Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|3 marzo 2021| n. 5763.
In tema di redditi d’impresa, non è deducibile, per difetto dei requisiti di certezza e di oggettiva determinabilità dell’ammontare del costo di cui all’art. 109 T.U.I.R., la spesa sostenuta da una società di capitali per i compensi agli amministratori – non stabiliti nell’atto costitutivo – in mancanza di una esplicita delibera assembleare preventiva, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio né è ratificabile successivamente, stante la natura inderogabile degli artt. 2364 e 2389 c.c. (nel testo successivo al d.lgs. n. 6 del 2003).
Ordinanza|3 marzo 2021| n. 5763
Data udienza 22 ottobre 2020
Integrale
Tag/parola chiave: Reddito d’impresa – Società di capitali – Amministratori – Compensi – Deducibilità – Artt. 2364 e 2389 c.c. – Bilancio – Mancata approvazione preventiva – Approvazione successiva – Ratifica – Invalidità – Art. 109 Tuir – Indeducibilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. est. Consigliere
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere
Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere
Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10842/14 R.G., proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.p.a., in persona del legale rapp.te p.t., rappresentata e difesa, giusta mandato in margine al ricorso, dall’Avv. (OMISSIS) e dall’avv. (OMISSIS), con i quali e’ elettivamente domiciliata in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 44/03/13 della Commissione tributaria regionale dell’Umbria, depositata in data 07/03/2013, non notificata;
Udita la relazione svolta dal Consigliere Rosita d’Angiolella nella camera di consiglio del 22 ottobre 2020.
RILEVATO
che:
La controversia trae origine da alcuni avvisi di accertamento emessi nei confronti della societa’ (OMISSIS) s.r.l., per l’anno d’imposta 2005 e 2006, a mezzo del quale l’Ufficio aveva proceduto al recupero a tassazione di somme a titolo di Ires, Irap ed Iva; tra l’altro l’Agenzia delle entrate recuperava, per illegittima deduzione di costi non inerenti all’attivita’ di impresa, la somma di Euro 54.791,20, per l’anno 2005, e di Euro 54.778,00 per l’anno 2006, quali compensi corrisposti agli amministratori (Euro 216.791,20) superiori a quanto deliberato dall’assemblea del 21 giugno 2003 (che li aveva fissati in Euro 162.000,00).
La societa’ (OMISSIS) s.r.l. ricorreva avverso gli avvisi di accertamento chiedendone l’annullamento; la Commissione tributaria provinciale adita, riuniti i ricorsi, li rigettava con sentenza n. 98/2/10.
La societa’ (OMISSIS) s.r.l. proponeva appello avverso tale sentenza che veniva riformata dalla Commissione regionale dell’Umbria, con accoglimento dell’appello della societa’.
In particolare, la Commissione regionale ha motivato la propria decisione ritenendo che i compensi corrisposti fossero deducibili nonostante la mancanza della delibera preventiva e cio’ in quanto: a) la societa’ era composta da una ristretta base anche familiare per i cui i soci avevano la consapevolezza della misura dei compensi elargiti agli amministratori; b) l’aumento del compensi emergeva comunque dal bilancio di esercizio relativo all’anno 2004 (anno oggetto di accertamento dell’Ufficio in sime all’anno 20026), dalla nota integrativa, ed era stato confermato nella delibera assembleare successiva del (OMISSIS); c) l’operazione era avvenuta in buona fede e che in ogni caso il recupero a tassazione avrebbe cerato nella sostanza una doppia tassazione.
L’Agenzia delle Entrate ricorre per Cassazione avverso la sentenza della CTR affidandosi ad un unico motivo di doglianza.
La societa’ contribuente resiste con controricorso.
CONSIDERATO
che:
Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia ricorrente deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione di legge, segnatamente del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articolo 109, (t.u.i.r.) e degli articoli 2364 e 2389 c.c., in quanto la Commissione tributaria regionale, statuendo nei termini riferiti innanzi, avrebbe violato le norme regolatrici vigenti, per le quali la previa delibera assembleare di determinazione del compenso degli amministratori e’ indispensabile ai fini fiscali per la deducibilita’ del relativo costo. La ricorrente sostiene che la determinazione dei compensi assunta soltanto con delibera assembleare successiva al bilancio di esercizio 2005 e 2006, sarebbe da ritenersi invalida come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 21933 del 29/08/2008 con conseguente indeducibilita’ del costo per difetto dei requisiti di certezza e determinabilita’ di cui all’articolo 109 t.u.i.r..
Il motivo e’ fondato e va accolto per le ragioni di seguito esposte.
Sono pacifici i fatti della controversia essendo incontestato che negli anni 2005 e 2006, oggetto di accertamento, la societa’ aveva corrisposto agli amministratori in carica compensi superiori a quelli stabiliti con delibera dei soci del (OMISSIS) e che, solo con il verbale di assemblea redatto in data (OMISSIS), i soci avevano deliberato l’aumento del compenso del consiglio di amministrazione, previa nota integrativa del bilancio attestante l’aumento del compenso; e’ pacifico, altresi’, che la societa’ aveva portato in deduzione i relativi costi dal reddito d’impresa per le annualita’ 2005 e 2006 e che su tale deduzione si e’ appuntato la ripresa a tassazione di cui all’avviso di accertamento che ha originato la presente controversia.
Da tempo la giurisprudenza di questa Corte, proprio in considerazione dei principi espressi dalle sezioni Unite con la sentenza n. 21933 del 2008, e’ pervenuta ad affermare, con orientamento fino ad oggi condiviso e mai mutato, che in tema di reddito d’impresa, non e’ deducibile la spesa sostenuta da una societa’ di capitali per i compensi agli amministratori ove invalidamente deliberata, secondo la disciplina applicabile, in sede di approvazione del bilancio, difettando in tal caso i requisiti di certezza e di oggettiva determinabilita’ dell’ammontare del costo di cui all’articolo 109 (gia’ 75) t.u.i.r. (cfr., Sez. 5, Sentenza n. 21953 del 28/10/2015, Rv. 63692501).
In base ai principi affermati dalle sezioni unite e seguiti dalla giurisprudenza successiva, per la determinazione della misura del compenso degli amministratori di societa’ di capitali, ai sensi dell’articolo 2389 c.c., comma 1, (nel testo vigente prima delle modifiche, non decisive sul punto, di cui al Decreto Legislativo n. 6 del 2003) “qualora non sia stabilita nello statuto, e’ necessaria una esplicita delibera assembleare, che non puo’ considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, attesa: la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall’essere la disciplina del funzionamento delle societa’ dettata, anche, nell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attivita’ economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall’assemblea (articolo 2630 c.c., comma 2, abrogato dal Decreto Legislativo n. 61 del 2002, articolo 1); la distinta previsione delle delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (articolo 2364 c.c., nn. 1 e 3); la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilita’ di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (articolo 2434 c.c.); il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volonta’ della societa’ (articolo 2393 c.c., comma 2). Conseguentemente, l’approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non e’ idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall’articolo 2389 cit., salvo che un’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori” (cfr., Sez. U, Sentenza n. 21933 del 29/08/2008 Rv. 604262-01; id., Sez. 5, Sentenza n. 17673 del 19/07/2013, Rv. 627505-01; Sez. 5, Sentenza n. 20265 del 04/09/2013, Rv. 628116-01).
Per la disciplina applicabile ratione temporum, va considerato che a seguito alla riforma del Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, entrata in vigore l’01/01/2004, non vi sono stati significativi mutamenti, essendo attualmente prevista dall’articolo 2364 c.c., comma 1, n. 3, la competenza a deliberare dell’assemblea ove il compenso non sia stato stabilito nello “statuto”, e disponendo l’articolo 2389 c.c., comma 1, che il compenso deve essere stabilito nell’atto costitutivo o “all’atto della nomina” deliberata dalla assemblea ordinaria dei soci ex articolo 2383 c.c., comma 1, (ovvero “all’atto della nomina” del componente del consiglio di amministrazione o del componente del comitato esecutivo da parte dei soggetti estranei alla societa’, indicati nell’articolo 2383 c.c., comma 1: a) soggetti titolari di strumenti finanziari di cui all’articolo 2346 c.c., comma 6, e all’articolo 2349 c.c., comma 2: nomina di un componente indipendente – articolo 2351 c.c., comma 4; b) articolo 2449 c.c.: nomina da parte di Stato od enti pubblici con partecipazioni azionarie in societa’ per azioni che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio).
I principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite, dalle quali questo Collegio non intende discostarsi in mancanza di elementi che inducano ad una nuova riflessione, perimetrano, dunque, l’ambito di applicazione degli articoli 2364 e 2389 c.c., cosi’ che, qualora la determinazione della misura del compenso degli amministratori di societa’ di capitali, ai sensi dell’articolo 2389 c.c., comma 1, non sia stabilita nell’atto costitutivo, e’ necessaria una esplicita delibera assembleare, che non puo’ considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, in considerazione della natura imperativa e inderogabile della previsione normativa.
Applicando tali principi al caso in esame, ove e’ stato corrisposto, per gli anni 2005 e 2006, un compenso agli amministratori maggiore rispetto a quello deliberato nel 2003, ratificato successivamente con delibera del 2007, non v’e’ dubbio che si configura una sostanziale violazione delle competenze attribuite alla assemblea generale dei soci e, dunque, una difformita’ rilevante dallo schema legale del procedimento di formazione della volonta’ dell’ente collettivo. La ratifica successiva e’ inidonea alla scopo, considerato “la delibera assembleare costituisce modo formale e inderogabile di espressione della volonta’ della societa’ di cui non sono ammessi equipollenti” e pertanto l’atto negoziale adottato in difformita’ e’ affetto da “nullita’ assoluta ed insanabile”, cosi’, Sez. 1, Sentenza n. 10869 del 01/10/1999, Rv. 530393-01, richiamata da Sez. 5, Sentenza n. 21953 del 28/10/2015, Rv. 636925 – 01; id. Sez. 1, Sentenza n. 9901 del 24/04/2007; Sez. L, Sentenza n. 14963, del 07/07/2011, Rv. 617769-01, in tema di transazione).
Da tanto ne discende che, sotto il profilo civilistico, il compenso pagato senza una delibera preventiva che ne abbia approvato il diverso ammontare non puo’ in alcun modo ricondursi alla volonta’ dell’assemblea il che, sotto il profilo tributario, si riverbera sulla indeducibilita’ del costo per difetto dei requisiti di certezza e determinabilita’ di cui all’articolo 109 t.u.i.r: la mancanza di una delibera specifica sui compensi comporta, sul piano civilistico, la nullita’ dell’atto di autodeterminazione del compenso da parte degli amministratori, sul piano fiscale, la non deducibilita’ del compenso.
Ed invero, l’articolo 95 t.u.i.r., comma 5, a mente del quale: “I compensi spettanti agli amministratori delle societa’ ed enti di cui all’articolo 73, comma 1, sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti”, non richiama il generale principio di competenza, ma segue il criterio di cassa in base al quale i compensi erogati dalla societa’ ai propri amministratori sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento, cosi’ garantendosi, la simmetria temporale tra deduzione in capo all’erogante e la tassazione del percettore. In tema di compensi degli amministratori, tali regole vanno pero’ conciliate con i principi civilistici innanzi richiamati, secondo cui – si ripete- ai fini della corretta deducibilita’ fiscale del costo e’ necessario che la determinazione del compenso sia legata ad una delibera assembleare con data antecedente all’erogazione del compenso che ne determini l’ammontare. In mancanza, la causa dell’indeducibilita’ dei compensi “non puo’ che rinvenirsi nella mancanza dei requisiti di certezza e determinabilita’ della spesa”, richiesti dall’articolo 109 t.u.i.r., comma 1, (cfr., Sez. 5 del 28/10/2015 n. 21953, cit.), in quanto solo il rispetto della regola “civilistica” conferisce al costo quel carattere di certezza e obiettiva determinabilita’ cui la norma citata subordina la relativa deducibilita’ fiscale.
Tali conclusioni non sono superate dalle considerazioni del giudice di merito circa il comportamento dei soci amministratori improntato a buona fede e circa la necessita’ di evitare una doppia imposizione.
Quanto alla buona fede, il riferimento ad essa ed alla tutela dell’affidamento che ne deriverebbe, e’ fuorviante solo a volere considerare che le norme richiamate pongono, ai fini della deducibilita’ dei costi, una chiara sequenza procedimentale (che nella specie risulta violata) senza alcuna necessita’ di valutazione di comportamenti soggettivi e/o a situazioni di fatto che idonei a determinarlo.
Egualmente privo di rilevanza e’ il timore del rischio di una doppia imposizione considerato che, come pure evidenziato dalla ricorrente, la circostanza che la societa’, in mancanza di specifica delibera assembleare, non possa dedurre integralmente la spesa, non significa che lo stesso fatto e’ tassato due volte ma solamente che nella determinazione del reddito della societa’ non possono essere dedotti costi che non sono certi e determinati.
La sentenza impugnata va cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito (essendo le circostanze di fatto incontestate) la causa puo’ essere decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso della societa’ contribuente e conferma della sentenza di primo grado. Dichiara interamente compensate tra le parti le spese dei gradi di merito. Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, si pongono a carico della societa’ contribuente e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della societa’ contribuente.
Compensa interamente tra le parti le spese dei giudizi di merito. Condanna la societa’ contribuente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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