Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 31 agosto 2018, n. 39323.
La massima estrapolata:
Per il reato di produzione di materiale pedopornografico ex art. 600-ter, comma primo, cod. pen può essere escluso solo ove si sia in presenza di “selfie” prodotti dal minore autonomamente e volontariamente scattati, mentre lo stesso deve ritenersi configurabile ove, come nel caso di specie, la realizzazione delle immagini pornografiche da parte della minore venga stata indotta dall’imputato anche con la violenza, situazione questa che integra la condotta induttiva punita ex art. 600-ter, c.p..
Sentenza 31 agosto 2018, n. 39323
Data udienza 31 maggio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 26/5/2017 della Corte di appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Enrico Mengoni;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. BALDI Fulvio, che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 26/5/2017, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della pronuncia emessa il 3/7/2015 dal locale Tribunale, riduceva ad un anno e due mesi di reclusione la pena inflitta a (OMISSIS); a questi era contesto il delitto di cui all’articolo 600-quater c.p., per essersi procurato ed aver detenuto materiale pedopornografico.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
– violazione della norma contestata e vizio motivazionale. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna pur in assenza di prova certa circa il carattere pedopornografico delle immagini rinvenute; nessuna verifica sarebbe stata compiuta al riguardo, ben potrebbero esser i soggetti ritratti “appena diciottenni”. Ancora, nessun elemento confermerebbe la consapevolezza, in capo al ricorrente, del contenuto dei file in esame, presenti in supporti vecchi e probabilmente non usati da tempo. In forza di cio’ (motivo n. 2), la Corte avrebbe dovuto quantomeno assolvere il (OMISSIS) ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., comma 2, difettando qualsivoglia prova di colpevolezza ogni oltre ragionevole dubbio;
– le medesime censure sono poi mosse quanto al trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo e non rispettoso dei canoni di cui all’articolo 133 c.p.;
– le stesse censure, da ultimo, concernono anche la causa di esclusione della punibilita’ di cui all’articolo 131-bis c.p., della quale il ricorrente ben avrebbe potuto godere, ricorrendone i presupposti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta manifestamente infondato, ad eccezione dell’ultima censura.
Con riguardo alle prime due, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di legittimita’ sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte in forza del quale l’illogicita’ della motivazione, censurabile a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), e’ soltanto quella evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; cio’ in quanto l’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volonta’ del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).
In altri termini, il controllo di legittimita’ sulla motivazione non attiene alla ricostruzione dei fatti ne’ all’apprezzamento del Giudice di merito, ma e’ limitato alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorieta’ della motivazione o di illogicita’ evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv, 251760).
4. In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte, osserva allora il Collegio che le doglianze mosse dal ricorrente in punto di responsabilita’ risultano come inammissibili; ed invero, dietro la parvenza di una violazione di legge o di un vizio motivazionale, lo stesso di fatto tende ad ottenere in questa sede una nuova ed alternativa lettura delle medesime emergenze istruttorie gia’ esaminate dai Giudici del merito (in particolare, l’esame dei file in sequestro e la consapevolezza – in capo al ricorrente – del loro contenuto), invocandone una valutazione diversa e piu’ favorevole.
Il che, come appena richiamato, non e’ consentito.
5. A cio’ si aggiunga che la Corte di appello, pronunciandosi proprio su tale profilo, ha confermato la condanna dell’imputato con un congruo percorso argomentativo, non manifestamente illogico e, pertanto, insuscettibile di censura. In primo luogo, la sentenza ha evidenziato che l’indagine era sorta da intercettazioni telematiche tra il ricorrente ed altro soggetto ( (OMISSIS)), nel corso delle quali entrambi avevano mostrato di esser interessati ad incontri, per lo piu’ omosessuali, con minori, ed allo scambio di materiale pedopornografico. Dal che la considerazione che la perquisizione domiciliare, che l’imputato aveva quindi subito, era stata disposta in relazione a provati contatti tra soggetti accomunati dall’interesse per rapporti sessuali con minorenni e dal relativo materiale.
6. Ancora, quanto ai soggetti raffigurati nei file rinvenuti, a chiaro contenuto sessuale, la sentenza ha sottolineato che nessun dubbio poteva sussistere circa la loro minore eta’ – adolescenti, non bambini -, in ragione delle fattezze somatiche che il Collegio aveva potuto verificare. Minore eta’, peraltro, confermata dal titolo dei prodotti medesimi, che faceva espresso richiamo proprio a tale carattere.
7. Una motivazione del tutto adeguata e fondata su logica verifica delle emergenze processuali, quindi, che il ricorso tenta di superare solo con argomenti di puro fatto (insufficienza probatoria del titolo del file, possibile maggiore eta’ dei ragazzini raffigurati) o mere e generiche illazioni (la consapevolezza del contenuto illecito dovrebbe esclusa dal fatto che i supporti sarebbero stati “vecchi e probabilmente non usati da tempo”, verosimilmente “lasciati li’ da qualche amico”).
Dal che, la evidente infondatezza delle prime due doglianze in punto di responsabilita’.
8. Nei medesimi termini, poi, conclude la Corte con riguardo al trattamento sanzionatorio. Il Giudice di merito, infatti, ha rideterminato la pena valorizzando l’incensuratezza dell’imputato ed il carattere adolescente (non infantile) dei minori coinvolti; si’ da individuare il trattamento in termini assai piu’ prossimi ai minimi che ai massimi edittali, anche in ragione della concessione delle circostanze attenuanti generiche. Quel che il ricorso contesta, ma con affermazioni apodittiche, quindi irricevibili (“Tenuto conto di tutti gli elementi emersi, andava irrogata una pena piu’ mite e la pena base doveva chiaramente partire dal minimo edittale”).
9. Da ultimo, e come sopra accennato, ritiene invece il Collegio che il ricorso sia fondato quanto alla causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131-bis c.p., che – pur richiesta con i motivi di appello – non ha costituito argomento della sentenza impugnata; a tale riguardo, peraltro, non puo’ neppure ritenersi che, dal complesso della motivazione, risulti per implicito una risposta negativa all’istanza in esame, apparendo richiamati, semmai, elementi di segno opposto a tale ipotesi (in particolare, il riferimento al materiale esiguo in termini quantitativi, alla circoscritta entita’ del fatto, alla minore gravita’ di questo).
La decisione, pertanto, deve essere annullata con rinvio sul punto, per nuovo esame, con declaratoria di inammissibilita’ nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicabilita’ dell’articolo 131-bis c.p., con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria per nuovo esame.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.
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