Corte di Cassazione, penale, Sentenza|2 febbraio 2021| n. 3966.
In tema di misure cautelari riguardanti il reato di associazione ex art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all’operatività della stessa, né alla data ultima dei reati fine, ma ha ad oggetto la possibile commissione di delitti che siano espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento in circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza.
Sentenza|2 febbraio 2021| n. 3966
Data udienza 12 gennaio 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Traffico di stupefacenti – Dpr 309 del 1990 – Misura cautelare – Presupposti – Articoli 274 e 275 cpp – Esigenze – Gravi indizi di colpevolezza – Valutazione del giudice di merito – Articolo 292 cpp – Criteri – Legge 47 del 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUMU Giacomo – Presidente
Dott. BELLINI Ugo – Consigliere
Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere
Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere
Dott. PICARDI Francesca – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 04/03/2020 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;
lette le conclusioni del PG Dott. PEDICINI ETTORE, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 29.7.2019, il Tribunale del riesame di Napoli confermava l’ordinanza emessa dal GIP presso il Tribunale di Napoli in data 24.6.2019 applicativa nei confronti del (OMISSIS) della misura cautelare della custodia in carcere, in relazione ai reati di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti del tipo cocaina, hashish e marijuana (capo a), nonche’ in relazione ai reati – fine di cui ai capi b), c), d), e), f), g), h), i), I), m), n), o), p), q) ed r), contestati come commessi secondo le modalita’ esecutive e spazio temporali meglio descritte nei predetti capi di imputazione cautelare. In particolare: il delitto sub a), tra l'(OMISSIS) ed il (OMISSIS), con condotta accertata fino al (OMISSIS); il delitto sub b) relativo all’acquisto di sostanza del tipo hashish, in epoca antecedente e prossima al (OMISSIS); il delitto sub c) relativo alla detenzione di un quantitativo imprecisato di cocaina, in data (OMISSIS); il delitto sub d) relativo alla detenzione illecita a fini di cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina, dal (OMISSIS) al (OMISSIS); il delitto sub e) relativo alla cessione di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente di tipo non identificato, fino al (OMISSIS); il delitto sub f) relativo alla fornitura di sostanza stupefacente del tipo cocaina, fino all'(OMISSIS); il delitto sub g) relativo alla cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina, fino al (OMISSIS); il delitto sub h) relativo alla cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina, in data (OMISSIS); il delitto sub i) relativo alla cessione illecita di stupefacenti del tipo cocaina, in data antecedente e prossima all'(OMISSIS); il delitto sub l) relativo alla detenzione e cessione di sostanza stupefacente non identificata, dal (OMISSIS); il delitto sub m) relativo alla cessione illecita di sostanza stupefacente non meglio imprecisata; il delitto sub n) relativo alla cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina, in data (OMISSIS); il delitto sub o) relativo alla cessione di stupefacenti del tipo cocaina, in data (OMISSIS); il delitto sub p) relativo alla cessione di stupefacente del tipo hashish e cocaina, fino al (OMISSIS); il delitto sub q) relativo alla detenzione illecita di stupefacente del tipo imprecisato in data (OMISSIS); infine, il delitto sub r) relativo alla cessione continuata di sostanza stupefacente del tipo imprecisato, dal (OMISSIS) al (OMISSIS).
Contro quella ordinanza proponeva ricorso in cassazione l’indagato, a mezzo del proprio difensore, e la Terza Sezione Penale di questa Corte, con sentenza n. 6009 dell’8/1/2020, annullava l’ordinanza impugnata, limitatamente alla motivazione sulle esigenze cautelari, e rinviava per nuovo esame al Tribunale di Napoli, sezione del riesame, dichiarando inammissibile il ricorso nel resto.
Quella pronuncia riteneva che la motivazione del primo provvedimento del tribunale napoletano, con particolare riferimento alla attualita’ e persistenza della esigenza cautelare del pericolo di recidiva, presentasse evidenti vizi argomentativi, anzitutto essendo inadeguata la motivazione in relazione alla ampiezza del tempo trascorso tra la commissione dei fatti ed il momento in cui e’ intervenuto il giudizio cautelare, tenuto conto che si tratta di fatti avvenuti con condotta contestata come cessata tre anni prima del giudizio cautelare. Cio’ avrebbe imposto – si leggeva in quella pronuncia – un piu’ penetrante sforzo argomentativo dei giudici del riesame, laddove si consideri che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte di legittimita’, in tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 la sussistenza delle esigenze cautelari, rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo, deve essere desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualita’, in quanto tale fattispecie associativa e’ qualificata unicamente dai reati fine e non postula necessariamente l’esistenza dei requisiti strutturali e delle peculiari connotazioni del vincolo associativo previste per il reato di cui all’articolo 416-bis c.p., di talche’ risulta ad essa inapplicabile la regola di esperienza, elaborata per quest’ultimo, della tendenziale stabilita’ del sodalizio in difetto di elementi contrari attestanti il recesso individuale o lo scioglimento del gruppo (Sez. 6, n. 3096 del 28/12/2017 dep. 2018, Busillo, Rv. 272153). E, sotto tale profilo, gli elementi oggettivi indicati in quel primo provvedimento, in sostanza costituiti, per quanto riguarda la posizione del (OMISSIS), dalla mera circostanza di essere stato controllato in compagnia della (OMISSIS) anche in tempi recenti, non si e’ ritenuto assumessero quella valenza pregnante, quantomeno in termini di attualita’ delle esigenze cautelari, in quanto non univocamente dimostrativi della persistenza del sodalizio, alla luce del rapporto sentimentale esistente tra i due.
Pronunciando quale giudice del rinvio, in data 4/3/2020, il tribunale del riesame partenopeo ha nuovamente confermato l’ordinanza genetica impositiva per (OMISSIS) della custodia cautelare in carcere.
2. Ricorre il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Con un primo motivo il ricorrente deduce inosservanza dell’articolo 627 c.p.p., comma 3 in relazione all’articolo 125 c.p.p., comma 3 e articolo 274 c.p.p. e articolo 292 c.p.p., lettera c) in punto di attualita’ delle esigenze cautelari.
Il giudice del rinvio – ci si duole – avrebbe utilizzato gli stessi “episodi fattuali” ritenuti dalla precedente sentenza di legittimita’ inidonei ad affermare il giudizio di attualita’ e persistenza delle esigenze cautelari.
Si ricorda il dictum della sentenza 6009/20 e, in particolare, il richiamo a Sez. 6 n. 3096/2018, che differenzia le situazioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 e quella di cui all’articolo 416bis c.p. e si lamenta che l’impugnata ordinanza, lungi dal dover solo argomentare in maniera piu’ ampia e dettagliata, avrebbe dovuto opportunamente motivare, colmando il vizio argomentativo cassato in sede di legittimita’, sul punto circa l’attualita’ delle esigenze cautelari, tenendo conto in primis, del lasso di tempo intercorso tra il fatto di reato ed il momento in cui e’ stata emessa ed eseguita l’ordinanza di custodia cautelare; avrebbe, poi dovuto individuare specifici elementi di fatto, diversi da quelli enunciati sinteticamente nella precedente ordinanza, idonei a dimostrare l’attualita’.
Cio’ in quanto la precedente sentenza di legittimita’ aveva espressamente censurato come gli elementi fattuali riportati nel provvedimento cassato (il controllo eseguito il (OMISSIS) di un’auto in cui viaggiavano la (OMISSIS), il (OMISSIS) e tale (OMISSIS); il controllo di polizia della coppia in data (OMISSIS); l’arresto del (OMISSIS) del 6.4.2018; l’arresto del coindagato (OMISSIS) il 7.6.2018; il controllo del figlio del (OMISSIS), a nome (OMISSIS), nei pressi di un bar di (OMISSIS) insieme al (OMISSIS) acquirente di sostanza stupefacente in uno ai rapporti del (OMISSIS) con il clan dei (OMISSIS) e con altre organizzazioni criminali dedite al narcotraffico nonche’ ai contatti con cittadini albanesi dediti allo spaccio) non potessero qualificarsi come “specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne (in ordine all’esigenza cautelare del pericolo di recidiva) l’attualita’”.
Orbene, per il ricorrente il tribunale partenopeo, non uniformandosi al principio di diritto indicato nella sentenza di legittimita’, non avrebbe fatto altro che argomentare in maniera piu’ ampia, nell’ordinanza, oggetto di odierna censura, facendo riferimento agli stessi elementi fattuali, mancando di colmare in concreto il vizio argomentativo – anche sotto il profilo del principio di diritto da applicare alla tipologia di reato associativo – individuato dalla Corte di Cassazione circa l’attualita’ delle esigenze cautelari, essendo i reati fine dell’associazione in questione tutti risalenti all’anno 2016 e non sussistendo circostanze ulteriori e diverse da quelle in precedenza indicate, cui ancorare una attualita’ e permanenza del sodalizio avente riguardo alla specifica posizione del ricorrente.
Ed invero, nuovamente,nell’impugnata ordinanza il tribunale napoletano non avrebbe tenuto conto delle caratteristiche della fattispecie penale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, e dell’indirizzo prevalente espresso dalla giurisprudenza di legittimita’, confermato, inoltre, nella sentenza di annullamento, secondo il quale le esigenze cautelari debbano essere desunte, rispetto a condotte esecutive, del programma associativo – nel caso concreto e per la posizione del (OMISSIS) risalenti nel tempo – da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualita’, risultando inapplicabile la regola di esperienza, elaborata per le associazioni di tipo mafioso.
Al contrario, l’ordinanza impugnata, si limiterebbe a ripercorrere nuovamente, la gravita’ delle condotte poste in essere dall’indagato, ed apoditticamente rappresenterebbe una personalita’ criminale, particolarmente accentuata, nel ricorrente, legata all’assunto che “non sono emersi indici fattuali significativi ne’ di una definitiva dissoluzione dell’organizzazione ne’ di una manifesta sopravvenuta dissociazione dei prevenuti”. cosi’ pervenendo a considerare attuale la sussistenza del sodalizio e la partecipazione del (OMISSIS), che risulterebbe ancora una volta, ancorata alla presunzione operante per il delitto di cui all’articolo 416 bis c.p., ed alla frequentazione dello stesso con la (OMISSIS), sua compagna, agli arresti effettuati nel 2018, rispettivamente del (OMISSIS), il 6/4/2018, e del (OMISSIS) il 7/06/2018, per il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 ed altro; trascurando nuovamente di considerare come i reati fine contestati al (OMISSIS) si fossero arrestati ad epoca antecedente il (OMISSIS) e, successivamente non vi fossero agli atti documentati rapporti con nessuno dei soggetti arresti in epoca recente.
La circostanza, poi, gia’ rappresentata, che nel (OMISSIS) il (OMISSIS) fosse stato fermato ad un controllo insieme alla (OMISSIS) viene ricondotta ad un presunto interesse non univocamente riconducibile ad interessi puramente affettivi, affermazione che per il ricorrente sarebbe assente di qualsiasi ulteriore elemento significativo, e che dunque non consente di poter affermare che vi fosse una attualita’ dell’operativita’ del sodalizio mancando, per vero, elementi di fatto che colleghino il (OMISSIS) con gli arresti, anch’essi riportati nuovamente in ordinanza, come inconfutabili elementi idonei a dimostrare l’attualita’ del pericolo di recidiva, ancorche’ operati nei confronti del (OMISSIS) o del (OMISSIS).
Per vero, in relazione a quest’ultimo soggetto ( (OMISSIS)) si riporterebbero in maniera “suggestiva”, nell’impugnata ordinanza, gli esiti della perquisizione effettuata nel (OMISSIS) nel tentativo di attualizzare il verificarsi di una analoga situazione con l’arresto intervenuto nel 2018, omettendo, pero’, di analizzare come nel libro mastro sequestrato al (OMISSIS) nel 2018 (di cui nell’impugnata ordinanza stranamente non si fa cenno) non vi fosse piu’ il nominativo del (OMISSIS) a riprova, quindi, che ci si trovasse di fronte ad una situazione diversa e non vi fossero “attuali” contatti.
Cosi’ come il controllo del (OMISSIS) insieme al (OMISSIS), non consentirebbe di poter affermarne la partecipazione, attuale, del ricorrente al sodalizio, soprattutto a fronte di elementi indiziari che fotografano l’esistenza di rapporti e di contatti tra i soggetti a cui e’ contestata la condotta associativa fino al (OMISSIS).
Nell’ordinanza impugnata con modalita’ espositiva solo meno sintetica, quindi, si riproporrebbero i medesimi elementi fattuali, tentando di superare il vizio motivazionale solo formalmente ma riproponendo nella sostanza i medesimi elementi di fatto e di diritto oggetto di censura da parte della sentenza di annullamento con rinvio.
Orbene, si lamenta in ricorso che nessuna condotta specifica venga riportata dal tribunale del riesame a sostegno della attualita’ delle esigenze cautelari; le stesse risulterebbero, quindi, ritenute attuali e concrete immotivatamente, in quanto il collegio partenopeo ribadirebbe l’applicabilita’ della regola di esperienza, elaborata per le associazioni di tipo mafioso, della tendenziale stabilita’ del sodalizio, in difetto di elementi contrari attestanti il recesso individuale o lo scioglimento del gruppo, opportunamente censurata dalla sent. 6009/2020 della Terza Sezione penale di questa Corte in sede di annullamento con rinvio. Inoltre, il tribunale napoletano non avrebbe adempiuto all’indicazione della Corte di legittimita’, non motivando in relazione all’ampiezza del lasso di tempo trascorso tra la commissione del fatto ed il momento in cui interviene il giudizio cautelare e ripropone per il (OMISSIS) la medesima motivazione effettuata per la (OMISSIS), omettendo di considerare come nella procedura di riesame originaria fosse stata documentata una circostanza di rilievo e cioe’ che nel (OMISSIS) il (OMISSIS) fosse stato per alcuni mesi ricoverato, circostanza che, lungi dall’essere rilevante solo ai fini di una incompatibilita’ con il carcere, doveva formare oggetto di valutazione in ordine al giudizio circa l’attualita’ delle esigenze ed all’interruzione dei contatti.
Evidenzia il ricorrente che, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra la commissione dei fatti contestati e l’emissione della misura, il giudice ha l’obbligo di motivare puntualmente in ordine alla sussistenza e rilevanza dell’attualita’ delle esigenze cautelari. Infatti, in tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 in presenza di condotte esecutive risalenti nel tempo, la sussistenza delle esigenze cautelari deve essere desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualita’, in quanto il decorso di un arco temporale significativo, nel caso di specie ben oltre tre anni, puo’ essere sintomo di un proporzionale affievolimento del pericolo di reiterazione (il richiamo e’ a Sez. 6 n. 46960/2015). Infatti, anche per i reati per i quali vige la presunzione relativa di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 3 (esistenza delle esigenze cautelari ed adeguatezza della misura cautelare carceraria), la distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare, circostanza tendenzialmente dissonante con l’attualita’ e intensita’ dell’esigenza cautelare, comporta l’obbligo per il giudice di motivare sia in relazione a detta attualita’ sia in relazione alla scelta della misura. Cio’ valendo, in particolare, proprio per il reato di cui all’articolo 74 citato perche’ l’associazione ivi sanzionata non presuppone necessariamente l’esistenza di una struttura organizzativa complessa, essendo, al contrario, una fattispecie aperta, idonea a qualificare in termini di rilevanza penale situazioni fortemente eterogenee, oscillanti dal sodalizio a vocazione transnazionale all’organizzazione del tipo familiare; con la conseguenza che, in un panorama cosi’ variegato, il giudice deve valutare ogni singola fattispecie concreta, ove siano rappresenti elementi idonei, a scalfire la presunzione relativa operante per il reato de quo, ovvero a dimostrare l’insussistenza di esigenze cautelari o la possibilita’ di soddisfarle con misure di minore afflittivita’.
L’interruzione dei contatti con gli altri indagati diversi dalla (OMISSIS), con la quale ancora tutt’oggi ha una relazione sentimentale, per il ricorrente era elemento positivo da valutare anche al fine di applicare una misura cautelare diversa dal carcere.
La motivazione, quindi, sulla sussistenza delle esigenze cautelari, esposta nell’ordinanza censurata, verrebbe ad essere inutilmente “prolissa”, finendo per rendere il provvedimento solo apparentemente motivato non adeguandosi, di fatto al principio giurisprudenziale espresso in sede di annullamento.
Nell’impugnata ordinanza, quindi, mancherebbe ancora una motivazione adeguata che giustifichi l’ipotizzato pericolo di recidiva, in capo al (OMISSIS) non sussistendo, elementi di fatto idonei che concretamente siano idonei a dimostrare l’attualita’ dell’operativita’ del sodalizio, il permanere del vincolo e conseguentemente del pericolo di recidiva.
Ritiene il ricorrente che, alla luce di cio’, sarebbe grandemente violativa dei diritti fondamentali della persona l’applicazione di una misura cautelare che limiti, senza alcun giustificato motivo, essendo assenti le esigenze cautelari, la liberta’ personale del (OMISSIS).
Chiede pertanto che questa Corte annulli l’ordinanza impugnata, con o senza rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
2. Come visto in premessa e come ricorda il ricorrente, con la sentenza n. 6009/20 la Terza Sezione Penale di questa Corte di legittimita’ richiedeva al tribunale del riesame partenopeo un piu’ penetrante sforzo argomentativo, vincolandolo al principio di diritto secondo cui, in tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, la sussistenza delle esigenze cautelari, rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo, deve essere desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualita’, in quanto tale fattispecie associativa e’ qualificata unicamente dai reati fine e non postula necessariamente l’esistenza dei requisiti strutturali e delle peculiari connotazioni del vincolo associativo previste per il reato di cui all’articolo 416-bis c.p., di talche’ risulta ad essa inapplicabile la regola di esperienza, elaborata per quest’ultimo, della tendenziale stabilita’ del sodalizio in difetto di elementi contrari attestanti il recesso individuale o lo scioglimento del gruppo. Sez. 6, n. 3096 del 28/12/2017 dep. 2018, Busillo, Rv. 272153.
Ebbene, tale sforzo argomentativo, ad avviso del Collegio risulta adempiuto congruamente e logicamente.
3. Va ricordato che, nel sistema processualpenalistico vigente, cosi’ come non e’ conferita a questa Corte di legittimita’ alcuna possibilita’ di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ne’ dello spessore degli indizi, non e’ dato nemmeno alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate. Si tratta, infatti, di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui e’ stata chiesta l’applicazione della misura, nonche’, in sede di gravame della stessa, del tribunale del riesame.
Quanto alle esigenze cautelari ed alla loro attualita’, l’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c), come novellato dalla L. n. 47 del 2015 stabilisce, dunque, che le misure cautelari personali possono essere disposte – con riferimento al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede (evenienza ravvisata nel caso in esame) – soltanto quando il pericolo medesimo presenta i caratteri della concretezza e dell’attualita’, ricavabili dalle specifiche modalita’ e circostanze del fatto e dalla personalita’ della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali; con l’ulteriore precisazione – ancora introdotta dalla L. n. 47 del 2015 – per cui le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalita’ dell’imputato, non possono essere comunque desunte esclusivamente dalla gravita’ del titolo di reato per cui si procede.
La ratio dell’intervento legislativo (che, peraltro, investe numerose altre norme di cui allo stesso libro IV, titolo I, da leggere tutte nella medesima ottica) deve esser individuata nell’avvertita necessita’ di richiedere al giudice un maggiore e piu’ compiuto sforzo motivazionale, in materia di misure cautelari personali, quanto all’individuazione delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274 c.p.p., lettera c), in ordine alle quali, quindi, non risulta piu’ sufficiente il requisito della concretezza ma si impone anche quello dell’attualita’. In realta’, relativamente al pericolo di reiterazione, la nuova disposizione non ha fatto altro che codificare lo ius receptum di questa Corte di legittimita’ (cfr. ex multis questa Sez. 4, n. 34271 del 3/7/2007, Cavallari, Rv. 237240; Sez. 2, n. 49453 dell’8/10/2013, Scortichini e altro, Rv. 257974) che aveva ritenuto imprescindibile un giudizio prognostico basato su dati concreti, che ben possono essere tratti dagli aspetti fattuali della vicenda, come dimostra l’incipit dell’articolo 274 cit., lettera c (“specifiche modalita’ e circostanze del fatto”; personalita’ dell’imputato o indagato “desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali”).
Rimane tuttavia valido il principio, anche in precedenza affermato da questa Corte, che il pericolo di reiterazione criminosa vada valutato in ragione delle modalita’ e circostanze del fatto e della personalita’ dell’imputato (cfr. per tutte Sez. 3, n. 14846 del 5/3/2009, Pincheira, Rv. 243464, fattispecie di misura cautelare applicata per il delitto di violenza sessuale ai danni di un minore, in cui la Corte ha annullato per illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione l’ordinanza del tribunale del riesame che, nell’attenuare la misura cautelare, aveva sostenuto che essendo la condotta delittuosa collegata ad un solo soggetto passivo, non appariva verosimile che il reo potesse reiterarla in danno di altre persone).
Piu’ precisamente, la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione dei reati, di cui all’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c), puo’ e deve essere desunta sia dalle specifiche modalita’ e circostanze del fatto, che dalla personalita’ dell’imputato, valutata sulla base dei precedenti penali o dei comportamenti concreti, attraverso una valutazione che, in modo globale, tenga conto di entrambi i criteri direttivi indicati (Sez. 4, n. 37566 del 1/4/2004, Rv. 229141). Ed e’ stato, in piu’ occasioni, anche condivisibilmente sottolineato come nulla impedisca di attribuire alle medesime modalita’ e circostanze di fatto una duplice valenza, sia sotto il profilo della valutazione della gravita’ del fatto, sia sotto il profilo dell’apprezzamento della capacita’ a delinquere. In altri termini, le specifiche modalita’ e circostanze del fatto ben possono essere prese in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosita’ dell’indagato, ove la condotta serbata in occasione di un reato rappresenti un elemento specifico assai significativo per valutare la personalita’ dell’agente (cfr. ex plurimis, Sez. 2 n. 35476/07).
4. Nello specifico, e’ stato piu’ volte affermato come ai fini dell’individuazione dell’esigenza cautelare di cui all’articolo 274 c.p.p., lettera c), il giudice possa porre a base della valutazione della personalita’ dell’indagato le stesse modalita’ del fatto commesso da cui ha dedotto anche la gravita’ del medesimo (Sez. 1 n. 8534 del 9/1/2013, Liuzzi, Rv. 254928; Sez. 5 n. 35265 del 12/3/2013, Castelliti, Rv. 255763). E un recente e condivisibile arresto di questa Corte (Sez. 2, n. 19341 del 21/12/2017 dep. 2018, Musumeci, Rv. 273435) ha chiarito che, in tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 la prognosi di pericolosita’ non si rapporta solo all’operativita’ dell’associazione, ne’ alla data ultima dei reati fine dell’associazione stessa, ma ha ad oggetto la possibile commissione di delitti che siano espressione della medesima professionalita’ e del medesimo grado di inserimento in circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza.
Va anche ricordato che per il reato associativo per cui si procede vige la doppia presunzione ex articolo 275 c.p.p., comma 3 per cui va applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure, e che tale presunzione e’ relativa, ma non risulta contrastata nel caso che ci occupa da alcun elemento introdotto nel procedimento da cui concretamente inferire l’assenza di attualita’ delle esigenze cautelari o la possibilita’ di salvaguardare le stesse con una misura meno afflittiva, l’ordinanza impugnata appare avere assolto al suo onere motivazionale, anche in relazione all’intenso pericolo di recidiva che, come correttamente ravvisato nel provvedimento genetico della misura, si desume ampiamente dalla costante dedizione del (OMISSIS) ad affari illeciti.
Il tribunale partenopeo da’ conto, fino a pag. 31 dell’ordinanza impugnata, del compendio indiziario a carico del (OMISSIS).
Viene evidenziato come la pluralita’ dei soggetti coinvolti, l’accordo criminoso che li unisce, la ripartizione dei compiti e la stabilita’ dell’organizzazione, per la quale tutti gli aderenti risultano operare nella consapevolezza che le attivita’ proprie e altrui ricevano vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscano all’attuazione del programma criminale, siano elementi pacificamente convergenti alfine dell’inquadramento delle condotte accertate nello schema delineato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74.
La valutazione complessiva di tali elementi e di quelli evidenziati nell’ordinanza genetica, induce il collegio partenopeo a ribadire, con specifico riguardo alla posizione del ricorrente (OMISSIS), con motivazione logica, che l’elevato numero di reati fine accertati nei suoi conforti, peraltro neppure contestati nel merito dalla difesa, concorrano e dimostrare il suo rapporto di stabile e organica compenetrazione nel tessuto organizzativo della compagine criminale e il consapevole e volontario contributo prestato, in veste certamente apicale, all’operativita’ del sodalizio e allo sviluppo e sopravvivenza dell’intera organizzazione in vista del conseguimento degli obiettivi, e delle mire espansionistiche comunemente perseguite da lui e dalla (OMISSIS).
In capo all’odierno ricorrente i giudici della cautela individuano argomentatamente quel ruolo di promotore del sodalizio che coagula intorno a se stesso adesioni e consensi partecipativi e che sovrintende costantemente e con poteri decisionali assoluti alla complessiva attivita’ di gestione del traffico di stupefacente. Altrettanto consolidata viene ritenuta la sua adesione e contiguita’ a logiche propriamente camorristiche nel risolvere le questioni pratiche che attengono alla affermazione ed espansione del proprio gruppo criminale, aspetto rafforzato non solo dalle sue esternazioni a proposito della sua ex compagna (OMISSIS), ma anche dalla sollecitazione alla (OMISSIS) di avvalersi concretamente del potere derivante da quei legami di sangue, legami che gli stessi esponenti di rilievo della consorteria (OMISSIS) non esitano a definire prevalenti su chiunque altro. Emblematica in tale senso viene ritenuta la protezione che i capi della fazione (OMISSIS) accordano alla (OMISSIS) nella contesa con la (OMISSIS), preferenza che non avviene certo, secondo il logico argomentare dei giudici napoletani, per l’arresto di quest’ultima o per la relazione sentimentale della ricorrente con (OMISSIS), quanto piuttosto per il fatto che i figli della (OMISSIS) sono reputati “sangue (OMISSIS)” cosa che la rende per cio’ solo meritevole di protezione incondizionata e preferenza in tutte le sue iniziative sia di natura lecita che illecita.
Viena anche rilevato come in tal caso emerga con palmare evidenza come sia proprio (OMISSIS) ad invocare concretamente l’intervento del sodalizio, camorristico per estromettere potenziali contendenti nel settore illecito di cui si sta occupando in quel momento.
Riguardo alla qualifica di organizzatore – ricorda il provvedimento impugnato – essa spetta all’affiliato che, sia pure nell’ambito delle direttive impartite da un vertice, esplica con autonomia la funzione di curare il coordinamento dell’attivita’ degli altri aderenti, l’impiego razionale delle strutture e delle risorse associative, nonche’ di reperire i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso. Ed e’ proprio quello che i giudici partenopei ritengono si riscontri costantemente nelle affermazioni del (OMISSIS) nelle sue interazioni con la (OMISSIS), con i figli o con altri fornitori o venditori al minuto del sodalizio, per come emerso dalla enorme mole di captazioni esaminate.
5. Tanto premesso in ordine al compendio indiziario a carico dell’odierno ricorrente, alle pagg. 32 e ss. viene esaminato il profilo della attualita’ e concretezza delle esigenze cautelari a suo carico, giuste le indicazioni del giudice di legittimita’.
Correttamente viene ricordato che si tratta di una valutazione, alla stregua dei piu’ recenti arresti giurisprudenziali in materia, da intendersi non come imminenza del pericolo di commissione di ulteriori reati, ma come prognosi di commissione di delitti analoghi fondata sul elementi concreti, rivelatori di continuita’ ed effettivita’ del pericolo di reiterazione, prognosi attualizzata nella riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, non meramente ipotetiche ed astratte, ma probabili nel loro vicino verificarsi.
I giudici del riesame ricordano come nel giudizio rescindente (paragrafo 11 della precedente sentenza di legittimita’) sia stata pienamente condivisa la motivazione in merito alla sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso, citando ad emblema proprio una serie di circostanze specificamente orientate sulle persone di (OMISSIS) e (OMISSIS), ossia gli acclarati e radicati rapporti di entrambi con il clan dei (OMISSIS), il fatto che i loro traffici avvenissero su aree territoriali che vedono egemone tale sodalizio camorristico e la protezione accordata dalla (OMISSIS) nella contesa con la (OMISSIS).
I giudici partenopei richiamano la giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ sulla presunzione di adeguatezza ex articolo 275 c.p.p. (conferente in tal senso appare il richiamo a Sez. 3, n. 33037/2015 e Sez. 1, n. 17624/2016) e in punto di necessaria attualita’ delle esigenze cautelari riferibile anche alle ipotesi di obbligatoria custodia in carcere previste dall’articolo 275 c.p.p., comma 3, rispetto alle quali, quindi, la presunzione di esistenza di ragioni cautelari viene vanificata solo qualora sia dimostrata l’inattualita’ di situazioni di pericolo cautelare (Sez. 6, n 12669/2016 e Sez. 3, n. 33051/2016) per affermare che, proprio in ragione della peculiare e preminente posizione associativa di (OMISSIS), e delle modalita’ concrete del suo agire il Tribunale ritiene di dover confermare il giudizio di adeguatezza della sola custodia carceraria.
Viene ricordato come il medesimo tribunale del riesame, gia’ nella precedente ordinanza del 29/7/2019, aveva evidenziato a carico del (OMISSIS) l’emersione di un quadro cautelare notevolmente allarmante, deponendo in tal senso: a. la gravita’ delle condotte poste in essere finalizzate all’acquisizione di guadagni illeciti mediante acquisto, commercializzazione e distribuzione di apprezzabili quantitativi di sostanze stupefacenti di diversa tipologia, avvalendosi di storici e collaudati rapporti di approvvigionamento di droga in Napoli, Caivano e Roma, rapporti di cui sia il (OMISSIS) quanto la (OMISSIS) sembrano avere contezza; b. il radicato e perdurante inserimento nel circuito del narcotraffico in territori storicamente controllati dalla criminalita’ organizzata; d. i rapporti familiari con esponenti apicali del clan dei (OMISSIS)/fazione (OMISSIS) e le cointeressenze con organizzazioni criminali dedite al narco traffico; e. i ruoli primari rivestiti dagli indagati nel sodalizio (segnatamente: (OMISSIS) quale organizzatrice e “garante” della protezione (OMISSIS), (OMISSIS) in posizione di vertice al pari della compagna); f. lo svolgimento di compiti fondamentali per l’esistenza e l’operativita’ dell’associazione, la possibilita’ di poter contare, ancora nell’attualita’, su un’ampia rete di collaboratori e di appoggi logistici per esercitare gli illeciti traffici di stupefacenti; g. il perdurare della struttura associativa anche in epoca successiva alla cessazione dell’attivita’ intercettativi.
I giudici partenopei pongono l’accento sul fatto che si tratta di elementi specifici e caratterizzanti proprio delle condotte della (OMISSIS) e del (OMISSIS) che di tale associazione sono artefici ed insopperibili organizzatori che, in uno alla elevata capacita’ delinquenziale manifestata nelle vicende innanzi descritte e all’assenza di fonti lecite di sostentamento economico, rendono concreto e attuale il pericolo che (OMISSIS), se non sottoposto all’estremo presidio del carcere, possa facilmente ristabilire quei contatti con l’ambiente criminale di appartenenza – che non risultano elisi – e riorganizzare illeciti traffici, in tal modo perseverando nei suoi propositi delittuosi e nel compimento di condotte analoghe a quelle per cui si procede, testimoniati anche dalla sua condizione di recidivo specifico.
Per i giudici del gravame cautelare il rischio di recidiva specifica e d’intensita’ tale da poter essere salvaguardato esclusivamente con la misura cautelare del carcere, l’unica idonea a garantire il definitivo distacco degli indagati dal contesto criminale in cui hanno operato e dai fattori causali dei loro illeciti propositi.
6. L’associazione criminosa di cui al capo a) – si legge ancora nel provvedimento impugnato – ha continuato ad operare almeno sino al (OMISSIS) e non sono emersi indici fattuali significativi ne di una definitiva dissoluzione dell’organizzazione, ne’ di una manifesta e sopravvenuta dissociazione dei prevenuti.
I giudici partenopei, in proposito, rimandano alle piu’ recenti informative acquisite agli atti, citate nelle pagine 120/121 dell’ordinanza genetica, che evidenziano una serie di episodi dimostrativi della perduranza dei rapporti tra gli indagati, che continuano ad operare con modalita’ analoghe a quelle accertate tre anni prima.
I giudici del gravame cautelare – con cio’ confutando molti degli argomenti posti alla base dell’odierno ricorso – chiariscono di non riferirsi soltanto ai controlli di polizia della (OMISSIS) e del (OMISSIS) che, effettivamente, in ragione della perdurante relazione sentimentale tra i due, ben potrebbero non avere significazione univoca (purtuttavia confermando l’ipotesi di una permanente comunanza di interessi tra i due che potrebbe non essere solo puramente affettiva) quanto piuttosto agli arresti piu’ recenti, risalenti al (OMISSIS) e al (OMISSIS) di (OMISSIS) e (OMISSIS) per fatti di droga, che sono caratterizzati da circostanze (cfr. pagg. 35-36 dell’ordinanza impugnata) analoghe a quelle accertate in occasione dell’emersione dalle captazioni di alcuni reati fine-in cui costoro e sono coinvolti con il (OMISSIS) e sono anch’essi coerenti rispetto al ruolo da essi rivestito all’interno del contesto associativo di cui si discute.
Viene poi ricordato (cfr. pag. 36) l’ulteriore episodio che vede, in data (OMISSIS), (OMISSIS), figlio di (OMISSIS) e soggetto deputato allo spaccio al minuto in seno al sodalizio diretto dal padre, controllato dai carabinieri nei pressi del (OMISSIS) in (OMISSIS) di (OMISSIS), insieme a (OMISSIS), consumatore di cocaina ed acquirente di (OMISSIS). Viene riportato in proposito che (OMISSIS) e’ il soggetto coinvolto nella vicenda di cui al capo O (cfr. pag. 99 ordinanza impugnata) e che si tratta di un cocainomane e cliente abituale di (OMISSIS), il quale ha reso dichiarazioni alla PG in data 29/1/2016, nelle quali confermava il senso della captazioni (svoltesi con il linguaggio e le modalita’ tipiche del cd. “spaccio telefonico”) ammettendo la abitualita’ degli acquisti dal (OMISSIS), le cautele adottate da costui nella consegna, la circostanza che tali contatti illeciti avvenissero proprio nei pressi dei vari bar di (OMISSIS) a (OMISSIS).
Questi episodi che – ricorda il tribunale partenopeo – riguardano tutti soggetti operanti in quel contesto organizzato, e hanno giustamente. legittimato, insieme alla constata perduranza di relazioni personali, attestata dai molteplici controlli di polizia, una dilatazione dell’epoca della contestazione associativa di cui al capo A) che non e’ contestata come cessata tre anni prima del giudizio cautelare, bensi’ fino al (OMISSIS).
I giudici partenopei evidenziano come alla cessazione dell’attivita’ captativa (cui si riconnette, quella si’, l’epoca dei reati fine contestati nell’ordinanza genetica di cui si discute) non corrisponde certamente la cessazione di un’attivita’ criminosa che (OMISSIS) e il (OMISSIS) avevano organizzato stabilmente, in maniera programmatica e continuativa, proprio in quanto unica fonte di sostentamento per costoro e per i rispettivi prossimi congiunti che stabilmente vi prendono parte e con i quali essi commentano ogni scelta operativa.
Tale considerazione – secondo la logica motivazione del provvedimento impugnato – e’ vieppiu’ rafforzata dalla mancata constatazione, ne’ deduzione da parte ricorrente, di elementi pregressi, specifici e concreti, di inoperativita’ del sodalizio cosi’ costituito, quali ad esempio lunghe carcerazioni precedenti, scissioni, allontanamenti dal territorio di incidenza criminale o comunque altre manifestazioni concrete di interruzione della radicata collaborazione associativa che si e’ invece riscontrata.
(OMISSIS) – evidenziano i giudici del gravame cautelare – non e’ altro’ che un destinatario della droga commercializzata sul territorio da (OMISSIS) e suo gregario. (OMISSIS) e’ un cliente abituale del (OMISSIS) che, in base alle sue stesse dichiarazioni, non risulta avere altri motivi di contatto con la famiglia (OMISSIS) se non legati al consumo di droga. (OMISSIS) e’ soggetto che coopera stabilmente nell’attivita’ di spaccio con (OMISSIS) e con lui ne ripartisce i proventi (il richiamo e’ alle intercettazioni ambientali nn. 3922, 3091 e 364). E’ definito compagno da (OMISSIS) ed e’ soggetto per i giudici napoletani chiaramente subordinato alla (OMISSIS), che si accolla le spese del suo arresto in flagranza di reato e gli intima, con chiare minacce di ritorsione fisica, di proseguire l’attivita’ senza contattare telefonicamente il (OMISSIS) o i suoi figli per non compromettere la sopravvivenza dell’intero sodalizio.
La valutazione non parcellizzata delle risultanze investigative acquisite consente, secondo la logica e coerente conclusione del provvedimento impugnato, di affermare che il (OMISSIS) rifornisce il (OMISSIS) di stupefacente per la successiva vendita. Ne costituiscono riprova – per i giudici napoletani – gli esiti della perquisizione domiciliare eseguita presso la sua abitazione il (OMISSIS) di cui si da’ articolatamente conto a pag. 37 del provvedimento impugnato (OMISSIS) e’ tratto in arresto per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e sull’agendina rinvenuta erano riportate annotazioni di nominativi e cifre, tra cui rilevano ” (OMISSIS) = 300″, che gli inquirenti riconducono a (OMISSIS) e ” (OMISSIS) 2250 ACCONTO 500+110″, che e’ da attribuire a (OMISSIS), attestante l’esistenza di rapporti economici illeciti tra i due riconducibili all’attivita’ di spaccio emergenze dalle captazioni.
Alle pagg. 37-38 del provvedimento impugnato vengono richiamate e si da’ atto del contenuto delle conversazioni ambientali n. 4471, 4472, 4484, 4486, 5112, 5113, 5115, 7590 che certo non riguardano la relazione tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS), ma una chiara attivita’ delittuosa e concorrono dunque a dimostrare che (OMISSIS) fornisce a (OMISSIS) gli stupefacenti da destinare allo spaccio, ripartendone i proventi.
La lettura sistematica delle intercettazioni non pone dubbi per i giudici partenopei sul fatto che le vicende del (OMISSIS) si inseriscano in un rapporto continuativo e radicato, in virtu’ del quale (OMISSIS) e’ deputato allo spaccio degli stupefacenti fornitigli proprio dal (OMISSIS), come comprovato dalle annotazioni riportate sul libro mastro rinvenuto presso l’abitazione del (OMISSIS) in data (OMISSIS).
Si tratta di considerazioni logicamente ritenute rilevanti non solo sotto il profilo indiziario ma anche per quello cautelare e che legittimano rilievi specificamente orientati sulla valutazione di pericolosita’ e trasgressivita’ del (OMISSIS), fornendo per i giudici del gravame cautelare la dimostrazione concreta della capacita’ propria del (OMISSIS) e dell’intero sodalizio che egli dirige con la (OMISSIS), di organizzarsi e continuare a gestire lo spaccio di droga anche ad onta di perquisizioni ed arresti della polizia giudiziaria dei suoi diretti emissari e collaboratori.
Con motivazione logica e congrua, che appare colmare quel gap motivazionale che aveva indotto i giudici di legittimita’ ad annullare la precedente ordinanza, il tribunale del riesame ritiene che proprio gli arresti di (OMISSIS) e (OMISSIS), soggetti che non risultano avere avuto canali di approvvigionamento alternativo rispetto al monopolio territoriale della coppia (OMISSIS)/ (OMISSIS), cosi’ come le modalita’ e circostanze che caratterizzano il controllo di polizia di (OMISSIS) con (OMISSIS) (la cui frequentazione con (OMISSIS) e’ limitata, alla sola relazione di fornitura), se raccordati e valutati considerando il ruolo meramente esecutivo e subordinato di costoro nell’antecedete contesto di spaccio, sempre organizzato e supervisionato da (OMISSIS) e (OMISSIS), altro non rappresentano che epifenomeni della perdurante operativita’ dell’associazione di cui si discute, se solo si considera che, grazie alla constatata incombenza del clan (OMISSIS) anche sul controllo di quelle attivita’, le loro possibilita’ di approvvigionamento e rivendita di droga in quelle zone non potevano che dipendere dai canali di approvvigionamento gestiti da. (OMISSIS) e (OMISSIS).
7. Ritiene quindi il collegio partenopeo che i fatti cosi’ come accertati sono indicativi di un intenso pericolo di recidiva, aggiungendo a tale proposito che la acclarata ripetitivita’ di condotte illecite in un ristretto arco temporale, la frequenza e rapida espansione dei contatti, la ripresa ad onta dei ripetuti arresti, la manifestata e poi concretamente attuata volonta’ di estendere quanto piu’ possibile la propria zona di appannaggio criminale nel settore della droga, l’enunciato fine di sostentare in tal modo se stesso, e i propri figli, certa della sinergia con la compagna (OMISSIS) e della copertura della temibile consorteria (OMISSIS), sono fatti indicativi non certo di un occasionale ed estemporaneo impeto delinquenziale del (OMISSIS), quanto piuttosto espressione di un costante ed illecito modus operandi del ricorrente, sintomatico di una personalita’ criminale poliedrica e del tutto sprezzante delle elementari regole della convivenza sociale e palesante una chiara predisposizione ad affermarsi nella gestione monopolista dello spaccio di droga nelle zone controllate dalla compagnie (OMISSIS), attraverso l’utilizzo odioso di sistemi di pressione e subdolo costringimento, o addirittura mediante la sollecitazione di violente azioni di rappresaglia.
Ne e’ riprova proprio – e’ la conclusione del provvedimento impugnato – il modo in cui egli agisce avvalendosi della (OMISSIS), del figlio (OMISSIS) o di altri sodali, cercando sempre di non comparire mai in prima persona. Le intercettazioni dimostrano, infatti, come egli si esponga raramente, interagisca con altri sodali o acquirenti avvalendosi della (OMISSIS) o facendosi accompagnare da lei in macchina, interagisce con clienti e sodali incontrandoli mai presso luoghi a lui riferibili bensi’ ad altri sodali, e’ attentissimo nell’uso del cellulare e raccomanda cautela anche nei discorsi che si svolgono in auto, ben conscio del pericolo di intercettazioni ambientali. E’ il vero regista delle iniziative delle (OMISSIS)- che puntualmente riferisce a lui degli incontri avuti con i (OMISSIS) a proposito dei loro traffici di droga, raccomanda a tutti di non dare mai il suo numero di telefono.
La gravita’ dei fatti di reato, la particolare abilita’ e scaltrezza dimostrate nel gestire gli illeciti traffici e nell’eludere i controlli da parte delle forze dell’ordine, la trasgressivita’ manifestata, i rapporti con il clan dei (OMISSIS) ed altre organizzazioni criminali dedite al narcotraffico, la condizione di recidivo specifico escludono percio’, secondo la logica conclusione dei giudici del riesame, la possibilita’ di formulare un giudizio prognostico favorevole sull’osservanza di presidi coercitivi diversi dal carcere. In particolare gli arresti domiciliari, anche laddove per l’esecuzione sia scelto un luogo distante e diverso da quello in cui si sono svolti i fatti di reato, vengono ritenuti inidonei in quanto l’effetto restrittivo della liberta’ personale conseguente all’applicazione della misura e’ rimesso essenzialmente alla personale capacita’ di determinazione e controllo del soggetto che vi e’ sottoposto, requisito non ravvisabile in capo al prevenuta in ragione dei fattori oggettivi e soggetti sopra rappresentati. Ulteriore ragione di inadeguatezza della misura meno afflittiva viene individuato nella stessa tipologia e concreta conformazione dei reati oggetto del titolo cautelare, rispetto cui il regime detentivo domiciliare, ancorche’ rafforzato dall’impiego di strumenti di controllo elettronici o dai divieti di comunicazione con persone diverse dai familiari conviventi, non e’ in grado di impedirne in modo assoluto la reiterazione, comunque attuabile attraverso forme, anche indirette e/o a distanza, di gestione, approvvigionamento e spaccio, come peraltro si e’ gia’ avuto modo di riscontrare a proposito della vicenda del (OMISSIS).
8. Tale motivazione fa buon governo del costante dictum di questa Corte di legittimita’ secondo cui, di fronte a reati quale quello che ci occupa, vi e’ un piu’ intenso obbligo di motivazione sul punto del giudice della cautela solo quando l’indagato abbia dedotto elementi idonei a dimostrare l’insussistenza di esigenze cautelari o la possibilita’ di tutelare le stesse con altre misure (cosi’ questa Sez. 4, n. 21086 del 6.4.2018, Morabito, non mass., che richiama le conformi Sez. 1, n. 30734 del 09/01/2013, Scarfo, Rv. 25638801; Sez. 1, n. 29530 del 27/06/2013, De Cario, Rv. 25663401). In altra condivisibile pronuncia, ancora piu’ eloquentemente, si e’ affermato – e va qui ribadito – che, in tema di custodia cautelare in carcere, la contestazione dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 determina una presunzione relativa di concretezza ed attualita’ del pericolo di recidiva, superabile solo dalla prova, offerta dall’interessato, di elementi da cui desumere l’affievolimento o la cessazione di ogni esigenza cautelare, sicche’, in difetto di detta prova, l’onere motivazionale incombente sul giudice ai sensi dell’articolo 274 c.p.p. deve ritenersi rispettato mediante il semplice riferimento alla mancanza di elementi positivamente valutabili nel senso di un’attenuazione delle esigenze di prevenzione (Sez. 2, n. 3105 del 22/12/2016 dep. 2017, Puca, Rv. 269112; conf. Sez. 2, Sentenza n. 4951 del 12/01/2016, Soleti, Rv. 266152).
Va ricordato in tal senso anche l’arresto giurisprudenziale costituito da Sez. 2, n. 19341 del 21/12/2017, Rv. 273434 che ha precisato come, in tema di misure coercitive, quando si procede per un delitto per il quale opera una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura carceraria, ai fini della prova contraria, occorrono elementi idonei ad escludere la sussistenza di ragionevoli dubbi posto che la presunzione detta un criterio da applicarsi proprio in caso di incertezza; ne deriva che, per giungere al superamento di tale presunzione, il tempo trascorso tra i fatti per cui si procede e l’esecuzione della misura, pur valutabile, deve essere tale da consentire il superamento della situazione di dubbio.
9. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Vanno dati gli avvisi di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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