In tema di risarcimento del danno la liquidazione del danno non patrimoniale

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|4 febbraio 2021| n. 4424.

In tema di risarcimento del danno, la liquidazione del danno non patrimoniale è affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice di merito, dovendosi ritenere assolto l’obbligo motivazionale mediante l’indicazione dei fatti materiali tenuti in considerazione e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente in base a quali calcoli è stato determinato l’ammontare del risarcimento. Tale valutazione di fatto è sottratta al sindacato di legittimità se sorretta da congrua motivazione.

Sentenza|4 febbraio 2021| n. 4424

Data udienza 6 ottobre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Maltrattamenti in famiglia aggravati – Violenza sessuale – Ricorso per cassazione – Censure inammissibili

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. CORBO Antonio – Consigliere

Dott. ANDRONIO A. M. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
anche nei confronti di:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (parti civili);
avverso la sentenza del 12/09/2019 della Corte d’appello di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Alessandro Maria Andronio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MOLINO Pietro, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita, per le parti civili, l’avv. (OMISSIS), che ha depositato conclusioni scritte e nota spese;
udita, per l’imputato, l’avv. (OMISSIS).

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15 settembre 2019, la Corte d’appello di Venezia ha confermato la sentenza del 2 ottobre 2018 del Tribunale di Vicenza, con la quale l’imputato era stato condannato – anche al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite – per i reati di cui agli articoli 572 e 81 c.p., articolo 61 c.p., comma 1, n. 11) quinquies, perche’, con piu’ azioni in esecuzione di un medesimo disegno criminoso poste in essere in tempi diversi, nonche’ con reiterate manifestazioni di aggressivita’ fisica e psicologica, con ripetute offese e minacce, anche di morte, con ripetute condotte persecutorie e vessatorie maltrattava le figlie (OMISSIS) (nata il (OMISSIS)), (OMISSIS) (nata il (OMISSIS)) e (OMISSIS) (nata il (OMISSIS)), cosi’ causando loro una condizione di stabile sofferenza e paura, sottoponendole ad un regime di vita intollerabile (capo a); per i reati di cui agli articoli 81 e 609-bis c.p., articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5), perche’, con piu’ azioni in esecuzionedi un medesimo disegno criminoso poste in essere in tempi diversi, all’interno dell’abitazione familiare, con violenza e, comunque, abusando delle condizioni di inferiorita’ fisica e psichica della figlie (OMISSIS) e (OMISSIS), costringeva queste ultime a subire ripetuti atti sessuali (capo b).
2. Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si censurano vizi della motivazione, nonche’ la violazione dell’articolo 572 c.p. e articolo 61 c.p., comma 1, n. 11) quinquies.
Si contesta, in particolare, il valore probatorio attributo dalla Corte d’appello alle testimonianze accusatorie delle persone, in quanto riferite esclusivamente ad episodi generici e inverosimilmente analoghi, senza alcuna sfumatura soggettiva; sicche’ il racconto sarebbe privo di credibilita’ e autenticita’. Sul punto, la difesa pone l’attenzione sul presunto episodio di strozzamento, in relazione al quale secondo la narrazione effettuata dalla madre – la figlia minore sarebbe stata afferrata alla gola dal padre con una violenza tale da farle mancare il fiato, e contestualmente l’imputato – nonostante l’esile corporatura – avrebbe resistito immobile all’intervento della madre che cercava di allontanarlo dalla piccola. La difesa, sul punto, rileva l’assenza di a elementi di conferma esterni alle dichiarazioni maturate nel nucleo familiare. Tanto piu’, in considerazione della testimonianza dell’insegnante della minore (OMISSIS), la quale aveva affermato di non aver notato nulla in ambito scolastico, ad eccezione di un grosso livido sulla coscia della bambina, il quale pero’, a seguito di un colloquio tenutosi con i genitori, era stato giustificato come provocato da una caduta dalla bicicletta. Inoltre, l’assenza di lividi sul corpo della bambina e la mancanza di riscontri documentali – quali certificati medici – avrebbero dovuto, quanto meno, indurre la Corte d’appello a dubitare dell’attendibilita’ delle dichiarazioni accusatorie. La difesa lamenta, poi, la mancata considerazione delle dichiarazioni rese dai coniugi (OMISSIS) – vicini di casa – da cui emergerebbe che anche la madre si rivolgeva alle figlie con epiteti offensivi analoghi a quelli utilizzati dall’imputato. A parere della difesa, le dichiarazioni dei testi sopracitati confermerebbero l’inattendibilita’ della versione accusatoria, basata esclusivamente su una conflittualita’ familiare, tale da plagiare ed inquinare le dichiarazioni delle minori, rese nei confronti del solo padre. Dunque, appare apodittica la motivazione della Corte territoriale, la quale ritenendo integrata la responsabilita’ penale nei confronti dell’imputato, non ha adeguatamente vagliato l’atteggiamento tenuto della madre nei confronti delle figlie.
2.2. Con un secondo motivo di doglianza, si censurano violazioni di legge e vizi di motivazione in ordine ai reati di cui all’articolo 609-bis c.p., articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5).
Vi sarebbero plurime incongruenze nel narrato delle persone offese. In particolare, la sentenza impugnata, anziche’ rispondere alle palesi contraddizioni e divergenze emerse dal raffronto delle singole deposizioni, si limiterebbe ad eludere le argomentazioni difensive, concentrandosi esclusivamente sull’episodio verificatosi il (OMISSIS); e solo su questo singolo accadimento le due figlie minori ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) sarebbero state sollecitate a raccontare con maggiore dettaglio le violenze subite. Invece, per quanto riguarda gli episodi piu’ risalenti, la sentenza si accontenterebbe di generiche dichiarazioni accusatorie, senza considerare le doglianze difensive formulate con l’atto di appello. Si sostiene, inoltre, che la sentenza impugnata sminuisce le palesi contraddizioni emerse tra il racconto delle figlie e quello della madre, adducendo come giustificazione lo shock di quest’ultima nell’avere appreso di quanto accaduto nella sera del 25 giugno 2016. La difesa sottolinea, inoltre, come la genericita’ delle dichiarazioni e l’anomala padronanza dell’uso di termini inconsueti per le minori avrebbero dovuto far dubitare della veridicita’ delle accuse. Sarebbe erronea anche la valutazione fatta dalla Corte d’appello in ordine alla presunta ammissione di colpevolezza dell’imputato. La difesa, oltre rimarcare i dubbi sull’utilizzabilita’ della captazione della conversazione telefonica effettuata dalla madre, ritiene che la Corte non abbia adeguatamente considerato lo stato d’animo del ricorrente, il quale, nel sentirsi ingiustamente accusato dalla moglie di avere abusato delle figlie, avrebbe esclusivamente riferito “di avere un problema mentale”; sicche’ – a parere della difesa – la Corte d’appello, pur di rintracciare una conferma di colpevolezza, avrebbe dato un errato peso probatorio a questa espressione utilizzata dall’imputato, senza concretamente considerare altri elementi, ne’ la dinamica dell’accaduto. Si lamenta, infine, la mancanza di motivazione circa la quantificazione del risarcimento del danno, sul rilievo che sarebbe insufficiente il riferimento al criterio equitativo.
2.3. Con un terzo motivo di ricorso, si lamentano la violazione di legge e vizi della motivazione con riferimento alla determinazione della pena, al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alle contestate aggravanti, e alla continuazione. In particolare, la difesa osserva come la concessione delle attenuanti generiche avrebbe dovuto portare ad un contenimento della pena irrogata per il reato piu’ grave e per gli aumenti per gli altri reati in termini prossimi ai minimi previsti per legge. Sul punto, la motivazione risulterebbe apodittica, in quanto la Corte d’appello si sarebbe limitata ad affermare la necessita’ di discostarsi in modo significativo dalla pena stabilita nel “quasi minimo edittale”, con significativi aumenti per i reati posti in continuazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile
1.1 Il primo motivo di impugnazione – riferito all’erronea valutazione delle testimonianze accusatorie in ordine al reato di cui al capo a) – e’ inammissibile, sia a causa della sua genericita’, sia per il suo contenuto, non riconducibile alle categorie dei vizi rilevabili nel giudizio di legittimita’, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p..
La censura consiste, infatti, nella generica affermazione dell’inattendibilita’ delle persone offese e della irrilevanza degli altri elementi indiziari a carico, ma e’ priva di un’analisi del compendio indiziario e di un confronto critico con gli argomenti utilizzati nella sentenza impugnata per affermare la sussistenza della responsabilita’ penale, con la conseguente mancanza della necessaria specificita’, sia intrinseca, sia estrinseca, che deve, necessariamente e a pena di inammissibilita’, caratterizzare ogni motivo di impugnazione. La doglianza, in altri termini, risulta volta a censurare l’apprezzamento delle prove dichiarative e degli altri elementi a carico, senza individuare lacune o illogicita’ manifeste della motivazione, ma proponendo un diverso giudizio di attendibilita’ e rilevanza di tali fonti ed elementi di prova, allo scopo di pervenire a una loro lettura alternativa, tale da escludere la gravita’ del quadro indiziario, non consentita nel giudizio di legittimita’, nel quale e’ esclusa, pur dopo la modifica dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la possibilita’ di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilita’ delle fonti di prova (ex plurimis, Sez. 2, n. 27816, del 22/03/2019, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015).
Anche a prescindere da tali assorbenti considerazioni, deve rilevarsi che, nel caso in esame, la Corte d’appello ha analiticamente considerato gli elementi a carico, rappresentati dalle dichiarazioni delle persone offese, della madre delle stesse, dei vicini di casa e di un’amica di famiglia, traendone la prova dell’abitualita’ delle condotte di maltrattamento poste in essere dal ricorrente nei confronti delle tre figlie e, prima ancora, dell’attendibilita’ delle denuncianti. D’altronde, nessuna critica puo’ essere mossa nei confronti della Corte d’appello, la quale ha dato adeguata risposta alla censura difensiva riferita al c.d. “strozzamento” della piccola (OMISSIS) ad opera del padre, specificando: che questo episodio non era isolato, poiche’ il padre aveva piu’ volte preso per il collo le figlie (OMISSIS) e (OMISSIS) e questo soltanto intendeva la bambina quando parlava di “strozzamento”, senza alludere per questo ad un’asfissia tale da richiedere l’intervento del medico (come ben evidenziato nella sentenza di primo grado); che, nell’occasione citata, l’uomo aveva mollato la presa e colpito anche la madre, rivolgendo la propria aggressivita’ anche nei suoi confronti; che cio’ non e’ inverosimile, essendo l’ennesima dimostrazione del fatto che l’imputato non era in grado di controllarsi. Si rileva, altresi’, che l’assenza di riscontri documentali – quali certificati medici – a specifici episodi di violenza non fa venire meno la verosimiglianza del racconto delle vittime in ordine alla verificazione di plurimi episodi intervenuti in un lungo arco temporale, deponendo in tal senso le testimonianze delle tre figlie, le quali sono risultate coincidenti tra loro. Analoghe considerazioni valgono in ordine alla censura difensiva riferita all’assenza di riscontri probatori in ambito scolastico, in quanto anch’essa risulta formulata in maniera generica: il ricorrente si limita a richiamare la deposizione dell’insegnate della minore (OMISSIS), la quale avrebbe riferito di non aver notato segni o contusioni sul corpo della ragazza, ad eccezione di un livido sulla coscia di grandi dimensioni. Cio’ non inficia, in ogni caso, la credibilita’ delle testimonianze accusatorie, perche’, come ampiamente chiarito dalla Corte territoriale, la condotta di maltrattamenti puo’ essere integrata anche dalle vessazioni e dallo stato di paura e soggezione in cui le figlie minori erano costrette a vivere in maniere abituale e continua. Quanto, infine, alla pretesa mancata valutazione delle dichiarazioni dei coniugi (OMISSIS), che avevano riferito che gli insulti alle figlie sarebbero state pronunciate da entrambi “genitori, e’ sufficiente rilevare che la Corte d’appello ha adeguatamente risposto a tale prospettazione difensiva, rilevando, in primo luogo, l’inattendibilita’ dei testi in questione (a pag. 9 della sentenza impugnata) e, secondariamente, l’irrilevanza della censura perche’, anche nell’ipotesi in cui la madre avesse realmente ingiuriato le minori, la circostanza non escluderebbe la configurabilita’ del reato in capo all’imputato.
Va ribadito, peraltro, che l’apprezzamento della prova e’ affidato in via esclusiva al giudice di merito, il quale e’ libero di valutare le prove raccolte nella istruzione e nel dibattimento, organizzandole e dando a ciascuna di esse, come al loro complesso, il peso ed il significato che ritiene piu’ opportuno, mentre il controllo della Corte di Cassazione e’ limitato alla congruita’ della motivazione, nel senso che tale operazione intellettuale deve rispettare le regole della logica. Il giudice di merito non ha, peraltro, l’obbligo di analizzare singolarmente tutte le deposizioni testimoniali, tutte le risultanze in atti e tutte le deduzioni ed allegazioni difensive, essendo sufficiente che egli dimostri, con un giudizio sia pure complessivo, di averle tenute tutte presenti nella formazione del suo convincimento e, in caso di diverse contrastanti versioni del fatto, che dia congrua giustificazione delle tesi prescelte. In applicazione di tale principio, non puo’ parlarsi di vizio della motivazione qualora il giudice prenda in esame soltanto le risultanze processuali che ritiene rilevanti ai fini del decidere e le valuti nel loro complesso in relazione agli elementi difensivi, indicando le ragioni del proprio convincimento; ne’ e’ lecito censurare le scelte operate dai giudici di merito adducendo un preteso omesso esame di circostanze rilevanti perche’ la decisione non ha seguito la impostazione difensiva (ex multis, Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Rv. 250900).
1.2. Il secondo motivo di ricorso – riferito all’inattendibilita’ del racconto delle persone offese in ordine al capo b) dell’imputazione – e’ anch’esso inammissibile, perche’ ripropone genericamente le stesse censure gia’ vagliate e disattese dai giudici dell’impugnazione.
Peraltro, nel caso di specie, la sentenza impugnata ha preso adeguatamente in esame tutti tali profili di doglianza – reiterati nel ricorso per cassazione evidenziando che: le marginali incongruenze segnalate dal ricorrente tra il racconto reso dalla madre e quello reso dalla figlia (OMISSIS), non sono dirimenti ai fini della credibilita’; le differenze segnalate dalla difesa trovano giustificazione nella circostanza secondo cui la madre, rimasta scioccata dalla rivelazione di quanto subito dalla figlia, aveva prestato ben poca attenzione a quanto successo prima e dopo l’abuso sessuale; vi e’ una parziale ammissione dell’imputato, il quale e’ stato registrato in diretta dal cellulare da una delle figlie, su richiesta espressa della madre che contestava al coniuge l’episodio da poco appreso; di fronte alla precisa accusa mossagli dalla moglie, l’imputato non ha continuato a negare ma ha risposto di avere “un problema mentale”. Si tratta, peraltro, di una prova non determinante, essendo il quadro istruttorio gia’ chiaro sulla base delle sole convergenti dichiarazioni accusatorie delle persone offese e dei riscontri esterni.
Infine, risulta manifestamente infondata la censura che riguarda la quantificazione del risarcimento del danno. Deve rilevarsi, preliminarmente, che la liquidazione del danno non patrimoniale e’ affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice di merito il quale ha, tuttavia, il dovere di dare conto delle circostanze di fatto considerate in sede di valutazione equitativa e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente i calcoli in base ai quali ha determinato il quantum del risarcimento. E la valutazione del giudice in merito alla liquidazione del danno morale, in quanto affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi, costituisce valutazione di fatto sottratta al sindacato di legittimita’ se sorretta da congrua motivazione (ex multis, Sez. 6, n. 48086 del 12/09/2018, Rv. 274229; Sez. 4, n. 18099 del 01/04/2015, Rv. 263450; Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Rv. 258170).
Nella specie, la sentenza impugnata ha confermato il riconoscimento del danno e la sua quantificazione in Euro 150.000,00 in favore delle figlie minori vittime anche di violenza sessuale, in Euro 30.000,00 in favore dell’altra figlia minore e in Euro 20.000,00 in favore della moglie dell’imputato, in considerazione: 1) della gravita’ e continuita’ delle violenze sessuali; 2) dei maltrattamenti compiuti sulle minori;
2) della sofferenza patita dalla madre delle predette per gli abusi subiti dalle figlie;
3) della reiterazione degli abusi negli anni; 4) della giovane eta’ delle tre figlie; 5) del clima di prevaricazione e sopraffazione imposto dall’imputato nell’ambito del nucleo familiare. Si tratta di motivazione corretta, basata su dati di fatto puntualmente indicati, con argomentazioni adeguate e prive di vizi logici; insindacabile, dunque, in questa sede.
1.3. Il terzo motivo di doglianza – riferito all’erronea determinazione della pena e al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti – e’ anch’esso inammissibile.
Va premesso che non incorre in difetto di motivazione la sentenza che si limiti alla sola enunciazione dell’eseguita valutazione delle circostanze concorrenti, in quanto il giudizio di bilanciamento rientra nella discrezionalita’ del giudice e non postula un’analitica esposizione dei criteri di valutazione (ex plurimis, Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838 – 02). Pertanto, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel formulare il giudizio di comparazione, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell’articolo 133 c.p. e gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto (ex plurimis, Sez. 1, n. 17494 del 18/12/2019, dep. 09/06/2020, Rv. 279181 – 02; Sez. 2, n. 3610 del 15/01/2014, Rv. 260415). Nella specie, la Corte distrettuale ha adeguatamente motivato le ragioni per le quali ritiene congrua la determinazione della pena, rilevando come le attenuanti generiche non possano essere valutate con giudizio di prevalenza rispetto alla sussistenza dell’aggravante contestata e specificando, altresi’, che il quasi minimo edittale e’ stato aumentato in conseguenza della protrazione nel tempo degli abusi sessuali, ed infine ulteriormente aumentato per la continuazione esterna con il reato di cui all’articolo 572 c.p., in misura contenuta.
2. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. L’imputato deve essere anche condannato alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura da liquidarsi a cura della Corte d’appello.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara’ liquidata dalla Corte di appello di Venezia, con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Si da’ atto che, ai sensi dell’articolo 546 c.p.p., comma 2, conformemente alle indicazioni contenute nel decreto del Primo Presidente, n. 163/2020 del 23 novembre 2020 – recante “Integrazione linee guida sulla organizzazione della Corte di cassazione nella emergenza COVID-19 a seguito del Decreto Legge n. 137 del 2020” – la presente ordinanza viene sottoscritta dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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