Intervento di nuova costruzione

Consiglio di Stato, Sentenza|28 giugno 2021| n. 4888.

Si è in presenza di un intervento di nuova costruzione, assoggettato al previo rilascio del permesso di costruire (articoli 10 e 3, I, lettera e, Dpr n. 380/2001), quando l’intervento abbia attuato una rilevante trasformazione urbanistica-edilizia del territorio. Per nuova costruzione si intende qualsiasi intervento che consista in una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio attuata attraverso opere di rimodellamento della morfologia del terreno, ovvero costruzioni lato sensu intese, che, indipendentemente dai materiali utilizzati e dal grado di amovibilità, presentino un simultaneo carattere di stabilità fisica e di permanenza temporale (dovendosi con ciò intendere qualunque manufatto che sia fisicamente ancorato al suolo) e che possono sostanziarsi o nella costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, o nell’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente.

Sentenza|28 giugno 2021| n. 4888. Intervento di nuova costruzione

Data udienza 25 marzo 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Abusi edilizi – Area sottoposta a vincoli – Sanatoria – Condizioni – Individuazione – Intervento di nuova costruzione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1873 del 2015, proposto da
Ma. Ve., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Gr. e Ma. Re., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Al. Co. in Roma, corso (…);
contro
Comune di Latina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Pa. Ca., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Si. Sc. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina Sezione Prima n. 00566/2014, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Latina;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 marzo 2021 il Cons. Francesco De Luca e uditi per le parti gli avvocati Ma. Re. e Fr. Pa. Ca. in collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 25 Decreto Legge 28 ottobre 2020 n. 137 conv. in L. 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso l’utilizzo di piattaforma “Mi. Te.”;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Intervento di nuova costruzione

FATTO

1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, il Sig. Ma. Ve. appella la sentenza n. 566 del 2014 con cui il Tar Lazio, Latina ha rigettato il ricorso diretto ad ottenere l’annullamento del provvedimento n. 34/07, attraverso cui il Comune di Latina ha negato l’istanza di condono n. 1342 del 29.11.2004.
In particolare, nella ricostruzione dei fatti di causa, l’odierno appellante opera un rinvio alla descrizione riportata nella sentenza gravata, in cui risulta che:
– il Sig. Ve. ha presentato domanda di condono edilizio ex art. 32 d.l. n. 269/03, conv. con L. n. 326/03, in relazione all’immobile sito in Latina, via (omissis), chiedendo la sanatoria di opere edilizie consistenti nell’ampiamento della relativa unità immobiliare per una superficie abitabile di mq 18,17 al piano primo e di mq 24,19 di porticato al piano terra;
– il Comune di Latina con provvedimento n. 34/07 ha rigettato l’istanza di condono presentata dal Sig. Ve. sul rilievo che l’area interessata risultava soggetta a vincoli paesaggistici di cui alla L. n. 1497/39 e alla L. n. 431/85;
– il Sig. Ve. ha proposto ricorso avverso il diniego di condono, denunciando la sua illegittimità per carenza di motivazione e per difetto di istruttoria, avendo l’autorità comunale fatto riferimento all’esistenza di vincoli sull’area interessata in maniera generica e contraddittoria;
– il Tar ha rigettato i motivi di ricorso, confermando la legittimità del provvedimento impugnato.
2. In particolare, alla stregua di quanto emergente dalla sentenza gravata, il Tar ha rilevato che:
– l’Amministrazione ha respinto l’istanza di condono, ritenendo che il suo oggetto, consistente nell’ampliamento del fabbricato ad uso di civile abitazione e nella realizzazione di un portico, non fosse compatibile con la tipologia della zona, assoggettata a vincolo ex L. n. 431/85;
– l’art. 32, comma 27, d.l. n. 269/03, conv. con L. n. 326/03 risultava ostativa all’accoglimento della domanda di sanatoria, essendo stata l’opera abusiva realizzata in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale e trattandosi di ampliamento di un fabbricato ad uso di civile abitazione, di realizzazione di un portico e di modifica della destinazione d’uso del piano terra, intervento non annoverabili tra i cd. abusi minori;
– non sussisteva neanche il lamentato difetto di motivazione, nonché risultava infondato anche l’ultimo motivo di ricorso, facendosi questione di provvedimento di diniego espressivo di un potere vincolato.

 

Intervento di nuova costruzione

3. Il ricorrente in prime cure ha proposto appello avverso la sentenza pronunciata dal Tar, deducendone l’erroneità con l’articolazione di plurimi motivi di impugnazione.
4. Il Comune intimato si è costituito in resistenza con memoria del 17.7.2015.
5. Le parti hanno argomentato a sostegno delle rispettive conclusioni mediante il deposito di memoria difensiva.
6. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 25 marzo 2021.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di appello viene censurato il capo decisorio con cui il Tar ha escluso una carenza motivazionale inficiante il provvedimento di diniego, sebbene l’Amministrazione (secondo la prospettiva attorea) si fosse limitata a rilevare che le opere non sarebbero state conformi alle norme urbanistiche e di tutela ambientale, facendo riferimento ad un presunto accertamento incentrato sulla riconducibilità delle opere abusive ad una zona sottoposta ai vincoli di cui alla L. n. 1497/39 e alla L. n. 431/85.
Pertanto, secondo quanto dedotto dall’appellante, non si comprenderebbe nella specie a quale vincolo il provvedimento impugnato si riferirebbe, rinviando contraddittoriamente ai vincoli di cui alla L. n. 431/85 e alla L. n. 1497/39, senza descrivere e specificare quale sia il vincolo che nella specie si assumeva violato, prospettandosi sia vincoli di inedificabilità assoluta che relativa, soggetti a diverso regime giuridico.
2 Con il secondo motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha ritenuto sussistente il contrasto tra le norme ambientali richiamate nel diniego di condono e la domanda di condono presentata dall’appellante, sebbene i vincoli ex art. 82, lett. a), DPR n. 616/1977 afferissero ai territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, mentre l’immobile per cui è causa non ricadrebbe in tale zona.
3. I motivi di appello possono essere esaminati congiuntamente, in quanto oggettivamente connessi, riferendosi alla mancata specifica individuazione della tipologia di vincolo gravante sull’area e, comunque, alla mancata sottoposizione dell’area a vincoli di natura paesaggistica.
Le censure sono infondate.

 

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Dall’esame del provvedimento censurato in prime cure, emerge che il Comune resistente non si è limitato a richiamare genericamente le Leggi nn. 431/85 e 1497/39, effettivamente recanti plurime disposizioni, regolanti molteplici fattispecie tutelate sotto il profilo paesaggistico – come tali non idonee, da sole, ad individuare lo specifico vincolo di tutela gravante sull’area di riferimento-; bensì ha specificato che il vincolo di tutela paesaggistico era stato apposto in virtù del decreto ministeriale del 25.2.1974.
Pertanto, come statuito dalla Sezione in controversia analoga (10 marzo 2021, n. 02041), l’omessa indicazione della specifica disposizione violata, contenuta nelle fonti legislative all’uopo indicate nel provvedimento amministrativo (nella specie, Leggi nn. 431/85 e 1497/39), non determina l’illegittimità della determinazione per carenza motivazionale, ove l’organo procedente abbia comunque operato un rinvio puntuale al decreto ministeriale che ha sottoposto l’area di interesse al vincolo.
In tale modo, il destinatario del provvedimento è in condizione di individuare, attraverso l’esame dell’atto all’uopo richiamato, la tipologia di vincolo in concreto rilevante, potendo, per l’effetto, apprezzare le ragioni sottese alla decisione assunta, ai fini della loro eventuale contestazione in sede giurisdizionale.
Né potrebbe sostenersi l’illegittimità del provvedimento per omessa allegazione del decreto ministeriale al provvedimento di diniego, atteso che, ai sensi dell’art. 3 L. n. 241/90, la motivazione della decisione amministrativa può essere desunta anche attraverso l’esame degli atti e documenti cui lo stesso provvedimento rinvia, ove rientranti nella disponibilità del destinatario.
A tali fini, inoltre, il concetto di disponibilità, di cui all’art. 3, l. n. 241 del 1990, non richiede che l’atto amministrativo menzionato per relationem debba essere allegato imprescindibilmente al documento o che il suo contenuto debba essere riportato testualmente nel corpo motivazionale, bensì che esso sia reso disponibile per l’interessato a norma di legge, potendo essere acquisito utilizzando il procedimento di accesso ai documenti amministrativi (Consiglio di Stato, sez. III, 20 marzo 2015, n. 01537).
Nel caso di specie, in primo luogo, non è dimostrata l’impossibilità per la parte ricorrente di accedere al decreto ministeriale impositivo del vincolo di tutela richiamato nel diniego di condono, ragion per cui l’atto, in quanto accessibile dall’interessato, deve ritenersi rientrante nella sua disponibilità .

 

Intervento di nuova costruzione

In ogni caso, si discorre di un decreto ministeriale pubblicato nella gazzetta ufficiale della Repubblica italiana (n. 186 del 17.7.1974, conoscibile dal Collegio trattandosi di fonte pubblica di cognizione), come tale certamente disponibile per ogni consociato.
Alla stregua delle osservazioni svolte, le censure articolate dall’appellante non risultano meritevoli di favorevole apprezzamento, tenuto conto che:
– la motivazione del provvedimento censurato risultava idonea ad individuare il vincolo gravante sull’area di riferimento, corrispondente, anziché genericamente ad una delle molteplici fattispecie regolate dalle Leggi nn. 431/85 e 1497/39, allo specifico vincolo imposto con il decreto ministeriale all’uopo indicato dall’organo comunale; con conseguente infondatezza del primo motivo di appello, incentrato sull’impossibilità per il destinatario di comprendere quale fosse il vincolo di tutela richiamato dal Comune a fondamento del diniego;
– le contestazioni svolte dall’appellante con il secondo motivo di appello hanno ad oggetto una fattispecie giuridica non conferente rispetto al caso di specie, tenuto conto che il Comune, nello specificare il vincolo di tutela paesaggistica in concreto rilevante, non ha operato un riferimento all’art. 82, lett. a), DPR n. 616/1977 – concernente i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, sulla cui base, invece, l’odierno appellante ha argomentato il secondo motivo di impugnazione -, bensì ha richiamato lo speciale vincolo imposto con decreto ministeriale del 25.2.1974, tendente, dunque, ad estendere in via amministrativa il regime di tutela paesaggistica ad aree che, in assenza dell’intervento particolare e concreto statale, ne sarebbero state prive.
Pertanto, la circostanza per cui l’area in contestazione non sia riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 82, lett. a), DPR n. 616/1977 non è rilevante ai fini della decisione, non discorrendosi di vincolo di tutela correlato all’insistenza dell’immobile oggetto di sanatoria nella fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, bensì del vincolo posto sull’area delineata dal D.M. del 25.2.1974, in relazione alla quale l’appello è carente di specifiche contestazioni.
4. Con il terzo motivo di impugnazione è censurato il capo di sentenza con cui il Tar ha escluso la sussistenza di una violazione e di una falsa applicazione dell’art. 32 L. n. 326/03, sebbene l’art. 32, comma 43, L. n. 326/03 (nella prospettazione attorea) ammettesse la sanabilità delle opere abusive realizzate in area soggetta a vincolo paesistico, previa acquisizione del parere favorevole delle Autorità preposte alla tutela del vincolo.
L’Amministrazione avrebbe inoltre errato nel classificare gli abusi assimilandoli ad un’opera soggetta a permesso di costruire quale intervento di nuova costruzione ex art. 3, comma 1, DPR n. 380/01.

 

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5. Con il quarto motivo di appello viene dedotta l’ammissibilità a sanatoria delle opere de quibus, in quanto riconducibili al disposto dell’art. 3, comma 1, lett. c), DPR n. 380/01.
In ogni caso, ai sensi di quanto disposto dalla L. n. 308/2004, l’ordinamento avrebbe previsto un accertamento di compatibilità paesaggistica straordinario per gli abusi edilizi commessi fino al 30 settembre 2004 in aree sottoposte a vincolo paesistico e un accertamento di compatibilità paesaggistica ordinario; in entrambe le ipotesi sarebbe stato necessario un parere di compatibilità paesaggistica nella specie non acquisito in sede procedimentale, essendosi limitato il Comune di Latina alla rilevazione del vincolo paesaggistico senza nessun apprezzamento dell’opera sul piano ambientale.
La necessità di acquisire un parere delle autorità competenti o preposte alla gestione dei vincoli sarebbe confermata dall’art. 29 D. Lgs. n. 157/2006, in forza del quale il condono edilizio sarebbe stato esteso anche a tutte le domande di condono presentate entro il 31 gennaio 2005 nell’ambito dell'”accertamento di compatibilità paesaggistica” straordinario, facendo diventare “vincolante” anche in tale caso il parere delle Soprintendenza, che prima era tale sono in caso di “accertamento di compatibilità paesaggistica” ordinario.
Si confermerebbe il difetto di motivazione, non essendo state rappresentate le ragioni di incompatibilità, in concreto, dell’intervento realizzato.
L’appellante ha altresì dedotto di riproporre “le ulteriori censure formulate in prime cure in ordine alla violazione dell’art. 32 della L. 326/2003”.
6. Con il quinto motivo di appello è dedotta la violazione dell’art. 32, comma 43, L. n. 326/2003 che, modificando l’art. 32 L. n. 47/1985, avrebbe ammesso la generale sanabilità delle opere abusive realizzate in zone sottoposte a vincolo paesistico, previa acquisizione del parere favorevole delle Autorità preposta alla tutela del vincolo.
L’Amministrazione, in particolare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 32, comma 43, L. n. 326/03 e 20, comma 6, DPR n. 380/01, avrebbe dovuto acquisire il parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, tenuto conto, peraltro, della limitatissima consistenza e dell’assenza di impatto ambientale e paesaggistico connotanti le opere de quibus.
La sanatoria avrebbe potuto essere concessa anche in relazione ad abusi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, previo accertamento della relativa compatibilità paesaggistica, nella specie omesso dall’Amministrazione comunale.
7. Con l’ultimo motivo di appello il ricorrente insiste nell’escludere la riconducibilità delle opere a zona soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta, con conseguente possibilità di sanatoria ai sensi dell’art. 32 L. n. 47/1985, fatta salva dall’art. 32, comma 27, lett. d), L. n. 32/2003.

 

Intervento di nuova costruzione

8. I motivi di appello sono esaminabili congiuntamente, per ragioni di connessione oggettiva, riferendosi alle condizioni di legge, occorrenti per la sanabilità delle opere de quibus.
Preliminarmente, deve osservarsi che in sede di appello la parte ricorrente non può limitarsi alla riproposizione di motivi di ricorso rigettati in primo grado, tenuto conto che per “risalente e non superato insegnamento giurisprudenziale, l’appello deve sempre contenere, accanto alla parte volitiva, anche una parte critica, a confutazione della sentenza di primo grado, non trattandosi di un novum iudicium ma di una revisio prioris istantiae” (Consiglio di Stato, sez. IV, 18 febbraio 2020, n. 1228).
Ciò premesso, esaminando le specifiche censure impugnatorie svolte dalla parte ricorrente, si rileva, in primo luogo, che la disciplina applicabile in materia è data dall’art. 32D.L. n. 269/03 conv. in L. n. 326/03.
Come emergente dalla documentazione allegata al ricorso, l’odierno appellante ha presentato in data 29.11.2004 un’istanza di condono edilizio ex Decreto Legge 30 settembre 2003, n. 269 conv. in Legge 24 novembre 2003, n. 326.
Pertanto, non risulta conferente la distinta disciplina positiva riferita all’accertamento di compatibilità paesistica dettata dall’art. 1, commi 36 e 39, L. n. 308/2004, che presuppone la presentazione di una diversa istanza di parte, motivata su distinti presupposti.
Anche in sede procedimentale trova applicazione il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
A fronte di una domanda di parte, volta ad ottenere il riconoscimento di una utilità giuridico-economica in applicazione di una specifica disciplina positiva, avente dati presupposti fattuali, l’Amministrazione richiesta è tenuta a scrutinare la fondatezza dell’istanza, verificando la sussistenza dei presupposti di legge regolati dalle norme di azione e relazione richiamate dal privato.
In particolare, l’organo amministrativo non può assumere la determinazione richiesta all’esito di un distinto percorso procedimentale, fondato su una diversa base normativa, e, dunque, nell’esercizio di un potere provvedimentale differente rispetto a quello oggetto del procedimento avviato dall’istante, non essendo a tali fini sufficiente l’identità dell’utilità da questi ambita sul piano sostanziale.

 

Intervento di nuova costruzione

L’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, seppure con riguardo ai rapporti tra accesso documentale e accesso civico, ma con lo svolgimento di argomentazioni di carattere generale apprezzabili anche ai fini della soluzione dell’odierna controversia, ha evidenziato come in presenza di una domanda di parte, tendente ad ottenere un’utilità soggetta a pubblica intermediazione, nell’esercizio di uno specifico potere amministrativo avente una delineata base giuridica richiamata nell’istanza di parte, l’Amministrazione procedente è vincolata a provvedere in applicazione delle disposizioni fondanti la richiesta del privato, che delimitano il tipo di potere in concreto esercitabile.
In particolare, è stato affermato che “electa una via in sede procedimentale, alla parte è preclusa la conversione dell’istanza da un modello all’altro, che non può essere né imposta alla pubblica amministrazione né ammessa – ancorché su impulso del privato – in sede di riesame o di ricorso giurisdizionale, ferma restando però, come si è già rilevato, la possibilità di strutturare in termini alternativi, cumulativi o condizionati la pretesa ostensiva in sede procedimentale.
11.6. Nemmeno ad opera o a favore del privato può realizzarsi, insomma, quell’inversione tra procedimento e processo che si verifica quando nel processo vengono introdotte pretese o ragioni mai prima esposte, come era doveroso, in sede procedimentale” (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 2 aprile 2020, n. 10).
Avuto riguardo al caso di specie, deve parimenti ritenersi che, a fronte di un’istanza di condono presentata esclusivamente ai sensi del Decreto Legge n. 269 del 2003 conv. dalla L. n. 326 del 2003, l’Amministrazione fosse vincolata a verificare la sussistenza dei presupposti di accoglimento dell’istanza, nell’esercizio di un potere tipizzato, attribuito e limitato dalle disposizioni fondanti la richiesta del privato, costituenti, dunque, anche il parametro di riferimento da prendere in esame per valutare la legittimità dell’azione provvedimentale.
Per l’effetto, l’odierno appellante, dopo avere presentato al Comune di Latina un’istanza di condono in applicazione della disciplina speciale dettata dal Decreto Legge n. 269 del 2003 conv. dalla L. n. 326 del 2003, non può censurare la legittimità del provvedimento di diniego, invocando disposizioni normative che attengono a differenti fattispecie, presupponenti l’esercizio di un distinto potere pubblico e fondate su presupposti distinti.
In particolare, non possono costituire un parametro di valutazione della legittimità del diniego censurato in prime cure le disposizioni dettate dall’art. 1, commi 36 e 39, L. n. 308/2004 o dall’art. 29 D. Lgs. n. 157/06.
Tali previsioni prevedono la presentazione di apposita istanza di parte, volta ad ottenere un accertamento della compatibilità paesaggistica delle opere realizzate, prevedendo al riguardo specifici presupposti, anche di ordine temporale (quanto all’accertamento di compatibilità ex art. 1, comma 39, cit.) occorrenti per la positiva valutazione della richiesta dell’interessato.
Nel caso di specie, l’odierno appellante non ha avanzato alcuna istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica, ai sensi delle citate previsioni, peraltro sopravvenute alla data dell’istanza rilevante nell’odierno giudizio, ma ha chiesto la sanatoria delle opere abusive, intendendo avvalersi del regime speciale dettato dall’art. 32 L. n. 326/03, sulla base del quale soltanto deve vagliarsi la legittimità dell’operato amministrativo in contestazione nella presente sede.
9. Ciò rilevato, occorre, dunque, verificare se il Comune di Latina abbia legittimamente rigettato l’istanza di condono presentata dal Sig. Ve., facendo leva sulla natura ostativa del vincolo paesaggistico gravante sull’area e sulla tipologia di intervento edilizio realizzato dall’appellante.

 

Intervento di nuova costruzione

Nel rinviare alle considerazioni supra svolte circa l’adeguatezza motivazionale della decisione censurata, in relazione alla specificazione della tipologia di vincolo gravante sull’area per cui è causa, occorre verificare se, in ragione della disciplina condonistica del 2003, l’ampiamento di un’unità immobiliare per una superficie abitabile di mq 18,17 al piano primo e di mq 24,19 di porticato al piano terra fosse ostativa alla richiesta sanatoria.
In subiecta materia deve richiamarsi la “ferma giurisprudenza di questo Consiglio di Stato secondo la quale – ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d), del citato decreto-legge n. 269/2003 – le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, tra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili se ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni, tutte assenti nel caso di specie: a) le opere siano state realizzate prima dell’imposizione del vincolo; b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) siano opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria); d) vi sia il previo parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo violato; e) non abbiano comunque comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta (v., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 5 agosto 2020, n. 4933)” (Consiglio di Stato Sez. II, 13 novembre 2020, n. 7014).
Alla stregua di tali coordinate ermeneutiche, da confermare anche nel presente giudizio, le opere per cui è causa, in quanto comportanti un incremento di superficie in zona sottoposta a vincolo paesaggistico non potevano essere sanate, ragion per cui il Comune di Latina ha legittimamente negato l’istanza di condono presentata dall’odierno appellante.
10. In particolare, alla stregua di quanto emergente dalla domanda di condono, le opere de quibus consistono nell’ampliamento dell’unità immobiliare di proprietà del ricorrente per una superficie abitabile di mq 18,17 al primo piano e di mq 24,19 di porticato al piano terra.
Secondo quanto precisato da questo Consiglio, al fine di valutare l’incidenza sull’assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprenderne in modo adeguato l’impatto effettivo complessivo. I molteplici interventi eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera “frazionata” (Consiglio di Stato, sez. II, 18 maggio 2020, n. 3164).
Nel caso di specie, mediante un insieme coordinato di opere, la parte ricorrente ha determinato un ampliamento della superficie e della volumetria dell’immobile, realizzando un intervento edilizio non riconducibile alla categoria di cui all’art. 3, comma 1, lett. c) DPR n. 380 del 2001.

 

Intervento di nuova costruzione

In particolare, l’ampliamento, a seconda delle caratteristiche in concreto riscontrabili, potrebbe integrare un intervento di nuova costruzione o di ristrutturazione edilizia, ma non un intervento di restauro o risanamento conservativo.
Al riguardo, si osserva, infatti, che la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comprende anche le attività consistenti nella modificazione rilevante e duratura dello stato del territorio e nell’alterazione della conformazione del suolo, diverse da quelle di edificazione (Consiglio di Stato, sez. IV, Sent., 28 giugno 2016, n. 2915 e Consiglio di Stato, sez. V, 28 giugno 2018, n. 3990); sicché deve ritenersi che si sia in presenza di un “intervento di nuova costruzione”, assoggettato al previo rilascio del permesso di costruire, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3, comma 1, lett. e), e 10 del D.P.R. n. 380 del 2001, qualora l’intervento abbia attuato una rilevante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
Con la locuzione “nuova costruzione” si intende qualsiasi intervento che consista in una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, attuata attraverso opere di rimodellamento della morfologia del terreno, ovvero costruzioni lato sensu intese, che, indipendentemente dai materiali utilizzati e dal grado di amovibilità, presentino un simultaneo carattere di stabilità fisica e di permanenza temporale, dovendosi con ciò intendere qualunque manufatto che sia fisicamente ancorato al suolo (il cui tratto distintivo e qualificante viene, dunque, assunto nell’irreversibilità spazio-temporale dell’intervento) che possono sostanziarsi o nella costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati o nell’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 4 maggio 2020, n. 2842)
Ne deriva che anche l’ampliamento di un manufatto preesistente all’esterno della sagoma esistente, ove comporti un permanente mutamento dello stato dei luoghi, produttivo di una rilevante trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, è giuridicamente qualificabile come nuova costruzione. Qualora l’ampliamento avvenga, invece, entro la sagoma dell’edificio, sarà integrabile un intervento di ristrutturazione edilizia, comunque ostativo alla sanatoria ex art. 32, comma 27, che legittima in zona vincolata soltanto opere minori senza aumento di superficie, riconducibili agli interventi di restauro, risanamento conservativo o manutenzione straordinaria.
Nel caso di specie, le opere, avendo determinato comunque un ampliamento dell’unità immobiliare, non potevano dunque ricondursi alla fattispecie di cui all’art. 3, comma 1, lett. c), DPR n. 380/01 e, come tali, non avrebbero potuto essere sanate dall’Amministrazione resistente.
Peraltro, la conferma della correttezza della qualificazione operata dall’Amministrazione discende pure dalla stessa domanda di condono, in cui l’istante fa riferimento, quale “tipologia abuso”, al numero 1, corrispondente agli interventi di nuova edificazione, il che è coerente con le opere di ampliamento eseguite (come supra osservato, suscettibile di integrare anche un intervento di nuova costruzione) e con la qualificazione riportata nel diniego di condono. Una tale ammissione integra un ulteriore elemento di valutazione ai fini della decisione della controversia, promanando dalla parte sfavorita dalla relativa dichiarazione.
11. L’illegittimità del diniego di sanatoria non potrebbe essere sostenuta neppure ritenendo che nel caso in esame l’Amministrazione locale, prima di provvedere negativamente, dovesse acquisire il parere di compatibilità paesaggistica.
Al riguardo, preliminarmente deve ribadirsi la necessità di applicare al caso di specie l’art. 32 D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della L. 24 novembre 2003, n. 326, con conseguente inconferenza del rinvio all’art. 32 L. n. 47/1985 operato in sede di appello, trattandosi di disciplina differente, regolante una distinta fattispecie di condono, in relazione alla quale gli interessati avrebbero dovuto presentare tempestiva domanda entro il 30 novembre 1985 (art. 35 L. n. 47 del 1985); nel caso di specie, l’istanza di condono è stata presentata dall’odierno appellante nel 2004 e, dunque, deve essere valutata alla stregua del regime dettato dall’art. 32, comma 27, D.L. n. 269/03.

 

Intervento di nuova costruzione

In secondo luogo, deve osservarsi come la necessità del previo parere dell’Autorità preposta alla tutela e alla gestione del vincolo paesaggistico si ponga soltanto per le opere minori realizzate in zona vincolata senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria).
Diversamente opinando, la richiesta di parere sarebbe del tutto inutile, comportando anzi un illegittimo aggravamento del procedimento, tenuto conto che non sarebbe comunque possibile, in ragione di un divieto sancito in via generale e astratta dall’art. 32, comma 27 cit., procedere alla sanatoria di opere integranti gli estremi della nuova costruzione in zona vincolata; a prescindere, dunque, dalle caratteristiche concrete delle opere abusive, suscettibile di valutazione nel sub procedimento consultivo di competenza dell’ente preposto alla tutela dell’interesse paesaggistico.
In altri termini, facendosi questione di opere realizzate in zona già sottoposta a vincolo paesaggistico, era infatti impedita ex lege la sanatoria, per mancata integrazione di un presupposto legale ai fini dell’accoglimento della domanda di condono, con conseguente inutilità della richiesta di parere all’autorità competente alla gestione del vincolo, ammissibile soltanto ove si debba valutare la compatibilità con le ragioni di tutela sottese all’imposizione del vincolo di opere comunque condonabili.
Come precisato dalla Sezione, infatti, “se l’esistenza dei presupposti fattuali contemplati dalla norma di disciplina del potere pubblica preclude la possibilità del condono delle opere abusive, non si può ritenere necessaria la fase valutativa di competenza della Soprintendenza” (Consiglio di Stato, sez. VI, 6 febbraio 2018, n. 755).
Pertanto, posto che nella specie si faceva di opere comportanti un ampliamento di un’unità immobiliare, con incremento di superficie in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, l’istanza, afferendo ad opere non condonabili ex art. 32, commi 26 e 27, cit. (alla stregua delle considerazioni supre svolte), è stata legittimamente rigettata dal Comune, non potendo pervenirsi ad un diverso esito mediante la richiesta di parere all’autorità preposta alla gestione del vincolo rilevato.
10. Non potrebbe, infine, neanche sostenersi che la motivazione sottesa al provvedimento di diniego risultava carente anche sotto il profilo dell’indicazione delle ragioni sottese al diniego.
Al riguardo, si osserva che “in presenza di vincoli insistenti sul territorio, come è nel caso in esame, non è il provvedimento di diniego, ma quello di assenso alle modificazioni del territorio a richiedere una congrua motivazione che dia conto delle ragioni che rendono possibile la prevalenza di un interesse diverso da quello tutelato in via primaria dalla previsione del vincolo” (Consiglio di Stato, Sez. II, 26 febbraio 2020, n. 1421).
Il diniego di sanatoria, implicando una verifica di carattere vincolato, deve indicare le disposizioni di legge da cui derivi la non condonabilità, in modo da consentire all’interessato di rendersi conto degli impedimenti che si frappongono alla regolarizzazione e al mantenimento dell’opera abusiva e di confutare in giudizio, in maniera pienamente consapevole ed esaustiva, la legittimità del provvedimento impugnato.
Il che si è verificato nella specie, in quanto il Comune, rilevato che le opere oggetto di condono si caratterizzavano, altresì, per un aumento della superficie residenziale per mq 18,17, della superficie non residenziale per mq 14,51 e del volume per mc 54,51, ha esaurientemente rilevato che l’istanza non poteva accogliersi in quanto si era in presenza di un intervento abusivo che, ai sensi “dell’art. 32, comma 26, lett. a) in combinato con il comma 27, lettera d) della legge n. 326/2003 e dell’art. 3, comma b) della L.R. n. 12/2004” non poteva essere assentito, “trattandosi di opere abusivamente realizzate su aree soggette a vincoli paesistici”.
Emerge, dunque, che l’Amministrazione ha adeguatamente indicato le ragioni giuridiche ostative alla sanatoria, mediante il riferimento alle pertinenti disposizioni normative e al contesto fattuale di riferimento, dato dall’esistenza di opere comportanti un incremento di superficie in zona vincolata, come tale non sanabili ai sensi dell’art. 32, comma 26, lett. a) in combinato disposto con il comma 27, lettera d) D.L. n. 269/03 conv. in L. n. 326/2003, oltre che in applicazione dell’art. 3, comma b) della L.R. n. 12/2004.
11. L’appello deve, dunque, essere rigettato.
La particolarità della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del grado di appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa interamente tra le parti le spese processuali del grado di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Andrea Pannone – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere, Estensore

 

Intervento di nuova costruzione

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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