Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|2 settembre 2022| n. 25971.
In tema di impugnazioni: il motivo
In tema di impugnazioni, il motivo è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.
Ordinanza|2 settembre 2022| n. 25971. In tema di impugnazioni: il motivo
Data udienza 7 giugno 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Locazione – Pagamento del canone – Ricorso per cassazione – Mancato deposito della relata di notifica della sentenza in copia autentica – Improcedibilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12988/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS) S.r.l., rappresentata e difesa dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), con domicilio eletto presso il loro studio in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano ope legis in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila, n. 318/2019 depositata il 21 febbraio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 giugno 2022 dal Consigliere Iannello Emilio.
In tema di impugnazioni: il motivo
FATTI DI CAUSA
1. La (OMISSIS) s.r.l. chiese e ottenne dal Tribunale di L’Aquila l’emissione di decreto ingiuntivo nei confronti dell’ (OMISSIS) per il pagamento l’importo di Euro 1.832.407,22, preteso a titolo di c.d. “quota B” del canone pattuito per la locazione di immobile: quota riferita al costo dei lavori che la stessa (OMISSIS) si era impegnata ad eseguire per rendere l’immobile, ad originaria destinazione industriale, idoneo allo svolgimento dell’attivita’ didattica, essendo rimasta l’Universita’ priva della propria sede, a seguito del sisma del 2009.
L’Universita’ propose opposizione, eccependo di aver gia’ corrisposto quanto dovuto per la detta causale con il pagamento dell’importo di Euro 1.538.653,40 e di null’altro dovere.
Il Tribunale accolse parzialmente l’opposizione e, per l’effetto, revocato il decreto ingiuntivo, condanno’ l’Universita’ al pagamento, in favore della opposta, del solo importo di Euro 40.608,70, pari alla differenza tra quanto ritenne effettivamente dovuto per la detta causale e quanto corrisposto dall’Universita’.
2. La (OMISSIS) s.r.l. interpose gravame, dolendosi della quantificazione operata dal primo giudice dell’importo dovuto a titolo di “quota B” ed assumendo che questa invece ammontasse ad Euro 3.371.060,62, al lordo dei gia’ ricevuti Euro 1.538.653,40, donde l’insistita pretesa del residuo importo di Euro 1.832.407,22.
In tema di impugnazioni: il motivo
3. Con sentenza n. 318/2019, depositata il 21 febbraio 2019, la Corte d’appello di L’Aquila ha rigettato l’impugnazione, condannando l’appellante alle spese del grado.
Ha ritenuto infatti che la quantificazione operata col primo giudice correttamente traesse fondamento da vincolante giudicato esterno maturato sulla sentenza con cui la stessa Corte aveva deciso precedente controversia trilatera che aveva visto la stessa (OMISSIS), da un lato, e il Consorzio, dall’altro, contrapposti all’Universita’.
3.1. Si premette al riguardo in sentenza che:
– il contratto di locazione fu stipulato in pendenza di controversia, tra la (OMISSIS) e il Consorzio per lo Sviluppo Industriale di L’Aquila, sulla proprieta’ dell’immobile e che, per tal motivo, il canone venne articolato in due quote: una quota A, per Euro 1.242.528,00 annui per la locazione dell’immobile nelle sue caratteristiche di uso generale; una quota B, per Euro 699.392,04 annui e per quattro anni, per il recupero delle spese che la parte locatrice avrebbe sopportato per l’adattamento dell’immobile alle specifiche esigenze dell’universita’, con l’avvertenza che “per queste spese, anticipate totalmente dal Conduttore, il Locatore fornira’ al Conduttore, a giustificazione della spesa, il computo metrico estimativo dell’intervento e le planimetrie del locale capannone con la trasformazione in aule…”;
– con separata coeva scrittura tra la (OMISSIS) e il Consorzio si previde che, in caso di soccombenza della (OMISSIS) nella controversia relativa alla proprieta’ dell’immobile, la societa’ avrebbe avuto comunque diritto a riscuotere i canoni di locazione fino a concorrenza dei costi dei lavori eseguiti per l’adeguamento dell’immobile (ritenuti congrui dall’Ufficio tecnico del Consorzio) ed avrebbe dovuto restituire al Consorzio le somme riscosse in eccedenza a titolo di locazione;
– sorta controversia tra i tre enti sulla spettanza dei canoni maturati fino a una certa data, nel separato pregresso giudizio al riguardo promosso dall’Universita’, il Tribunale di L’Aquila, rilevato che nel frattempo era stata giudizialmente accertata la proprieta’ dell’immobile in capo al Consorzio, stabili’, per quanto in questa sede rileva, che l’importo maturato quale “quota B” era, per come accertato dai tecnici del Consorzio, di Euro 999.903,16, ampiamente coperto da quanto gia’ corrisposto a tal titolo alla (OMISSIS), che condanno’ pertanto a restituire all’Universita’ l’importo eccedente;
– interposto gravame dalla (OMISSIS), l’Universita’ ne chiese il rigetto instando in subordine (per l’ipotesi di mancato riconoscimento della vincolativita’ della quantificazione operata dal Consorzio in merito al valore dei lavori effettuati dalla (OMISSIS)) di accertare, anche a mezzo di una espletanda c.t.u., che, con specifico riferimento alla quota B del canone, l’Universita’ era debitrice nei confronti della (OMISSIS) s.r.l. della sola somma di Euro 999.903,16, con conseguente condanna della (OMISSIS) alla restituzione delle somme indebitamente percepite a tale titolo;
In tema di impugnazioni: il motivo
– con sentenza n. 240/15 la Corte d’appello accolse parzialmente l’appello principale e rigetto’ quello incidentale dell’Universita’ ritenendo non condivisibile la quantificazione dei lavori operata dal tribunale in quanto erroneamente fondata, esclusivamente, sulle conclusioni rassegnate dai periti del Consorzio, ritenute: a) non vincolanti nei rapporti tra la (OMISSIS) e l’Universita’; b) in contrasto con le previsioni del contratto e della scrittura privata; c) in contrasto con la stima dei lavori effettuati dalla stessa Universita’;
– tale sentenza ricevette l’avallo della S.C. che respinse i ricorsi contro di essa proposta.
3.2. Cio’ premesso e passando ad esaminare i motivi di gravame (con i quali la (OMISSIS) aveva dedotto che dal giudicato formatosi nel pregresso giudizio avrebbe dovuto desumersi l’accertamento definitivo della dovutezza della quota B nell’ammontare stabilito in contratto e non invece in quello apoditticamente indicato, senza riscontro documentale, dalla stessa Universita’, pari ad Euro 1.579.262,10) la sentenza ne afferma l’infondatezza poiche’ “ancorati ad una lettura parziale della sentenza della Corte d’Appello” oltre che “contraddittoria, giacche’ da una parte si afferma il valore di giudicato di detta sentenza, dall’altra si stigmatizza che il giudice di primo grado non abbia compiuto una verifica che non era di sua pertinenza a fronte di una sentenza passata in giudicato”. Nega inoltre che l’accertamento contenuto in quella sentenza sia privo di basi documentali e fondato solo sull’affermazione dell’Universita’.
In tema di impugnazioni: il motivo
Per dare concretezza a tale affermazione la sentenza riporta testualmente (alle pagg. 6-7) un ampio stralcio della pregressa pronuncia fonte del giudicato (nella quale tra l’altro si sottolinea che, per contratto, “la verifica circa la corretta esecuzione e contabilizzazione… (delle) opere edilizie, nel rapporto tra locatore e conduttore,… e’ rimessa… alla verifica tecnica dello stesso Ateneo, come si evince dal tenore testuale dell’articolo 5 del contratto”), per chiosare, infine, che la sentenza della Cassazione ha dato atto che il motivo proposto dalla (OMISSIS) si fondava sull’erroneo presupposto che la Corte territoriale avesse dichiarato dovuto l’importo originariamente previsto in contratto quale quota B del canone (e cioe’ quello preteso dalla (OMISSIS) anche in questa sede con il ricorso monitorio), mentre il secondo giudice aveva fatto riferimento all’importo riconosciuto congruo dai tecnici dell’Universita’, e che pertanto veniva confermato che la (OMISSIS) aveva diritto ad un importo per i lavori eseguiti pari alla somma stimata congrua dai tecnici dell’Universita’, per Euro 1.579.262,10, iva inclusa”.
4. Avverso tale decisione la (OMISSIS) propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste, con controricorso, l’ (OMISSIS).
5. La trattazione e’ stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c..
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni con cui ha chiesto rigettarsi il ricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli articoli 112 e 113 c.p.c. e degli articoli 2909 e 1587 c.c..
Sostiene che, contrariamente a quanto supposto dalla Corte abruzzese, nel giudizio definito dalla sentenza n. 240/2015, poi confermata dalla S.C. con ordinanza n. 19500 del 2017, non era stato ne’ richiesto dalle parti, ne’ accertato, ne’, quindi, statuito che i lavori eseguiti ammontassero alla somma suindicata, sicche’ non e’ possibile ritenere che si sia formato il giudicato sull’ammontare di detti lavori.
Osserva che in tanto puo’ parlarsi di giudicato, e di effetto preclusivo dello stesso, in quanto effettivamente vi sia stata una statuizione e che, pero’, nella specie, in nessuno dei giudizi, ne’ tanto meno in quello che giunge ora al vaglio di legittimita’, tale statuizione e’ mai stata pronunciata, ne’ tanto meno si e’ proceduto a determinare e quantificare l’ammontare dei lavori realizzati dalla (OMISSIS).
Espone, quindi, nei seguenti termini lo svolgimento del pregresso giudizio a conclusione del quale si e’ formato il controverso giudicato:
1. con ordinanza in data 13 giugno 2012 il Tribunale, definendo in sede di reclamo il procedimento iniziato con il ricorso per sequestro liberatorio presentato dall’Universita’ dell’Aquila, rigettava il reclamo medesimo (proposto dal Consorzio per lo Sviluppo Industriale di L’Aquila) e, in accoglimento dell’istanza dell’Universita’, disponeva il sequestro liberatorio anche sulle somme dovute a titolo di quota B scadute e mai corrisposte;
2. introducendo il susseguente giudizio di merito, l’Universita’ chiedeva, per quanto qui interessa, relativamente alla quota B, di determinarla in Euro 999.903,16, condannando la (OMISSIS) alla restituzione della maggiore somma gia’ ad essa corrisposta;
3. tali domande erano accolte dal tribunale;
4. (OMISSIS) proponeva appello, deducendo, che l’Universita’ aveva ricevuto, al termine dei lavori, l’immobile senza operare alcuna contestazione circa l’incompletezza degli stessi, o il loro ammontare;
5. l’Universita’ vi resisteva e chiedeva, in subordine, spiegando sul punto “per quanto occorrer possa” appello incidentale condizionato, che venisse comunque accertata la rea e esecuzione ed il reale valore dei lavori eseguiti, nonche’ la loro riconducibilita’ alla quota B;
6. con sentenza n. 240 del 2015 la Corte d’appello cosi’ statuiva: “a) in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dalla societa’ (OMISSIS) s.r.l. ed in parziale riforma della sentenza impugnata, rigetta la seconda domanda proposta in primo grado dall’ (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) s.r.l. per la riduzione della quota B del canone di locazione e, per l’effetto, rigetta l’appello incidentale condizionato proposto dalla predetta Universita’”;
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7. l’Universita’ impugnava tale statuizione con ricorso per cassazione, in via incidentale, chiedendo alla S.C. di cassare la sentenza d’appello nel capo in cui questa aveva “contraddittoriamente ed implicitamente affermato che la quota B del canone di locazione spettante alla (OMISSIS) s.r.l. rimane pari alla somma originariamente pattuita (Euro 2.797.568,16) e non doveva essere ridotta alla minore somma congruita dall’ (OMISSIS)”;
8. con ordinanza n. 19500 del 2017, la Cassazione respingeva sia il ricorso principale della (OMISSIS) (proposto in relazione a capi della sentenza di appello che qui non vengono in rilievo), sia il ricorso incidentale dell’Universita’.
Sulla base di tali premesse l’odierna ricorrente afferma che “e’ del tutto evidente, che il giudicato formatosi con la reiezione del ricorso incidentale dell’Universita’ rende definitivo l’obbligo per quest’ultima di corrispondere l’intera somma pattuita, con il contratto, per la “quota B” del canone.
In ogni caso il giudicato consente di escludere che sia mai stato stabilito, dalle decisioni sopra richiamate, che l’ammontare della “quota B” e’ pari alla somma di Euro 1.579.262,10 indicata dall’Universita’, essendo mancato qualsiasi accertamento sul punto, ed essendo in particolare stata disattesa la domanda, specificamente proposta dall’Ateneo”.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli articoli 92 e 93 c.p.c..
Lamenta che la Corte d’appello, ponendo a suo carico le spese del grado, ha violato il principio secondo cui il giudice, nel regolare le spese di lite, non deve liquidarle con riferimento a ciascuna fase, bensi’ in relazione alle risultanze finali della controversia.
Evidenzia che, nel caso di specie, all’esito del doppio grado la soc. (OMISSIS) e’ risultata comunque creditrice della somma di circa Euro 40.000 liquidata a suo favore dalla sentenza di primo grado, che ha definito il giudizio di opposizione, per cui la statuizione di condanna alle spese da parte del giudice dell’appello risulta non conforme all’esito complessivo della lite e particolarmente punitiva nei confronti della odierna ricorrente.
3. E’ pregiudiziale – in quanto attinente alla procedibilita’ del ricorso – il rilievo del mancato deposito, da parte della ricorrente, unitamente a copia autentica della sentenza impugnata, della relata della notificazione (che si afferma, in ricorso, essere stata effettuata a mezzo p.e.c. in data 25 febbraio 2019), in violazione dell’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2.
La ricorrente afferma, in calce al ricorso, di produrre copia della sentenza “notificata” in allegato al ricorso sub lettera B.
In tema di impugnazioni: il motivo
Il Collegio ha proceduto alla verifica degli atti presenti nel fascicolo della ricorrente, ma vi ha rinvenuto solo, per l’appunto, sub allegato B, la copia della sentenza impugnata con attestazione di conformita’ alla copia estratta dal fascicolo informatico, ma non anche alcuna relata della notifica.
Ne’ alcuna documentazione al riguardo risulta prodotta dall’amministrazione resistente.
Ancora in punto di fatto va rimarcato che la notifica del ricorso e’ stata effettuata in data 26 aprile 2019, oltre 60 giorni dopo la data di pubblicazione della sentenza (21 febbraio 2019).
4. In tale contesto va dichiarata l’improcedibilita’ del ricorso per le ragioni qui di seguito esposte.
4.1. Secondo il tradizionale e consolidato orientamento di questa Corte, “la previsione – di cui all’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2, – dell’onere di deposito a pena di improcedibilita’, entro il termine di cui al comma 1 della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, e’ funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione – a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestivita’ dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, e’ esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve. Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli e’ stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilita’ soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell’articolo 372 c.p.c., comma 2, applicabile estensivamente, purche’ entro il termine di cui all’articolo 369 c.p.c., comma 1, e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestivita’ dell’impugnazione” (Cass. Sez. U. n. 9005 del 16/04/2009; conff., ex multis, Cass. n. 11376 del 11/05/2010; Cass. n. 25070 del 10/12/2010; Cass. n. 1443 del 27/01/2015).
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4.2. Con successiva sentenza le Sezioni Unite hanno temperato la portata del predetto principio, osservando che: “deve escludersi la possibilita’ di applicazione della sanzione della improcedibilita’, ex articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2, al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilita’ del giudice perche’ prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio” (Cass. Sez. U. n. 10648 del 02/05/2017).
4.3. E’ stato peraltro ulteriormente precisato che, in mancanza del fascicolo di ufficio di cui pure risulti chiesta l’acquisizione, deve comunque dichiararsi l’improcedibilita’, posto che l’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2, prevede tale sanzione per l’omesso deposito in parola ad opera della parte, senza che possano dilatarsi irragionevolmente i tempi processuali per una carenza comunque imputabile alla stessa, e anche atteso che non e’ previsto, al di fuori di ipotesi eccezionali, qui non dedotte, che nel fascicolo d’ufficio debba inserirsi copia della relata di notifica, trattandosi di attivita’ che non avviene su iniziativa dell’ufficio e che interviene in un momento successivo alla definizione del giudizio (Cass. 31/05/2018, n. 13751; 15/09/2017, n. 21386).
4.4. Alla luce di tali interventi l’orientamento in questione puo’ cosi’ essere riassunto:
a) l’articolo 369 c.p.c. non consente di distinguere tra deposito della sentenza impugnata e deposito della relazione di notificazione, con la conseguenza che anche la mancanza di uno solo dei due documenti determina l’improcedibilita’ del ricorso;
b) l’improcedibilita’ puo’ essere evitata se il deposito del documento mancante avviene in un momento successivo, purche’ entro il termine di venti giorni dalla notifica del ricorso per cassazione;
c) l’improcedibilita’ non puo’ invece essere evitata allorquando il deposito avvenga oltre detto termine, in quanto consentire il recupero dell’omissione mediante la produzione a tempo indeterminato con lo strumento dell’articolo 372 c.p.c., vanificherebbe il senso del duplice adempimento del meccanismo processuale;
d) la sanzione della improcedibilita’ non e’ applicabile quando il documento mancante sia nella disponibilita’ del giudice perche’ prodotto dalla controparte o perche’ presente nel fascicolo d’ufficio acquisito su istanza della parte (senza che, pero’, ove tale fascicolo manchi, ancorche’ richiesto, se ne debba attendere l’acquisizione);
e) l’improcedibilita’ non sussiste quando il ricorso per cassazione risulta notificato prima della scadenza dei sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza e quindi nel rispetto del termine breve per l’impugnazione, perche’ in tal caso perde rilievo la data della notifica del provvedimento impugnato (Cass. n. 17066 del 10/07/2013).
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4.5. Tale indirizzo non e’ messo in discussione, anzi e’ confermato, da due successive pronunce delle Sezioni Unite, l’una in materia di ricorso per cassazione notificato a mezzo posta elettronica certificata (p.e.c.) e depositato in copia analogica non autenticata dal difensore di parte ricorrente (Cass. Sez. U. n. 22438 del 24/09/2018) e l’altra in materia di notifica della sentenza impugnata in formato digitale e deposito della copia notificata da parte del ricorrente senza attestazione di conformita’ all’originale (Cass. Sez. U. n. 8312 del 25/03/2019).
Invero, dette sentenze hanno chiaramente ribadito la validita’ del tradizionale orientamento della S.C., operando unicamente un temperamento della rigorosita’ dello stesso nel caso di ricorso o di sentenza impugnata notificati a mezzo p.e.c..
In tali ipotesi, infatti, le Sezioni Unite hanno attribuito rilievo alla mancata contestazione di controparte, giustificando tale scelta in ragione del fatto che il controricorrente: a) e’ il destinatario della notificazione dell’unico originale formato digitalmente (atto notificato come documento informatico nativo digitale), sicche’ e’ perfettamente in grado di verificare la conformita’ del ricorso depositato a quello in suo possesso.; b) e’ il soggetto che ha effettuato la notifica in forma digitale della sentenza impugnata, sicche’ e’ perfettamente in grado di verificare l’effettivita’ della data di notificazione della sentenza impugnata depositata in copia non autentica.
4.6. E’ dunque evidente che, in entrambi i casi, cio’ che viene sanato dalla non contestazione della parte controricorrente e’ la mancata attestazione di conformita’ della copia notificata del ricorso o della sentenza impugnata depositata dal ricorrente; e cio’ rispetto ad atti che risultano in ogni caso depositati in giudizio, sebbene privi dell’attestazione di conformita’, e che la parte con. troricorrente ha ricevuto in originale (ricorso) o ha provveduto a notificare telematicamente (sentenza impugnata).
4.7. L’orientamento tradizionale mantiene, invece, la propria validita’ con riferimento alle forme di notifica non telematiche.
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5. Con specifico riferimento al caso di specie, pertanto, la Corte andava posta nelle condizioni di determinare ex actis – e, dunque, attraverso il deposito di copia autentica della sentenza impugnata munita della relata di notificazione – la data di effettiva notifica della menzionata sentenza, onde autonomamente verificare la tempestivita’ dell’impugnazione, senza che possa supplire al difetto di produzione la mancata contestazione della parte controricorrente, che – come noto – puo’ riguardare esclusivamente i fatti e non anche le vicende processuali.
6. Dall’esame del fascicolo di causa, come detto (v. supra § 3), si evince che la ricorrente non ha depositato, nel termine previsto dalla legge (venti giorni dalla notificazione del ricorso ai sensi dell’articolo 369 c.p.c., comma 1), e, peraltro, nemmeno dopo, la copia della sentenza impugnata munita della relata di notifica.
Inoltre, il ricorso e’ stato notificato a mezzo posta solo in data 26 aprile 2019, sicche’ a quella data era gia’ decorso il termine breve di impugnazione (sessanta giorni) dalla data di deposito della sentenza impugnata (avvenuto il 21 febbraio 2019) e non puo’ pertanto invocarsi la c.d. prova di resistenza (v. Cass. 10/07/2013, n. 17066).
7. Puo’ comunque rilevarsi che, ove il ricorso non fosse stato improcedibile, sarebbe andato incontro a pronuncia di rigetto.
8. Il primo motivo e’ infatti inammissibile, sotto diversi profili.
8.1. Va rammentato anzitutto che, come questa Corte ha piu’ volte chiarito, nel giudizio di legittimita’, il principio della rilevabilita’ del giudicato esterno va coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso; pertanto, la parte ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato deve, a pena d’inammissibilita’ del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione (v. ex multis Cass. n. 15737 del 23/06/2017; n. 13988 del 31/05/2018; n. 1398 del 22/01/2021).
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L’esposto principio non puo’ non declinarsi, negli stessi termini, anche nel caso inverso, ma corrispondente, nel quale il ricorrente assuma – come nella specie – l’insussistenza della preclusione da giudicato esterna, invece predicata dalla sentenza d’appello (v. in tal senso Cass. n. 17310 del 19/08/2020).
Nel caso in esame il Collegio non e’ stato messo in condizione di conoscere il contenuto delle statuizioni irrevocabili intervenute fra le parti e non puo’ pertanto vagliare la prospettata insussistenza della preclusione.
La ricorrente, infatti, lungi dal trascrivere il testo della sentenza -almeno nella parte rilevante per evidenziare l’insussistenza del giudicato esterno – viene riprodotta d’appello da cui la sentenza in questa sede impugnata ha motivatamente desunto il giudicato vincolante, omette di fornirne alcuna sia pur parziale trascrizione, pur diffondendosi per molte pagine nel riferire, invece, ed anche trascrivere, il contenuto di molti degli atti di parte che a quel giudizio hanno condotto.
8.2. L’articolo 366 c.p.c., n. 6 e’ peraltro violato anche con riferimento alle argomentazioni che si appoggiano, nel quadro dello svolgimento dell’illustrazione del motivo, alla sentenza di primo grado e all’appello della (OMISSIS), nonche’, in generale rispetto alla narrazione dell’intera complessa vicenda, che e’ fatta in maniera tale da delegare a questa Corte di ricercare negli atti indicati che cosa sorreggerebbe la riassuntiva prospettazione della ricorrente, la quale solo con la trascrizione dell’appello incidentale dell’Universita’ adempie agli oneri riproduttivi, ma senza che tale trascrizione possa porre rimedio alle insufficienze pregresse.
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8.3. In connessione con il primo dei suesposti rilievi si rende palese anche altro motivo di inammissibilita’.
Come sopra s’e’ detto, e’ la sentenza impugnata a farsi invece carico di una ricognizione del contenuto della sentenza passata in giudicato, trascritto anche per esteso nella parte rilevante, e ad argomentare, sulla base della stessa, le ragioni del convincimento espresso circa l’esistenza di un accertamento vincolante secondo cui l’importo esigibile quale quota B da parte della (OMISSIS) fosse esattamente quello di Euro 1.579.262,10 indicato dall’Universita’ e ad evidenziarne l’irretrattabilita’, in difetto di impugnazione, anche alla luce di quanto al riguardo affermato da questa Corte con la richiamata ordinanza n. 19500 del 2017.
Di tale motivazione la ricorrente non si fa carico, limitandosi ad una mera asserzione contraria.
A tale affermazione non e’ dunque riconoscibile la consistenza di un motivo di impugnazione.
Devesi al riguardo richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione e’ rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo e’ regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione e’ erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale puo’ considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali e’ esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa e’ errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneita’ al raggiungimento dello scopo.
In tema di impugnazioni: il motivo
In riferimento al ricorso per cassazione tale nullita’, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, e’ espressamente sanzionata con l’inammissibilita’ ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., n. 4 (Cass. 11/01/2005, n. 359; v. anche ex aliis Cass. Sez. U. 20/03/2017, n. 7074, in motivazione, non massimata sul punto; Id. 05/08/2016, n. 16598; Id. 03/11/2016, n. 22226; Cass. 15/04/2021, n. 9951; 05/07/2019, n. 18066; 13/03/2009, n. 6184; 10/03/2006, n. 5244; 04/03/2005, n. 4741).
9. Il secondo motivo e’ manifestamente infondato.
In tema di spese processuali, il principio secondo cui la valutazione della soccombenza va compiuta con riferimento all’esito finale della lite trova applicazione quando la causa abbia percorso, con alterne vicende, piu’ gradi del giudizio (cfr. Cass. n. 2149 del 26/03/1983).
Nel caso di specie tale fenomeno non si verifica.
In primo grado l’odierna ricorrente era risultata parzialmente vittoriosa, per importo peraltro di gran lunga inferiore a quello da essa richiesto; cio’ significa che invece era soccombente per la parte, ben maggiore, eccedente.
Il regolamento delle spese di quel grado non e’ riferito nella presente sede e comunque non e’ stato fatto oggetto di impugnazione.
Per la parte in cui la societa’ risulto’, in quel grado, soccombente, essa ha proposto gravame, che e’ stato interamente rigettato.
E’ solo per quella parte che la lite e’ proseguita in appello.
L’esito dell’impugnazione evidenzia una integrale soccombenza della societa’ appellante. Tale soccombenza si pone in continuita’ con quella che, per tale stessa parte, era emersa gia’ in primo grado. Nel merito, per tale parte della lite, non vi e’ stata alcuna alternanza decisoria.
In tema di impugnazioni: il motivo
Il principio di causalita’ rende dunque apprezzabile, nel grado di appello, una integrale e persistente soccombenza della societa’, sicche’ pienamente corretta, in iure, deve ritenersi la statuizione sul punto adottata dalla corte di merito.
10. Il ricorso deve essere in conclusione dichiarato improcedibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
11. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’articolo 1-bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
dichiara improcedibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 10.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
In tema di impugnazioni: il motivo
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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