema di responsabilita’ penale permette di ritenere che lo statuto della colpa professionale non sia irragionevolmente squilibrato a vantaggio esclusivo del personale sanitario – ed anzi di parte di esso -, ma espressivo nel complesso di un piu’ articolato equilibrio. A definire quello statuto viene in primo luogo del Decreto Balduzzi, l’articolo 3, comma 1 in forza del quale il personale sanitario conosce una restrizione della responsabilita’ penale ai soli casi di imperizia “non lieve” – salvo consentire alla tesi, che a questo punto risulterebbe ancor piu’ persuasiva, di un’estensione della non punibilita’ anche ai casi di negligenza e di imprudenza “lieve” -; tale limitazione, possibile solo nei casi di colpa per adesione alle linee guida e alle best practices, non conosce la differenza tra compiti di ordinaria difficolta’ e attivita’ di speciale difficolta’. L’ampiezza del favor trova un bilanciamento nella limitazione alle condotte conformi alle linee guida e alle best practices. Vi e’ poi l’articolo 2236 c.c., valevole per gli altri operatori del rischio (e per i sanitari medesimi, che non applichino il sapere consolidato in linee guida et similia e) che si trovino a dover compiere attivita’ in condizioni di speciale difficolta’; per essi la responsabilita’ penale per colpa risulta esclusa solo in caso di imperizia e da una regola di giudizio che ravvisa l’esigibilita’ del comportamento doveroso alla luce delle circostanze operative concrete, affermandola solo nel caso di colpa grave. Ma per contro prescinde dal rapporto intrattenuto dall’attivita’ concretamente compiuta con eventuali linee guida o best practices di riferimento.
Una simile ricostruzione interpretativa (certamente da intendere ancora in termini dinamici o evolutivi) induce a escludere il ricorso di indici concreti di irragionevolezza o di manifesta inaccettabilita’ nelle differenze di trattamento che appaiono delinearsi nella disciplina legislativa.
Alla luce del complesso delle argomentazioni sin qui richiamate, deve dunque confermarsi il giudizio d’integrale infondatezza di tutti i motivi d’impugnazione sollevati dai ricorrenti in relazione ai profili di criticita’ del giudizio di colpa espresso nei confronti dell’imputato; profili nel loro insieme adeguatamente affrontati e risolti nell’articolato discorso giustificativo della sentenza impugnata.
23. Prime statuizioni. L’accertamento dell’infondatezza di tutti i motivi d’impugnazione proposti dall’imputato e dalla Presidenza del consiglio dei ministri (quale responsabile civile) impone le statuizioni che si indicano nella seguente PARTE IV.
24. I ricorsi delle parti civili. Contro l’assoluzione di (OMISSIS) pronunciata dalla sentenza della Corte l’appello di L’Aquila hanno proposto ricorso per cassazione le seguenti parti civili: 1) (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quale erede di (OMISSIS) (quali congiunti di (OMISSIS), deceduta in occasione del terremoto del 6.4.2009); 2) (OMISSIS) e (OMISSIS) (in proprio e quali eredi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) deceduti, unitamente a (OMISSIS), in occasione del terremoto del 6.4.2009); 3) (OMISSIS), (OMISSIS) (congiunti di (OMISSIS) ed eredi di (OMISSIS), parte civile gia’ costituita quale madre di (OMISSIS) e deceduta in corso del giudizio) e (OMISSIS), in proprio e quale erede di (OMISSIS) ed erede di (OMISSIS) (tutti quali congiunti di (OMISSIS) deceduta, assieme all’amica (OMISSIS), in occasione del terremoto del 6.4.2009); 4); (OMISSIS) (quale congiunto di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), tutte decedute in occasione del terremoto del 6.4.2009); 5) (OMISSIS) e (OMISSIS) (congiunti di (OMISSIS) e (OMISSIS), deceduti in occasione del terremoto del 6.4.2009); 6) (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
In relazione a tali impugnazioni, ritiene opportuno il collegio procedere all’esame distinto delle singole motivazioni dettate dalla corte territoriale a fondamento dell’accertamento negativo del nesso di causalita’ tra la condotta dell’imputato e i singoli soggetti deceduti o lesionati in occasione del sisma del 6 aprile 2009, allo scopo di fornire risposta a tutte le censure critiche sollevate su tali punti da ciascuna parte civile ricorrente.
25. Sul decesso di (OMISSIS). Con riguardo alla vicenda di (OMISSIS), la corte territoriale ha ritenuto non adeguatamente comprovata la riconducibilita’, al fatto dell’imputato, della relativa decisione di permanere in L’Aquila, all’interno della propria abitazione, nella notte tra il cinque e il 6 aprile 2009.
Si tratta del tema relativo alla valutazione probatoria delle spiegazioni del nesso di causalita’ alternative a quella proposta dall’accusa: alternative che, con specifico riguardo a (OMISSIS), la corte territoriale ha ritenuto sufficientemente comprovate, non recessive rispetto a quella prospettata dall’accusa e, in ogni caso, non definibili in termini di assoluta inverosimiglianza, come necessariamente imposto dal confronto dialettico tra ipotesi causali concorrenti alla luce delle contingenze fattuali del caso concreto.
Nella specie, la corte territoriale ha evidenziato come gli elementi di prova testimoniale acquisiti avessero sottolineato il valore fondamentale assunto per (OMISSIS) dagli impegni legati al conseguimento del diploma di laurea e alla dovuta frequentazione delle ore di laboratorio gia’ programmate, vieppiu’ in ragione della mancata chiusura dell’Istituto universitario in occasione delle diverse scosse succedutisi all’Aquila prima del 6 aprile 2009.
Proprio la circostanza legata alla mancata chiusura dell’universita’ risulta aver assunto un ruolo non trascurabile nella rassicurazione della ragazza circa l’assenza di effettivi gravi pericoli legati al terremoto; ne’ e’ risultato, secondo quanto ricostruito dalla corte territoriale, che le parole dell’imputato avessero effettivamente contribuito a consolidare detta rassicurazione, avendo la ragazza, durante la notte tra il cinque e il 6 aprile, manifestato inequivocabilmente i propri rilevanti timori sulle scosse che andavano succedendosi.
Sotto altro profilo, la corte territoriale ha sottolineato come gli elementi di prova testimoniale acquisiti avessero escluso che la (OMISSIS), nella notte tra il 5 e il 6 aprile, non fosse uscita dalla propria abitazione in ragione delle rassicurazioni fornite dall’imputato, atteso che la stessa ragazza, in occasione di situazioni consimili, precedenti il 31 marzo 2006, era comunque rimasta all’interno della propria abitazione a seguito delle prime scosse sismiche, pur invocando presso di se’, per la paura, la presenza del proprio fidanzato.
Sulla base di tali premesse, la corte territoriale ha ritenuto di dover qualificare come incerta la conseguenza per cui, ove la stessa non avesse avuto contezza delle parole dell’imputato, si sarebbe trattenuta fuori casa di notte per un tempo sufficiente ad evitarne la morte: considerazioni che, pur non svalutando gli elementi a carico evidenziati dal primo giudice hanno inevitabilmente determinato quella situazione di perplessita’ e di incertezza sufficienti a giustificare la pronuncia assolutoria ai sensi del dell’articolo 530 c.p.p., comma 2.
Osserva il collegio come il ragionamento cosi’ compendiato dalla corte territoriale debba ritenersi dotato di adeguata congruenza logica rispetto ai principi piu’ sopra rassegnati in tema di accertamento della causalita’; un ragionamento pienamente rispettoso dell’esigenza che le contingenze fattuali riferite al fatto concreto valgano a confermare la responsabilita’ dell’imputato oltre il limite del ragionevole dubbio.
Rispetto a detta motivazione, le odierne censure delle parti civili ricorrenti appaiono limitate a una mera riproposizione di letture alternative delle risultanze testimoniali, esaurite sul piano di una preferibile interpretazione contrapposta, come tali inammissibili in questa sede di legittimita’, non potendo in alcun modo ritenersi, dette censure, idonee a configurare l’effettivo ricorso di travisamenti di prova, essi soli certamente rilevanti sul piano della correttezza e della legittimita’ della motivazione.
26. Sul decesso di (OMISSIS) e di (OMISSIS) (unitamente a (OMISSIS)). Il carattere decisivo della verifica controfattuale e’ stato indicato dalla Corte di Appello a fondamento dell’assoluzione dell’imputato in relazione al decesso di (OMISSIS) e di (OMISSIS) (unitamente a (OMISSIS)).
Sul punto, la corte territoriale ha sottolineato come le evidenze probatorie avessero adeguatamente confermato la circostanza che le rassicurazioni circa l’assenza di effettivi pericoli legati al sisma fosse stata acquisita, da (OMISSIS) (e da questo trasmessi al proprio nucleo familiare), in ragione dei rapporti dallo stesso intrattenuti, e dalle discussioni e i discorsi condivisi, nel contesto professionale di appartenenza, quale organo del corpo forestale dello Stato.
Sul punto e’ emerso come, dopo la scossa delle ore 0,39 del 6 aprile 2009, Luigi Giugno provvide a tranquillizzare la sorella attraverso il chiaro riferimento alla propria appartenenza al corpo forestale dello Stato, dal cui ambiente (ritenuto largamente attendibile, in ragione del relativo carattere istituzionale) nessun pericolo era stato segnalato.
Sotto altro profilo, le risultanze testimoniali hanno inoltre evidenziato come la decisione di permanere all’interno della propria abitazione, nella notte tra il 5 e il 6 aprile, da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS), fosse anche dipeso dalla volonta’ dei due di non aggravare le condizioni della donna, prossima al parto (previsto proprio per il 6 aprile), oltre che dalle recenti rassicurazioni dagli stessi ricevute dai vigili del fuoco (in data 30 marzo 2006, successivamente alla scossa delle 15,38 di quel giorno) ritenute psicologicamente idonee a fornire una sufficiente tranquillizzazione per gli abitanti dell’appartamento.
La valutazione congiunta e integrata di tali elementi ha dunque spinto la corte territoriale a ritenere non adeguatamente accertata, oltre ogni ragionevole dubbio, l’inesistenza di inverosimili spiegazioni alternative all’incidenza causale della condotta dell’imputato, con la conseguente assoluzione dello stesso ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., comma 2.
Anche in relazione a tale vicenda, ritiene il collegio di dover condividere lo sviluppo argomentativo della sentenza impugnata, non ravvisando nessuno dei vizi logici infondatamente prospettati dalle parti civili ricorrenti, essendosi queste ultime limitate a un’inammissibile proposta reinterpretativa, sul piano del fatto, degli elementi di prova testimoniale compendiati dal giudice d’appello, senza che sia emerso alcun effettivo e concreto travisamento degli elementi di prova complessivamente acquisiti.
27. Sul decesso di (OMISSIS) (unitamente ad (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Con riguardo alla sorte di (OMISSIS) e (OMISSIS) (e, conseguentemente, delle minori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), la corte territoriale, pur avendo acquisito la prova che le stesse erano effettivamente venute a contatto con le rassicurazioni dell’imputato, ha evidenziato l’assoluta mancanza di elementi di prova circa le occorrenze del comportamento tenuto dalle due donne nella notte tra il 5 e il 6 aprile 2009, essendosi limitati, i testi escussi sul punto, a riferire della sola declinazione, da parte di (OMISSIS), dell’invito a cena rivoltole dalla teste (OMISSIS), intorno alle ore 20,00 del 5 aprile; orario, oltre il quale nessun ulteriore riscontro e’ stato acquisito circa la sorte delle due donne.
Cio’ posto, per quanto possa ritenersi in astratto che (OMISSIS) e (OMISSIS) si siano determinate a rimanere in casa per effetto delle rassicurazioni dell’imputato, l’assoluta assenza di contatti diretti di chicchessia con le due, nel corso di quella notte, non vale a escludere il possibile ricorso di fattori causali alternativi a quello; ne’ a escludere la circostanza che le stesse, nel sonno, potessero non aver percepito affatto le due scosse precedenti quella distruttiva delle ore 3,32.
Secondo la coerente argomentazione seguita dalla corte territoriale, l’impossibilita’ di ritenere, con elevato grado di probabilita’ logica, che le due donne sarebbero comunque rimaste in casa per effetto della condotta dell’imputato o che, escluso detto fattore, le stesse avrebbero certamente abbandonato la loro abitazione nel corso di quella notte, equivale a escludere che l’ipotesi causale esplicativa avanzata in sede d’accusa sia stata effettivamente corroborata.
Si tratta di un ragionamento probatorio coerente, realisticamente consapevole della sostanziale poverta’ del quadro delle contingenze fattuali disponibili, tale da escludere la possibilita’ di pervenire a un giudizio di responsabilita’ dell’imputato nel rispetto dello standard probatorio costruito in coerenza al limite del ragionevole dubbio: un esito che vale inevitabilmente ad attribuire, alle considerazioni critiche articolate nel ricorso delle parti civili, un irriducibile e persistente carattere congetturale, non adeguatamente superato nel confronto con il crogiolo dei fatti concreti.
28. Sul decesso di (OMISSIS) e (OMISSIS). L’assoluzione dell’imputato in relazione al decesso di (OMISSIS) e (OMISSIS) e’ stata pronunciata dalla corte territoriale sulla base di una valutazione di complessiva inattendibilita’ degli elementi di prova testimoniale acquisiti.
Sul punto, la Corte di Appello ha evidenziato come il teste (OMISSIS), figlio dei due coniugi deceduti, avesse ammesso di non conoscere le cautele assunte dai propri genitori durante l’intero periodo dello sciame sismico che interesso’ L’Aquila nel periodo anteriore al 30 marzo 2009.
Lo stesso teste, unitamente alla sorella (OMISSIS), d’altro canto, ha riferito che i propri genitori decisero di rimanere presso la propria abitazione anche la sera del 30 marzo 2009, dopo la sensibile scossa di terremoto che ebbe a verificarsi quel giorno, in ragione della ridotta preoccupazione e della stanchezza sopraggiungente.
Di tali elementi di prova i giudici d’appello non hanno mancato coerentemente di evidenziare il grave contrasto con l’esigenza, rilevante in chiave controfattuale, di acquisire una prova certa circa il prevedibile eventuale comportamento che le vittime avrebbero tenuto in caso di eliminazione mentale della condotta dell’imputato.
Quanto alla ricostruzione delle vicende occorse nella notte tra il 5 e il 6 aprile, la corte territoriale ha evidenziato come i testi escussi non fossero stati in grado di riferire in modo coerente e sufficientemente univoco le occorrenze del comportamento seguito dai propri genitori, con particolare riguardo al ruolo su di essi assunto dalle informazioni apprese attraverso le parole dell’imputato, rimasto solo genericamente e confusamente sullo sfondo di un racconto privo di coerenza, ed anzi in talune parti viziato da passaggi contraddittori nel confronto tra quanto dagli stessi testi dichiarato in sede di indagini e quanto affermato nel contesto dibattimentale.
Anche in relazione a tali vicende, la corte territoriale, pur non svalutando gli elementi favorevoli all’ipotesi accusatoria evidenziati dal primo giudice, ha correttamente sottolineato i profili di contraddittorieta’ e di incompletezza degli elementi testimoniali acquisiti, giungendo a escludere la pronunciabilita’, oltre ogni ragionevole dubbio, di un giudizio di sicura responsabilita’ penale dell’imputato in relazione alla condotta tenuta dalle due vittime nella notte tra il 5 il 6 aprile 2009.
Il ragionamento cosi’ articolato dalla corte territoriale deve ritenersi correttamente allineato ai principi che governano la rigorosa valutazione degli elementi di prova ai fini dell’accertamento della responsabilita’ dell’imputato, coerente e argomentato con linearita’, si’ da sfuggire integralmente alle censure sollevate dagli odierni ricorrenti; censure anch’esse limitate a una mera proposta di rilettura nel merito del contenuto delle informazioni probatorie acquisite nel corso del giudizio, come tale radicalmente inammissibile in questa sede di legittimita’.
29. Sul decesso di (OMISSIS) e sulle lesioni personali di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). La ricostruzione degli elementi di fatto riferiti alle vicende di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (tutti studenti in trasferta, alloggiati, nella notte tra il 5 e il 6 aprile 2009, presso l’edificio della Casa dello Studente di via XX settembre n. 46-52) muove, secondo l’articolato ragionamento della corte territoriale, dall’esame preliminare dell’attendibilita’ dei testimoni escussi: attendibilita’ che i giudici d’appello hanno ritenuto gravemente minata dal ritardo con i quali detti testi (rimasti anche offesi dalle vicende del terremoto) provvidero a integrare la denuncia originariamente avanzata nei soli confronti dei responsabili della costruzione scolastica crollata per effetto del sisma.
Sotto altro profilo, la Corte di Appello ha avuto cura di evidenziare gli elementi idonei a smentire la veridicita’ di quanto riferito dai testi, secondo quanto risultato a seguito dei riscontri fattuali nella specie condotti.
Cio’ posto – pur volendo ritenere comprovata (nonostante le ragioni di perplessita’ sopra richiamate) la conoscenza, da parte degli studenti, delle parole dell’imputato – la corte territoriale ha sottolineato come la verifica dibattimentale avesse dimostrato con certezza come tutti gli studenti in questione fossero stati rassicurati, in ordine all’assenza di possibili rischi connessi al sisma, dall’esito del sopralluogo positivo effettuato dagli organi tecnici della pubblica amministrazione competente all’interno della Casa dello Studente il 30 marzo 2009, subito dopo la scossa delle ore 15,38.
Sul punto, la Corte di Appello ha sottolineato come, nell’immediatezza dei fatti, tutti i predetti studenti avessero giustificato la loro permanenza all’interno dell’alloggio, nella notte tra il 5 e il 6 aprile 2009, esclusivamente in ragione di detta rassicurazione, salvo successivamente ricordare, solo a distanza di un tempo non trascurabile, la tranquillizzazione loro derivata dall’asserito esito della riunione della Commissione grandi rischi; ritardo che gli studenti hanno spiegato in ragione dello choc subito a seguito del sisma.
Di seguito, la Corte di Appello ha avuto cura di riproporre il contenuto delle testimonianze dalle quali e’ emerso come gli stessi testi avessero effettivamente ricevuto particolari rassicurazioni in occasione del sopralluogo degli organi competenti presso la Casa dello Studente, evidenziando la non condivisibilita’ dell’assunto fatto proprio dal primo giudice (secondo cui l’esito favorevole di tali verifiche pote’ aver inciso sono in minima parte sul processo motivazionale degli studenti), tenuto conto della maggiore prossimita’ ai luoghi di vita dei protagonisti degli organi tecnici responsabili del sopralluogo, rispetto ai generalizzati riferimenti istituzionali diffusi attraverso i mass-media.
A tali premesse la Corte di Appello ha altresi’ associato la vicenda delle dichiarazioni rese dal teste Lauri (addetto alla portineria della Casa dello Studente la notte del 6 aprile 2009), da cui e’ emerso che la sera del 5 aprile, subito dopo la scossa delle 22,48, lo stesso ricevette diverse telefonate da alcuni responsabili della struttura che impartirono disposizioni dirette a sollecitare la tranquillizzazione degli studenti: disposizioni che lo stesso testimone provvide a eseguire, sostenendo di essersi a tal fine avvalso del riferimento alla solidita’ dello stabile, secondo quanto dallo stesso riferito in occasione delle sommarie informazioni rese in data 5 novembre 2009: data certamente piu’ vicina ai fatti di quanto non fosse l’epoca di celebrazione del dibattimento, nel contesto del quale il testimone ebbe viceversa a fornire indicazioni di segno diverso.
A ulteriore conferma della verosimile riconducibilita’ della tranquillita’ degli studenti (circa la scarsa pericolosita’ del sisma) in ragione della solidita’ della relativa struttura di alloggio, la Corte di Appello ha sottolineato come tutti i testi escussi avessero riferito di essere usciti la sera del 5 aprile solo perche’ chiamati da altri ragazzi, e quindi non gia’ per paura, come invece era accaduto nel pomeriggio del 30 marzo, in occasione della scossa allora verificatasi.
Sulla base di tali premesse istruttorie, del tutto coerentemente la corte territoriale ha ritenuto non condivisibile quanto sostenuto dal primo giudice sul piano controfattuale, non potendo ritenersi credibile (sul piano del piu’ alto livello di probabilita’ logica) l’affermazione per cui, in assenza della condotta informativa del (OMISSIS), gli studenti sarebbero certamente usciti dalla struttura che li ospitava, essendo piuttosto emersi sul punto elementi di prova di segno contrario o, in ogni caso, un quadro fattuale caratterizzato da profili di insanabile contraddittorieta’ rispetto a tale asserzione, si’ da giustificare le perplessita’ e l’incertezza indicata a fondamento della sentenza assolutoria pronunciata a norma del secondo comma dell’articolo 530 c.p.p..
Osserva il collegio come la ricostruzione del compendio probatorio operata dalla corte territoriale nel senso indicato appare immune da vizi di ordine logico o giuridico, cosi’ come coerente e adeguatamente argomentata deve ritenersi la complessiva valutazione delle informazioni probatorie da esso tratte.
Rispetto alle argomentazioni dipanate nella sentenza impugnata, le censure sollevate dai ricorrenti devono ritenersi del tutto prive di fondamento, essendosi unicamente risolte in una complessiva proposta di rilettura delle fonti probatorie esaminate e in un’alternativa riconfigurazione in fatto degli eventi; operazione che in nessun modo vale a compromettere la coerenza e la complessiva logicita’ dell’argomentazione elaborata dai giudici d’appello e, dunque, la legittimita’ del discorso giustificativo dagli stessi dettato sul punto.
Sotto altro profilo – con particolare riguardo alla pretesa violazione dei principi di cui all’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (segnatamente in relazione all’esigenza della rinnovazione dell’istruttoria testimoniale in caso di riforma della sentenza di primo grado fondata sulla rilettura delle testimonianze utilizzate dal primo giudice) – e’ appena il caso di richiamare l’orientamento in via di consolidamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di rinnovazione dell’istruttoria, l’obbligo del giudice d’appello di rinnovare l’istruttoria e di escutere nuovamente i dichiaranti, qualora valuti diversamente la loro attendibilita’ rispetto a quanto ritenuto in primo grado (ai sensi dell’articolo 6 CEdU, come interpretato dalla Corte EdU con sentenza 5 luglio 2011, dan c/Moldavia) trova applicazione solo nel caso in cui il giudice d’appello intenda riformare in peius una sentenza di assoluzione, ma non anche quando la nuova assunzione della prova dichiarativa sia sollecitata al fine di ottenere il ribaltamento della decisione assolutoria.
Come affermato, infatti, da due recenti arresti della Suprema Corte, condivisi dal Collegio, (cfr. Sez. 5, n. 29827/2015, Rv. 265139), il principio che, alla luce della menzionata interpretazione della Corte Europea, impone di procedere alla nuova audizione dei testimoni gia’ escussi in primo grado, invero, riguarda lo specifico caso in cui il giudice dell’impugnazione intenda riformare in peius una sentenza di assoluzione dell’imputato e non anche l’ipotesi opposta, in cui la rinnovazione della prova dichiarativa sia finalizzata a ottenere il ribaltamento della decisione assolutoria.
L’articolo 6 della CEdU, infatti, su cui si fonda il principio di diritto innanzi indicato, sancisce il diritto al processo equo enumerando i diritti e le facolta’ facenti capo a ciascun accusato, in particolare riconoscendo, al comma 3, lettera d), il diritto dell’imputato di interrogare o far interrogare i testimoni a carico e ottenere la citazione e l’interrogatorio dei testimoni a discarico a pari condizioni con i testimoni a carico.
Il riconoscimento del pieno diritto dell’imputato a una nuova audizione del teste a carico gia’ escusso in primo grado – con conseguente sottoposizione ad esame e controesame – nell’ipotesi in cui il giudice d’appello ritenga di poter addivenire ad un ribaltamento del giudizio assolutorio proprio sulla base della prova da rinnovare, costituisce un corollario della regola della necessaria formazione della prova nel contraddittorio delle parti e del pieno esercizio del diritto alla prova contraria, riconosciuti dal citato articolo 6 CEDU nonche’ dall’articolo 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e dall’articolo 111 Cost. in una chiara ed esclusiva ottica difensiva, rispetto alla quale risulta del tutto estranea la pretesa di vedersi riconosciuto lo stesso diritto in un’ottica accusatoria.
Ne’ puo’ tacersi che, secondo un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimita’, non sussiste alcuna violazione dei principi posti dalla Corte EDU, con la sentenza del 5 luglio 2011, nel caso dan contro Moldavia, quando il giudice di appello, in riforma della pronuncia assolutoria di primo grado, condanni l’imputato non limitandosi a una valutazione fattuale alternativa delle dichiarazioni esaminate dal primo giudice, ma prendendo in considerazione prove non precedentemente valutate (cfr. Sez. 2, n. 32368 del 24/07/2013, Marotta, Rv. 255984). Tale approdo interpretativo, per ragioni di coerenza logica, non puo’ non trovare applicazione anche nel caso in cui il giudice di appello, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, assolva l’imputato.
30. Sul decesso di (OMISSIS) e (OMISSIS). Anche con riguardo al decesso di (OMISSIS) e (OMISSIS), la corte territoriale, pur ritenendo di superare gran parte delle argomentazioni sostenute in sede di gravame dalla difesa dell’imputato, e’ pervenuta all’assoluzione di questi in ragione della mancata acquisizione di una prova certa circa le consolidate abitudini di cautela che avrebbero condotto, con alta probabilita’ logica, a scongiurare il decesso delle due vittime alla data del 6 aprile 2009.
Sul punto, i giudici d’appello hanno sottolineato come nessun elemento istruttorio abbia consentito di confermare l’assunto in forza del quale (OMISSIS) e i suoi figlioli seguissero la consuetudine di abbandonare i luoghi chiusi in occasione di prime scosse di terremoto, essendo piuttosto emerso un indice probatorio di segno contrario, sufficientemente sicuro in relazione all’episodio sismico del 30 marzo 2009, in occasione del quale il teste (OMISSIS) e la figlia (OMISSIS), pur essendosi allontanati dai luoghi chiusi in cui si trovavano in occasione dei primi avvertimenti del sisma, vi fecero immediatamente ritorno (dopo un “limitatissimo lasso temporale”) nonostante non vi fosse alcuna impellente necessita’ al riguardo.
Peraltro, la corte territoriale ha avuto modo di sottolineare come nel corso della prolungata e particolareggiata deposizione resa dal teste (OMISSIS), quest’ultimo non ebbe mai a esplicitare in modo chiaro quale sarebbe stata la sua condotta nel caso non vi fosse stata alcuna tranquillizzazione da parte dell’imputato, anche sotto tale profilo confermando il quadro di irriducibile incertezza in ordine all’identificazione delle reali motivazioni collocabili a fondamento della propria condotta.
Ritiene il collegio che le considerazioni d’indole probatoria fatte proprie dalla corte territoriale siano pienamente rispettose dei canoni che presiedono la conduzione del giudizio di responsabilita’ penale, avendo evidenziato l’insussistenza di elementi certi idonei a corroborare in modo adeguato la prospettazione ipotetica avanzata dagli organi dell’accusa sul piano dell’accertamento causale.
Nessun pregio, pertanto, puo’ essere ascritto alle censure critiche rassegnate dai ricorrenti in relazione al decesso di (OMISSIS) e (OMISSIS), essendosi gli stessi limitati alla rassegna di talune considerazioni valutative circa l’interpretazione del compendio probatorio acquisito, di per se’ inidoneo a incidere in modo decisivo sulla correttezza e la legittimita’ della motivazione della sentenza impugnata.
31. Sul decesso di (OMISSIS). La motivazione dettata dalla Corte di Appello, in relazione al decesso di (OMISSIS), risulta solidamente costruita sul preliminare presupposto della valutazione dei controversi margini di attendibilita’ del teste (OMISSIS) – di cui la sentenza impugnata riporta tutte le dichiarazioni rese (in occasioni estranee al processo, acquisite per via documentale, e nel contesto del vaglio dibattimentale) nonche’ (e soprattutto) sulla ricostruzione dei profili psicologici della vittima.
Nel discorso della corte territoriale compaiono (attraverso le informazioni diffusamente fornite dal figlio) i documentati segni di una donna anziana governata da un rapporto fatalistico con la minaccia del sisma, incline a disattendere gli inviti a fuggire di casa in presenza di prime scosse di terremoto, piu’ impaurita dei rischi della fuga (“se io esco e scappo, abitando in un vicolo stretto, mi casca qualcosa in testa, vi daro’ guai per il futuro”) che di quelli legati al crollo della propria abitazione. La corte territoriale da’ conto, sulla base degli elementi istruttori acquisiti, della volonta’ della donna di non voler abbandonare la propria abitazione per tali specifiche motivazioni, pur di fronte alle insistenti richieste del figlio.
Sotto altro profilo, la sentenza impugnata sottolinea (in modo dirimente) come l’istruttoria complessivamente condotta avesse impedito di acquisire alcun elemento utile a una possibile ricostruzione della condotta della donna nel corso della notte tra il 5 e il 6 aprile, con la conseguente impossibilita’ di precisare con certezza i processi motivazionali che la indussero a non abbandonare la propria abitazione a seguito della prima scossa delle ore 22,48 del 5 aprile, ne’ se detta scossa fosse stata dalla donna effettivamente percepita.
Si tratti di elementi del percorso motivazionale che – preludendo all’assoluzione dell’imputato – devono ritenersi inappuntabili sul piano logico, congruenti e lineari nel costrutto argomentativo che li riassume.
Sul vigore logico di tale motivazione, le sommarie considerazioni critiche dipanate nel ricorso dello (OMISSIS) non appaiono idonee a incidere in termini risolutivi, essendosi il ricorrente laconicamente limitato all’espressione di un mero dissenso, genericamente incline alla riproposizione di una rilettura interpretativa degli elementi probatori, come tale radicalmente inammissibile in questa sede legittimita’.
32. Conclusioni sui ricorsi delle parti civili relativi alla posizione di (OMISSIS). Sulla base delle considerazioni che precedono, tutti i ricorsi proposti dalle parti civili, con riguardo ai punti concernenti l’assoluzione del (OMISSIS), devono ritenersi privi di fondamento.
Al relativo rigetto – determinato dall’identica sorte dei motivi d’impugnazione riguardanti i restanti imputati – segue la condanna delle parti civili ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
PARTE III – I ricorsi avverso l’assoluzione di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
1. Le sentenze di merito a confronto. L’esame dei ricorsi avverso la statuizione assolutoria emessa nei confronti degli esperti tratti a giudizio, proposti dal Procuratore Generale della Corte di Appello di L’Aquila e dalle parti civili rispettivamente patrocinate dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), si giova di una preliminare sintesi dei principali snodi del percorso logico-giuridico che i giudici di merito hanno ritenuto di tratteggiare in termini significativamente divergenti. Per quanto il sindacato di questa Corte abbia ad oggetto la sentenza di secondo grado, in se’ considerata e non in rapporto a quella del Tribunale – salvo le implicazioni del principio della cd. motivazione rafforzata – cio’ e’ richiesto dall’esigenza di rendere comprensibili taluni riferimenti imposti dalla trattazione, e dalla messa a fuoco delle questioni controverse.
L’analitica descrizione fattane supra Parte I, par. 2 e 4, permette di condensare in poche battute i dati di maggior rilievo.
Per replicare alle prospettazioni delle difese degli esperti imputati e della responsabile civile, che contestavano l’applicabilita’ ai primi dello statuto giuridico e della qualita’ formale di membri della CGR, derivandone che essi non potevano essere chiamati a rispondere della violazione dei doveri di “previsione e prevenzione delle varie ipotesi di rischio” e di “valutazione dei rischi”, la sentenza di primo grado ha qualificato la seduta che si tenne a L’Aquila il 31 marzo 2009 come “riunione della CGR”, attraverso la conciliazione del dato formale, rinvenuto nell’articolo 3 del DPCM n. 23582/2006 (correttamente il P.G. ricorrente segnala l’erroneita’ del riferimento; ma si continuera’ ad utilizzarlo per evitare fraintendimenti), con quello sostanziale, ritenuto di valore assorbente; ovvero il contenuto dell’attivita’ che si era concretamente svolta, identificata nella “valutazione, previsione e prevenzione del rischio sismico, come previsto dalla L. n. 225 del 1992, articoli 2, 3 e 9; e non gia’ in una “mera “ricognizione” di esperti, di “verifica” o di “indagine” DPCM n. 23582 del 2006, ex articolo 3, comma 10 “, come avevano preteso le difese; attivita’ alla quale il primo giudice ha ritenuto essersi associata quella di informazione diretta nei confronti della popolazione, ancorche’ questa fosse riservata dalla legge al dipartimento della Protezione Civile.
Da tale caposaldo ha desunto che tutti gli imputati operarono quali componenti della CGR; l’attribuibilita’ a tutti loro (compreso il (OMISSIS), in tutto accomunato agli esperti) di quanto l’organo collegiale aveva compiuto;
l’applicabilita’ al loro operato, valutativo ed informativo, di prescrizioni metodologiche giudicate di natura cautelare, le quali imponevano una valutazione completa, adeguata, approfondita ed una corretta informazione.
Svolgendo l’esame dell’andamento della discussione svoltasi nel corso della seduta del 31 marzo il Tribunale ha concluso per il mancato rispetto dell’indicato standard cautelare, perche’ gli esperti non avevano considerato i gia’ menzionati indicatori di rischio (Pericolo – Esposizione – Vulnerabilita’) ed avevano fatto affermazioni contraddittorie, superficiali, non pertinenti.
Con specifico riferimento al profilo dell’informazione imprecisa, indebitamente rassicurante, vale rammentare che il Tribunale ha attribuito a tutti gli imputati sia l’intervista rilasciata dal (OMISSIS) prima della seduta perche’ quella avrebbe avuto contenuti del tutto coincidenti con quanto detto nel corso di questa -, sia le varie affermazioni fatte nel corso della seduta, sia infine il contenuto della conferenza stampa tenuta all’esito della stessa. Poiche’ il capo di imputazione menziona l’attivita’ informativa fatta mediante il verbale della riunione, che pero’ era stato redatto soltanto il successivo 6 aprile 2009, il giudice di primo grado ha puntualizzato che il relativo contenuto era gia’ stato diffuso in precedenza.
La Corte di Appello, dal canto suo, ha ritenuto di dover concludere diversamente quanto alla qualificazione della seduta, operata alla stregua del modello ricavato dal DPCM n. 23582 del 2006, articolo 3, comma 10; ma al contempo ha giudicato irrilevante la questione, perche’ in ogni caso, il tasso di diligenza, perizia e prudenza richiesto ai commissari della CGR non era diverso a seconda che si fosse trattato di riunione dell’organo collegiale o di ricognizione, verifica e indagine richiesta a singoli componenti, risultando decisivo al riguardo che gli imputati fossero stati chiamati a svolgere “una corretta valutazione scientifica delle problematiche relative allo sciame sismico in atto, ai fini della previsione e prevenzione delle ipotesi di rischio, nei limiti in cui questa era formulabile in quel momento sulla base dei dati rilevati e seguiti da mesi…”.
Ha quindi ritenuto che le norme richiamate dal Tribunale come portatrici di regole cautelari (e fondanti quindi una colpa specifica) in realta’ non contengono prescrizioni sul quomodo dell’attivita’ affidata alla CGR. di conseguenza si e’ volta all’utilizzo dei noti canoni della diligenza, prudenza e perizia, giudicando realmente pertinente solo quest’ultimo, perche’ un eventuale errore metodologico conducente a un risultato scientificamente corretto comunque non assumerebbe valore (cosi’ come una valutazione scientificamente infondata non sarebbe “sanata” dal rispetto di canoni metodologici). Su tale premessa la Corte di Appello e’ giunta a escludere che fosse rinvenibile una trasgressione a regola cautelare nella condotta consistita nella valutazione del rischio, risultando incontestato che venne affermato dagli esperti che i terremoti non sono prevedibili; ovvero quanto permettono di dire le odierne conoscenze scientifiche.
Quanto alla condotta comunicativa, la Corte di Appello non ha ritenuto la riconducibilita’ di ogni atto informativo a tutti gli imputati; ha infatti attribuito al solo (OMISSIS) l’intervista concessa alla stampa anteriormente alla seduta, escluso che di essa avessero avuto conoscenza gli esperti, giudicato priva di funzione di informazione alla popolazione la seduta medesima, escluso che durante la stessa e successivamente fossero state propalate dagli esperti (ma anche dal (OMISSIS)) informazioni incaute (con la precisazione che rassicurazioni vennero date, e correttamente, a riguardo degli allarmi lanciati dal (OMISSIS)).
Conclusivamente, all’esito di una serrata analisi dei materiali, la Corte di Appello ha ritenuto che non fosse attribuibile agli esperti una qualche comunicazione indebitamente rassicurante.
2. L’impianto delle censure delle parti civili. In varia guisa tutti i ricorsi che muovono critiche alla decisione della Corte di Appello di mandare assolti gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (che d’ora in avanti, per brevita’, si indicheranno come “sperti”) descrivono un identico percorso argomentativo. Un campione della comune impostazione e’ identificabile nel ricorso a firma dell’avvocato (OMISSIS), per le parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS).
L’esponente censura la motivazione resa dalla Corte di Appello per giustificare la conclusione che non si fosse trattato di una riunione ai sensi dell’articolo 3, comma 3, identificando la rilevanza del tema, pur a fronte della marginalizzazione chiaramente operata dalla corte distrettuale, ai fini della individuazione di una posizione di garanzia e della emersione di prescrizioni cautelari positivizzate nonche’ quale basamento sul quale erigere una responsabilita’ plurisoggettiva, in grado di attrarre nel fuoco del rimprovero anche i c.d. cooperanti marginali. Vale la pena riportare l’intero passo del ricorso nel quale si compendiano simili concetti: “la mancata qualificazione degli agenti quali membri della CGR fa venir meno la necessita’ di individuare posizioni di garanzia ex lege e consente di decidere al di fuori del profilo di colpa specifica (che nell’impostazione accusatoria del primo giudice derivava proprio dallo statuto dell’organismo collegiale), facendo cadere il tema della cooperazione colposa e della conseguente estensione della colpa a quelli che il Tribunale ha definito “cooperanti marginali”.
La formulazione della censura risulta esemplare; essa sintetizza la concezione che quasi tutti i ricorrenti mostrano di far propria, quanto alle disposizioni normative e agli istituti giuridici evocati da locuzioni come “posizione di garanzia”, “colpa specifica e generica”, “cooperazione colposa”.
Infatti, si asserisce che la Corte di Appello ha errato nel ritenere, diversamente dal Tribunale, che nell’occasione i partecipanti alla seduta non rivestissero una posizione di garanzia, perche’ essi non diedero vita collettivamente – ad una riunione della CGR, intesa come sede tipica di deliberazione dell’organo, bensi’ individualmente ad una attivita’ ricognitiva, di verifica e di indagine. L’errore della Corte di Appello sarebbe derivato da un’errata interpretazione delle norme evocate dal primo giudice, del principio di “effettualita’ e… realismo” (cosi’ nel ricorso (OMISSIS)) e da una non condivisa valutazione delle circostanze di fatto.
Per i ricorrenti, l’indebita negazione della posizione di garanzia ha precluso il riconoscimento della sussistenza di una condotta trasgressiva di specifiche norme di legge, alla cui osservanza erano tenuti i partecipanti alla riunione; condotta che si e’ sostanziata nell’operare una valutazione del rischio scorretta sul piano metodologico, ma anche sul piano contenutistico. L’errore metodologico e’ stata la premessa della diffusione di notizie indebitamente rassicuranti, che va ascritta a tutti gli imputati perche’ essi erano consapevoli di essere interpreti ed esecutori di un’operazione mediatica voluta dal Capo del dipartimento della Protezione Civile e quindi dell’intervista data dal (OMISSIS) prima della seduta; sicche’ essi avrebbero dovuto ripristinare il vero e non avendolo fatto contribuirono – ai sensi dell’articolo 113 c.p. – alla diffusione alla cittadinanza di notizie indebitamente rassicuranti, le quali furono causa delle morti e delle lesioni che coinvolsero le parti civili.
Ai rilievi che si indirizzano ai referenti giuridici assunti dalla Corte di Appello si accompagnano, poi, quelli che hanno quale destinataria la tenuta logica e l’adeguatezza rispetto alle emergenze processuali della motivazione impugnata. Si tratta di censure che per lo piu’ attengono alla valutazione dei materiali probatori, in specie quelli richiamati – ma anche quelli non considerati – dalla Corte di Appello in funzione delle conclusioni alle quali e’ pervenuta, in tema di insussistenza di un carattere indebitamente rassicurante delle dichiarazioni fatte dagli esperti nel corso della seduta, di correttezza scientifica delle valutazioni espresse in quella sede, di estraneita’ degli esperti alla vicenda mediatica che si accompagno’ alla loro presenza a L’Aquila, di esclusione del carattere pubblico del consesso.
Tali essendo le linee portanti delle censure indirizzate alla sentenza all’esame, appare opportuno svolgere alcune puntualizzazioni intorno ai temi evocati dai ricorrenti, in una trattazione unitaria che da un canto e’ destinata a dimostrare la non condivisibilita’ dell’impianto teorico sul quale fondano le doglianze e dall’altro permettera’ successivamente di fornire replica ai piu’ specifici rilievi rinvenibili negli atti di ricorso.
3. L’ambito di rilevanza della tematica concernente la posizione di garanzia.
3.1. Invero, le censure che lamentano la mancata identificazione di una posizione di garanzia in capo agli esperti potrebbero essere rapidamente superate considerando ancora una volta che tale locuzione, come hanno rammentato di recente le Sezioni Unite, “esprime in modo condensato l’obbligo giuridico di impedire l’evento che fonda la responsabilita’ in ordine ai reati commissivi mediante omissione, ai sensi dell’articolo 40, cpv c.p.”(Sez. U, n. 38343 del 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, cit.). Gia’ in una piu’ risalente decisione, prodotta in una vicenda pure scaturita dall’estrinsecarsi di immani fenomeni naturali, si e’ puntualizzato che “solo nella causalita’ omissiva e’ dunque rilevante accertare l’esistenza della posizione di garanzia; cio’ che significa individuare chi aveva l’obbligo di agire per impedire il verificarsi dell’evento e non l’ha fatto”; aggiungendo che l’esistenza di una posizione di garanzia non si pone in contraddizione con una causazione attiva dell’evento da parte del garante. Il fatto e’ che quando si tratta di causalita’ attiva “neppure si pone il problema dell’esistenza della posizione di garanzia in capo alla persona che, con la sua condotta inosservante, ha cagionato l’evento dannoso anche ammesso che non fosse suo obbligo rimuovere successivamente la situazione di pericolo” (cosi’, in motivazione, Sez. 4, n. 16761 del 11/03/2010, P.G. in proc. Catalano e altri, cit.).
Pertanto, una posizione di garanzia puo’ ben sussistere anche quando a venire in gioco e’ una condotta attiva; ma, come si e’ gia’ scritto supra, Parte II, par. 3, in questo caso il suo rilievo e’ messo in ombra dalla relazione causale rinvenibile tra la condotta dell’agente e l’evento verificatosi; la posizione di garanzia diviene dato non rilevante, mentre ben piu’ incidente – ai fini dell’imputazione dell’evento – e’ l’essere autore della condotta causalmente efficiente. Ove si tratti di condotta omissiva, per contro, la stessa descrizione della condotta tipica presuppone l’identificazione della posizione di garanzia, perche’ il concetto stesso di omissione rimanda a un non fare cio’ che si doveva e quindi alle fonti donde sgorga il dovere e la sua attribuzione. E poiche’ il dovere (di impedimento) non e’ indifferenziato, perche’ non si oppone ad ogni possibile offesa ad un determinato bene (ma solo a quelle scaturenti dalla fonte di pericolo governata dal garante) o alle offese ad ogni bene giuridico del soggetto “protetto”, non e’ possibile accertare se si e’ data omissione penalmente rilevante prima di aver compiutamente definito esistenza ed ampiezza della posizione di garanzia (che, come gia’ rilevato, oggi le S.U., con la gia’ citata pronuncia n. 38343/2014, invitano a considerare dalla prospettiva della gestione del rischio; come gia’ aveva ritenuto la giurisprudenza di questa Sezione: Sez. 4, n. 49821 del 21/12/2012, Lovison e altri, Rv. 254094; in consonanza Sez. 4, n. 43168 del 15/10/2014, Cinque, Rv. 260947).
Di tanto si e’ diffusamente scritto trattando della posizione del (OMISSIS) e pertanto si puo’ fare rinvio a quanto gia’ espresso.
3.2. Calando queste rapide osservazioni nel caso che occupa, risulta evidente che lamentare la esclusione di una posizione di garanzia in presenza di una condotta che, sin dalla contestazione elevata dal p.m. e poi nel vaglio del primo giudice sino alla conferma data dalla Corte distrettuale, e’ sempre stata descritta ed apprezzata come condotta commissiva appare quanto meno ridondante; e certamente non coglie il nucleo della struttura del rimprovero mosso agli odierni imputati.
La contestazione ascrive agli imputati di aver effettuato una valutazione dei rischi connessi all’attivita’ sismica “approssimativa, generica ed inefficace”; di aver fornito informazioni incomplete, imprecise e contraddittorie sulla natura, sulle cause e sulla pericolosita’ e sui futuri sviluppi dell’attivita’ sismica.
Sotto il titolo “Analisi della condotta” il Tribunale parla di “affermazioni riferite alla “valutazione dei rischi”…”, assolutamente approssimative, generiche ed inefficaci in relazione ai doveri di previsione e di prevenzione e quindi passa in rassegna le dichiarazioni in tema di prevedibilita’ dei terremoti, quelle in tema di precursori sismici, le dichiarazioni fatte sull’evoluzione dello sciame in corso, le dichiarazioni sulla “normalita’” del fenomeno e sullo scarico di energia. dalle pagine 388 a 396 il Tribunale esamina il tema della natura commissiva o omissiva della condotta; dopo aver rammentato le indicazioni al riguardo provenienti dalla giurisprudenza di legittimita’, aver evidenziato che “nell’operato degli imputati possono individuarsi al contempo condotte omissive e condotte commissive: le affermazioni e le dichiarazioni rese nel corso e a margine della riunione del 31.3.2009,…, integrano una condotta colposa commissiva; la mancata valutazione dei diversi indicatori di rischio sopra evidenziati, o la valutazione di tali indicatori di rischio in misura superficiale, inadeguata ed inefficace in relazione ai doveri di previsione e prevenzione del rischio sismico…, integra una condotta colposa omissiva”, ed essersi premurato di distinguere la condotta omissiva dalla componente omissiva della colpa, afferma di dover concludere che “complessivamente, la condotta posta in essere dagli imputati, pur articolandosi in singole condotte attive ed in singole condotte omissive, sia di natura commissiva”. E meglio articolando: “Il 31.3.2009 i sette imputati non sono rimasti inerti, non hanno integrato con la loro condotta omissiva la violazione di un comando al quale e’ conseguito il mancato impedimento di un evento che avevano l’obbligo giuridico di impedire. Il 31.3.2009, invece, i sette imputati si sono riuniti a L’Aquila ed hanno svolto, in concreto, i compiti tecnici della Commissione Grandi Rischi effettuando, seppure in modo approssimativo, un’analisi del rischio sismico”. Attivita’ connotata da colpa perche’ concretizzantesi nell’omessa o inadeguata valutazione del rischio e nella non corretta informazione.
Sicche’, conclude il Tribunale, “non e’ necessario accertare se gli imputati (nelle qualita’ indicate nel capo di imputazione) fossero o meno titolari, alla data del 31.3.09, di una posizione di garanzia nei confronti dei beni – interessi tutelati dalla norma di riferimento, ossia la vita e l’incolumita’ fisica delle persone, ossia se fossero o meno titolari dell’obbligo giuridico di impedire l’evento”.
Tralasciata la scarsa linearita’ della sequenza argomentativa, che pur evocando la distinzione tra omissione e componente omissiva della colpa parla di condotte omissive e commissive in presenza di condotte commissive colpose, quel che davvero importa ai fini del presente giudizio e’ che lo stesso Tribunale non ha affermato l’esistenza di una posizione di garanzia in capo ai componenti la CGR.
La Corte di Appello non si discosta dal campo circoscritto dalla contestazione e dal Tribunale ed anzi rimarca la natura commissiva della condotta proprio per evidenziare la insignificanza giuridica di una eventuale posizione di garanzia degli imputati.
Ebbene, richiamate in questa sede le osservazioni gia’ espresse a riguardo della difficolta’ di tracciare una chiara linea di demarcazione, si deve convenire che la descrizione della condotta come fatta dai giudici di merito – e corrispondente alla contestazione – e’ quella di una condotta commissiva, nella quale i profili omissivi attengono alla connotazione colposa.
Nel caso che occupa, agli esperti si contesta appunto di aver tenuto una condotta positiva (effettuare, fornire) e, nel fare, di aver violato lo standard cautelare valevole per tale attivita’ (sull’evocazione fatta dai ricorrenti di un omesso attivarsi a correzione di dichiarazioni indebitamente rassicuranti da altri fatte si trattera’ piu’ avanti).
Risulta quindi dimostrata la non decisivita’ della censura mossa dai ricorrenti, che lamentano la errata qualificazione della seduta operata dalla Corte di Appello e conseguentemente la indebita negazione di una posizione di garanzia in capo agli esperti; in realta’ la corte territoriale ne ha escluso la rilevanza in ragione della natura commissiva della condotta ascritta agli imputati. Giudizio coerente con la struttura della contestazione e che bene individua l’alveo entro il quale la posizione di garanzia assume significato giuridico. d’altro canto, cio’ non ha fatto velo all’indagine sui doveri che nell’occasione comunque incombevano sugli esperti.
4. Il dovere di diligenza, le regole cautelari, l’analisi dei rischi.
4.1. E infatti, non sfugge a questo Collegio che l’evocazione della posizione di garanzia e’ fatta dai ricorrenti talvolta quale premessa dell’affermazione di un obbligo di impedimento violato (ad esempio nell’ambito del ricorso in favore della p.c. (OMISSIS)), altre volte quale sinonimo di obbligo di diligenza, con una formulazione che non lascia comprendere quale relazione si istituisca tra esso e la regola cautelare. Sembra di poter dire, interpretando la sottolineatura operata dalle parti civili sul fatto che la forma “riunione” determinerebbe l’attrazione sull’operato degli esperti di speciali regoli cautelari, che si tenda a far coincidere obbligo di diligenza e regola cautelare, identificando la norma che concorre a porre il dovere, inteso come espressione sintetica che individua tutti i compiti pertinenti ad un ruolo, con la formulazione delle modalita’ con le quali esso deve essere adempiuto.
Il tema, oggetto di limitate trattazioni da parte della giurisprudenza di legittimita’, e di sicura complessita’, merita di essere sia pure brevemente approfondito, completando quanto si e’ gia’ esposto a riguardo della precisa connotazione della regola cautelare nella Parte II par. 5.
La piu’ recente riflessione teorica a riguardo della responsabilita’ colposa sembra aver assunto come caposaldo l’alterita’ concettuale tra “dovere di diligenza”, inteso quale situazione giuridica soggettiva di dovere e piu’ precisamente quale “dovere di adottare le cautele opportune per evitare il verificarsi degli eventi dannosi”, e “diligenza doverosa”, intesa come contenuto della predetta situazione giuridica soggettiva. Il primo e’ posto da norme (di dovere), le quali vietano di agire in modo imprudente oppure impongono di agire in modo diligente; nella forma concettuale, tali norme non specificano le concrete modalita’ comportamentali che valgono a soddisfare la prescrizione di astenersi da un agire imprudente o di agire in modo diligente. Tale specificazione viene dalle regole cautelari, che identificano per l’appunto la diligenza doverosa. da una diversa prospettiva si e’ affermato che fanno parte dello status del cittadino (o di speciali status riconosciuti dall’ordinamento) “doveri giuridici logicamente preesistenti rispetto alla tipicita’” i quali definiscono la sfera di competenza alla quale va ricondotto il giudizio sul comportamento colposo; la regola cautelare concretizza, nella situazione data, quei doveri, definendo il livello di diligenza atteso.
Si ricavano importanti riflessi da questa classificazione, ormai penetrata anche nelle trattazioni manualistiche. Si sostiene che il dovere di diligenza deve fondarsi su norme giuridiche di necessaria fonte legale, che come tali sottostanno ai principi costituzionali in materia penale; ad esempio, sono sensibili al fenomeno della successione di leggi penali nel tempo; laddove le regole cautelari non sono necessariamente giuridiche e, trovando origine la loro validita’ ed efficacia nell’effettiva attitudine preventiva, non risentono delle vicende concernenti l’eventuale forma della loro positivizzazione; si afferma che per esse “veritas, non auctoritas facit legem”. Se ne fa derivare che anche in presenza di una regola cautelare contenuta in fonti formali (tanto legislative che sub-legislative), saliente e’ la reale efficacia preventiva della misura indicata (per quanto, viene da aggiungere, la positivizzazione rappresenti un forte indizio a favore); il che permette di confinare ne(l’irrilevanza l’eventuale vizio dell’atto che ad essa da’ veste formale. Inoltre, ma e’ conclusione controversa, la regola cautelare positiva puo’ non esaurire il novero delle cautele doverose, se il patrimonio scientifico ed esperienziale ha sedimentato pertinenti regole cautelari non ancora positivizzate.
Non sarebbe coerente con la funzione della presente motivazione rappresentare per intero la ricchezza del tema; appare tuttavia opportuno, al fine di un migliore apprezzamento della concreta utilita’ della distinzione che si sta rammentando, mostrare almeno un’altra delle implicazioni insite nel riconoscimento di una specifica identita’ del dovere di diligenza. Questione di indubbio rilievo e’ la ipotizzabilita’ di una colpa nell’esecuzione di un’attivita’ illecita; come a dire la concepibilita’ di regole cautelari nell’esecuzione di un’attivita’ vietata. Muovendo dalla prospettiva dell’autonomia concettuale del dovere di diligenza si e’ affermata l’incompatibilita’ tra questo e il divieto di compiere una determinata attivita’. Infatti, si osserva, sarebbe intrinsecamente illogico affermare un dovere di diligenza a riguardo di un’attivita’ radicalmente vietata; e inoltre, posto che tanto il dovere di diligenza che il divieto svolgono funzioni preventive, prevederli entrambi pregiudicherebbe lo scopo; in ogni caso si determinerebbe la prevalenza del divieto in forza delle regole che disciplinano i rapporti tra le fonti. Si e’ aggiunto, peraltro, che tanto vale a condizione che il divieto e il dovere di diligenza abbiano la medesima funzione preventiva; diversamente il secondo puo’ trovare spazio anche nello svolgimento di un’attivita’ illecita. Il tema ha trovato una significativa trattazione nella ancor recente decisione delle Sezioni Unite in merito alla natura ed al criterio di imputazione della responsabilita’ per la morte o le lesioni non volute ai sensi dell’articolo 586 c.p., con la quale si e’ statuito che la morte dell’assuntore di sostanza stupefacente e’ imputabile alla responsabilita’ del cedente sempre che, oltre al nesso di causalita’ materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) e con prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento, da valutarsi alla stregua dell’agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale (Sez. U, n. 22676 del 29/05/2009, Ronci, Rv. 243381). Tra i fondamenti di tale pronuncia vi e’ la puntualizzazione che “con le incriminazioni sul divieto dello spaccio viene sanzionata la creazione di un rischio generico per la salute della potenziale platea dei consumatori della sostanza, e non anche il rischio specifico del singolo assuntore, il quale viene invece sanzionato con le incriminazioni per morte o lesioni (dolose o colpose) sempre pero’ che sussista una connessione diretta di rischio tra spaccio e morte del tossicodipendente e sempre che questo rischio specifico sia in concreto rimproverabile allo spacciatore perche’ da lui prevedibile ed evitabile”. La diversa funzione preventiva rispettivamente assolta dalla normativa in materia di stupefacenti e dai delitti contro la vita e l’incolumita’ delle persone ha quindi permesso al S.C. di riconoscere un dovere di diligenza in capo al cedente, il cui concreto contenuto – la doverosa diligenza – va definito alla stregua dei consueti canoni della prevedibilita’ ed evitabilita’, essendo escluso che l’obbligo di cautela possa scaturire dalla stessa norma penale repressiva della condotta dolosa.
Ma ai fini del presente giudizio va interrogata principalmente la giurisprudenza in tema di attivita’ pericolose ma lecite. Orbene, si e’ gia’ rilevato come nella decisione delle S.U. n. 38343/2014 sia stata rimarcata la generale valenza del concetto di garante, rispetto ad una tradizione che lo intravede nel piu’ ridotto orizzonte del reato omissivo improprio. E come al garante si connetta l’idea di gestione di un’area di rischio, implicante in ipotesi tanto obblighi di attivazione che di impedimento. Si tratteggia cosi’ il profilo di un soggetto competente e di una sfera di competenza, premessa logico-giuridica della verifica della “colposita’” della condotta.
Non sembra porsi su un diverso crinale quella, piu’ volte ribadita, giurisprudenza che afferma l’inidoneita’ dell’accertamento della titolarita’ di una posizione di garanzia ad esaurire il tema dell’imputazione dell’evento, perche’ in presenza del verificarsi di questo deve essere verificata in concreto la sussistenza della violazione – da parte del garante – di una regola cautelare (generica o specifica) (oltre che della prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire e del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso) (ex multis, Sez. 4, n. 5404 del 5/02/2015, P.C. in proc. Corso e altri, Rv. 262033; Sez. 4, n. 24462 del 8/06/2015, Ruocco, Rv. 264128).
Si puo’ quindi convenire sulla necessita’ di tener distinti dovere di diligenza/norma di dovere e diligenza doverosa/regola cautelare.
Non si puo’ pero’ tacere che l’evidenza della distinzione si fa problematica nel passaggio dal piano statico dei concetti a quello dinamico dell’identificazione della regola cautelare. Si tratta di discriminare in concreto la norma di posizione dalla regola modale. Come e’ stato evidenziato da attenta dottrina, le norme (nella specie, quelle che in materia di sicurezza del lavoro), “stabiliscono, in maniera strettamente intrecciata, sia posizioni di obbligo, sia contenuti comportamentali”; e a rendere ancora piu’ complessa l’opera e’ la collocazione di essi nell’ambito di una procedimentalizzazione dei doveri, con una distribuzione tra diversi centri di competenza. Infatti, la sempre piu’ frequente opzione legislativa per le cautele procedurali degrada, se non ad un ruolo marginale, almeno a quello di co-protagonista il modello classico di regola cautelare, caratterizzato dalla indicazione di un determinato comportamento in funzione preventiva di uno specifico evento. La relazione di prossimita’ tra misura ed evento che s’intende prevenire, tipica della regola cautelare (e che assicura al massimo grado l’implementazione del principio di colpevolezza nel circuito della responsabilita’ colposa), si smarrisce; la nuova fenomenologia impone il conio di nuove definizioni: cautele procedurali, cautele indirette, cautele mediate, per rammentarne alcune.
In un panorama tanto incerto da non consentire ricostruzioni sufficientemente condivise, la stessa attivita’ di valutazione dei rischi viene da alcuni estromessa dal novero delle regole cautelari, da altri si vede riconosciuta tale dignita’.
Forse non e’ azzardato comparare le cautele procedurali, che gia’ di per se’ intrattengono un rapporto soltanto indiretto con l’evento da prevenire, ai frattali, ovvero a quegli enti geometrici che risultano caratterizzati dalle dimensioni non intere e dalla proprieta’ di riprodurre l’ente di partenza ad ogni scala; come questi presentano la ripetizione di modelli geometrici su scale diverse, in versioni sempre piu’ piccole, quelle si scompongono in ulteriori attivita’ a loro volte sorvegliate da regole tecniche, molte delle quali funzionali alla “corretta” esecuzione. Poiche’ la violazione di una di queste e’ suscettibile di riverberarsi sulla cautela che tutte le contiene, non si puo’ dubitare dell’esistenza della relazione con l’evento; almeno non piu’ di quanto e’ lecito fare rispetto alla cautela “madre”. Ma cosi’ facendo si rischia di risolvere in una finzione il giudizio di rimproverabilita’ dell’autore del fatto per non aver riconosciuto la funzione cautelare del comportamento richiestogli.
Ne consegue che e’ il principio di colpevolezza a dover fare da guida nella qualificazione della regola cautelare; nel senso che essa e’ riconoscibile quando la prescrizione permette di identificare la misura avente efficienza preventiva (e qui va puntualizzato che la distinzione tra regole elastiche e regole rigide contiene in se’ la compatibilita’ tra carattere cautelare e indeterminatezza della regola sul piano della descrizione della misura) e, soprattutto, definisce almeno nel genere l’evento da prevenire (e anche a tal riguardo si rinvia alla Parte II, par.6).
Si puo’ quindi escludere che l’attivita’ che va sotto il nome di “valutazione del rischio” costituisca in via ordinaria il contenuto di una regola cautelare; potra’ esserlo quando particolari elementi la propongano come misura direttamente incidente su uno specifico evento pregiudizievole. diversamente la prescrizione che attribuisce il compito di eseguire la valutazione del rischio e’ da ritenersi norma attributiva di un compito doveroso, le cui modalita’ di adempimento risultano identificabili aliunde.
Quanto sin qui considerato puo’ essere compendiato nel principio che segue: “in tema di responsabilita’ colposa, ai’ fini della individuazione della regola cautelare alla stregua della quale valutare la condotta dell’agente, non e’ sufficiente fare riferimento a norme che attribuiscono compiti, senza impartire prescrizioni modali, essendo necessario pervenire all’identificazione del modello comportamentale che – secondo le diverse fonti previste dall’articolo 43 c.p. e’ funzionale alla prevenzione dell’evento pregiudizievole. In assenza di una simile connotazione la norma di dovere deve essere integrata dalle prescrizioni cautelari rinvenibili in leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica) ovvero in regole di matrice esperienziale o tecnico-scientifica (colpa generica)”.
4.2. Il principio appena formulato pare a questo Collegio porsi in termini di totale consonanza con quanto statuito dalle S.U. n. 38343/2014 a riguardo della responsabilita’ del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in relazione al coinvolgimento del medesimo nell’attivita’ di valutazione dei rischi che il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, all’articolo 17 pone in capo al datore di lavoro.
L’enunciazione fatta dalle S.U. di una piu’ ampia accezione di “garante” prelude alla individuazione nel r.s.p.p. di un soggetto titolare di una competenza tecnico-consultiva (dovere di diligenza) da adempiersi con doverosa diligenza.
Simili puntualizzazioni tornano particolarmente utili nel caso di specie; esse permettono di evidenziare la correttezza del ragionamento condotto dalla Corte di appello a riguardo dell’errore insito in un approccio che prescinde dal merito dell’analisi del rischio condotta dagli esperti. In definitiva, la contestazione ascrive loro di non aver essere stati puntuali nello svolgimento del compito; ma non e’ in grado di descrivere le misure che una corretta analisi del rischio avrebbe consentito di individuare. Tanto si pone in linea di contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, che richiama all’identificazione della specifica misura prevenzionistica la cui mancata adozione si pone come antecedente causale dell’evento. E’ stato infatti statuito che “la valutazione dei rischi e la elaborazione di apposito documento costituisce senza dubbio alcuno un passaggio fondamentale per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori, ma il rapporto di causalita’ tra omessa previsione del rischio e infortunio o il rapporto di causalita’ tra omesso inserimento del rischio nel documento di valutazione dei rischi e infortunio, deve essere accertato in concreto rapportando gli effetti indagati e accertati della omissione, all’evento che si e’ concretizzato. Non puo’ essere cioe’ affermata una causalita’ di principio” (Sez. 4, n. 8622 del 3/03/2010, Giovannini, Rv. 246498).
Le considerazioni sin qui svolte permettono di prendere sin da subito in esame una ricorrente critica indirizzata alla sentenza impugnata, la quale avrebbe indebitamente ignorato il quadro normativo dal quale il Tribunale aveva fatto discendere obblighi metodologici a carico degli analisti. Si assume, in consonanza con il primo giudice, che le norme indicate nella contestazione imponevano agli esperti convenuti in L’Aquila obblighi di previsione e prevenzione del rischio sismico; con cio’ intendendo affermare tanto la titolarita’ di un dovere giuridico di previsione e prevenzione che la derivazione di uno standard cautelare.
Giova allora precisare che il Tribunale, ha preso le mosse dal considerare che la Commissione, ai sensi della L. n. 225 del 1992, e’ organo consultivo e propositivo del Servizio nazionale della protezione civile su tutte le attivita’ di protezione civile volte alla previsione e prevenzione delle varie ipotesi di rischio, avendo il compito di fornire le indicazioni necessarie per la definizione delle esigenze di studio e ricerca in materia di protezione civile, di procedere all’esame dei dati forniti dalle istituzioni ed organizzazioni preposte alla vigilanza degli eventi previsti dalla L. n. 225 del 1992 ed alla valutazione dei rischi connessi e degli interventi conseguenti, nonche’ all’esame di ogni altra questione inerente alle attivita’ di cui alla medesima legge ad essa rimesse. Ha poi giudicato vigenti tali disposizioni pur dopo l’entrata in vigore del Decreto Legge n. 343 del 2001, convertito con modificazioni dalla L. n. 401 del 2001, e del Decreto Legge n. 245 del 30 novembre 2005, articolo 4 convertito con L. n. 21 del 2006 – il quale precisa che la CGR e’ “organo di consulenza tecnico-scientifica del dipartimento della protezione civile” -; e ricordato che il DPMC n. 23582 del 3 aprile 2006, all’articolo 3 recita che la Commissione e’ incaricata di rendere al dipartimento della Protezione civile “pareri e proposte di carattere tecnico-scientifico in relazione alle problematiche relative ai settori di rischio indicati all’articolo 1…”.
Cosi’ definita la cornice normativa il Tribunale ha concluso che sulla CGR, al 31.3.2009, “gravavano specifici e puntuali obblighi di legge consistenti nella “previsione e prevenzione delle varie ipotesi di rischio” e nella “valutazione dei rischi” e che il contenuto di tali compiti era descritto dalla L. n. 225 del 1992, all’articolo 3, commi 2 e 3 i quali enunciano cosa debba intendersi per previsione e per prevenzione: “2. La previsione consiste nelle attivita’, svolte anche con il concorso di soggetti scientifici e tecnici competenti in materia, dirette all’identificazione degli scenari di rischio probabili e, ove possibile, al preannuncio, al monitoraggio, alla sorveglianza e alla vigilanza in tempo reale degli eventi e dei conseguenti livelli di rischio attesi.
3. La prevenzione consiste nelle attivita’ volte a evitare o a ridurre al minimo la possibilita’ che si verifichino danni conseguenti agli eventi di cui all’articolo 2, anche sulla base delle conoscenze acquisite per effetto delle attivita’ di previsione. La prevenzione dei diversi tipi di rischio si esplica in attivita’ non strutturali concernenti l’allettamento, la pianificazione dell’emergenza, la formazione, la diffusione della conoscenza della protezione civile nonche’ l’informazione alla popolazione e l’applicazione della normativa tecnica, ove necessarie, e l’attivita’ di esercitazione”.
Questo Collegio non ignora che, con specifico riferimento all’azione della Protezione Civile e’ stato affermato, nella rammentata sentenza sui fatti di Sarno, che “la L. n. 225 del 1992 ha introdotto regole cautelari proprie della protezione civile che, pur potendosi ascrivere a generiche cautele che gli organi istituzionali devono adottare in generale, costituiscono un’applicazione specifica di queste cautele al tema che ci interessa. Ci si riferisce in particolare all’articolo 3 che ha espressamente previsto, tra le attivita’ e compiti della protezione civile, la previsione (individuazione delle cause dei fenomeni calamitosi) e la prevenzione (attivita’ dirette ad evitare o ridurre al minimo la possibilita’ che si verifichino danni conseguenti agli eventi calamitosi). La conseguenza di questa disciplina e’ che le inosservanze di queste norme cautelari (omissione delle attivita’ di previsione e prevenzione) costituiscono violazione di regole cautelari normativamente previste e quindi ipotesi di colpa specifica”. Ma ritiene che tali affermazioni meritino una ulteriore puntualizzazione.
In primo luogo deve essere rimarcata la non sovrapponibilita’ dei compiti affidati dalla legge al dipartimento della Protezione civile a quelli specifici della CGR. Risulta invero evidente che a quest’ultima non sono affidati compiti di previsione e prevenzione bensi’ quelli di “attivita’ consultiva tecnico-scientifica e propositiva in materia di previsione e prevenzione delle varie situazioni di rischio” (Decreto Legge n. 343 del 2001, articolo 5, comma 3 bis convertito con modificazioni dalla L. n. 401 del 2001; DPCM 3 aprile 2006, articolo 3). L’attivita’ di protezione civile articolata lungo una struttura multilivello che sollecita i diversi soggetti del sistema nazionale a seconda della tipologia dell’evento (ordinario, intermedio, straordinario) – fa capo, in ultima istanza, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che si avvale dell’opera del dipartimento della Protezione civile quale struttura di raccordo tra il livello centrale e quello periferico, con funzioni tecnico-operative (Decreto Legge n. 343 del 2001, articolo 5, comma 3; per una ricostruzione dell’evoluzione dell’impianto istituzionale in materia di protezione civile sino al 1998 si veda Sez. 4, sent. n. 16761/2010). E’ quindi improprio asserire che alla CGR sono attribuiti compiti di previsione e di protezione, nei medesimi termini in cui questi sono riferiti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri o agli organi operativi. In realta’ la CGR svolge attivita’ consultiva, che prende forma in pareri e proposte, funzionali all’attivita’ di previsione e di prevenzione che ad altri competono.
Tanto precisato, va ribadito che le norme evocate in specie dal Tribunale sono esclusivamente specificative dei compiti assegnati alla Protezione Civile; esse non descrivono ancora quali particolari misure devono essere adottate per conseguire l’obiettivo della protezione della popolazione dagli eventi naturali capaci di generare danni alle persone e alle cose in larga scala. Si tratta di attivita’ propedeutica, ritenuta necessario strumento di un’efficace opera di prevenzione dei danni. Non puo’ sfuggire il ricorso, nel passo citato della sentenza n. 1671/2010, alla locuzione “generiche cautele”; la quale evoca chiaramente la incapacita’ dei concetti di previsione e di prevenzione di “indicare con precisione le modalita’ e i mezzi ritenuti necessari ad evitare il verificarsi dell’evento”.
La qualita’ della regola cautelare, di indicare preventivamente quale specifica condotta debba essere tenuta e quale specifico evento (colto almeno nei caratteri del genere) essa valga a prevenire, e’ essenziale ad un rimprovero penale che voglia realmente essere rispettoso del principio di colpevolezza.
Com’e’ stato rimarcato, “la regola cautelare deve, necessariamente, avere carattere “modale”, deve cioe’ indicare con precisione le modalita’ e i mezzi ritenuti necessari ad evitare il verificarsi dell’evento (ovviamente la regola cautelare che impone l’astensione dall’attivita’ pericolosa non ha carattere modale)” (Sez. 4, n. 16761 del 11/03/2010, P.G. in proc. Catalano e altri, cit.).
Puo’ quindi fondatamente dubitarsi che in tali previsioni si situino prescrizioni concernenti i comportamenti preventivi che valgono a scongiurare gli’ eventi pregiudizievoli a carico della popolazione che possono derivare dai fenomeni naturali indicati nell’articolo 2 della legge. Piuttosto vi e’ l’attribuzione di compiti le cui modalita’ di assolvimento devono essere ancora individuate. Ne’ potrebbe essere altrimenti, stante l’incidenza che su di esse hanno l’evolvere delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie, nonche’ le variabili operative.
Qui si coglie un fondamentale equivoco della sentenza di primo grado, che i ricorrenti hanno fatto proprio: l’intendere norme di dovere come regole cautelari. E, deve aggiungersi, senza neppure tener conto della ripartizioni di tali compiti secondo le rispettive competenze dell’organo di consulenza tecnico-scientifica e dell’organo tecnico-operativo della Protezione civile.
Con specifico riferimento ai rilievi mossi dai ricorrenti ed attinenti al punto in esame, sembra di poter affermare che la insistita pretesa di rinvenire nelle norme in parola (L. n. 225 del 1992, articolo 2, articolo 3, commi 2 e 3, 9) le fonti di una regola cautelare (e quindi la contrapposizione della colpa specifica alla colpa generica) sorge dalla premessa, non esplicitata ma visibile in trasparenza, che nel porre obblighi di previsione, prevenzione ed analisi del rischio sismico, esse costituiscano un obbligo di risultato, sicche’ non conseguito l’obiettivo di prevedere l’innalzamento della magnitudo (e non prevenuti i danni conseguenti), le prescrizioni di legge risultano violate e certamente e’ integrata una condotta colposa.
Senonche’ la funzione della regola cautelare, nella struttura della responsabilita’ per colpa, e’ anche quella di selezionare gli schemi di comportamento che attualizzano e specificano il generico dovere di diligenza; si sono sopra rammentate le fondamenta logico-giuridico di tale assunto.
Dovrebbe ormai apparire chiaro che le norme di cui trattasi, come ha correttamente ritenuto la Corte di Appello, sono norme di dovere; che nulla dicono in merito al come deve essere adempiuto quel compito e quindi al parametro di valutazione perche’ possa parlarsi di una corretta opera di previsione, prevenzione e di analisi. di qui la ricerca, necessitata, di riferimenti extranormativi, che al fine si concretano nelle conoscenze scientifiche disponibili (puntuale il riferimento operato a pg. 172 dalla Corte di appello alle “migliori conoscenze scientifiche relative ai fenomeni sismici” disponibili al 31.3.2009); certamente anche di quelle metodologiche, tuttavia recessive rispetto a quelle che lumeggiano direttamente il contenuto esigibile di una diligente analisi del rischio sismico. Conforta, in tale conclusione, anche la puntualizzazione operata da autorevole dottrina, per la quale nel caso di attivita’ pericolosa il cui svolgimento sia doveroso e’ propriamente l’imperizia il piu’ specifico canone di valutazione; laddove nelle ipotesi di attivita’ pericolosa lecita libera o autorizzata, “l’imperizia non e’ concettualmente distinguibile dalla negligenza se non sulla base del poco significativo rilievo che le regole prudenziali sono le leges artis”.
Deve quindi essere ribadito che non puo’ essere la sola omessa previsione di un rischio la ragione fondante dell’ascrizione; questa si rinviene nella mancata adozione di quella particolare misura che la valutazione del rischio avrebbe consentito di adottare. Omissione che prescinde da una valutazione del quomodo della analisi del rischio, perche’ in definitiva da affermare (o da escludere) sulla base del canone della perizia.
Alla luce di simili premesse deve concludersi che i rilievi che lamentano l’erronea qualificazione della seduta appaiono infondati, perche’ assumono erronee premesse giuridiche; essi risultano, peraltro, anche privi di correlazione con la decisione censurata perche’ la identificazione operata dalla corte territoriale del ruolo assunto dagli esperti nel corso della seduta (per la Corte di appello consulenti singolarmente richiesti di intervento e non componenti della CGR), non ha precluso alla stessa di ritenere i medesimi gravati del dovere di eseguire una valutazione del rischio e di eseguirla conformandosi allo standard cautelare rinvenibile per tale attivita’ nel contesto dato.
Ne risulta la assenza di correlazione alla sentenza impugnata anche della censura che si indirizza alla esclusione di profili di colpa specifica; oltre a dover Rilevare che i ricorrenti non si premurano di esplicare le ragioni per le quali le norme evocate dal primo giudice avrebbe quel carattere precettivo, ovvero modale, che e’ stato loro negato dalla Corte di Appello, va osservato che questa ha comunque replicato l’analisi condotta dal Tribunale, sia pure collocandola nel quadro di una verifica della imperizia dell’operato degli esperti (e della esclusione di una concreta attivita’ di diretta informazione alla popolazione, sulla quale si dira’ a breve).
Non e’ censurabile, quindi, la marginalizzazione degli aspetti della diligenza e della prudenza, cosi’ come di quelli “metodologici” assunti per se’ stessi, in quanto un contributo scientifico va misurato in rapporto alla rispondenza al patrimonio cognitivo esistente, in relazione alla specificita’ della situazione, e non al percorso che lo ha maturato, che puo’ assumere solo rilievo indiretto. In particolare la valutazione dei rischi ha la funzione di individuare le misure di prevenzione richieste dal fattore di rischio governato; ogni attivita’ strumentale rispetto allo scopo assume rilievo solo per la sua attitudine a rendere la valutazione efficace. Qui va definitivamente evidenziato che l’enfasi posta dalla contestazione, dal Tribunale e dai ricorrenti sulla “approssimazione e superficialita’” della valutazione – e sul suo discostarsi dalle “regole cautelari” che si e’ ritenuto di rinvenire nelle norme evocate – si spiega unicamente per la ritenuta valenza di immediata comunicazione al pubblico di quanto i diversi esperti esprimevano partecipando alla seduta. Ma rinviando a piu’ avanti la valutazione di quanto ritenuto dalla Corte di Appello al riguardo, sin d’ora va affermato che in tal modo si confondono piani che in ogni caso vanno mantenuti distinti. Nell’ambito della discussione scientifica, nella quale ciascuno dei partecipanti espone il proprio pensiero in merito ai dati oggetto di analisi, allo scopo di rinvenire, mediante il confronto dialettico, un’opinione che, perche’ condivisa o almeno maggioritaria, possa dirsi traguardo del confronto e dell’apporto di diverse competenze, non possono porsi regole che pretendano di disciplinare il percorso gnoseologico. Vale al riguardo quanto e’ stato affermato da un autorevole neuroscienziato a proposito dell’indagine scientifica: “e’ un elemento fondamentale del procedimento scientifico che, quanto i dati sono scarsi o approssimativi e le teorie esistenti sono asfittiche, gli scienziati suppliscano con congetture. In questi casi dobbiamo dare voce alle nostre migliori ipotesi e intuizioni…”. Congetture, ipotesi, intuizioni: termini ben lontani dai concetti di precisione e di certezza. Non puo’ sfuggire che il Tribunale, e con esso i ricorrenti, hanno avanzato la pretesa di costruire una camicia di contenzione al processo di conoscenza, forse per il riflesso della distorcente assimilazione dell’attivita’ cognitiva a quella informativa. Ben diversamente, l’esplorazione intellettuale deve vedersi riconosciuto uno statuto di piena liberta’; la responsabilita’ sociale dello scienziato inizia laddove il prodotto del suo operare diviene pubblico; inizia con la comunicazione sociale della scienza.
5. La cooperazione colposa. Quanto sin qui detto deve pero’ essere riguardato anche alla luce di una particolare epifania dell’agire colposo.
L’ulteriore, e ben piu’ rilevante, ragione della disputa sulla qualificazione della seduta del 31.3.2009 e’ costituita dalla aspirazione a veder ricondotta la fattispecie concreta al paradigma della cooperazione colposa, di cui all’articolo 113 c.p.. Il Tribunale sembra aver richiamato tale istituto proprio sulla scorta della qualificazione della seduta quale riunione della CGR. La Corte di Appello, dal canto suo, ha stabilito una relazione tra la qualificazione del consesso come sede di una ricognizione, indagine e verifica, e l’esclusione dell’applicabilita’ dell’articolo 113 c.p..
Ancora una volta un approccio formalistico nuoce al corretto inquadramento della vicenda. Anche la Corte di Appello non ha esitato a svolgere la verifica della correttezza scientifica della valutazione del rischio sismico operata dagli esperti, unitariamente considerando i diversi contributi. Tanto che essa ha esposto i diversi interventi, raccordandoli tra loro ed infine esprimendosi del tutto chiaramente nel senso che “il tenore complessivo delle valutazioni operate dagli odierni imputati nel corso della riunione fosse privo di toni rassicuranti sull’evoluzione dello sciame…”; cosi’ come alla complessiva valutazione dei rischi la Corte di Appello ha fatto riferimento quando si e’ trattato di verificare la sussistenza dei profili di colpa ritenuti dal primo giudice.
Non vi puo’ essere d’altronde dubbio alcuno che la realta’ effettuale sia stata quella di un gruppo di esperti che raccoltisi a L’Aquila – perche’ convocati dal vertice del dipartimento della Protezione civile – vi svolsero un’analisi del rischio sismico; ciascuno portando il patrimonio di competenza specialistica che gli era proprio, in funzione della elaborazione di un comune prodotto (per ovvie ragioni si omette di trattare dell’evocazione dell’articolo 113 c.p. in funzione dell’attribuzione anche al (OMISSIS) della “colposa” valutazione operata dagli esperti).
La giurisprudenza di questa Corte ha colto i presupposti fattuali della cooperazione colposa nella circostanza che “il coinvolgimento integrato di piu’ soggetti sia imposto dalla legge, da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio, o almeno sia contingenza oggettivamente definita senza incertezze e pienamente condivisa sul piano della consapevolezza”. Nel caso che occupa l’interazione dei piu’ soggetti in funzione del conseguimento di un comune risultato, perche’ previsto dalla stessa legge, appare integrare quel dato fattuale sul quale puo’ proiettarsi l’istituto della cooperazione colposa. Piu’ in particolare, l’attivita’ degli esperti propone quella caratteristica divisione di compiti che trova ragione nella necessita’ di integrazione di competenze professionali tra loro diverse, esplicitamente prevista dalla legge.
In tali situazioni, l’intreccio cooperativo, il comune coinvolgimento nella gestione del rischio fanno si’ che ciascun agente debba agire tenendo conto del ruolo e della condotta altrui. Si genera infatti un legame ed un’integrazione tra le condotte che opera non solo sul piano dell’azione, “ma anche sul regime cautelare, richiedendo a ciascuno di rapportarsi, preoccupandosene, pure alla condotta degli altri soggetti coinvolti nel contesto”.
La giurisprudenza di questa Corte ha individuato, quindi, una “pretesa d’interazione prudente”, quale canone per definire il fondamento ed i limiti della colpa di cooperazione. Ed e’ in ragione di essa che trova giustificazione “la deviazione rispetto al principio di affidamento e di auto responsabilita’”. Cio’ consente di dire che la funzione della cooperazione e’ quella di fornire un “modello di doveroso accrescimento dell’efficienza delle cautele”; e cosi’ di giustificare il coinvolgimento persino di soggetti che, nell’ambito di una determinata organizzazione, svolgono un ruolo subalterno e meno qualificato e che, conseguentemente, facilmente svolgono nei fatti un ruolo meno significante. Subalterni che, hanno quindi il dovere di assumere un ruolo critico-dialettico e conseguentemente il dovere di manifestare l’eventuale dissenso rispetto alle scelte del sovraordinato (Cass. Sez. 4, n. 1786 del 02/12/2008, Tomaccio e altri, Rv. 242566; Sez. 4, n. 1428 del 02/11/2011, Gallina, Rv. 252940). Se cio’ vale in rapporto a saperi/poteri asimmetrici, a maggior ragione vale a riguardo di posizioni paritarie.
Non e’ quindi errato affermare – come fanno i ricorrenti – che su ciascun esperto incombeva, oltre all’obbligo di svolgere diligentemente il proprio compito specifico, anche quello di intervenire a “correggere” affermazioni altrui.
Ma cio’ puo’ valere esclusivamente per affermazioni la cui erroneita’ fosse riconoscibile indipendentemente da un particolare patrimonio specialistico, diverso da quello posseduto. In materia di attivita’ di equipe (in specie nel campo medico), la giurisprudenza di questa Corte pone in risalto l’esistenza di tale condizione. Ad esempio quando afferma che deve considerarsi negligente il comportamento del chirurgo il quale, in ragione della sola maggiore anzianita’ di servizio di altro medico componente la medesima equipe, si fidi acriticamente delle scelte operate da quest’ultimo, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l’erroneita’ (Sez. 4, n. 35953 del 19/08/2014, Spagnuolo e altro, Rv. 260165); oppure richiede che venga accertata la possibilita’ del singolo sanitario operante in equipe chirurgica di conoscere e valutare l’attivita’ svolta da altro collega, di controllarne la correttezza e di agire ponendo rimedio agli errori emendabili da lui commessi (Sez. 4, n. 43988 del 28/10/2013, Bove, Rv. 257699). Ed ancora, allorquando rimarca la necessita’ che ogni sanitario conosca e valuti l’attivita’ precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e ne controlli la correttezza, “ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, Rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio” (Sez. 4, n. 46824 del 19/12/2011, Castellano e altro, Rv. 252140).
Occorrenze che nel caso di specie risultano escluse dalla ritenuta correttezza scientifica delle affermazioni espresse dai diversi esperti nel corso della seduta.
Ma nel caso che occupa l’istituto della cooperazione colposa e’ stato evocato dai ricorrenti anche – e soprattutto – per stabilire un obbligo di attivazione degli esperti in funzione di correzione dell’atto comunicativo dell’organo operativo (il (OMISSIS)).
Quasi tutti i ricorrenti lamentano che non sia stato ritenuto penalmente rilevante che gli esperti non abbiano confutato dichiarazioni scientificamente infondate e oggettivamente rassicuranti, tanto nel corso della seduta che nella successiva intervista. Il principale ambito di riferimento e’ costituito dalle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) in tema di “scarico di energia” nell’intervista che precedette la seduta degli esperti. I ricorrenti Fioravanti affermano che “l’omissione delle doverose considerazioni su tale errata, fuorviante e pericolosa affermazione e’, in se’ considerata, da sola sufficiente a fondare un giudizio di rimprovero colposo nei confronti degli imputati assolti…”.
Con riferimento alla conferenza stampa che, all’esito della seduta, venne tenuta dal (OMISSIS), presenti il (OMISSIS), l’Eva Claudio (OMISSIS)Dolce Mauro, si formulano analoghe censure, sull’assunto che gli esperti avrebbero dovuto confutare le dichiarazioni rese dal (OMISSIS).
(OMISSIS)
(OMISSIS)
(OMISSIS)
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(OMISSIS)De Bernardinis (OMISSIS)De Bernardinis (OMISSIS)
(OMISSIS)De Bernardinis (OMISSIS)
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(OMISSIS)Cora (OMISSIS)
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(OMISSIS)Dolce Mauro (OMISSIS)Dolce Mauro (OMISSIS)
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(OMISSIS)Piccinini Maria Grazia (OMISSIS)
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(OMISSIS)Giuliani (OMISSIS)
(OMISSIS)De Bernardinis (OMISSIS)De Bernardinis (OMISSIS)
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(OMISSIS)Giuliani (OMISSIS)De Bernardinis (OMISSIS)
(OMISSIS)
(OMISSIS)Carosi Paolo (OMISSIS)
(OMISSIS)
(OMISSIS)De Bernardinis (OMISSIS)Giugno Luigi(OMISSIS)Berardini Giovanna (OMISSIS)Tomei Paola (OMISSIS)Russo Anna Maria (OMISSIS)Germinelli Chiara Pia (OMISSIS)Germinelli Micaela (OMISSIS)Germinelli Giuseppina(OMISSIS)Germinelli Rosa sono stati presi in esame nella parte della presente trattazione che ha riguardato la posizione del medesimo (cfr. Parte II).
Il primo motivo di ricorso, che pure lamenta la violazione di legge in relazione alla L. n. 225 del 1992 e agli articoli 40, 43 e 113 c.p., nonche’ il vizio motivazionale, e’ imperniato sulla formulazione di censure che non corrispondono ai vizi tipizzati dall’articolo 606 c.p.p., lettera e); si critica il “difetto di una visione globale e d’insieme del materiale probatorio”, la “disorganica, parcellizzata, comunque parziale e capziosa analisi delle singole affermazioni degli imputati”, facendo seguire la riproposizione di lunghi stralci della sentenza impugnata. Un simile motivo incorre nel difetto di specificita’. Cosi’ come risulta non consentito il motivo che, confrontandosi direttamente con il materiale probatorio, lo espone per sostenere che – emergendo da questo “la sequenza di posizioni tra loro contraddittorie” sostenute dagli esperti nel corso della seduta del 31.3.2009, sarebbe ictu oculi rilevabile la erroneita’ della valutazione scientifica effettuata “e, conseguentemente, della motivazione della sentenza di secondo grado”.
Ed ancora non consentita e generica e’ la censura per la quale “la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto corretta la valutazione scientifica… risulta illogica ed in contrasto con le emergenze probatorie, tabularmente risultanti anche dal corpo del provvedimento impugnato”, posto che il vizio tipico e’ quello di manifesta illogicita’ e che le contrastanti emergenze probatorie non vengono evidenziate ma dovrebbe essere questa Corte ad individuarle nell’ambito dei copiosi passi riportati in ricorso, senza specifica argomentazione a sostegno.
E’ invece infondata la censura di motivazione “contraddittoria e manifestamente illogica” che colpisce il giudizio di correttezza della valutazione scientifica degli esperti e quello, contestuale, di negligente comportamento del (OMISSIS) per non essersi rappresentato la possibilita’ del verificarsi di un forte terremoto a L’Aquila. Come si e’ gia’ rilevato supra Parte II par.9, la Corte di Appello ha ritenuto che l’imputato avesse la possibilita’ di prevedere la concreta (e non meramente congetturale) possibilita’ di un forte terremoto a L’Aquila, pur senza poterne prevedere con precisione e certezza ne’ il momento o l’esatta entita’, ma per cio’ stesso non potendo neppure escluderne la relativa possibile verificazione.
La correttezza della valutazione scientifica e’ stata affermata perche’ esitata in un giudizio di impotenza cognitiva a riguardo dei futuri sviluppi dei fenomeni sismici sino ad allora registrati, coerentemente alle acquisizioni scientifiche disponibili al momento. In particolare la Corte di Appello ha affermato che non era possibile attribuire alla sequenza sismica in corso la funzione di precursore di eventi e nemmeno possibile la formulazione di previsioni probabilistiche a breve, medio e lungo termine. Esattamente cosi’ come era stato affermato dagli esperti.
Le due enunciazioni non sono tra loro contrastanti. Il parametro di valutazione dell’operato dell’organo consultivo – la perizia – imponeva di accertare se questo avesse raggiunto conclusioni scientificamente fondate; il rapporto si pone tra il giudizio degli esperti e il patrimonio di conoscenza della comunita’ scientifica in materia di terremoti; l’accertamento processuale conduce a ritenere che questa correttezza e’ registrabile se il giudizio e’ di ineliminabile incertezza. Il parametro di valutazione dell’operato dell’organo operativo e’ essenzialmente quello della prudenza; in condizioni di incertezza, che quindi non permettono affermazioni di verificazione dell’evento, ma non lo escludono, occorre adottare comportamenti coerenti alla possibilita’ – non congetturale – che l’evento si realizzi.
L’insistito rimando ad elementi probatori per dimostrare che le affermazioni che gli esperti avevano fatto nel corso della discussione erano perplesse, contraddittorie, non considera che l’accertamento di quanto venne detto e del complessivo significato di quanto venne sostenuto dagli esperti attiene all’accertamento dei fatti ed e’ mancipio esclusivo del giudice di merito, non rovesciabile dal giudice di legittimita’ se non in presenza dei piu’ volte ricordati vizi. Che nella specie i ricorrenti non sono riusciti ad evidenziare.
Il secondo motivo, che attiene a vizio della motivazione, denuncia in primo luogo un uso incoerente e non univoco dei criteri di valutazione della prova. In particolare si censura come contraddittorio l’aver ritenuto di attribuire maggior rilievo alla dichiarazione di un teste ( (OMISSIS)) rispetto a quanto emergente dalla bozza di verbale, avendo la corte distrettuale censurato il primo giudice per aver fatto altrettanto. Ma il rilievo e’ infondato. Nella specie non viene in gioco alcun criterio di valutazione della prova. Infatti, la Corte di Appello non ha affermato che la prova documentale deve prevalere su quella dichiarativa (e questo sarebbe un criterio di valutazione della prova), ma ha ritenuto che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, erano da preferirsi le trascrizioni delle interviste date dalla (OMISSIS) al ricordo che questa ne aveva fatto in sede di escussione dibattimentale, perche’ tali dichiarazioni apparivano inficiate dal “tentativo di spostare l’attenzione dalla questione centrale delle indebite rassicurazioni a quella, nemmeno ipotizzata dall’accusa, del mancato allarme”. Poiche’ un qualche motivo di sospetto nei confronti del ricordo del (OMISSIS) non vi era, la Corte di Appello ha dato valore a quanto da questi rammentato.
Nel resto il motivo e’ ancora diretto confronto con la prova, propedeutico alla formulazione di una valutazione sulla natura rassicurante delle affermazioni fatte dagli esperti a riguardo dello sciame sismico, in dissenso con quella espressa dalla Corte di Appello.
Il terzo motivo si impernia sulla premessa della esistenza dell’obbligo in capo agli esperti di procedere ad una completa valutazione dei rischi e di fornire al DPC e alla intera popolazione una informazione chiara, corretta e completa; e sulla deduzione che, all’inverso, nella specie si ebbe un’analisi del rischio assolutamente approssimativa, generica ed inefficace. Riproducendo la scansione delle argomentazioni del Tribunale, si rimarca che anche a ritenere che le norme evocate non avessero contenuto precettivo (ovvero cautelare) gli esperti versarono comunque in colpa generica. dal che si conclude che essendo richiesta una valutazione del rischio, e non essendo stata questa operata o essendolo stata in modo inadeguato, ricorre la negligenza e la imprudenza. Ma il vero presupposto della censura e’ nel giudizio che la Corte di Appello abbia (indebitamente) “destrutturato il capo di imputazione scindendo l’aspetto valutativo da quello informativo”.
A tal riguardo l’esponente contesta la fondatezza del giudizio della Corte di Appello, di una seduta non pubblica e di valutazioni non venute a conoscenza di persone diverse da chi vi partecipo’ o vi assistette. E cio’ fa richiamando genericamente il dato testimoniale e quello documentale e per stralcio le dichiarazioni del (OMISSIS), per poi rimarcare che la finalita’ informativa della seduta risultava, tra l’altro, dal tenore del comunicato stampa che preannunziava la stessa, dall’intestazione della bozza di verbale e dalle dichiarazioni degli imputati e del (OMISSIS). Insistono, i ricorrenti, sui contenuti rassicuranti della discussione, richiamando le dichiarazioni rese sul punto dal (OMISSIS), per cui sarebbe illogica e contraddittoria la motivazione che addebita solo a quest’ultimo la responsabilita’ dei fatti, avendo egli ricevuto proprio dagli esperti la conferma di quanto aveva detto nella precedente intervista; tanto che egli non la rettifico’ nel corso della successiva conferenza stampa.
Si rende opportuno trattare a questo punto il tema, gia’ affrontato supra Parte III par.7, sotto il profilo del controllo della motivazione resa dalla Corte di Appello a riguardo della assunzione di fatto di un compito informativo da parte degli esperti riuniti. E’ necessario riepilogare: ad avviso del Tribunale, la partecipazione della (OMISSIS), del (OMISSIS) e del (OMISSIS) alla seduta aveva il precipuo scopo “di divulgare l’esito della riunione in via diretta ed immediata alla popolazione interessata”; “il dipartimento Nazionale della Protezione Civile affido’ il compito informativo direttamente ai membri della Commissione Grandi Rischi che se ne assunsero consapevolmente e volontariamente l’onere”. Questo compito di informazione diretta fu eseguito a) “consentendo l’accesso e la presenza nella sala di persone diverse dai componenti nominativi della Commissione Grandi Rischi e dai partecipanti alla riunione, rendendo, di fatto, immediatamente pubblici, senza alcun filtro, ogni fase della discussione e ogni argomento trattato”; b) attraverso la partecipazione alla successiva conferenza stampa. Per il primo giudice, “la riunione venne tenuta praticamente a porte aperte proprio…”, chiamando a conferma le dichiarazioni del (OMISSIS) e del (OMISSIS) (presente come uditore “per gli evidenti interessi di tipo scientifico che la stessa rivestiva anche per la Regione Molise”). Questa la conclusione: “per deliberata scelta del dipartimento della Protezione Civile, condivisa fin dall’origine e comunque accettata dai componenti della Commissione Grandi Rischi nella gestione di fatto in modalita’ allargata dei lavori, ogni fase della discussione, ogni argomento veniva immediatamente reso pubblico…”. E, tra gli altri elementi che il Tribunale chiama a conforto di tale conclusione, vi e’ che “non risulta che, all’esito della riunione, la Commissione Grandi rischi abbia redatto un comunicato o un documento di sintesi (o anche solo stampato il verbale) da trasmettere immediatamente al dipartimento della Protezione Civile per quanto di competenza…”.
Inoltre, il primo giudice ha attribuito a tutti gli imputati sia l’intervista rilasciata dal (OMISSIS) prima della riunione, perche’ questa avrebbe avuto contenuti del tutto coincidenti con quanto detto nel corso della seduta, sia le diverse affermazioni “incriminate” fatte nel corso della seduta, sia il contenuto della conferenza stampa tenuta dopo la seduta. Poiche’ il capo di imputazione menziona l’attivita’ informativa fatta mediante il verbale della riunione, che pero’ era stato redatto lo stesso 6 aprile, il Tribunale afferma che il relativo contenuto era gia’ stato diffuso.
Sul medesimo tema la Corte di Appello ha escluso che si sia trattato di una seduta aperta al pubblico, traendo il dato alla interdizione opposta ai professori (OMISSIS) e (OMISSIS) e al giornalista (OMISSIS); ha ritenuto che non venne in alcun modo propalato il contenuto della discussione, che rimase patrimonio di chi vi partecipo’ o vi assistette; ha concluso che il dato probatorio non consente di affermare che non sarebbe dovuta essere la Protezione civile, nelle sue articolazioni locali e nella sua espressione apicale nazionale, a gestire la comunicazione alla popolazione.
Tale motivazione, che peraltro colloca in una manifestamente illogica la presenza anche del (OMISSIS) (funzionario della Protezione civile molisana), risulta adeguata a sostenere il conclusivo giudizio di una seduta non pubblica, destinata al trasferimento di informazioni dagli esperti alle strutture operative della Protezione civile. La rispondenza di tale modalita’ di comunicazione “interna” allo standard di una comunicazione accorta, come si e’ gia’ rilevato, e’ questione che chiama in causa esclusivamente la competenza del dipartimento della Protezione Civile.
Il quarto motivo, muovendo dalla premessa che nella specie la situazione effettuale integra il presupposto che, per la giurisprudenza di legittimita’, permette di ipotizzare una cooperazione colposa ex articolo 113 c.p. sostiene l’assunto di una estensione della responsabilita’ penale anche agli esperti avendo il (OMISSIS) agito con il fattivo contributo di tutti loro, consistito nella assunzione di responsabilita’ che il (OMISSIS) fece delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) nel corso della conferenza stampa; dalla mancata smentita delle rassicurazioni mediaticamente propalate. Si tratta di affermazioni che, quanto ai profili fattuali, non prendono in alcuna considerazione cio’ che la Corte di Appello ha espresso a riguardo della mancanza di prova circa la consapevolezza degli esperti dei contenuti dell’intervista resa dal (OMISSIS) prima della seduta e della sostanziale assenza di affermazioni indebitamente rassicuranti nelle dichiarazioni rese durante la successiva conferenza stampa; il motivo risulta pertanto aspecifico.
Il quinto motivo costituisce enunciazione in termini diversi, apparentemente orientati al tema del nesso causale, della ripetuta doglianza per il mancato riconoscimento, da parte della Corte di Appello, di un contributo proveniente dagli esperti alla produzione degli eventi tipici ascritti al (OMISSIS). Esso si presenta quasi come una sintesi di quanto asserito in precedenza; risulta del tutto generico.
11. Il ricorso (OMISSIS).
11.1. Anche il ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) manifesta di fare riferimento all’impianto teorico del quale si sono mostrate le debolezze.
Sul piano generale il ricorrente denuncia il mancato assolvimento della Corte di Appello dell’onere della motivazione rafforzata, perche’ essa propone una ricostruzione contrassegnata da carenze, contraddittorieta’ ed illogicita’; il che avrebbe condotto alla erronea applicazione della legge penale in materia di colpa (articoli 43 e 113 c.p., DPCM n. 23582 del 2006, articolo 3). Si lamenta anche la “improprieta’” della formula assolutoria che, incentrandosi il giudizio sulla assenza di profili di colpa, avrebbe dovuto essere “perche’ il fatto non costituisce reato” e non gia’ “perche’ il fatto non sussiste”.
A tal ultimo riguardo, nella consapevolezza delle persistenti incertezze in ordine alla cd. doppia misura della colpa (ovvero la sua valenza tanto nell’ambito del fatto tipico che in quello della colpevolezza; ma in realta’ e’ per taluni gia’ suscettibile di controversia questa stessa opposizione), deve ritenersi che la mancata individuazione di una condotta che costituisca trasgressione di regola cautelare conduce all’esclusione della colpa in senso oggettivo, quale elemento che integra la condotta; sicche’ correttamente si e’ utilizzata la formula della insussistenza del fatto piuttosto che quella, invocata dal ricorrente, del “fatto non costituisce reato”.
11.2. La prima specifica indicazione degli snodi argomentativi della decisione impugnata che sarebbero erosi dai vizi menzionati concerne la soluzione data dalla Corte alla questione dello statuto normativo della seduta; il ricorrente evoca la violazione di legge parlando di prevalenza del principio di effettualita’ e di mancanza di logicita’ nella lettura dei dati processuali, in specie con riferimento alla insignificanza nelle condizioni date di una ricognizione orientata al passato. Si afferma che “l’operato degli esperti-imputati debba essere necessariamente valutato ai sensi dello statuto di disciplina dell’attivita’ della Commissione Grandi Rischi, indipendentemente dai vizi formali relativi alla convocazione ed alla costituzione dell’organismo quanto alla riunione del 31.3.2009”.
Prosegue l’esponente affermando che, in ogni caso, le implicazioni penali sarebbero le stesse anche a concordare con la riconduzione dell’attivita’ alla categoria delle ricognizioni, verifiche ed indagini, perche’ comunque alle condotte degli imputati dovrebbe trovare applicazione l’articolo 113 c.p.. Nella fattispecie ricorre quell’intreccio cooperativo delle condotte dei diversi agenti consapevolmente coinvolti in una comune procedura in corso, che per la giurisprudenza di legittimita’ determina l’obbligo per ciascun agente di tener conto del ruolo e della condotta altrui. E non e’ la mancanza di deliberazione collegiale che puo’ far ritenere non operante la cooperazione colposa.
Nella prospettazione del ricorrente non e’ chiaro cosa debba intendersi per valutazione dell’operato degli imputati ai sensi dello statuto della disciplina dell’attivita’ della CGR. Se con tale affermazione si vuol dire che essi parteciparono alla seduta in qualita’ di componenti della CGR, come che si voglia qualificare il consesso, non si puo’ che registrare la insussistenza di un’affermazione di diverso segno nella sentenza impugnata. Tanto che il ricorrente medesimo rammenta l’opzione fatta propria dalla Corte di Appello, di qualificare la seduta ai sensi dell’articolo 3, comma 10. Se si vuole intendere che la valutazione va compiuta partendo dal presupposto che si tratto’ di una riunione ex articolo 3, comma 3 e non di una ricognizione, verifica, indagine, non e’ in alcun modo chiarito come la diversa qualificazione fatta dalla Corte di Appello abbia determinato l’utilizzo di parametri di valutazione dell’operato degli esperti diversi da quelli che si sarebbero dovuti adottare. Ne’ potrebbe essere diversamente, perche’ – come si e’ gia’ rilevato – la Corte di Appello ha comunque sottoposto i lavori della seduta ad un’attenta analisi, condotta sul presupposto che si fosse svolta una valutazione del rischio sismico. In nessun passo i giudici distrettuali affermano che gli esperti si impegnarono in altra attivita’; tant’e’ che uno dei punti di dissenso con la sentenza di primo grado e’ la ricorribilita’ alle categorie della diligenza e della prudenza per la verifica del carattere colposo della condotta, evocate dalla aggettivazione assegnata alla valutazione dei rischi nel capo di imputazione: approssimativa, generica e inefficace. Inoltre, la Corte di Appello chiarisce che rispetto al giudizio del Tribunale il dissenso e’ nella dilatazione delle finalita’ della seduta realizzata con il comprendere in esse anche il compito di informazione diretta dei cittadini sull’attivita’ sismica in corso, avendo quella seduta ad oggetto unicamente finalita’ “valutative” (si veda p. 180 della sentenza impugnata). Addirittura, l’intero capitolo 2.2) viene titolato alla “valutazione scientifica effettuata nel corso della riunione” e la successiva trattazione attiene realmente alla disamina dell’andamento dei lavori in funzione della verifica della correttezza scientifica dell’approdo degli stessi, compendiato nella avvenuta evidenziazione “dell’alto rischio sismico della zona” e della “impossibilita’ di prevedere a breve forti eventi” nonche’ della impossibilita’ “di qualificare in termini certi di precursore la sequenza sismica in atto”, pur valutando la “improbabilita’ a breve di scosse di alta magnitudo”.
E dunque, come gia’ rilevato, la querelle intorno al nomen iuris che compete alla seduta degli esperti risulta priva di concreta rilevanza, non sussistendo alcun dubbio in ordine al fatto che gli esperti nell’occasione si adoperarono nella valutazione del rischio sismico. Tale dato, come correttamente rilevato dal ricorrente, assume valore assorbente nella prospettiva penalistica, per la identificazione dei doveri gravanti sugli esperti, astrattamente (o staticamente: il profilo del ruolo) intesi, e del modello comportamentale al quale essi avrebbero dovuto attenersi (il profilo della regola cautelare). Ne’ con cio’ e’ escluso di per se’ ogni ruolo all’istituto della cooperazione colposa, che’, come si e’ scritto, essa implica l’emersione di una particolare regola cautelare. Con gli esiti che si sono sopra evidenziati.
11.3. Il secondo motivo mette a fuoco appunto il giudizio emesso dalla Corte di Appello in ordine alla connotazione colposa della condotta degli esperti, concluso nel senso della sua insussistenza. Tale giudizio, per il ricorrente, sarebbe sortito da una lettura errata della prima sentenza. A differenza di quanto sostenuto dal giudice distrettuale, il Tribunale aveva censurato non solo la violazione degli obblighi di previsione e prevenzione, in una prospettiva metodologica, ma anche l’inadeguatezza e.. (l’)inaffidabilita’ del complessivo contributo “scientifico” e comunicativo fornito dagli imputati”, con effetto di indebita rassicurazione quanto meno sulle autorita’ locali presenti alla riunione. La Corte territoriale non avrebbe colto il reale nucleo della colpa posta a carico degli imputati, identificabile nella “imprudenza di fondo dell’atteggiamento comunicativo assunto dal consesso degli esperti e specificamente la negligente ed imprudente rassi’curativita’ delle informazioni dagli stessi fornite”. In cio’, si aggiunge, l’implicito giudizio di intrinseca inaffidabilita’ scientifica del contributo informativo fornito.
Un simile rilievo non e’ in grado di evidenziare un vizio della motivazione censurabile in sede di legittimita’. Nella prospettazione del ricorrente la Corte di Appello non ha errato nel fare ricorso al criterio della perizia; ma nel ritenere che altrettanto non avesse fatto il Tribunale. Quand’anche cio’ rispondesse al vero, non e’ segno della manifesta illogicita’ della decisione impugnata; vizio che non si misura sull’interpretazione della sentenza di primo grado, come sembra intendere il ricorrente, ma sull’esame degli elementi probatori sottoposti ad analisi e sull’iter logico seguito, nonche’ sull’assenza di singoli elementi esplicativi, i quali siano tali da costituire tappe indispensabili di un percorso logico-argomentativo, che deve necessariamente snodarsi tra i temi sui quali il giudice e’ tenuto a formulare la sua valutazione (Sez. 5, n. 4893 del 20/04/2000, Pg in proc. Frasca, Rv. 215966).
In ogni caso il rilievo non coglie il segno. La Corte di Appello ha certamente inteso discostarsi dall’impianto edificato dal primo giudice, tra le cui fondamenta essa ha identificato “il deliberato accantonamento di ogni verifica relativa al rispetto del canone fondamentale della perizia” (201); ma lo ha fatto per evidenziare la subordinazione del metodo al merito, sul presupposto che anche un’analisi metodologicamente errata puo’ in ipotesi condurre a conclusioni corrette; ma anche per segnalare l’intrinseca contraddittorieta’ emergente dall’aver comunque eseguito, il Tribunale, la “verifica, in tesi non necessaria, della correttezza scientifica dell’operato degli esperti”.
Ed in effetti, la rilevanza accordata al criterio della correttezza scientifica della valutazione e’ condivisibile; a meno che il metodo, ovvero lo svolgimento dei lavori, non venga inteso esso stesso come momento autonomamente rilevante nella prospettiva dell’ascrizione colposa. Ed e’ esattamente questa la premessa della sentenza di primo grado: la valenza della discussione quale atto comunicativo a rilevanza esterna; che come tale imponeva l’osservanza di regole cautelari, la cui inosservanza ha determinato l’emersione di una condotta colposa degli esperti. La Corte di Appello ha rifiutato un simile approccio, escludendo su corrette premesse normative e motivazione coerente ai fatti – che fosse rinvenibile quell’atto comunicativo a rilevanza esterna; e quindi linearmente ha ricondotto la valutazione dell’andamento dei lavori al criterio della correttezza scientifica. E’ questo, d’altronde, il nodo di fondo dell’intera vicenda, che ancora il ricorrente (OMISSIS) – come tutti i ricorrenti – ripropone, fondendo insieme non solo atto valutativo e atto comunicativo ma anche i criteri – necessariamente diversi – alla cui stregua verificare la rispondenza dell’interpretazione del ruolo al modello comportamentale che su quella si proietta.
Una simile indebita sovrapposizione si manifesta anche nell’articolazione del ricorso in esame, il quale si dilunga sulla evidenziazione delle risultanze probatorie che manifesterebbero l’effetto di rassicurazione prodotto sui presenti alla seduta dalle dichiarazioni via via fatte dagli esperti. Con precipuo riferimento al giudizio di correttezza scientifica espresso dalla Corte territoriale, il ricorrente lamenta omissioni nello scrutinio della prova, che sarebbero a base del giudizio per cui non furono rese affermazioni indebitamente rassicuranti, e rimarca la mancata valutazione delle dichiarazioni dei presenti alla riunione destinatari della discussione. Ma il perno della censura e’ espresso dalla seguente affermazione: “in definitiva, la invalidita’ scientifica degli assunti scaturirebbe immediatamente ed implacabilmente dallo stesso tenore (nella specie oggettivamente tranquillizzante) delle valutazioni espresse dagli esperti”. In tal modo non si individuano carenze motivazionali, travisamenti della prova, manifeste illogicita’ nel giudizio che la Corte di Appello esprime a riguardo della coerenza con le acquisizioni scientifiche del tempo delle conclusioni alle quali pervennero gli esperti (il campo definito dalla corte distrettuale), ma si lamenta che l’andamento della discussione ebbe contenuti rassicuranti. E si svolge un ardito esercizio dialettico per sostenere che, sussistendo tali contenuti, la valutazione degli esperti fu scientificamente invalida. Una volta di piu’ si confonde l’attivita’ valutativa, che come attivita’ cognitiva non riconosce modalita’ standardizzate e si lascia apprezzare per quanto consegue, con l’attivita’ comunicativa, pretendendo di applicare all’una il modello comportamentale che si impone all’altra. Tanto vale anche per il rilievo che imputa alla Corte di Appello di non aver affermato la sussistenza della colpa nel mancato uso di una estrema prudenza nei “toni e contenuti”.
I soli rilievi che appaiono pertinenti al giudizio di merito sull’attivita’ valutativa in quanto tale attengono alla affermazione che la Corte di Appello avrebbe fatto, di una valenza retrospettiva invece che prognostica di quanto sostenuto dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS) circa i possibili danni agli immobili; e al dovere degli esperti di contraddire le “dichiarazioni scientificamente blasfeme” (ex ore imputati) come quelle del dr. (OMISSIS), veicolate dal prof. (OMISSIS)…” relative alla teoria dello scarico di energia. Dovere scaturente dalla necessita’ di fornire ausilio alla Protezione civile e di informare, sia pure per via indiretta, la popolazione; nonche’ dalla presenza di soggetti “profani” alla riunione. Pertanto la Corte di Appello avrebbe errato a non individuare l’omissione colposa consistente nell’omesso intervento per la rimozione di notizie fallaci (rilevante ai sensi del combinato disposto agli articoli 40 cpv. e 113 c.p.), e sarebbe incorsa in vizio motivazionale non considerando la condotta omissiva.
Sul punto e’ sufficiente rinviare a quanto si e’ gia’ considerato trattando della cooperazione colposa in riferimento al caso in esame, al riparto di competenze tra organo operativo e organo consultivo nell’organizzazione nazionale della Protezione civile, della natura non pubblica della seduta del 31.3.2009;dovendosi solo aggiungere, in questa sede, alcune osservazioni a proposito delle dichiarazioni del (OMISSIS) e del (OMISSIS). La Corte di Appello ha affermato che la frase del (OMISSIS) relativa ai danni “da attendersi” si riferiva a quanto gia’ accaduto. Questa interpretazione viene criticata, sostenendosi che le parole del (OMISSIS) avevano valore prognostico e che pertanto risultarono indebitamente rassicuranti. Orbene, alla luce di quanto sinora osservato, risulta palese che la censura si rapporta a quell’impianto teorico la cui irricevibilita’ si crede di aver debitamente dimostrato.
L’ulteriore rilievo del ricorrente, per il quale la Corte di Appello avrebbe selezionato in modo arbitrario ed immotivato i contributi scientifici provenienti dai professori (OMISSIS) e (OMISSIS), rispetto a quelli degli esperti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), risulta aspecifico.
In linea generale va rammentato che nel giudizio di legittimita’, secondo la costante giurisprudenza di questa corte, l’accertamento peritale puo’ essere oggetto di esame critico da parte del giudice solo nei limiti del c.d. travisamento della prova, che sussiste nel caso di assunzione di una prova inesistente o quando il risultato probatorio sia diverso da quello reale in termini di “evidente incontestabilita’” (in tal senso, ex multis, Sez. 1, n. 47252 del 20/12/2011, Esposito e altri, Rv. 251404). Inoltre, e’ ritenuto non rispondente al requisito della specificita’ il motivo di ricorso con il quale si denunci un difetto di motivazione sulla base del mero richiamo alle non accolte conclusioni di una consulenza tecnica di parte, diverse da quelle del perito d’ufficio, cui il giudice abbia invece prestato adesione, senza indicare in modo circostanziato quali fossero i passaggi di detta consulenza che si ponevano in contrasto con le risultanze della perizia, giacche’ il principio di autosufficienza del ricorso richiede che le questioni dedotte in riferimento agli atti del processo siano collegate in forma specifica a determinati atti che e’ onere del ricorrente indicare e che il contenuto di quegli atti sia riportato nel ricorso con la precisazione dei punti investiti dal gravame e della rilevanza di ciascuna questione (Sez. 1, n. 47499 del 21/12/2007, Chialli, Rv. 238333).
D’altro canto, il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d’ufficio, in difformita’ da quelle del consulente di parte, non puo’ essere gravato dell’obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneita’ delle seconde, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito di ufficio, senza ignorare le argomentazioni del consulente: con la conseguenza che puo’ ravvisarsi vizio di motivazione solo se queste ultime siano tali da dimostrare in modo inconfutabile la fallacita’ delle conclusioni peritali, ovvero in maniera lampante l’erroneita’ di tali conclusioni. Ne consegue che costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimita’, la scelta operata dal giudice, tra le diverse tesi prospettate dal perito e dai consulenti delle parti, di quella che ritiene maggiormente condivisibile, purche’ la sentenza dia conto, con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni di tale scelta, del contenuto dell’opinione disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti (Sez. 4, n. 45126 del 4/12/2008, Ghisellini, Rv. 241907).
Nel caso che occupa, il ricorrente si e’ limitato a criticare l’opzione operata dalla Corte di Appello. E, piu’ in particolare, il rilievo concernente il fatto che i contributi “preferiti” non avessero tenuto conto dell’incremento dell’intensita’ delle scosse registrato nei giorni precedenti al 30.3.2009 non considera che la Corte di Appello ha proposto tra le pagine 207 e 209 la rassegna delle diverse opinioni, tra le quali figura quella del prof. (OMISSIS), che valorizzava proprio l’aumento della magnitudo menzionato dal ricorrente; di talche’ deve ritenersi che la Corte di Appello abbia tenuto conto anche di tale dato nel formarsi il giudizio a riguardo delle indicazioni da trarre dai diversi contributi versati nel processo dagli esperti (e tanto vale anche per gli ulteriori ricorrenti che hanno formulato l’identica censura).
Quanto al profilo di colpa che attiene al contenuto informativo dei lavori della seduta, la censura mossa dal ricorrente all’affermazione che si pone quale pietra d’angolo della motivazione sul tema, ovvero l’assenza di un compito di informazione diretta verso la cittadinanza gravante sugli esperti in occasione di una seduta che non era pubblica, si fonda su una generica mancata considerazione di evidenze probatorie. In particolare di quelle che permettono di affermare che il promotore della riunione aveva avuto l’intento “di realizzare una operazione mediatica, che realizzasse una comunicazione pressoche’ diretta tra gli “scienziati” della Commissione e la cittadinanza”, come confermato dal comunicato stampa diffuso dalla Protezione civile la sera del 30.3.2009; sicche’ non e’ verosimile che gli esperti non avessero inteso il fine mediatico e conformato ad esso i proprio comportamenti sia svolgendo i lavori in presenza di responsabili locali della Protezione civile e di estranei, sia partecipando alcuni di essi alla successiva conferenza stampa.
Al riguardo non puo’ che rammentarsi quali siano i limiti del sindacato del giudice di legittimita’. Quel che il ricorrente propone e’ un diretto rapporto con gli elementi di prova, la cui valutazione operata dalla Corte di Appello dovrebbe lasciare il campo a quella avanzata dal ricorrente medesimo, previo avallo di questa Corte. Non vengono indicati tipici vizi motivazionali. d’altro canto, su tale punto la motivazione resa dal giudice distrettuale appare non censurabile.
A riguardo, in particolare, della incidenza della presenza di soggetti non esperti, e tuttavia incardinati nel sistema nazionale di Protezione civile, nonche’ delle modalita’ di svolgimento della discussione, si rinvia a quanto gia’ esposto sul tema.
L’assunto che quanto enunciato dal (OMISSIS) nella conferenza stampa che segui’ la seduta costitui’ la sintesi delle affermazioni fatte dagli esperti durante lo svolgimento dei lavori, “ribadendone fedelmente il messaggio rassicurante” non prende in esame il fatto che la Corte di Appello ha escluso ogni carattere indebitamente rassicurante alle affermazioni emerse dai lavori medesimi; e piu’ generalmente non considera la ricostruzione che, con stretta aderenza agli elementi probatori, la corte territoriale ha fatto della relazione tra i tre distinti momenti (intervista del (OMISSIS), seduta, conferenza stampa).
12. Il ricorso di (OMISSIS) ed altro.
Il ricorso e’ infondato.
Con il primo motivo si censura la qualificazione giuridica fatta della seduta del 31.3.2009, tanto sotto il profilo prettamente normativo che sotto quello motivazionale. Alla luce di quanto si e’ gia’ esposto sul tema, risulta palese la non aderenza della doglianza alla essenza della decisione impugnata. Ne’ muta tale conclusione il fatto che nella motivazione della Corte di Appello si rinvenga una cangiante terminologia quando ci si riferisce a detta seduta. Anche a riguardo della rilevanza concreta assunta nella fattispecie dalla posizione di garanzia si e’ gia’ scritto; sicche’ anche a tal proposito deve affermarsi che i relativi rilievi non colgono il nucleo della motivazione.
Parimenti infondato e’ il secondo motivo, con il quale si mette a fuoco la ritenuta condotta colposa degli esperti, identificata nell’aver fornito una rassicurazione alla popolazione; lungi dal prendere in considerazione quanto affermato dalla Corte di Appello laddove ha escluso a) la formulazione di espressioni indebitamente rassicuranti da parte degli esperti; b) l’insussistenza di una errata informazione alla popolazione attribuibile agli esperti, i ricorrenti si pongono a diretto colloquio con taluni materiali di prova, selezionati per il sostegno della propria tesi.
Insussistente e’ la contraddittorieta’ tra passaggi successivi della decisione, concernenti la finalita’ di rassicurazione della popolazione assegnata alla seduta dal Capo del dipartimento della Protezione civile; la completa lettura di pagina 261 evidenzia che la Corte di Appello ha ritenuto che tale finalita’ non si fosse concretizzata nell’operato degli esperti. Ne’ risulta vero che la Corte di Appello abbia spostato il “cuore del problema” dall’avvenuta rassicurazione al concetto di omesso aggravamento del rischio. Una simile interpretazione confligge con quanto si e’ gia’ evidenziato a riguardo dei parametri di valutazione dell’operato degli esperti imputati.
L’evocazione del principio di precauzione e’ fatta in modo del tutto improprio.
Si sono gia’ svolte alcune osservazioni al riguardo di tale principio e di quale significato esso si veda attualmente assegnato; certamente tra questi non rientra quello che avrebbe imposto agli esperti di considerare “il peggiore scenario immaginabile”, che secondo l’esponente, in base alle conoscenze scientifiche era proprio un terremoto disastroso. Affermazione autoreferenziale, smentita dalla complessita’ degli accertamenti giudiziari che hanno preceduto questo giudizio.
I ricorrenti affermano che e’ certo che la sequenza sismica indicava un aggravamento del rischio, sicche’ la colpa degli imputati e’ consistita nel non aver rilevato questa situazione di aggravamento e di aver avallato non confutandola la teoria dello scarico di energia, cosi’ concorrendo nel reato con il (OMISSIS). Ancora una volta si tratta di affermazioni che si sovrappongono semplicemente alle valutazioni espresse dalla Corte di Appello; come tali inammissibili. Merita una puntualizzazione l’appunto rivolto alla Corte di Appello di non aver adeguatamente valutato il fatto che nessuno dei presenti smenti’ la teoria dello scarico di energia.
La Corte di Appello, dopo aver giustificato la scelta di accordare maggiore attendibilita’ a quanto emergente dalla bozza di verbale del 2 aprile 2009, sia perche’ redatta prima dell’evento del 6 aprile, sia perche’ corroborata dalle dichiarazioni testimoniali, ha concluso che dalla stessa non risultava che alcuno dei presenti avesse interloquito sulla nozione di “scarico di energia” e sulla sua attendibilita’ scientifica, e nemmeno risultava che taluno si fosse pronunciato nel senso che esso fosse interpretabile come fenomeno favorevole; una interpretazione che, ribadisce la Corte distrettuale, e’ del tutto priva di validita’ scientifica. Ha quindi rammentato che era stato il (OMISSIS) a proporre il tema ai convenuti (chiedendo cosa potessero dire a riguardo delle dichiarazioni rese alla stampa dal Capo del dipartimento), senza pero’ sollecitare un confronto esplicito sullo stesso, rilevando quindi che il dato essenziale, in rapporto all’accusa di aver dato gli esperti una sia pur non esplicita conferma alla ingiustificata interpretazione, era rappresentato dal fatto che il corredo probatorio attesta la circostanza che “di scarico di energia in termini favorevoli,…, non si parlo’ affatto”. Per la Corte territoriale depongono per tale ricostruzione la gia’ menzionata bozza di verbale, la dichiarazione del teste Salvatori, redattore della stessa, e quella del sindaco (OMISSIS); mentre le dichiarazioni valorizzate in senso contrario dal Tribunale, provenienti dall’assessore (OMISSIS) e dal teste (OMISSIS), sono state giudicate di scarsa conducenza rispetto al tema. Sicche’ il Collegio distrettuale ha ritenuto contraddetta dai dati probatori la conclusione alla quale era pervenuto il Tribunale, per il quale il tema era stato affrontato in modo generico e superficiale. In tal modo, ha osservato la Corte di Appello, il primo giudice aveva attribuito a tutti gli esperti espressioni in tema di “scarico di energia” e di “situazioni favorevole”, che erano utilizzate dal solo (OMISSIS) nel corso dell’intervista precedente alla seduta. E a dimostrazione della reale relazione tra il contenuto di quella intervista e la discussione degli esperti – che per il Tribunale era stata di identificazione sostanziale, tanto da assegnare alle parole del (OMISSIS) il valore di “manifesto dell’esito della riunione”, ancorche’ pronunciate prima di questa – la Corte di Appello ha rammentato che nella conferenza stampa che segui’ la seduta il (OMISSIS) non torno’ sul tema dello scarico di energia come fenomeno favorevole e rimarco’ l’impossibilita’ di effettuare previsioni e la necessita’ di mitigare la vulnerabilita’ e adeguare le strutture pubbliche alla normativa antisismica come sola misura preventiva efficace.
A fronte del corrispondente rilievo sollevato dai ricorrenti, vale rammentare che a conclusione dell’excursus appena riproposto, la Corte di Appello ha sottolineato come non fosse stato contestato agli esperti di non aver smentito le dichiarazioni rese dal (OMISSIS) prima della seduta, e che peraltro non era stata acquisita la prova che dei suoi contenuti gli esperti fossero venuti a conoscenza (cfr. pg. 189 della sentenza di appello).
Deve ritenersi che i ricorrenti formulino una censura non correlata con la motivazione impugnata, quando sostengono che il tema dello scarico di energia venne evocato nel corso della seduta e gli esperti non ne smentirono la validita’ scientifica, cosi’ concorrendo con il (OMISSIS) a veicolare alla popolazione un messaggio, errato, oggettivamente rassicurante. Non considerano quanto puntualizzato dalla Corte di Appello in merito alla assenza di prova della conoscenza da parte degli esperti delle dichiarazioni fatte alla stampa dal (OMISSIS) prima della seduta; non considerano quanto dalla Corte di Appello affermato in merito all’estraneita’ alla contestazione di un addebito incardinato sulla mancata smentita di quelle dichiarazioni; non considerano, infine, che la Corte di Appello ha giudicato rilevante ai fini del profilarsi di un comportamento colposo non la mancata trattazione del tema dello scarico di energia bensi’ la sua prospettazione quale fenomeno favorevole; non si avvedono che la critica alla Corte di Appello per non aver colto che nel verbale “postumo” il primo intervento del (OMISSIS) era stato riportato in modo incompleto e fuorviante e’ manifestamente infondata, giacche’ il Collegio distrettuale aveva esplicitamente elevato a primaria fonte di conoscenza proprio la bozza del verbale e non il documento del 6 aprile.
Anche i ricorrenti in parola ripropongono alcuni dati probatori per sostenere che “l’evoluzione della sequenza sismica avrebbe dovuto suggerire l’aumento della probabilita’ di un sisma”; si tratta di una modalita’ di formulazione della censura non ammissibile in sede di legittimita’, perche’ si indirizza alla valutazione della prova, senza segnalare manifeste illogicita’. Nello specifico, si richiamano le dichiarazioni del Prof. (OMISSIS) in tema di scarico di energia e di significativita’ di una scossa di magnitudo 4.1, come quella del 30.3.2009; le dichiarazioni della (OMISSIS) e del (OMISSIS); della (OMISSIS) e del (OMISSIS). Si tratta di elementi vagliati dalla Corte di Appello, che da’ conto del proprio giudizio con motivazione non manifestamente illogica.
Infondata e’ anche la doglianza che si indirizza alla sentenza impugnata per aver ritenuto che la seduta non fu pubblica, ancorche’ vi avessero assistito persone diverse dai componenti della CGR, e per non aver tenuto conto che alla successiva conferenza stampa presenziarono anche il (OMISSIS), il (OMISSIS), il (OMISSIS) ed il (OMISSIS). Tutto cio’ viene evidenziato al fine di confutare il giudizio della Corte di Appello, che aveva ritenuto che gli esperti non avessero assunto compiti di informazione diretta alla popolazione. Ebbene, al di la’ di quanto gia’ qui ritenuto sul punto, tale censura e’ meramente assertiva e non si confronta con quanto sostenuto dalla Corte di Appello estesamente, compiutamente e senza cedimenti logici o incoerenze rispetto ai dati probatori.
13. Il ricorso di (OMISSIS) ed altri.
Il ricorso e’ infondato.
Il principale assunto dei ricorrenti, che infine convergono verso la necessita’ di valutare il comportamento degli esperti per come si manifesto’ concretamente, e’ che essi rivestissero la qualita’ di pubblici ufficiali e che in tale veste avessero l’obbligo di fornire alla Protezione Civile tutte le informazioni necessarie alla salvaguardia della popolazione. Per quanto gia’ esposto non si puo’ che convenire sulla sussistenza in astratto di un obbligo di adempiere diligentemente ai compiti che la legge pone in capo alla CGR – e nella fattispecie valevoli per gli esperti -, ancorche’ esso non riposi sulla qualita’ di pubblico ufficiale ma sull’effettivo svolgimento dell’attivita’ consulenziale. Tutto cio’ pero’ non esaurisce il tema della responsabilita’ degli esperti per il fatto loro ascritto, come ben manifestano le decisioni giudiziarie succedutesi nel presente procedimento. Le argomentazioni proposte si restanti punti dalla Corte di Appello non sono prese in considerazione dall’esponente, che reitera il giudizio di un azzardato messaggio alla popolazione proveniente dagli esperti.
PARTE IV. – Statuizioni.
In conclusione, va rigettato il ricorso del Procuratore generale della Corte di Appello di L’Aquila. Vanno altresi’ rigettati i ricorsi di (OMISSIS) e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipartimento per la Protezione civile, i quali vanno condannati al pagamento delle spese processuali e, in solido, al pagamento delle spese sostenute per il presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS), che si liquidano in Euro 2.500,00 (duecemilacinquecento/00), oltre accessori come per legge; dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che si liquidano in Euro 3.500,00 (tremilacinquecento/00), oltre accessori come per legge; dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che si liquidano in Euro 3.500,00 (tremilacinquecento/00), oltre accessori come per legge; dalle parti civili (OMISSIS), che si liquidano in Euro 2.500,00 (duecemilacinquecento/00), oltre accessori come per legge; dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che si liquidano in Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori come per legge; dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che si liquidano in Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori come per legge; dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), che si liquidano in Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori come per legge; dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che si liquidano in Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori come per legge; dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che si liquidano in Euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori come per legge; della parte civile (OMISSIS), che si liquidano in Euro 2.500,00 (duecemilacinquecento/00), oltre accessori come per legge.
Vanno compensate le spese di giudizio relativamente alle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e Comune di L’Aquila che, benche’ non ricorrenti, hanno prestato adesione al ricorso del P.G. rigettato.
Vanno infine rigettati i ricorsi delle parti civili (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
P.Q.M.
Rigetta il ricorso del Procuratore generale della Corte di Appello di L’Aquila.
Rigetta i ricorsi di (OMISSIS) e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipartimento per la Protezione civile, che condanna al pagamento delle spese processuali e, in solido, al pagamento delle spese sostenute per il presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS), che liquida in Euro 2.500,00 (duecemilacinquecento/00), oltre accessori come per legge; dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che liquida in Euro 3.500,00 (tremilacinquecento/00), oltre accessori come per legge; dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che liquida in Euro 3.500,00 (tremilacinquecento/00), oltre accessori come per legge; dalle parti civili (OMISSIS), che liquida in Euro 2.500,00 (duecemilacinquecento/00), oltre accessori come per legge; dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che liquida in Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori come per legge; dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che liquida in Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori come per legge; dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), che liquida in Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori come per legge; dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che liquida in Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori come per legge; dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che liquida in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori come per legge; della parte civile (OMISSIS), che liquida in Euro 2.500,00 (duecemilacinquecento/00), oltre accessori come per legge.
Dichiara compensate le spese di giudizio relativamente alle parti civili (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
Rigetta i ricorsi delle parti civili (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
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