Corte di Cassazione, civile, Sentenza 22 ottobre 2020, n. 23138.
In tema di opposizione allo stato passivo, non incorre nella sanzione dell’improcedibilità il creditore opponente che abbia omesso di produrre copia autentica dello stato passivo formato dal giudice delegato, non trovando applicazione l’art. 347, comma 2, c.p.c. previsto solo per l’appello e potendo, comunque, il tribunale accedere direttamente al fascicolo di cui all’art. 90 l.fall. per conoscere il contenuto del provvedimento impugnato.
Sentenza 22 ottobre 2020, n. 23138
Data udienza 9 settembre 2020
Tag/parola chiave: Fallimento – Credito bancario – Opposizione a stato passivo – Esclusione della natura d’impugnazione – Deposito di copia autentica di decreto impugnato – Ammissibile in qualsiasi momento anche in sede di rinvio ex art. 99 legge fallimentare – Esclusione di una declaratoria d ‘improcedibilità dell’opposizione se manca la copia autentica di decreto impugnato
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere
Dott. VELLA Paola – Consigliere
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 28139/2014 proposto da:
Curatela del Fallimento della (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore Avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 4449/2014 del Tribunale di Bari, depositato il 28/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/09/2020 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA Giovanni Battista, che si riporta alla requisitoria scritta gia’ depositata;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che si riporta ai propri atti ed insiste per l’accoglimento;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS), con delega scritta dell’avv. (OMISSIS), che si riporta ai propri atti.
FATTI DI CAUSA
1. Il Giudice delegato al fallimento di (OMISSIS) s.r.l. non ammetteva al passivo della procedura il credito di Euro 662.560,05 vantato da (OMISSIS) s.p.a., quale procuratore della (OMISSIS) s.p.a., a titolo di saldo di due rapporti di anticipazione su fatture accesi dalla compagine poi fallita.
2. A seguito dell’opposizione proposta da (OMISSIS) s.p.a. il Tribunale di Bari osservava in primo luogo che la mancata produzione di copia autentica del provvedimento impugnato non costituiva causa di improcedibilita’ del giudizio, poiche’ la disciplina di cui all’articolo 339 c.p.c., non trova applicazione ai giudizi di opposizione a stato passivo.
Rispetto al merito della controversia il Tribunale riteneva che l’opposizione fosse meritevole di accoglimento, in quanto dalla congerie istruttoria risultava che la societa’ fallita avesse perfezionato con la (OMISSIS) s.p.a. due contratti di conto corrente per anticipazione su fatture in virtu’ dei quali l’istituto di credito aveva effettuato una serie di anticipi per un complessivo ammontare, stando alle risultanze della consulenza espletata, di Euro 285.556,50.
3. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso la curatela del fallimento (OMISSIS) s.r.l. prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso la (OMISSIS) s.p.a..
Questa sezione, con ordinanza interlocutoria del 10 luglio 2019, ha rimesso la causa in pubblica udienza ai sensi dell’articolo 375 c.p.c., per la particolare rilevanza delle questioni di diritto su cui occorre statuire.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, ex articolo 380 bis.1 c.p.c., sollecitando il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 339, 345, 347 e 348 c.p.c., L. Fall., articoli 97, 98 e 99, nonche’, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio gia’ oggetto di discussione fra le parti: il Tribunale, a fronte dell’eccezione della curatela in merito alla mancata presenza in atti di copia autentica del provvedimento impugnato, avrebbe escluso l’applicazione al giudizio di opposizione a stato passivo del disposto dell’articolo 339 c.p.c., senza considerare pero’ che il provvedimento del G.D. impugnato doveva comunque essere presente in atti al momento della decisione.
4.2 Il motivo e’ infondato.
4.2.1 La giurisprudenza di questa Corte ha – da tempo e costantemente – precisato che l’opposizione allo stato passivo del fallimento (come disciplinata a seguito del Decreto Legislativo n. 169 del 2007), ancorche’ abbia natura impugnatoria, costituendo il rimedio avverso la decisione sommaria del giudice delegato, non e’ un giudizio di appello, per cui il relativo procedimento e’ integralmente disciplinato dalla L.F. (si vedano in questo senso, ex plurimis, 24972/2013, Cass. 9617/2016, 21581/2018 e Cass. 21581/2018).
In questa prospettiva interpretativa si e’ osservato che se il giudizio di opposizione a stato passivo, seppur di natura impugnatoria, non e’ qualificabile come appello, allo stesso non puo’ di conseguenza trovare applicazione la disciplina di cui agli articoli 339 c.p.c. e segg.; il deposito della copia autentica del decreto impugnato nell’ambito del giudizio di opposizione a stato passivo puo’ percio’ effettuarsi in qualsiasi momento, anche nel giudizio di rinvio, fino alla chiusura del contraddittorio, trattandosi di documento indispensabile per la decisione (Cass. 18253/2015, Cass. 6804/2012).
Depone in questo senso del resto il dato testuale della L. Fall., articolo 99, il quale, nell’indicare il necessario contenuto del ricorso introduttivo dell’opposizione e delle produzioni da compiersi in uno con il suo deposito, non fa alcun riferimento alla copia del decreto emesso dal G.D. in sede di formazione dello stato passivo.
La mancata produzione del provvedimento del G.D. contestualmente all’atto di opposizione non costituisce causa di improcedibilita’ del procedimento.
4.2.2 La natura impugnatoria del giudizio di opposizione rende evidente la necessita’ per il Tribunale di esaminare il contenuto del provvedimento del giudice delegato, perche’ ad esso il collegio di merito deve giocoforza parametrare le censure prospettate dall’opponente al fine di accertarne la fondatezza.
Si tratta allora di stabilire le modalita’ con cui il giudice dell’opposizione possa venire a conoscenza del provvedimento impugnato e, piu’ precisamente, se tale conoscenza dipenda necessariamente da un’iniziativa di parte.
La soluzione va cercata tenendo conto che l’opposizione allo stato passivo e’ – come detto – un procedimento di impugnazione non qualificabile come appello che rimane regolato dalla precipua disciplina prevista dalla L. Fall., articoli 98 e 99 e pero’, nel contempo, si sviluppa in seno alla procedura fallimentare, dalla quale non puo’ essere isolato (e nel cui orizzonte le statuizioni assunte rimangono confinate L. Fall., ex articolo 96).
Appare percio’ un fuor d’opera il ricorso a una norma, l’articolo 347 c.p.c., propria del giudizio di appello che l’impugnazione contro il decreto che rende esecutivo lo stato passivo non integra.
Piuttosto occorre considerare che gli atti e i provvedimenti attinenti al procedimento fallimentare, formati dagli organi della procedura o assunti dall’autorita’ giudiziaria nel progressivo evolversi del fallimento, sono raccolti nel fascicolo di cui alla L. Fall., articolo 90, norma di portata generale che trova applicazione anche al procedimento di opposizione allo stato passivo (cfr. Cass. 16101/2014, Cass. 26639/2016).
Questi atti e provvedimenti rimangono nella disponibilita’ del giudice delegato e del Tribunale fallimentare, i quali possono attingere al fascicolo della procedura al fine di verificare e prendere in esame le statuizioni adottate nel corso del procedimento concorsuale.
Il decreto con cui il giudice delegato, ai sensi della L. Fall., articolo 96, comma 4, forma lo stato passivo e lo rende esecutivo, una volta depositato, entra a far parte del fascicolo della procedura e, al pari degli altri documenti della medesima natura ivi contenuti, rimane acquisito nella sfera conoscitiva dell’autorita’ giudiziaria preposta al procedimento, liberamente (a differenza dei documenti gia’ prodotti dal creditore istante in uno con la domanda di ammissione al passivo, che, pur essendo ora ricompresi nel fascicolo informatico della procedura, devono essere specificamente indicati, a pena di decadenza, all’interno dell’atto di opposizione L. Fall., ex articolo 99, comma 2, n. 4, per poter poi essere utilizzati).
Il decreto in discorso sfugge quindi nell’ambito del giudizio di impugnazione regolato dalla L. Fall., articoli 98 e 99, tanto alla specifica disciplina del giudizio di appello, quanto alle regole in materia di produzione dei documenti di parte, perche’ lo stesso, secondo la fisiologia propria del procedimento fallimentare, costituisce un atto del fascicolo della procedura consultabile da parte del Tribunale direttamente e senza impedimento alcuno (Cass. 3872/2020).
Pertanto non occorre che chi impugna il decreto di formazione dello stato passivo emesso dal giudice delegato produca necessariamente tale provvedimento nel corso del giudizio, perche’ il Tribunale, ove questi abbia mancato di renderlo disponibile, accedera’ direttamente al fascicolo di cui alla L. Fall., articolo 90, per conoscere il contenuto della statuizione che l’impugnazione intende censurare.
5.1 Il secondo mezzo assume, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 115, 116, 212 e 277 c.p.c., articoli 2712, 2719, 2704, 2697, 1321, 1325, 1326 e 1418 c.c. e articolo 117 T.U.B. nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio gia’ oggetto di discussione fra le parti: in tesi di parte ricorrente il Tribunale non avrebbe in alcun modo considerato le eccezioni della curatela sulla non conformita’ agli originali delle fotocopie esibite dalla banca, sulla mancanza di data certa di detti documenti, sulla non riconducibilita’ alla fallita della documentazione esibita e sulla mancanza di sottoscrizione dei medesimi documenti da parte della banca; il Tribunale, ove avesse provveduto alla delibazione delle eccezioni pretermesse, non sarebbe potuto addivenire alla conclusione del rituale perfezionamento dei contratti di conto corrente per anticipazione su fatture.
5.2 Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione degli articoli 61, 112, 191, 194 e 277 c.p.c., articoli 1282, 1283, 1284, 1418, 1825, 1826, 1834, 2697 e 2725 c.c. e articolo 50 T.U.B. nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio gia’ oggetto di discussione fra le parti: il Tribunale, nell’ignorare le eccezioni della curatela in ordine alla non conformita’ delle fotocopie esibite dalla banca agli originali, alla mancanza di sottoscrizione della banca sui documenti prodotti, alla nullita’ o inefficacia delle clausole anatocistiche e in materia di capitalizzazione trimestrale degli interessi, determinazione di un interesse ultralegale o pattuizione della commissione di massimo scoperto nonche’ rispetto all’assoluta carenza di prova del credito, avrebbe non solo omesso di provvedere sulle eccezioni sollevate, ma anche emesso un provvedimento in violazione del principio che regola l’onere probatorio ex articolo 2697 c.c., dato che l’estratto conto prodotto aveva un valore dimostrativo limitato alla sede monitoria.
Oltre a cio’ il Tribunale avrebbe supplito al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte della banca disponendo una consulenza tecnica, nel corso della quale era stata esaminata documentazione non presente agli atti di causa e irritualmente acquisita, e in questo modo avrebbe ritenuto dimostrato il credito della banca piuttosto che constatare l’assenza di adeguata prova documentale a suffragio della domanda di insinuazione.
5.3.1 I motivi, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro parziale sovrapponibilita’ e dei coincidenti vizi che li affliggono, risultano l’uno inammissibile, l’altro in parte inammissibile, in parte infondato.
5.3.2 Il ricorrente, pur deducendo il mancato esame da parte del collegio dell’opposizione di svariate eccezioni sollevate, non ha riportato alcuna indicazione di elementi e riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale denunciato, onde consentire a questa Corte di apprezzare il preciso contenuto delle difese effettivamente tralasciate e controllare, senza compiere generali verifiche degli atti, in primo luogo la ritualita’ e la tempestivita’ delle stesse e, in secondo luogo, la loro decisivita’.
Ora la Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, e’ si’ anche giudice del fatto processuale e ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa al fine di valutare la fondatezza del vizio denunciato, purche’ pero’ lo stesso sia stato ritualmente indicato e allegato nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4; e’ percio’ necessario, non essendo tale vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (si vedano in questo senso, fra molte, Cass. 2771/2017, Cass. 19410/2015).
Occorreva pertanto che l’odierno ricorrente accompagnasse la denunzia del vizio con la riproduzione, diretta o indiretta, del contenuto dell’atto che sorreggeva la censura, dato che questa Corte non e’ legittimata a procedere a un’autonoma ricerca degli atti segnalati come viziati ma solo a una verifica del contenuto degli stessi.
In mancanza di una simile indicazione le doglianze in esame risultano, sul punto, giocoforza inammissibili per violazione del disposto dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6.
5.3.3 L’apprezzamento da parte del consulente tecnico d’ufficio, nell’ambito di un esame contabile, di documenti non ritualmente prodotti in causa e senza il consenso delle parti e’ fonte di nullita’ relativa, al pari di ogni altro vizio della consulenza tecnica.
Una simile nullita’ rimane soggetta al regime di cui all’articolo 157 c.p.c., sicche’ il difetto deve ritenersi sanato se non e’ fatto valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione peritale (Cass. 15747/2018, Cass. 8659/1999).
La mancata allegazione da parte del ricorrente di una tempestiva censura in sede di merito delle nullita’ asseritamente verificatesi nel corso delle operazioni peritali determina l’infondatezza, sul punto, del terzo motivo di ricorso, non risultando dimostrata la condizione necessaria perche’ eventuali irregolarita’ commesse dal consulente tecnico possano ritenersi non sanate.
5.3.4 E’ ben vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte la banca, nell’insinuare il credito derivante da saldo negativo di conto corrente, ha l’onere di dare conto dell’intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto integrali (cfr. Cass. 22208/2018).
Assunto che tuttavia non puo’ essere inteso, in mancanza di alcun precetto normativo al riguardo, nel senso che una simile produzione sia l’unica modalita’ con cui la banca possa dimostrare la fondatezza delle proprie pretese creditorie, ben potendo il creditore fare ricorso a ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo negativo maturato (Cass. 11543/2019).
Risultano poi inammissibili le doglianze sollevate al fine di sostenere l’impossibilita’ per il Tribunale, sulla base della documentazione prodotta, di statuire in merito all’esistenza del credito ammesso al passivo.
Una simile critica deduce, apparentemente, una violazione di norme di legge ma mira, in realta’, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, cosi’ da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimita’ in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito e risulta, quindi, inammissibile (Cass. 8758/2017).
Il ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimita’ non gia’ il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facolta’ del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad essi sottesi, dando cosi’ liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Cass. 21098/2016, Cass. 27197/2011).
5.3.5 L’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel suo attuale testo riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nozione da intendersi come riferita a un preciso accadimento o una specifica circostanza in senso storico-naturalistico e non ricomprendente questioni o argomentazioni.
Sono quindi inammissibili le censure irritualmente formulate che estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. 21152/2014, Cass. 14802/2017).
Non risulta percio’ censurabile sotto il profilo dedotto la mancata valutazione delle eccezioni e delle difese illustrate dalla procedura opposta nell’ambito del giudizio di merito.
6.1 Con il quarto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione e falsa applicazione degli articoli 90, 91 e 92 c.p.c., nonche’ dell’omesso esame di un fatto gia’ oggetto di discussione fra le parti: il Tribunale, dopo aver erroneamente accolto l’opposizione ed ammesso il credito, avrebbe, altrettanto erroneamente, condannato la curatela al pagamento delle spese di lite e della consulenza tecnica espletata, senza tenere conto che il giudizio di opposizione si era reso necessario a causa dell’assoluta carenza di documentazione a corredo dell’istanza di ammissione al passivo.
6.2 Il motivo e’ inammissibile.
Nel liquidare le spese di lite il giudice del merito deve applicare il criterio della soccombenza previsto dall’articolo 91 c.p.c., avendo riguardo all’esito finale del giudizio, che nel caso di specie ha condotto alla parziale ammissione al passivo del credito vantato dall’opponente.
A fronte di un esito parzialmente favorevole per l’opponente il Tribunale non poteva condannare l’opponente, neppure in parte, al pagamento delle spese processuali, le quali, ove non fossero state interamente poste a carico della procedura opposta, potevano solo essere, totalmente o parzialmente, compensate tra le parti in presenza dei presupposti previsti dall’articolo 92 c.p.c., comma 2 (Cass. 21069/2016).
Quest’ultima facolta’ rientrava poi nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non era tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del suo mancato uso; di conseguenza la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualita’ di una compensazione, non puo’ essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. 11329/2019).
7. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 6.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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