Inammissibilità dell’istanza di concessione di una misura alternativa

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 20 maggio 2020, n. 15550.

Massima estrapolata:

E’ illegittima l’ordinanza del tribunale di sorveglianza di inammissibilità dell’istanza di concessione di una misura alternativa per la ritenuta illegittimità della sospensione dell’ordine di esecuzione della pena emesso dal pubblico ministero, atteso che le condizioni per una simile pronunzia nell’ambito del procedimento di sorveglianza sono solo quelle previste dall’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., richiamato dall’art. 678 cod. proc. pen. (Fattispecie in cui una prima domanda di affidamento in prova ex art. 94 del d.P.R. n. 309 del 1990, a fronte di un ordine di esecuzione e contestuale sospensione emesso dal pubblico ministero per una pena residua di tre anni e sei mesi, era stata dichiarata inammissibile dal tribunale di sorveglianza perché eccedente il limite di legge, laddove anche una seconda domanda relativa ad altre misure alternative – preceduta da una nuova sospensione dell’ordine di esecuzione disposta a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 41 del 2018, era stata dichiarata inammissibile per la ritenuta illegittimità della seconda sospensione, non condivisa dalla Corte, in quanto disposta in violazione dell’art. 656, comma 7, cod. proc. pen.).

Sentenza 20 maggio 2020, n. 15550

Data udienza 5 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Tribunale di Sorveglianza – Misure alternative – Affidamento in prova al servizio sociale ex art.47 Ord. pen. – Detenzione domiciliare o semilibertà – Sentenza Corte Cost. n. 41/2018 – Esercizio da parte del PM del potere – dovere di sospendere l’ esecuzione pene detentive

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZEI Antonella P. – Presidente

Dott. CASA Filippo – Consigliere

Dott. BONI Monica – Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – rel. Consigliere

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 2368/2018 del Tribunale di sorveglianza di Bari in data 14/05/2019;
visti gli atti e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Antonio Minchella;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del Dott. Canevelli Paolo, che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 14 maggio 2019 il Tribunale di sorveglianza di Bari dichiarava inammissibili le istanze di affidamento in prova al servizio sociale ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 94, di affidamento in prova al servizio sociale ex articolo 47 Ord. Pen., di detenzione domiciliare e di semiliberta’ avanzate da (OMISSIS), in relazione alla sentenza della Corte di appello di Bari del 3 dicembre 2014 di condanna alla pena di sei anni e sei mesi di reclusione per violazione della legge sugli stupefacenti, con residuo pena da espiare di tre anni e sei mesi.
Rilevava il Tribunale di sorveglianza che l’ordine di esecuzione della condanna a carico del (OMISSIS), con contestuale sospensione, era stato emesso il 28 marzo 2017 dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bari e il condannato aveva avanzato l’unica istanza compatibile con l’entita’ della pena da espiare, all’epoca superiore a tre anni: quella di affidamento in prova ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 94.
Il Tribunale di sorveglianza aveva dichiarato inammissibile la predetta richiesta con ordinanza del 10 aprile 2018.
Il 28 maggio 2018, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 41 del 6 febbraio 2018, depositata il 2 marzo e pubblicata in Gazzetta ufficiale il 7 marzo 2018, la Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bari aveva nuovamente sospeso l’esecuzione conferendo al condannato nuovo termine per avanzare le istanze di misure alternative divenute ammissibili per effetto della predetta sentenza del giudice delle leggi.
Secondo il Tribunale di Sorveglianza tale seconda sospensione era stata illegittimamente disposta, in violazione del divieto posto dall’articolo 656 c.p.p., comma 7, e determinava l’inammissibilita’ degli ulteriori benefici penitenziari, richiesti da (OMISSIS) a seguito della piu’ recente sospensione, inammissibilita’ dichiarata con la suddetta ordinanza del 14 maggio 2019.
2. Avverso tale ordinanza di inammissibilita’ propone ricorso l’interessato a mezzo del difensore, avv. (OMISSIS).
Con motivo unico deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera b) ed e), erronea applicazione di legge e manifesta illogicita’ della motivazione: sostiene che la prima richiesta ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 94 era stata determinata dal fatto che, all’epoca, l’unico beneficio ammissibile era appunto quello richiesto poiche’ la pena inflitta superava gli anni tre di reclusione; nelle more la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 656 c.p.p., comma 5 nella parte in cui prevedeva la sospensione dell’esecuzione soltanto per le pene non superiori ai tre anni anziche’ ai quattro, non allineandosi al nuovo limite di ammissibilita’ della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, a norma dell’articolo 47 Ord. Pen., corrispondente appunto a quattro anni; di conseguenza la Procura generale aveva nuovamente sospeso l’ordine di esecuzione, considerato l’effetto retroattivo delle sentenze della Corte costituzionale che colpiscono la norma dichiarata incostituzionale sin dalla sua origine; nella fattispecie, peraltro, la condanna non era stata posta in esecuzione dopo la dichiarata inammissibilita’ dell’unico beneficio originariamente richiesto, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 94, risultando gia’ pubblicata la sentenza della Corte costituzionale, e le altre istanze di misure alternative erano state proposte solo a seguito della seconda sospensione senza che si fosse verificato alcun effetto preclusivo.
3. Il P.G. chiede l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato e, in accoglimento anche del parere del P.G, esso deve essere accolto.
Ogni considerazione deve prendere avvio da quanto disposto dalla sentenza n. 41 del 2018 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’articolo 3 Cost., l’articolo 656 c.p.p., comma 5, nella parte in cui si prevede che il Pubblico Ministero sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziche’ a quattro anni.
La Corte costituzionale ha ritenuto che la norma censurata, mancando di elevare i(termine previsto per sospendere l’ordine di esecuzione della pena detentiva, cosi’ da renderlo corrispondente al termine di concessione dell’affidamento in prova allargato – ex L. n. 354 del 1975, articolo 47, comma 3-bis, introdotto dal Decreto Legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2014, n. 10 -, non comportava un mero difetto di coordinamento, ma derogava al principio di parallelismo senza adeguata ragione giustificatrice, dando luogo a un trattamento normativo differenziato di situazioni da reputarsi uguali, quanto alla finalita’ intrinseca alla sospensione dell’ordine di esecuzione della pena detentiva e alle garanzie apprestate in ordine alle modalita’ di incisione della liberta’ personale del condannato, insinuando nell’ordinamento una incongruita’ sistematica capace di ridurre gran parte dello spazio applicativo riservato alla normativa principale.
La dimensione normativa ancillare della sospensione dell’ordine d’esecuzione della pena rispetto alle finalita’ delle misure alternative rende particolarmente stretto – ha annotato il Giudice delle leggi – il controllo di legittimita’ costituzionale riservato alle ipotesi, espressione di discrezionalita’ legislativa, di cesura del tendenziale parallelismo tra il limite di pena ai fini della sospensione suddetta e il limite per l’accesso alla misura alternativa alla detenzione, quando ragioni ostative a tale cesura appaiono prevalenti.
2. Nella fattispecie, il Tribunale di Sorveglianza ha ritenuto inammissibili le istanze di concessione di taluni benefici penitenziari, ritenendo cio’ come conseguenza immediata della disposta seconda sospensione dell’ordine di esecuzione da parte del Pubblico ministero: l’esito negativo finale sarebbe, cioe’, l’effetto conseguenziale della ritenuta illegittimita’ dell’atto sospensivo, posto a monte del procedimento di sorveglianza.
Al contrario, reputa il Collegio che corretta sia stata la nuova sospensione dell’ordine di esecuzione disposta dal competente Pubblico ministero alla luce della citata sentenza n. 41 del 2018 della Corte costituzionale, che aveva rilevato la illegittimita’ del limite edittale dei tre anni di pena espianda previsto dall’articolo 656 c.p.p., comma 5: cio’ al fine di consentire al condannato la piu’ ampia possibilita’ di accedere alle misure alternative, nello spirito della pronunzia ora menzionata.
In proposito, premessa la netta autonomia esistente tra le due diverse fasi di esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali – quella che si svolge davanti al Pubblico ministero, disciplinata dall’articolo 656 c.p.p., e quella di competenza della Magistratura di sorveglianza per la valutazione del merito delle istanze del condannato di ammissione alle misure alternative – deve osservarsi come le condizioni per una pronunzia di inammissibilita’ nell’ambito del procedimento di sorveglianza (al di la’ di ragioni peculiari e generali come, ad esempio, la sopravvenuta carenza di interesse) sono quelle indicate dall’articolo 666 c.p.p., comma 2, richiamato dall’articolo 678 c.p.p., comma 1, ossia la manifesta infondatezza della richiesta per difetto delle condizioni di legge e la mera riproposizione di una richiesta gia’ rigettata. Nessuna lettura sistematica delle disposizioni dettate in materia esecutiva consente di individuare una causa di inammissibilita’ della domanda, volta ad ottenere una misura alternativa, nella ritenuta illegittimita’ della (prima o seconda che sia) sospensione dell’ordine di esecuzione in adempimento ovvero in violazione di quanto previsto dall’articolo 656 c.p.p..
L’esercizio da parte del Pubblico Ministero del potere-dovere di sospendere l’esecuzione delle pene detentive, nei casi e nei limiti previsti dall’articolo 656 c.p.p., non ha incidenza sull’ammissibilita’ di una o piu’ domande rivolte al competente Tribunale di sorveglianza per la concessione di una misura alternativa: tanto piu’ in una fattispecie, come quella in esame, nella quale la seconda sospensione disposta dal Pubblico ministero trovava diretto fondamento nella sentenza n. 41 del 2018 della Corte costituzionale dichiarativa della illegittimita’ costituzionale dell’articolo 656 c.p.p., comma 5, nei limiti anzidetti.
Una pronunzia di inammissibilita’ poteva essere emessa dal Tribunale di Sorveglianza, in assenza di elementi di novita’, soltanto con riguardo all’unica domanda gia’ esaminata e dichiarata inammissibile, e cioe’ quella volta ad ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 94: non anche, invece, per le domande di affidamento in prova al servizio sociale ex articolo 47 Ord. Pen., detenzione domiciliare e semiliberta’, per le quali non vi era stata precedente sospensione dell’ordine di esecuzione e precedente valutazione di merito.
3. Consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Bari per l’esame, libero negli esiti, delle predette istanze di misure alternative alla detenzione in carcere illegittimamente dichiarate inammissibili.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Bari.
Si da’ atto che il presente provvedimento, redatto dal Consigliere relatore Dr. Minchella Antonio, e’ sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento alla firma dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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