Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 21 aprile 2016, n. 16585
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza deliberata il 21 maggio 2015 la Corte di assise di appello di Napoli confermava quella pronunciata il 17 luglio 2014, all’esito di giudizio abbreviato, dal GUP del tribunale della stessa sede a carico di M.L. , giudicato colpevole del reato di cui all’art. 575 c.p. perché, alla guida di una autovettura Smart, postosi all’inseguimento del ciclomotore con a bordo S.E. e R.A. , riconosciuti come complici della rapina a mano armata subita poco prima mentre si trovava in compagnia della compagna, rapina che aveva fruttato ai rapinatori un telefono cellulare di marca, volontariamente cagionava un impatto col predetto ciclomotore cagionando la violenta caduta al suolo dei due trasportati i quali, per questo, subivano lesioni politraumatiche che ne cagionavano la morte; in (…), tra le ore due e le ore tre del (omissis).
A sostegno della decisione i giudici di merito ponevano innanzitutto le immagini registrate da apparecchi di videosorveglianza installati nella zona, le dichiarazioni rese nell’immediatezza dei fatti dall’imputato e dalla sua compagna, gli accertamenti di polizia eseguiti sui luoghi dell’impatto tra i due mezzi, gli esiti di intercettazioni ambientali presso la caserma dei CC.. Valutando siffatte acquisizioni istruttorie i giudici di merito ricostruivano quindi i fatti di causa come segue: la notte del 10 agosto 2013 l’imputato e la sua compagna si intrattenevano in intimità presso un parco cittadino, quando subirono una rapina a mano armata da parte di due giovani, uno dei quali armato di pistola, rapina compendiatasi nella consegna ai malviventi di un cellulare di marca; i due giovani erano a bordo di un motociclo ed agivano mentre altri due giovani, a bordo di altro motociclo, fungevano da palo; la dinamica della rapina e le relative modalità sono quelle riferite dal prevenuto e dalla sua compagna e non hanno trovato altro riscontro; nel corso della stessa serata, poco dopo le 2,35, come attestato dalle varie telecamere di videosorveglianza poste sul tragitto, la autovettura Smart, poco dopo l’incrocio con via (…), incrociava il motociclo con a bordo le due vittime, riconosciute dalla donna come quelle che avevano svolto funzioni di palo nella precedente rapina, ed eseguiva una immediata manovra di inversione di marcia ponendosi all’inseguimento del motociclo detto; l’inseguimento si protraeva per circa tre chilometri e le varie telecamere poste sulla strada percorsa dai due veicoli mostrano il lento ma continuo avvicinarsi della Smart al motociclo; alle 2,39 l’ennesima telecamera di videosorveglianza, quella a servizio di un supermercato, riprendeva l’impatto tra i due mezzi; in particolare, secondo avviso dei giudicanti, subito dopo una curva la smart, senza attivare manovre di frenata, investiva da dietro lo scooter determinando lo sbalzo dei due giovani e del mezzo stesso contro le pareti perimetrali dell’edificio delimitante la curva.
2. Sulla base di detta ricostruzione hanno ritenuto i giudici di merito di prime cure ricorrente l’ipotesi dell’omicidio volontario sorretto da dolo eventuale, decisione impugnata dalla difesa dell’imputato, che al giudice di appello chiedeva: la derubricazione dell’ipotesi contestata in quella dell’omicidio colposo, nella forma della colpa cosciente, ovvero in quella dell’omicidio preterintenzionale, il riconoscimento dell’attenuante della provocazione e delle attenuanti con giudizio di prevalenza, la riduzione della pena anche alla luce dell’art. 599 c.p.p., la revoca della sospensione della potestà genitoriale.
La corte distrettuale, con la sentenza innanzi indicata, accoglieva il solo motivo relativo alla sospensione della potestà genitoriale, che revocava, confermando nel resto, integralmente la sentenza impugnata.
Sulla questione giuridica principale posta dalla difesa e cioè sulla natura dell’elemento psicologico da riconoscere in capo all’imputato, tra il dolo eventuale, la colpa cosciente ovvero quello caratterizzante l’omicidio preterintenzionale, la corte territoriale in tal guisa argomentava in favore, al pari del GUP del tribunale, della prima delle opzioni poste: punto di abbrivio ai fini di una esaustiva valutazione dei fatti di causa è la ragione dell’inseguimento, data dalla rapina subita dalla coppia a bordo della Smart e dal riconoscimento delle vittime nelle persone che a tale rapina avevano partecipato facendo da palo; questo giustifica la reazione rabbiosa dell’imputato al momento di incrociare causalmente il motociclo con a bordo i due giovani, la repentina inversione di marcia e la “folle rincorsa” per circa tre chilometri; la elevata velocità dei due mezzi ed in particolare della Smart è attestata e provata dalle registrazioni delle apparecchiature di videosorveglianza incrociate lungo il tragitto, una per una indicate dal GUP nella sua sentenza, e dal dato che in poco meno di tre chilometri l’inseguitore riusciva a recuperare del tutto il distacco iniziale di quindici secondi indicato dalle apparecchiature; non solo, il raptus in preda al quale l’imputato guidava l’autoveicolo è dimostrato dalla velocità, certo, ma anche dalle manovre spericolate eseguite per raggiungere gli inseguiti e dalla noncuranza del pericolo al quale esponeva se stesso e la compagna in attesa di un secondo figlio; ai fini della ricostruzione della volontà dell’imputato al momento dell’impatto, va rilevato che il M. era da solo e che gli inseguiti erano in due e potevano essere armati, di guisa che palese è la valorizzazione che l’imputato stesso dava al suo punto di forza: l’autovettura a fronte del motociclo; ebbene, solo la volontà di tamponare gli inseguiti può giustificare quella folle corsa; per quale ragione infatti l’imputato inseguiva le vittime, in superiorità numerica e potenzialmente armati, ponendo in pericolo la sua vita e quella della compagna?; la registrazione dell’incidente infatti dimostra che l’imputato non fece nulla per evitare l’impatto che ha, viceversa, cercato; le immagini dimostrano infatti che l’autovettura non strinse la curva mantenendo la destra, ma allarga la sua traiettoria occupando il centro della strada, seguendo la medesima traiettoria del motociclo e ponendosi il linea di collisione rendendo in tal modo inevitabile l’impatto, attesa la diversa velocità dei due mezzi; né può ritenersi che il M. abbia perso il controllo della sua autovettura, posto che dopo il tamponamento riuscì a governare a regola d’arte il mezzo, evitando impatti con un’auto ferma e con altra sopravveniente; tutto ciò dimostra che l’imputato impattò lo scooter con a bordo le due vittime volontariamente, circostanza che evidenzia il dolo eventuale della sua condotta in riferimento all’evento morte cagionato, dappoichè evidente l’accettazione di tale conseguenza esiziale attese le circostanze di tempo, di luogo ed i contesti oggettivi e soggettivi del momento; non sono riconoscibili nella fattispecie i requisiti né dell’omicidio colposo caratterizzato da colpa cosciente, né quelli dell’omicidio preterintenzionale; nella colpa con previsione si persegue un risultato confidando che la condotta, per la perizia dell’agente, non cagioni l’evento non voluto; nel caso di specie l’imputato ha invece voluto l’impatto e questo esclude l’ipotesi di un incidente per colpa; per le stesse ragioni non è ipotizzabile un evento prodottosi oltre l’intenzione secondo i moduli del reato preterintenzionale; va poi considerato un dato indiziario importante; l’imputato e la sua compagna, inizialmente, hanno accreditato una dinamica dei fatti diversa da quella poi inequivocabilmente dimostrata dalle videoregistrazioni raccontando, contrariamente al vero, che erano inseguiti dai rapinatori; trattasi di circostanza processuale analoga a quella dell’alibi falso, come tale valutabile alla stregua di un indizio da inserire nel complesso delle altre acquisizioni probatorie. La corte territoriale inoltre, per quanto di interesse, ha altresì negato ingresso alla richiesta difensiva per il riconoscimento dell’attenuante della provocazione, giacché evidente e palese, secondo tali giudici, la sproporzione tra danno cagionato dalle vittime e reazione (la vita di due giovani per un cellulare), circostanza questa che impedirebbe l’invocato riconoscimento.
3. Ricorre per cassazione l’imputato con ricorsi distinti elaborati dai due difensori di fiducia.
3.1 Col primo motivo di entrambi i ricorsi i due difensori denunciano violazione degli artt. 575, 42, 43 e 589 c.p., in particolare osservando: la qualificazione in termini di omicidio volontario psicologicamente caratterizzato da dolo eventuale, sostenuta dai giudici di merito di primo e secondo grado, è errata e non è coerente con gli accertamenti acquisiti al processo; anche nella colpa cosciente infatti l’agente si rappresenta l’evento, ma quello che rileva rispetto ad esso è il dato volitivo e cioè se quell’evento l’agente lo ha voluto o meno; nel primo caso vi è l’accettazione del rischio dell’evento medesimo, nel secondo caso la certezza di non cagionarlo; diversamente da quanto opinato dai giudici territoriali, l’inseguimento a forte velocità non dimostra affatto una volontà di uccidere, ma semplicemente la consapevolezza di poter governare l’automezzo attese le condizioni di tempo e di luogo favorevoli ed un traffico assai scarso; quanto al momento dell’impatto, a parte la considerazione che in uno schizzo di campagna si evidenzia una traccia di frenata, nulla autorizza a negare che l’autovettura abbia decelerato senza pericolose manovre di frenata, posto che la dinamica dell’urto accredita la perdita del controllo del veicolo, non ravvisandosi, diversamente da quanto opinato in sentenza, alcuna manovra specificamente volta all’impatto; rimane comunque il ragionevole dubbio sulla configurabilità del dolo eventuale, dubbio da risolvere in favore dell’imputato; l’imputato intendeva recuperare la refurtiva e consegnare i suoi rapinatori alla giustizia; i giudici di merito non hanno considerato che se intenzione dell’imputato era quella di speronare il motociclo, lo avrebbe fatto prima della curva e non avrebbe atteso quel momento; in ogni caso si appalesava e si appalesa necessaria una perizia volta a ricostruire con certezza e sulla base di dati oggettivi la dinamica dell’incidente; di qui la istanza istruttoria della difesa rigettata dalla corte sul rilievo che il giudizio di prime cure è avvenuto con rito abbreviato, circostanza questa che, come è noto, non impedisce affatto una attività di integrazione istruttoria in appello.
3.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia l’avv. Bartolo Senatore ancora violazione degli artt. 575, 42, 43 e 584 c.p., sul rilievo che, nella fattispecie, va riconosciuta la ricorrenza di una ipotesi di omicidio preterintenzionale: il M. , al più, intendeva dare una lezione ai due giovani inseguiti e non certo cagionarne la morte; non casualmente il GIP della misura cautelare ha ipotizzato proprio tale ipotesi meno grave; inoltre l’inseguimento ben poteva essere finalizzato semplicemente a cagionare lesioni e ciò è assai più coerente con la personalità del prevenuto, incensurato e persona non violenta.
3.3 Col secondo motivo di impugnazione denuncia invece l’avv. Mario De Caprio violazione degli artt. 42, 43, 575 e 589 c.p., in particolare osservando: il giudice dell’appello trascura l’elemento volitivo dell’imputato ed esamina soltanto la sua condotta e l’evento verificatosi; la corte valorizza poi dichiarazioni rese dell’imputato in assenza del difensore quando già era evidente la sua responsabilità, dichiarazioni da ritenere cancellate dal processo; la corte inoltre richiama arbitrariamente una sorta di raptus che avrebbe preso l’imputato, peraltro richiamando esiti tossicologici, positivi alla marijuana, dei quali non è stato possibile indicare tempi e quantità di assunzione perché risalenti nel tempo; l’alveo naturale in cui collocare la volontà del M. è quello della colpa cosciente; il recupero di un telefonino per condurre alla morte i due fuggitivi è schema illogico nella premessa e nelle conclusioni; dimentica che il M. aveva subito una rapina a mano armata mentre era in compagnia della compagna in un momento di intimità e che questo giustifica la sua volontà di fare arrestare i rapinatori riconosciuti al primo posto di blocco, organizzato tradizionalmente, è circostanza nota agli abitanti del luogo, alla confluenza (OMISSIS) ; la corte ha poi ignorato del tutto la personalità del prevenuto, un infermiere volontario padre di un figlio ed in attesa di vivere una seconda paternità; proprio la visione dei fotogrammi dimostra che lo speronamento avrebbe potuto avvenire in qualsiasi momento lungo i tre chilometri dell’inseguimento; gli stessi fotogrammi evidenziano che alla curva ove avvenne l’impatto i due mezzi sbandarono entrambi; deve poi trovare applicazione nella fattispecie il recente insegnamento di ss.uu. 38342/2014 in materia di dolo eventuale e colpa cosciente, insegnamento accolto da importanti pronunce successive, la n. 19547/2015, la n. 8561/2015, la 18220/2015, la n. 28169/2015.
3.4 Col terzo motivo di impugnazione con entrambi i ricorsi si denuncia violazione di legge in relazione alla mancata applicazione dell’attenuante della provocazione, illegittimamente negata, per i difensori, col richiamo ad una sproporzione tra fatto ingiusto, individuato nella sottrazione di un telefonino, e la reazione, cagione della morte di due giovani; al riguardo le difese osservano, per un verso, che non è la proporzionalità tra i termini detti il criterio fondante della attenuante in discorso, ma quello, assai diverso, dell’adeguatezza e che il fatto ingiusto subito dal M. e dalla sua compagna non può riduttivamente ricondursi alla semplice sottrazione di un telefonino, ma ad una rapina a mano armata portata a termine da quattro giovani, nel cuore della notte, in situazione di difficile autodifesa ed in danno, anche, della compagna incinta.
3.5 Con un quarto motivo di impugnazione l’avv. Bartolo Senatore impugna infine gli effetti civili determinati dalle due sentenze di merito, sia in riferimento alla possibile determinazione del danno che alla provvisionale riconosciuta.
Considerato in diritto
1. Manifestamente infondati si appalesano il primo ed il secondo motivo di entrambi i ricorsi (quello a cura dell’avv. Senatore e quello a cura dell’avv. Di Caprio) perché volti, tutti, ad accreditare una ricostruzione alternativa dell’incidente mortale per cui è causa rispetto a quanto logicamente accreditato dai giudici dei due gradi di merito.
1.1 Giova pertanto premettere che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici. Ne consegue che, ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorché altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo; Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baratti, Rv.239735; cfr. in termini: Cass. sez. 2^, sentenza n. 7380 dell’11/01/2007, dep. il 22/02/2007, Rv. 235716, imp. Messina; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061).
Orbene, i giudici di merito hanno ricostruito con lodevole precisione la dinamica dell’incidente, fondandola sul puntuale richiamo delle videoregistrazioni che hanno ripreso l’intero svolgersi dei fatti, dalla manovra di inversione di marcia dell’autoveicolo condotta dall’imputato, alle fasi convulse dello spericolato inseguimento, fino al fatale impatto. E come evidenziato analiticamente nella sentenza di primo grado che scandisce il passaggio nel quadro visivo delle varie riprese, l’autoveicolo si avvicinò progressivamente al motociclo, che raggiunse soltanto all’altezza della curva ove si verificò l’impatto e non prima, come apoditticamente sostenuto dai difensori. Non solo; ancora richiamando immagini videoriprese i giudici di merito, motivatamente, dimostrano che la Smart si pose in linea di collisione col mezzo inseguito pur potendo eseguire una manovra diversa, in particolare quella di tenere la destra evitando il motociclo che si era spostato al centro della strada; la registrazione dimostra infine, assumono ancora i giudicanti, che nessuno dei due mezzi sbandò, perché entrambi “chiusero” la curva e la Smart, dopo l’urto, venne comunque governata dal guidatore.
A ciò oppongono le difese istanti circostanze fattuali travisate, come nel secondo motivo sviluppato dall’avv. Di Caprio, là dove si assume lo sbandamento in curva ed il raggiungimento dello scooter da parte della Smart prima della curva, circostanze viceversa motivatamente negate, come già evidenziato, dai giudici di merito sulla base dell’esame particolareggiato dei fotogrammi delle videoriprese, ovvero, come nel secondo motivo sviluppato dall’avv. Senatore, là dove si procede ad una ricostruzione alternativa dell’incidente per accreditare l’ipotesi della preterintenzione, peraltro con moduli argomentativi palesemente generici ed ancora una volta ignari delle considerazioni puntuali del giudice dell’appello sulla specifica dinamica dell’impatto.
1.2 Quanto poi alla questione specifica dell’elemento psicologico che animò la condotta dell’imputato, attesi altresì i richiami difensivi ai recenti e rilevanti interventi delle ss.uu. su tale importante materia, appare utile rammentare quanto segue.
Secondo consolidata lezione ermeneutica di questa Corte, ricorre la fattispecie di omicidio sorretto da dolo diretto ed alternativo, e non quella di lesioni personali, se il tipo di arma impiegata e specificamente l’idoneità offensiva della stessa, la sede corporea della vittima raggiunta dal colpo di arma e la profondità della ferita inferta inducano a ritenere la sussistenza, in capo al soggetto agente, del cosiddetto “animus necandi”. (Cass., Sez. I, 22/09/2010, n. 37516), di guisa che risponde di omicidio con dolo diretto alternativo chi prevede e vuole, come scelta sostanzialmente equipollente, la morte o il grave ferimento della vittima (Cass., Sez. I, 31/05/2011, n. 30694).
Si contrappone tradizionalmente al dolo alternativo (e diretto) il dolo eventuale, figura questa di giurisprudenziale conio, che si individua, secondo tralaticia definizione, quando l’agente, rappresentandosi l’eventualità dell’evento più grave, non avrebbe agito diversamente anche se di esso avesse avuto la certezza (cfr. Sez. un., n. 12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246324) e dell’evento non voluto ha, comunque, accettato il rischio che si verificasse.
Il dolo eventuale, nell’ambito dell’elemento psicologico del reato, segna la linea di confine tra il dolo e la colpa, che nel suo aspetto più vicino al primo si atteggia come colpa cosciente. Orbene, la linea di demarcazione tra dolo eventuale e colpa con previsione, secondo costante insegnamento, è individuata nel diverso atteggiamento psicologico dell’agente che, nel primo caso, accetta il rischio che si realizzi un evento diverso non direttamente voluto, mentre nella seconda ipotesi, nonostante l’identità di prospettazione, respinge il rischio, confidando nella propria capacità di controllare l’azione. Comune è, pertanto, la previsione dell’evento diverso da quello voluto, mentre ciò che diverge è l’accettazione o l’esclusione del rischio relativo. Trattasi di atteggiamenti psicologici che, secondo tradizionale lezione giurisprudenziale, vanno ricostruiti affidandosi agli elementi sintomatici evidenziati dal comportamento del soggetto, riconoscendo significato dirimente al rapporto tra lo scopo principale perseguito e l’evento diverso realizzato onde stabilire se esso sia di accessorietà o di alternatività.
Da una parte pertanto, l’accettazione del rischio dell’evento causato dalla condotta che riporta la condotta al dolo eventuale, dall’altra invece la ragionevole speranza che l’evento rappresentatosi all’agente non si verifichi, caratterizzante la colpa con previsione.
La lezione interpretativa sin qui consolidatasi si è di recente arricchita di un importante contributo. Le Sezioni unite della Corte (sent. n. 33343 del 24/04/2014, dep. 18/09/2014, Espenhahn e altri) sono infatti tornate sul tema del dolo eventuale con una pronuncia che ha scosso le passate certezze, destinata a costituire, attesa l’autorevolezza della fonte, precedente ineludibile per l’interprete.
Il Supremo Collegio, in particolare, con la citata sentenza ha cercato di individuare i confini distintivi del requisito soggettivo dato dal dolo eventuale rispetto alla colpa cosciente, perché tanto imponeva la concreta fattispecie in scrutinio, e ne ha per questo elaborato una nozione eminentemente connotata sul piano dell’accertamento probatorio dell’elemento oggettivo, nozione con la quale ci si deve necessariamente confrontare nel valutare la posizione processuale dell’attuale imputato.
Orbene, secondo l’autorevole arresto in commento “in tema di elemento soggettivo del reato, il dolo eventuale ricorre quando l’agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi”.
Palese appare al Collegio il notevole avvicinamento di siffatta impostazione teorica a quella, sin qui comunemente accettata, del dolo alternativo, e la connessa difficoltà di distinguere le due figure e con esse quella della colpa cosciente rispetto alla ipotesi del dolo eventuale. Nello stesso arresto chiarificatore le Sezioni unite hanno però fornito, sul piano probatorio, l’indicazione degli elementi sintomatici del dolo eventuale, proprio al fine della sua distinzione dalla colpa cosciente, affermando: “in tema di elemento soggettivo del reato, per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l’indagine giudiziaria, volta a ricostruire l’iter e l’esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell’agente; c) la durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; J) la probabilità di verificazione dell’evento; g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento (cosiddetta prima formula di Frank)” (Sez. un., n. 33343/2014 cit.).
Orbene, tornando ora al caso concreto venuto all’esame del Collegio appare agevole osservare che hanno i giudici di merito, attraverso l’argomentata motivazione, non solo valorizzato la diretta documentazione videoregistrata della condotta imputata al prevenuto, ma hanno altresì considerato più d’uno dei criteri come innanzi indicati dalla citata sentenza delle ss.uu.. La sconsiderata manovra tenuta al momento dell’impatto (criterio sub a), la durata del folle inseguimento (criterio sub c), il comportamento successivo al fatto (si fa riferimento alla falsa rappresentazione degli accadimenti operata dall’imputato e dalla compagna davanti alle forze dell’ordine, rappresentazione modificata soltanto dopo la presa di coscienza che l’inseguimento era stato integralmente videoripreso, criterio sub e), l’elevata probabilità di verificazione dell’evento (criterio sub f) considerate le modalità della vicenda: la folle corsa, la curva stradale, l’utilizzo, da una parte, di un motociclo con uno dei due passeggeri non munito di casco e, dall’altra, di un automezzo) e la considerazione, infine, che l’imputato agì perseguendo l’obbiettivo di raggiungere le vittime con assoluta ed irremovibile determinazione (la sentenza parla, del tutto logicamente, sulla base delle acquisizioni processuali, di raptus rabbioso dell’imputato).
2. Inammissibile è poi il quarto motivo sviluppato dall’avv. Senatore. Per costante in segnamento della Corte, si veda da ultimo Cass., sez. 3, n. 18663, 27.1.2015, Rv. 263486, non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa, non definitiva e non necessariamente motivata (conf.: N. 40410 del 2004 Rv. 230105, N. 5001 del 2007 Rv. 236068, N. 34791 del 2010 Rv. 248348, N. 32899 del 2011 Rv. 250934, N. 49016 del 2014 Rv. 261054, N. 50746 del 2014 Rv. 261536).
Null’altro risulta poi impugnato in materia risarcitoria, giacché la sentenza di secondo grado ha confermato la decisione del giudice di prime cure, il quale ha condannato l’imputato al risarcimento del danno in favore delle pp. 11., rimandando, per la sua quantificazione e liquidazione, al giudice civile.
3. Fondato giudica infine la Corte il terzo motivo sviluppato nei rispettivi ricorsi da entrambi i difensori in ordine al negato riconoscimento, in favore del M. , dell’attenuante della provocazione. Ebbene, secondo consolidato insegnamento, ricorre l’attenuante in parola quando ricorrono: a) lo “stato d’ira”, costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il “fatto ingiusto altrui”; b) il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale; c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta (così tra le tante: Cass., Sez. 1, n. 47840 del 14/11/2013, Rv. 258454).
Nel caso in esame i giudici di merito hanno negato l’invocato riconoscimento osservando che ricorrerebbe una macroscopica sproporzione tra la morte di due giovani e la sottrazione di un cellulare. Orbene, ricorrono nell’argomentare della corte territoriale una violazione di legge ed una palese incongruenza motivazionale.
Sotto il primo profilo, quello della violazione di legge, è illegittimo ed in contrasto con il costante insegnamento del giudice di legittimità il riferimento della corte di merito al criterio della proporzionalità (oltre alla citata 47840/2013, sez. 1, 5056, 18.11.2011, rv. 251833 tra le tante) tenuto conto che una siffatta lettura ermeneutica contrasta col dettato normativo e con la essenza stessa dell’attenuante e considerato altresì che, una valutazione logica siffatta, escluderebbe in radice la ricorrenza della provocazione in ogni ipotesi di omicidio volontario. Ai fini del riconoscimento della disciplina di favore di cui all’art. 61 c.p., co. 1 n. 2 deve aversi riguardo invece al diverso criterio dell’adeguatezza, da al rapporto di causalità psicologica tra fatto ingiusto e reazione.
Quanto, invece, al secondo profilo, quello della incongruità motivazionale, si appalesa travisato e comunque ridimensionato oltre ragionevole limite il fatto ingiusto subito dall’imputato e dalla sua compagna. Nel caso di specie infatti non corrisponde alla realtà accertata nel processo inequivocabilmente, realtà non posta in dubbio dai giudici territoriali, che al M. ed alla sua compagna sia stato sottratto semplicemente un cellulare; l’imputato subì una rapina a mano armata consumata da quattro malviventi nel cuore della notte, in luogo isolato, presente la compagna di vita in stato di gravidanza, circostanze, queste appena indicate, alle quali non può ragionevolmente negarsi la riferibilità piena alla nozione giuridica di “fatto ingiusto” di cui alla norma di riferimento, l’art. 62 c.p., co. 1 n. 2). Ai fini inoltre di una valutazione giudiziale corretta, non può non considerare il giudicante, altresì, il livello e la intensità della ingiustizia del fatto subito, nel caso concreto da considerare notevolmente elevati.
Alla stregua di quanto sin qui esposto la sentenza impugnata va pertanto cassata sul punto al fine di consentire al giudice di rinvio un nuovo giudizio con il quale, nel rispetto del dettato normativo così come superiormente interpretato e col sostegno di logica motivazione, si provveda a delibare se la reazione irata e rabbiosa dell’imputato all’aggressione proditoria ed a mano armata di cui innanzi, da giudicarsi in termini di oggettiva ed elevata iniquità, possa ritenersi “adeguata” ai sensi di legge ed inquadrabile ragionevolmente in un quadro di causalità psicologica e non di mera occasionalità e se tale delibazione consenta poi il riconoscimento nel caso di specie dell’attenuante della provocazione.
P.T.M.
la Corte, annulla la sentenza impugnata limitatamente all’attenuante della provocazione e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di assise di appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso
Leave a Reply