Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 13 maggio 2019, n. 20514

La massima estrapolata:

In tema di bancarotta semplice documentale, l’obbligo di tenere le scritture contabili, la cui violazione integra il reato, viene meno solo quando la cessazione della attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese, indipendentemente dal fatto che manchino passività insolute, trattandosi di reato di pericolo presunto posto a tutela dell’esatta conoscenza della consistenza patrimoniale dell’impresa, a prescindere dal concreto pregiudizio per le ragioni creditorie.

Sentenza 13 maggio 2019, n. 20514

Data udienza 22 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 05/12/2017 della CORTE APPELLO di CAMPOBASSO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MATILDE BRANCACCIO;
udito il Sostituto Procuratore Generale Dr. LORI PERLA che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, datato 15.12.2017, la Corte d’Appello di Campobasso ha confermato la sentenza del Tribunale di Campobasso pronunciata il 29.5.2015, con la quale (OMISSIS) e’ stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre alle pene accessorie, in relazione al reato di bancarotta semplice documentale per omessa o irregolare tenuta dei libri e delle scritture contabili ed al fallimento della societa’ (OMISSIS) s.r.l., dichiarato il (OMISSIS).
2. Avverso la citata sentenza propone ricorso l’imputato, tramite il proprio difensore avv. (OMISSIS), deducendo tre differenti motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo si argomenta violazione di legge in relazione all’articolo 49 c.p., comma 2, mancando l’offensivita’ del fatto, in assenza di danno per i creditori, pur se il reato di bancarotta semplice documentale e’ configurato come reato di pericolo, a tutela dell’interesse creditorio alla ricostruzione del patrimonio del fallito. Ed infatti, nel caso di specie, non vi e’ stata neppure la messa in pericolo di tale interesse che costituisce il bene giuridico tutelato dalla disposizione violata, poiche’ la condotta tenuta dall’imputato non ha di fatto creato alcun danno alla curatela nella sua attivita’ di ricostruzione del patrimonio della fallita, come risulta dalle dichiarazioni dello stesso curatore.
Sin dal 1993, in realta’, la (OMISSIS) aveva smesso qualsiasi attivita’ sociale, tanto da risultare priva di beni al momento del fallimento, come provato dalla documentazione anche dell’Agenzia delle Entrate del 20.5.2015, in cui si da’ atto che dal 1998 al 1993 era stato dichiarato un reddito del tutto insussistente.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione alla costruzione operata in sentenza del reato di bancarotta semplice documentale come fattispecie ad elemento soggettivo configurabile sia dalla colpa che dal dolo. La difesa ritiene che, alla luce dei principi generali in tema di attribuzione del reato dal punto di vista dell’elemento soggettivo, non e’ possibile ritenere tale assunto, in particolare in relazione alla condotta di omessa tenuta delle scritture contabili, derivandone altrimenti la degradazione dell’illecito a contravvenzione, non consentita.
Poiche’, invece, il reato e’ configurabile solo a titolo doloso, non vi sarebbe prova dell’elemento soggettivo a carico dell’imputato, come risulta dalle sue dichiarazioni che provano l’assenza di qualsiasi intenzionalita’ nella condotta, semplicemente addebitabile al notevole tempo trascorso tra il momento in cui la societa’ e’ divenuta inattiva (il 1993) e la data del fallimento.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilita’ prevista dall’articolo 131-bis c.p., pur sussistendone tutti gli indici di applicabilita’ nel caso concreto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile.
2. Il primo motivo di doglianza non tiene conto che il reato di bancarotta semplice documentale viene ricostruito dalla pacifica giurisprudenza di legittimita’ come reato di pericolo presunto che, mirando ad evitare che sussistano ostacoli alla attivita’ di ricostruzione del patrimonio aziendale e dei movimenti che lo hanno costituito, persegue la finalita’ di consentire ai creditori l’esatta conoscenza della consistenza patrimoniale, sulla quale possano soddisfarsi. La fattispecie, pertanto, consistendo nel mero inadempimento di un precetto formale (il comportamento imposto all’imprenditore dall’articolo 2214 c.c.), integra un reato di pura condotta, che si realizza anche quando non si verifichi, in concreto, danno per i creditori.
In tale ottica, l’obbligo di tenere le scritture contabili non viene meno anche nel caso in cui manchino passivita’ insolute ovvero l’attivita’ di impresa della fallita sia cessata di fatto, dovendo ritenersi non piu’ sussistente tale obbligo solo se l’azienda abbia cessato anche formalmente la propria attivita’ con la cancellazione dal registro delle imprese (ex multis tra quelle massimate, cfr. Sez. 5, n. 4727 del 15/3/2000, Albini, Rv. 215985; Sez. 5, n. 35168 del 11/7/2005, Scyni, Rv. 232572; Sez. 5, n. 15516 del 11/2/2011, Di Mambro, Rv. 250086).
Ai fini della configurabilita’ del reato e della sussistenza del pericolo presunto dalla disposizione di cui all’articolo 217 L. Fall., dunque, e’ irrilevante la circostanza messa in risalto dal ricorrente che sin dal 1993 la fallita (OMISSIS) avesse cessato qualsiasi attivita’, tanto da risultare priva di beni al momento del fallimento e di reddito dichiarato.
Infatti, l’offensivita’ della condotta, alla cui accezione costituzionale di necessaria componente delle fattispecie penali il ricorrente si richiama, e’ stata dal legislatore ricollegata non gia’ ad una concreta idoneita’ della omessa tenuta delle scritture contabili ad arrecare pregiudizio ai creditori, bensi’ al potenziale rischio che la mancanza delle scritture e degli elementi contabili prescritti per legge arreca alla esatta conoscenza della consistenza patrimoniale sulla quale i creditori possono soddisfarsi, a prescindere da qualsiasi profilo di effettiva realizzazione di tale rischio o pericolo.
3. Il secondo motivo di ricorso egualmente e’ privo di qualsiasi pregio e fondatezza. Secondo gli orientamenti interpretativi pacifici di legittimita’ in materia, l’elemento soggettivo del reato di bancarotta semplice e’ costituito indifferentemente dal coefficiente del dolo o della colpa, che sono ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volonta’ o per semplice negligenza, di tenere le scritture, a differenza che nell’ipotesi di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 2, prima parte, (bancarotta fraudolenta documentale), in cui il fattore soggettivo e’ necessariamente coperto dal dolo, sia pur nella forma generica, con la consapevolezza che cio’ renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore (cfr. Sez. 5, n. 55065 del 14/11/2016, Incalza, Rv. 268867; Sez. 5, n. 48523 del 6/10/2011, Barbieri, Rv. 251709; Sez. 5, n. 6769 del 18/10/2005, dep. 2006, Dalceggio, Rv. 233997).
Alla luce dei principi sopradetti, le obiezioni del ricorrente circa la mancanza della prova del dolo del reato di bancarotta semplice documentale a carico del ricorrente sono manifestamente infondate.
4. Il terzo motivo di ricorso riguarda un’eccezione proposta per la prima volta in sede di legittimita’ e, pertanto, inammissibile alla luce della giurisprudenza secondo cui e’ non sono deducibili per la prima volta dinanzi alla Corte di cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto dei motivi di gravame e sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perche’ non devolute alla sua cognizione, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimita’ sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura “a priori” un inevitabile difetto dimotivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (cfr. ex multis Sez. 2, n. 29707 del 8/3/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/2/2017, Bolognese, Rv. 269745; Sez. 5, n. 28514 del 23/4/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255577; analogo principio e’ stato affermato anche in tema di misure cautelari: cfr. Sez. 5, n. 48416 del 6/10/2014, Dudaev, Rv. 261029).
Del resto, la questione relativa all’applicabilita’ dell’articolo 131-bis c.p. non puo’ essere dedotta per la prima volta in cassazione, secondo l’opzione dominante della giurisprudenza di legittimita’, se tale disposizione – come nel caso di specie – era gia’ in vigore alla data della deliberazione della sentenza di appello, ostandovi la previsione di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 3, (ex multis, Sez. 6, n. 20270 del 27/4/2016, Gravina, Rv. 266678; Sez. 5, n. 57491 del 23/11/2017, Moio, Rv. 271877; Sez. 3, n. 23174 del 21/3/2018, Sarr, Rv. 272789; cfr. anche Sez. 7, ord. n. 43838 del 27/5/2016, Savini, Rv. 268281).
5. Alla declaratoria d’inammissibilita’ segue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonche’, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilita’ (cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000), al versamento, a favore della Cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.

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