Corte di Cassazione, sezione tributaria civile, Sentenza 21 maggio 2020, n. 9338.
La massima estrapolata:
In tema di determinazione del reddito d’impresa, a decorrere dal 1° gennaio 2007 (data di entrata in vigore della l. n. 296 del 2006), la deducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati (cd. “black list”) è condizionata alla prova, da parte dell’impresa residente, che “le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva” ovvero che “le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico”, mentre l’obbligo di separata indicazione nella dichiarazione dei suddetti costi è stato degradato da condizione sostanziale di deducibilità di essi a obbligo di carattere formale. Nel caso di violazione di quest’ultimo obbligo commessa prima del 1° gennaio 2007, in base alla norma transitoria dell’art. 1, comma 303, della legge cit., qualora l’impresa residente fornisca la prova delle menzionate condizioni sostanziali di deducibilità dei costi (o anche qualora l’Amministrazione finanziaria non le contesti), si applica sia la sanzione amministrativa proporzionale pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese non indicate (primo periodo del comma 303), sia la sanzione amministrativa da 258,23 a 2.065,83 euro prevista dall’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997 (secondo periodo del comma 303). (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato l’impugnata sentenza della CTR che aveva affermato che l’impresa contribuente che, nel periodo d’imposta 2003, aveva dedotto costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Paesi cd. “black list” senza indicarli separatamente in dichiarazione, fornendo la prova dell’esistenza delle condizioni sostanziali di deducibilità degli stessi costi, andava esente da sanzioni in ragione dell’asserito carattere “meramente formale” della violazione).
Sentenza 21 maggio 2020, n. 9338
Data udienza 10 febbraio 2020
Tag – parola chiave: ACCERTAMENTO, RISCOSSIONE E CONTENZIOSO – ACCERTAMENTO (IMPOSTE SUI REDDITI)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente
Dott. CATALDI Michele – Consigliere
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere
Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14918/2012 R.G. proposto da:
Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS) e dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio degli stessi;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 45/66/12 depositata il 26 marzo 2012.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20 febbraio 2020 dal Consigliere Giuseppe Nicastro;
udito l’Avv. dello Stato (OMISSIS) per la ricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Umberto De Augustinis, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. A seguito di un processo verbale di constatazione, l’Agenzia delle entrate notifico’ alla (OMISSIS) s.p.a. un avviso di accertamento con il quale, rettificando la dichiarazione dei redditi per l’anno d’imposta 2003 presentata dalla societa’, disconobbe la deducibilita’ di costi derivanti da operazioni di acquisto di “materiali vari” (cosi’ la sentenza impugnata) intercorse con la (OMISSIS) (hinc: ” (OMISSIS)”) – impresa domiciliata fiscalmente in Svizzera, Stato o territorio non appartenente all’Unione Europea avente regime fiscale privilegiato (cosiddetti Paesi black-list) – liquidando le conseguenti maggiori IRPEG e IRAP, oltre a interessi, e irrogando le relative sanzioni.
Secondo la sentenza impugnata, la deducibilita’ dei costi era stata disconosciuta dall’Agenzia delle entrate per la duplice ragione che la societa’ contribuente non aveva fornito la prova che le operazioni poste in essere rispondevano a un effettivo interesse economico e non aveva indicato separatamente nella dichiarazione i relativi ammontari dedotti.
2. L’avviso di accertamento fu impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Bergamo (hinc anche: “CTP”), che rigetto’ il ricorso della contribuente.
3. Avverso tale pronuncia, la (OMISSIS) s.p.a. propose appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia (hinc anche: “CTR”), che lo accolse, con la motivazione che “(I)a societa’ ricorrente ha prodotto ampia documentazione a comprova dell’interesse economico delle operazioni con una serie di dettagli tecnici che per la loro intrinseca natura possono anche ritenersi di non facile lettura adempiendo nei limiti del possibile all’onere probatorio, mentre l’ufficio si e’ limitato ad una generica affermazione della non idoneita’ probatoria della documentazione prodotta. Anche la mancata separata indicazione di componenti negativi che puo’ ritenersi violazione meramente formale”.
4. Avverso tale sentenza della CTR – depositata in segreteria il 26 marzo 2012 e notificata l’11 aprile 2012 – ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate, che affida il proprio ricorso, notificato il 26 giugno 2012, a sei motivi.
5. La (OMISSIS) s.p.a. resiste con controricorso, notificato il 13 luglio 2012.
6. Il ricorso e’ stato discusso alla pubblica udienza del 10 febbraio 2020, nella quale il Procuratore generale ha concluso come indicato in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articolo 76, (nel testo anteriore alle modificazioni apportate a tale decreto dal Decreto Legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, articolo 1), e della L. 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, commi 301, 302 e 303, per avere la CTR erroneamente ritenuto che, nel periodo d’imposta 2003, i costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Stati non appartenenti all’Unione Europea aventi regime fiscale privilegiato potessero essere dedotti pur in mancanza della separata indicazione degli stessi nella dichiarazione dei redditi.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullita’ della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, articolo 57, in quanto, premesso che, nel ricorso introduttivo, con riguardo alle sanzioni, la societa’ contribuente aveva chiesto la sostituzione di quella per infedele dichiarazione, irrogata con l’avviso di accertamento impugnato, con quella di cui al Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, articolo 8, comma 3-bis, la CTR ha accolto la domanda nuova, proposta dalla stessa societa’ nel ricorso in appello, di annullamento integrale dell’avviso di accertamento anche nella parte relativa all’irrogazione delle sanzioni.
3. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, articolo 1, comma 303, e della L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 10, per avere la CTR erroneamente affermato che al contribuente che, nel periodo d’imposta 2003, abbia dedotto costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Stati non appartenenti all’Unione Europea aventi regime fiscale privilegiato senza averli indicati separatamente nella dichiarazione, fornendo la prova che tali operazioni rispondono a un effettivo interesse economico e hanno avuto concreta esecuzione, non debba essere applicata la sanzione amministrativa prevista dalla L. n. 296 del 2006, articolo 1, comma 303, per l’asserito carattere “meramente formale” della violazione.
4. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “motivazione omessa o insufficiente su fatto decisivo della controversia”, per avere la CTR affermato in modo del tutto anapodittico che la violazione dell’omessa separata indicazione dei costi de quibus nella dichiarazione dei redditi non lede interessi erariali di carattere sostanziale (fatto decisivo, poiche’ da esso dipendeva l’applicabilita’ o no della sanzione), sicche’ aveva carattere “meramente formale”.
5. Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “motivazione omessa od insufficiente su(I) fatto decisivo della controversia” della dimostrazione, da parte della contribuente, che le operazioni poste in essere rispondevano a un suo effettivo interesse economico (fatto decisivo poiche’ da esso dipendeva l’individuazione della sanzione applicabile e – ancorche’ erroneamente – la deducibilita’ o no dei costi), in quanto la CTR, nel motivare sul punto: a) afferma l’avvenuta dimostrazione del suddetto interesse “ma non dice quale esso sia e non lo descrive”; b) afferma l’esistenza di “ampia documentazione” probatoria “ma non dice quale essa in concreto sia, (…) quali dati concreti da essa si traggano e perche’ essi dimostrerebbero il suddetto interesse”; c) afferma “apoditticamente e travisatamente” che l’ufficio si era limitato a “una generica affermazione della non idoneita’ probatoria della documentazione prodotta”, cosi’ omettendo di considerare che lo stesso ufficio aveva in proposito invece dedotto che: comma 1) mancava la prova che le merci corrispondessero a quelle fornite dall’impresa domiciliata nel Paese black-list; comma 2) la contribuente aveva fatto una comparazione tra i prezzi corrisposti a quest’ultima e quelli del mercato italiano, laddove tale comparazione andava operata con i prezzi del mercato di tutti i Paesi non black-list; comma 3) non era possibile comprendere come si fosse giunti a determinare il prezzo di alcuni prodotti sul mercato italiano.
6. Con il sesto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 76, della L. n. 296 del 2006, articolo 1, commi 301, 302 e 303, e dell’articolo 2697 c.c., “(s)e (…) mai si dovesse ritenere che la CTR ritenga che – ove un contribuente abbia prodotto in giudizio documentazione per comprovare che operazioni di acquisto da lui compiute in paesi black-list rispondono ad un suo interesse economico, la circostanza che l’ufficio erariale abbia genericamente contestato l’idoneita’ della documentazione suddetta a fornire la prova di cui sopra, valga ad esonerare il giudice dall’esame della idoneita’ della documentazione a comprovare il suddetto interesse”.
7. Preliminarmente, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilita’ del primo motivo sollevata dalla (OMISSIS) s.p.a. nel controricorso sull’assunto dell’estraneita’ al thema decidendum della questione dell’omessa separata indicazione dei costi nella dichiarazione dei redditi.
L’eccezione non e’ fondata, atteso che, contrariamente a quanto sostenuto dalla controricorrente, la CTR ha espressamente affermato che la deducibilita’ dei costi era stata disconosciuta “sotto un duplice profilo”, e che uno di tali profili era “la mancata indicazione di detti costi separatamente”.
L’omessa trascrizione del testo integrale dell’avviso di accertamento non consente, peraltro, di ritenere assolto il principio di autosufficienza, applicabile, ai sensi dell’articolo 370 c.p.c., comma 2, e articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), anche al controricorso, diretto, nella parte che qui rileva, a dimostrare che la suddetta questione non apparteneva all’originario thema decidendum.
8. Il primo motivo non e’ fondato.
Secondo il piu’ recente e ormai consolidato orientamento di questa Corte (Cass., 10/06/2016, n. 11933, 28/02/2017, n. 5085, 24/07/2018, n. 19561, 30/10/2018, n. 27613), a decorrere dal 1 gennaio 2007, data di entrata in vigore della L. n. 296 del 2006, (articolo 1, comma 1364), di tale L., articolo 1, commi 301 e 302, – il primo, modificando il Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 110, comma 11, e il secondo aggiungendo il Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 8, comma 3-bis, – hanno mutato la disciplina della (in)deducibilita’ dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione Europea ed aventi regimi fiscali privilegiati, “degradando la separata indicazione dei costi da presupposto sostanziale della relativa deducibilita’ ad obbligo di carattere formale, passibile di corrispondente sanzione amministrativa, pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non (separatamente) indicati nella dichiarazione, con un minimo di Euro 500 ed un massimo di Euro 50.000” (sanzione prevista dal “nuovo” Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 8, comma 3-bis).
Con riguardo alla disciplina transitoria – che viene qui specificamente in rilievo – le stesse pronunce hanno chiarito che, ai sensi della L. n. 296 del 2006, articolo 1, comma 303, anche le violazioni dell’obbligo di separata indicazione nella dichiarazione dei costi in questione “non comportano, di per se stesse, l’applicazione del regime di assoluta indeducibilita’ dei costi medesimi (e di connessa sanzionabilita’ del Decreto Legislativo n. 471 del 1997, ex articolo 1, comma 2), in quanto degradate a violazioni di carattere formale, soggette alla sanzione proporzionale suddetta (cioe’ a quella del Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 8, comma 3-bis), alla quale (solo per le situazioni di regime transitorio e, dunque, gia’ assoggettate al rigoroso regime d’indeducibilita’) si cumula, in forza dell’ultima parte del comma 303 cit., la sanzione prevista dal Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 8, comma 1, (che, per i vizi formali della dichiarazione, prevede la sanzione amministrativa da Euro 258 a Euro 2065)” (cosi’, in particolare, Cass., n. 11933 del 2016, n. 5085 del 2017 e n. 27613 del 2018).
Si e’ al contempo escluso che tale lettura della L. n. 296 del 2006, articolo 1, commi 301, 302 e 303, – che e’ apparsa l’unica idonea a garantirne la tenuta sul piano della razionalita’ – possa violare il principio di legalita’, atteso che, sotto il profilo sanzionatorio e degli effetti che ne conseguono, la disciplina introdotta dalle suddette sopravvenute disposizioni e’, nel suo complesso, certamente meno gravosa, per il contribuente, rispetto a quella previgente.
Dai principi esposti, discende pertanto che la CTR non ha commesso alcun error in iudicando nel ritenere che la violazione dell’obbligo di separata indicazione, nella dichiarazione per il periodo d’imposta 2003, dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Paesi black-list non comportava, di per se’, l’assoluta indeducibilita’ degli stessi.
9. Il secondo motivo e’ fondato.
Nel rispetto del principio di autosufficienza, l’Agenzia delle entrate ha trascritto nel ricorso le conclusioni sia del ricorso introduttivo (nelle quali la (OMISSIS) s.p.a. chiese alla CTP “l’annullamento parziale dell’avviso di accertamento impugnato con riferimento all’intero importo delle maggiori imposte richieste per l’effetto della contestata deducibilita’ dei costi sostenuti per acquisti effettuati dalla societa’ (OMISSIS) e la riduzione delle sanzioni con applicazione della disposizione contenuta nel Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 8, comma 3 bis”), sia del ricorso in appello (nelle quali la stessa (OMISSIS) s.p.a. chiese alla CTR di “disporre, in riforma della sentenza impugnata, l’annullamento dell’avviso di accertamento (OMISSIS) con condanna dell’Amministrazione finanziaria al rimborso delle somme versate nelle more del giudizio (oltre agli interessi di legge)”.
Dalla lettura delle riportate conclusioni dei due atti processuali, risulta dunque evidente che la contribuente, chiedendo, con il ricorso in appello, l’integrale annullamento dell’avviso di accertamento compresa, quindi, la parte relativa all’irrogazione delle sanzioni – ha mutato la domanda inizialmente formulata riguardo alle stesse sanzioni nel ricorso introduttivo, con il quale aveva invece chiesto la mera “riduzione delle sanzioni”, con l’applicazione di quella prevista dal Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 8, comma 3-bis.
Tale mutamento, costituendo un ampliamento del petitum fatto originariamente valere in primo grado, integra una domanda nuova, non proponibile in appello e che, essendo stata, invece, proposta, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile d’ufficio dalla CTR, ai sensi del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 57, comma 1.
Poiche’ la stessa CTR, accogliendo integralmente l’appello della (OMISSIS) s.p.a., ha invece pronunciato su detta domanda nuova, la sentenza impugnata deve ritenersi, in tale parte, nulla per violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 57, comma 1.
10. Deve ora essere esaminata l’eccezione di inammissibilita’ del terzo motivo sollevata dalla (OMISSIS) s.p.a. sull’assunto che esso si incentra su un’affermazione della CTR, quella del carattere “meramente formale” della violazione di cui alla L. n. 296 del 2006, articolo 1, comma 303, “del tutto ultronea e non rilevante della sentenza”, atteso che, data l’estraneita’ al thema decidendum della questione dell’omessa separata indicazione dei costi nella dichiarazione dei redditi, l’applicabilita’ di detta disposizione sanzionatoria non era “mai (…) stata valutata”.
L’eccezione non e’ fondata, atteso che, come si e’ visto al punto 7, contrariamente a quanto sostenuto dalla controricorrente, la questione dell’omessa separata indicazione dei costi nella dichiarazione dei redditi – e, conseguentemente, dell’applicabilita’ della sanzione prevista per tale omissione dalla L. n. 296 del 2006 , articolo 1, comma 303, faceva parte del thema decidendum del giudizio.
11. Il terzo motivo e’ fondato.
Infatti, a prescidere dal carattere formale o no della violazione dell’obbligo di separata indicazione nella dichiarazione dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Paesi black-list, e’ la stessa legge – con la speciale disposizione della L. n. 296 del 2006, articolo 1, comma 303, – a prevedere che il contribuente che violi tale obbligo sia sanzionato.
In particolare, come si e’ visto al punto 8, questa Corte ha ormai chiarito che alle violazioni dello stesso obbligo commesse fino al 31 dicembre 2006 si applica, ai sensi della disciplina transitoria di cui al suddetto comma 303, sia la sanzione amministrativa proporzionale pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati, con un minimo di Euro 500,00 e un massimo di Euro 50.000,00 (comma 303, primo periodo, che richiama il precedente comma 302), sia la sanzione amministrativa da Euro 258,23 a Euro 2.065,83 prevista dal Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 8, comma 1, (comma 303, secondo periodo, secondo cui “(r)esta ferma (…) l’applicazione della sanzione di cui al Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, articolo 8, comma 1”).
Tale trattamento sanzionatorio, peraltro, si applica, come previsto dal cit. comma 303, “sempre che il contribuente fornisca la prova di cui all’articolo 110, comma 11, primo periodo, del (…) testo unico delle imposte sui redditi”, cioe’ la prova delle condizioni sostanziali di deducibilita’ dei costi “che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attivita’ commerciale effettiva” ovvero “che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico”.
Per evidenti ragioni logiche, lo stesso trattamento deve ritenersi applicabile anche nei casi in cui l’esistenza di tali condizioni sostanziali di deducibilita’ dei costi non fosse stata contestata dall’amministrazione finanziaria che – come era possibile nel regime anteriore all’entrata in vigore della L. n. 296 del 2006, (nel quale l’indicazione separata nella dichiarazione costituiva una condizione della deducibilita’) avesse negato la stessa contestando esclusivamente la violazione di quest’obbligo di carattere formale.
Qualora, invece, essendo stata contestata dall’amministrazione finanziaria l’esistenza delle menzionate condizioni sostanziali di deducibilita’ dei costi, il contribuente non abbia fornito la prova dell’esistenza delle stesse – sicche’ risulta integrata un’ipotesi di indebita deduzione dall’imponibile – trova applicazione la sanzione per “infedele dichiarazione” prevista dal Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 1, comma 2.
In conclusione, la CTR ha violato i principi esposti atteso che, contrariamente a quanto da essa ritenuto, il contribuente che, nel periodo d’imposta 2003, abbia dedotto costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Paesi black-list senza averli indicati separatamente nella dichiarazione, fornendo la prova dell’esistenza delle condizioni sostanziali di deducibilita’ di tali costi, non va esente da sanzioni, ma, ai sensi della disciplina transitoria di cui alla L. n. 296 del 2006, articolo 1, comma 303, e’ sanzionato sia con la sanzione amministrativa proporzionale prevista dal cit. art., comma 302, sia con la sanzione amministrativa di cui al Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 8, comma 1.
12. Il quarto motivo e’ assorbito dall’accoglimento del terzo motivo.
13. Il quinto motivo e’ fondato.
Tale motivo si sostanzia nella denuncia del carattere meramente apparente della motivazione della sentenza impugnata riguardo alla prova – che sarebbe stata fornita dalla societa’ contribuente – che le operazioni poste in essere rispondevano a un suo effettivo interesse economico.
In proposito, va ribadito il principio che si ha motivazione apparente quando la motivazione, “benche’ graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le piu’ varie, ipotetiche congetture” (Cass., Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, Cass., 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01).
L’impugnata sentenza della CTR – la cui motivazione, come si e’ visto, si esaurisce nelle affermazioni che “(I)a societa’ ricorrente ha prodotto ampia documentazione a comprova dell’interesse economico delle operazioni con una serie di dettagli tecnici che per la loro intrinseca natura possono anche ritenersi di non facile lettura adempiendo nei limiti del possibile all’onere probatorio, mentre l’ufficio si e’ limitato ad una generica affermazione della non idoneita’ probatoria della documentazione prodotta” – rientra in modo paradigmatico in tale grave anomalia argomentativa, concretizzando, percio’, un caso di motivazione apparente.
Le suddette affermazioni, infatti, non estrinsecano il ragionamento che ha indotto il giudice di appello al convincimento che la societa’ contribuente aveva fornito la prova che le operazioni poste in essere rispondevano a un suo effettivo interesse economico, atteso che esse, da un lato, neppure indicano in cosa tale interesse consistesse, dall’altro, si riferiscono alla documentazione prodotta dalla societa’ in modo complessivo e del tutto generico (“ampia documentazione”), affermandone in modo assertivo la valenza probatoria (nel senso dell’apparenza della motivazione “meramente assertiva o riferita complessivamente alle produzioni in atti”, Cass., 30/05/2019, n. 14762).
Inoltre la CTR, nell’asserire che l’Uffico si era “limitato ad una generica affermazione della non idoneita’ probatoria della documentazione prodotta”, trascura di considerare le specifiche contestazioni che erano state invece avanzate al riguardo dallo stesso Ufficio – che, nel rispetto del principio di autosufficienza, ha provveduto a trascriverle nel ricorso – con riferimento, in particolare, alla corrispondenza delle merci con quelle fornite dalla (OMISSIS), alla mancata comparazione con i prezzi del mercato di Paesi black-list diversi dall’Italia e all’impossibilita’ di comprendere come fosse stato determinato il prezzo di alcuni prodotti sul mercato italiano.
14. Il sesto motivo e’ inammissibile.
Esso muove dall’ipotesi (“(s)e poi mai si dovesse ritenere”) che la CTR possa avere reputato che la genericita’ della contestazione dell’Ufficio circa l’idoneita’ della prova fornita dal contribuente in ordine all’esistenza delle condizioni sostanziali di deducibilita’ dei costi (nella specie, della condizione che le operazioni poste in essere rispondevano a un effettivo interesse economico) esoneri il giudice dalla necessita’ di valutare detta idoneita’ della prova.
La sentenza impugnata non esprime, tuttavia, tale tesi, come risulta dal fatto che la sua motivazione prende le mosse proprio dalla valutazione della documentazione prodotta dalla (OMISSIS) s.p.a., asserendo che, a mezzo di essa, la contribuente ha “adempi(uto) all’onere probatorio”. Il riferimento, operato dalla stessa sentenza, alla genericita’ della contestazione dell’Ufficio va dunque evidentemente inteso in connessione con tale previa valutazione della prova fornita dalla contribuente.
Pertanto, contrariamente a quanto ipotizzato con il motivo in esame, la CTR non ha reputato che la genericita’ della contestazione dell’Ufficio circa l’idoneita’ della prova fornita dalla contribuente in ordine all’esistenza delle condizioni sostanziali di deducibilita’ dei costi la esonerasse dalla necessita’ di valutare tale prova.
Da cio’ l’inammissibilita’ del motivo, in quanto rivolto avverso una ratio decidendi che e’ in realta’ estranea alla sentenza impugnata.
15. In conclusione, il primo motivo deve essere rigettato, il secondo, il terzo e il quinto motivo devono essere accolti, il quarto motivo deve essere assorbito e il sesto motivo deve essere dichiarato inammissibile. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, in diversa composizione, affinche’ riesamini la vicenda processuale e provveda, altresi’, a regolare le spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
rigetta il primo motivo; accoglie il secondo, il terzo e il quinto motivo, assorbito il quarto; dichiara inammissibile il sesto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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