Corte di Cassazione, penale, Sentenza|3 febbraio 2021| n. 4113.
In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la colpa grave, ostativa al riconoscimento dell’indennità, può ravvisarsi anche in relazione ad un atteggiamento di connivenza passiva quando, alternativamente, detto atteggiamento: 1) sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarietà sociale volti ad impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose; 2) si concretizzi nel tollerare che un reato sia consumato, sempre che l’agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia; 3) risulti avere oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell’agente, sebbene il connivente non intendesse perseguire tale effetto e vi sia la prova che egli fosse a conoscenza di tale attività. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure l’ordinanza che aveva ravvisato la colpa grave, ostativa alla riparazione per l’ingiusta detenzione subita per il reato di cui all’art. 73 t.u. stup., nella condotta dell’instante consistita nell’intrattenere rapporti economici con soggetto dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti, e nella sua presenza al momento in cui quest’ultimo aveva occultato lo stupefacente e durante la trattativa per l’acquisto della sostanza predetta, nonché mentre l’acquirente annusava la sostanza consegnando la banconota allo spacciatore).
Sentenza|3 febbraio 2021| n. 4113
Data udienza 13 gennaio 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Riparazione per ingiusta detenzione – Diritto all’indennizzo – Arresti domiciliari – Concorso in detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti – Sussistenza della colpa grave all’instaurazione e/o al mantenimento della custodia cautelare da parte del ricorrente – Genericità delle censure – Inammissibilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIAMPI Francesco Maria – Presidente
Dott. BELLINI Ugo – Consigliere
Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere
Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere
Dott. BRUNO Maria R. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il 13(OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 21/10/2020 della CORTE APPELLO di SALERNO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. PEZZELLA VINCENZO;
lette le conclusioni del PG e dell’Avvocatura dello Stato per il Ministero dell’Economia e Finanze.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Salerno, con ordinanza del 21/10/2020 rigettava la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata ex articolo 314 c.p.p. dall’odierno ricorrente, (OMISSIS), subita, per il reato di cui all’articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, dal 15/6/2018 al 18/10/2018 con applicazione della misura degli arresti domiciliari.
Il (OMISSIS) veniva assolto dal Tribunale di Salerno, all’esito di giudizio abbreviato, per non aver commesso il fatto, con sentenza divenuta definitiva il 30/3/2019.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, (OMISSIS), deducendo, quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1, vizio di motivazione ed erronea applicazione dell’articolo 314 c.p..
Dopo aver riportato l’intero stralcio motivazionale del provvedimento impugnato, si evidenzia che secondo l’assunto di questa Corte (il richiamo e’ a Sez. 4 n. 10793/2019 dep. 2020 Rv. 278655), la semplice condotta sospetta non e’ sufficiente condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, in quanto la colpa grave va rapportata agli indizi e non ai sospetti, che non autorizzano l’emissione di alcuna misura cautelare.
Inoltre, ci si duole che la Corte salernitana, nell’impugnato provvedimento, abbia fatto ricorso anche alla valutazione di criteri etici, non codificati, descrivendo la condotta tenuta dal ricorrente come connotata da grave disvalore morale.
Si aggiunge, infine, che gli elementi valutati, al momento dell’adozione della misura cautelare, sono gli stessi sui quali e’ stata emessa la sentenza di assoluzione.
Chiede, pertanto, l’annullamento della ordinanza impugnata, con ogni conseguenza di legge.
3. Il P.G. presso questa Corte Suprema in data 24/11/2020 ha rassegnato ex articolo 611 c.p.p. le proprie conclusioni scritte chiedendo il rigetto del proposto ricorso, con ogni conseguenza.
4. In data 22/12/2020 ha rassegnato le proprie conclusioni il Ministero dell’Economia e delle Finanze per mezzo dell’Avvocature Generale dello Stato che ha concluso per l’inammissibilita’ o, in subordine, il rigetto del ricorso, con vittoria di spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
2. Va premesso che e’ principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte Suprema che nei procedimenti per riparazione per ingiusta detenzione la cognizione del giudice di legittimita’ deve intendersi limitata alla sola legittimita’ del provvedimento impugnato, anche sotto l’aspetto della congruita’ e logicita’ della motivazione, e non puo’ investire naturalmente il merito. Cio’ ai sensi del combinato disposto di cui all’articolo 646 c.p.p., secondo cpv., da ritenersi applicabile per il richiamo contenuto nell’articolo 315 c.p.p., comma 3.
Dalla circostanza che nella procedura per il riconoscimento di equo indennizzo per ingiusta detenzione il giudizio si svolga in un unico grado di merito (in sede di corte di appello) non puo’ trarsi la convinzione che la Corte di Cassazione giudichi anche nel merito, poiche’ una siffatta estensione di giudizio, pur talvolta prevista dalla legge, non risulta da alcuna disposizione che, per la sua eccezionalita’, non potrebbe che essere esplicita. Al contrario l’articolo 646 c.p.p., comma 3 (al quale rinvia l’articolo 315 c.p.p., u.c.) stabilisce semplicemente che avverso il provvedimento della Corte di Appello, gli interessati possono ricorrere per Cassazione: conseguentemente tale rimedio rimane contenuto nel perimetro deducibile dai motivi di ricorso enunciati dall’articolo 606 c.p.p., con tutte le limitazioni in essi previste (cfr. ex multis, Sez. 4, n. 542 del 21/4/1994, Bollato, Rv. 198097, che, affermando tale principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso ordinanza del giudice di merito in materia, col quale non si deduceva violazione di legge, ma semplicemente ingiustizia della decisione con istanza di diretta attribuzione di equa somma da parte della Corte).
3. Le doglianze proposte nell’interesse del ricorrente sono manifestamente infondate.
Il giudice della riparazione motiva in maniera ampia e circostanziata sui motivi del rigetto e con tale motivazione il ricorrente non si confronta criticamente.
L’articolo 314 c.p., com’e’ noto, prevede al comma 1 che “chi e’ stato prosciolto con sentenza irrevocabile perche’ il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perche’ il fatto non costituisce reato o non e’ previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.
In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (articolo 314 c.p.p., comma 1, u.p.); l’assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (cfr. sul punto questa Sez. 4, n. 34181 del 5/11/2002, Guadagno, Rv. 226004).
In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’articolo 314 c.p.p., comma 1, – non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell'”id quod plerumque accidit” secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorita’ giudiziaria a tutela della comunita’, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13/12/1995 dep. il 1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203637)
Poiche’ inoltre, la nozione di colpa e’ data dall’articolo 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto articolo 314 c.p.p., comma 1, quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorita’ giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della liberta’ personale o nella mancata revoca di uno gia’ emesso.
In altra successiva condivisibile pronuncia e’ stato affermato che il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione non spetta se l’interessato ha tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento dell’autorita’ giudiziaria o se ha tenuto una condotta che abbia posto in essere, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell’autorita’ giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della liberta’ personale o nella mancata revoca di uno gia’ emesso (Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Maisano, Rv. 242034).
Ancora le Sezioni Unite, hanno affermato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, piu’ in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. Unite, n. 32383 del 27/5/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664). E, ancora, piu’ recentemente, il Supremo Collegio ha ritenuto di dover precisare ulteriormente che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, ai fini del riconoscimento dell’indennizzo puo’ anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia “strutturale” tra custodia e assoluzione, o quella “funzionale” tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della liberta’ personale potra’ considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacche’, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la “ratio” solidaristica che e’ alla base dell’istituto (cosi’ Sez. Unite, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606, fattispecie in cui e’ stata ritenuta colpevole la condotta di un soggetto che aveva reso dichiarazioni ambigue in sede di interrogatorio di garanzia, omettendo di fornire spiegazioni sul contenuto delle conversazioni telefoniche intrattenute con persone coinvolte in un traffico di sostanze stupefacenti, alle quali, con espressioni “travisanti”, aveva sollecitato in orario notturno la urgente consegna di beni).
4. Nel provvedimento impugnato e’ stato congruamente e logicamente posto in evidenza come vi siano stati comportamenti del ricorrente che hanno concorso a dar causa al provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti, dal momento che intratteneva attivita’ e rapporti economici con soggetto dedito alla cessione ed allo spaccio di sostanze stupefacenti; contatti e circostanze dalle quali il giudice della riparazione ha plausibilmente tratto (sulla base di un coerente e logicamente lineare sviluppo argomentativo) la conclusione della piena consapevolezza, da parte del ricorrente del relativo carattere illecito.
In particolare, il giudice della riparazione ha posto l’accento sulla costante presenza e vicinanza dell’odierno ricorrente a colui che poi e’ risultato essere uno spacciatore, non solo al momento dell’occultamento dello stupefacente sotto altra panchina piu’ vicina al mare, ma anche durante il colloquio in cui si e’ svolta la trattativa dell’acquisto, comportamento, quello di permanenza in contatto con uno spacciatore anche quando l’acquirente annusava la sostanza consegnando la banconota.
Ebbene, al di la’ del richiamo a connotazioni morali di tale agire, che evidentemente non rilevano ai fini del decidere, si tratta di un evidente contesto illecito nel quale il (OMISSIS) permaneva per tutto il tempo e che poteva tranquillamente ingenerare negli inquirenti prima e nel giudice poi un sospetto di correita’.
In tal senso, il provvedimento impugnato si colloca -come giustamente rilevano i giudici campani- nel solco della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ secondo cui la connivenza puo’ integrare la colpa grave che, ex articolo 314 c.p.p., comma 1, costituisce causa ostativa al sorgere del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione allorche’, nella situazione in concreto accertata, puo’ essere ritenuta indice del venir meno a elementari doveri di solidarieta’ sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose, ovvero si concreti – non gia’ in un mero comportamento passivo dell’agente riguardo alla consumazione di un reato – ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempreche’ l’agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attivita’ criminosa (cosi’ questa Sez. 4, n. 16369 del 18.3.2003, Cardillo, Rv. 224773, che in applicazione di tale principio ha ritenuto insussistente il diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione nel comportamento del soggetto sottoposto a misura cautelare, costantemente presente all’interno di un chiosco per la vendita di giornali, in cui il proprio padre spacciava abitualmente sostanze stupefacenti).
Piu’ recentemente e’ stato precisato che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la colpa grave, ostativa al riconoscimento dell’indennita’, puo’ ravvisarsi anche in relazione ad un atteggiamento di connivenza passiva quando, alternativamente, detto atteggiamento: 1) sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarieta’ sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose; 2) si concretizzi non gia’ in un mero comportamento passivo dell’agente riguardo alla consumazione del reato ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempreche’ l’agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attivita’ criminosa in ragione della sua posizione di garanzia; 3) risulti aver oggettivamente rafforzato la volonta’ criminosa dell’agente, benche’ il connivente non intendesse perseguire tale effetto e vi sia la prova positiva che egli fosse a conoscenza dell’attivita’ criminosa dell’agente (cosi’ questa Sez. 4, n. 15745 del 19/2/2015, Di Spirito, rv. 263139, in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto connotato da colpa grave il comportamento del locatario del capannone, il quale, ben a conoscenza che il locatore usava l’immobile come deposito di pezzi di ricambio per autovetture di provenienza furtiva, continuava ad utilizzare il bene locato per depositarvi oggetti di sua proprieta’).
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, nonche’ alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che liquida in mille Euro.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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