Corte di Cassazione, penale, Sentenza|9 aprile 2021| n. 13274.
In sede di giudizio di legittimità, qualora sia esclusa un’aggravante, pur ritenuta subvalente nel giudizio di comparazione con circostanze attenuanti, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla circostanza esclusa e con rinvio per la rideterminazione della pena, in quanto l’eliminazione della aggravante potrebbe implicare una diversa valutazione in ordine all’entità della riduzione sanzionatoria derivante dalle circostanze attenuanti, ove non effettuata nel massimo, e incidere sulla determinazione del danno risarcibile, ove vi sia stata costituzione di parte civile.
sentenza|9 aprile 2021| n. 13274
Data udienza 5 marzo 2021
Integrale
Tag – parola chiave: REATI CONTRO LA PERSONA – DELITTI CONTRO LA LIBERTA’ INDIVIDUALE – VIOLENZA SESSUALE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LIBERATI Giovanni – Presidente
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere
Dott. SEMERARO Luca – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere
Dott. CORBO Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 05/02/2019 della CORTE APPELLO di TRIESTE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SCARCELLA ALESSIO;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale BALDI FULVIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni scritte del difensore di parte civile, Avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’inammissibilita’ o il rigetto del ricorso, oltre rifusione delle spese sostenute nel presente grado, secondo liquidazione giudiziale;
letta la memoria di replica del difensore del ricorrente, Avv. (OMISSIS), che ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 5.02.2019, la Corte d’appello Trieste, in parziale riforma della sentenza tribunale di Udine 29.03.2016, appellata dal (OMISSIS), previa esclusione dell’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 5, confermava l’appellata sentenza che lo aveva ritenuto colpevole del reato di violenza sessuale ai danni una minore di anni sedici, costringendola a subire atti sessuali, reato contestato come commesso secondo le modalita’ esecutive e spazio – temporali meglio descritte nell’imputazione, fatto aggravato dall’essere stato commesso profittando delle circostanze relative alla giovane eta’ della vittima e dello stato di ubriachezza in cui versava la p.o., in relazione a fatti contestati come avvenuti nella notte tra il (OMISSIS).
2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del ricorrente, iscritto all’Albo speciale previsto dall’articolo 613 c.p.p., articolando tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione.
Con il primo motivo, la difesa del ricorrente censura la motivazione della sentenza impugnata sostenendo che la Corte d’appello sarebbe incorsa in una contraddizione laddove, da un parte, avrebbe riconosciuto la sussistenza dello stato confusionale della p.o., applicandolo ad esempio per giustificare il fatto di non aver gridato all’interno di un giardino pubblico adiacente la Procura di Udine, mentre, dall’altro, non ne avrebbe tenuto conto laddove ha affermato che, sempre a causa dello stato confusionale, la vittima non ha o potrebbe non avere espresso in alcun modo il proprio dissenso alla consumazione del rapporto sessuale, pur trattandosi di fatti avvenuti nello stesso contesto. Che il riconoscimento dello stato confusionale in cui versava la ragazza a causa dell’ebbrezza alcolica vi fosse nel caso in esame, emergerebbe dalle stesse affermazioni della sentenza impugnata nella parte in cui ha valorizzato proprio tale stato per giustificare il motivo per cui la ragazza non avesse gridato, sicche’ sarebbe dunque evidente come anche nel momento in cui vi fu il rapporto sessuale la ragazza, proprio per il suo stato confusionale, potrebbe non aver espresso il suo dissenso, nemmeno in forma indiretta, come del resto sarebbe comprovato dal fatto che la ragazza non presentava segni di violenza fisica e gli indumenti dalla stessa indossati si presentavano puliti ed intatti nonostante fossero stati abbassati sino al ginocchio, risultando peraltro che il ricorrente non solo non era presente al momento in cui la ragazza aveva bevuto, ma che non abbia mai spinto la ragazza ad assumere i bicchierini di vodka quella sera, essendosi trattato di un incontro del tutto casuale e senza che fosse stato concordato alcun appuntamento. A comprova di quanto sopra deporrebbero tutta una serie di elementi che non sarebbero stati valutati dalla Corte d’appello, riassunti alle pagg. 4/5 del ricorso (la p.o. aveva bevuto unicamente in compagnia delle sue amiche; l’incontro e’ stato casuale, essendo il ricorrente sopraggiunto o durante l’assunzione dei bicchierini di vodka o subito dopo; il ricorrente e la p.o. risulterebbe si siano baciati volontariamente e lungamente, scambiandosi sguardi provocanti; i due si sarebbero portati all’interno del bagno del locale facendo petting con masturbazione, come riferito dalla teste (OMISSIS); i due si sarebbero volontariamente allontanati verso il giardino; il ricorrente, all’atto di sdraiarsi, avrebbe offerto alla ragazza la sua camicia bianca ove poter meglio far adagiare la stessa; la p.o. al ritorno sarebbe apparsa sorridente e tranquilla, come riferito dalla teste (OMISSIS); la p.o. al rientro si sarebbe poi baciata volontariamente con un altro ragazzo di nome (OMISSIS), come dalla stessa p.o. riferito; una teste, tale (OMISSIS), avrebbe dichiarato di aver ricevuto dalla p.o. la seguente confidenza: per fortuna l’ho fatto con lui, perche’ se no l’avrei fatto con un altro; infine, la teste (OMISSIS), su contestazione del PM, avrebbe riferito che la p.o. aveva avuto un rapporto sessuale completo con il ricorrente “che, preciso subito, non voleva avere”, aggiungendo che la precedente assunzione di alcol avrebbe impedito alla p.o. di percepire chiaramente cio’ che stava accadendo alla p.o. e di reagire di conseguenza). Quanto sopra, secondo la difesa, confermerebbe che vi fosse il volontario consenso della p.o. a consumare il rapporto sessuale con il ricorrente o, comunque, al piu’ sarebbe dimostrativo che la stessa si trovasse in stato confusionale da assunzione di alcolici, non indotto ne’ conosciuto dal ricorrente, tale da indurre la vittima a non esprimere alcun dissenso all’atto della consumazione del rapporto sessuale. Oltre alla predetta contraddittorieta’ motivazionale, infine, la sentenza sarebbe affetta dal vizio di illogicita’ laddove la Corte territoriale non avrebbe nemmeno preso in esame la diversa ipotesi che la condizione psichica e percettiva in cui si trovava la ragazza sotto effetto dell’alcol, avrebbe potuto provocare percezioni e ricordi distorti od esagerati, comunque non conformi alla realta’.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’articolo 192 c.p.p. e correlato vizio motivazionale sotto il profilo della mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione e travisamento probatorio.
Con il secondo motivo, la difesa del ricorrente sostiene che la motivazione dell’impugnata sentenza sarebbe contraddittoria ed illogica, a causa del travisamento “di una notevole mole di prove acquisite durante il processo”, da cui sarebbero emersi i seguenti dati, gia’ valorizzati a proposito del primo motivo di ricorso: a) la p.o. aveva bevuto unicamente in compagnia delle sue amiche; b) l’incontro e’ stato casuale, essendo il ricorrente sopraggiunto o durante l’assunzione dei bicchierini di vodka o subito dopo; c) il ricorrente e la p.o. risulterebbe si siano baciati volontariamente e lungamente, scambiandosi sguardi provocanti; d) i due si sarebbero portati all’interno del bagno del locale facendo petting con toccamento della vagina e masturbazione, come riferito dalla teste (OMISSIS); e) i due si sarebbero volontariamente allontanati verso il giardino; f) il ricorrente, all’atto di sdraiarsi, avrebbe offerto alla ragazza la sua camicia bianca ove poter meglio far adagiare la stessa, come la stessa vittima aveva confermato dichiarando che il ricorrente l’avrebbe aiutata a sdraiarsi con dolcezza senza usare violenza verso di lei; g) la p.o. al ritorno sarebbe apparsa sorridente e tranquilla, come riferito dalla teste (OMISSIS); h) la p.o. al rientro si sarebbe poi baciata volontariamente con un altro ragazzo di nome (OMISSIS), come dalla stessa p.o. riferito; i) una teste, tale (OMISSIS), avrebbe dichiarato di aver ricevuto dalla p.o., una volta tornate a casa mentre bevevano un caffe’, la seguente confidenza: per fortuna l’ho fatto con lui, perche’ se no l’avrei fatto con un altro; I) infine, la teste (OMISSIS), su contestazione del PM, avrebbe riferito che la p.o. aveva avuto un rapporto sessuale completo con il ricorrente “che, preciso subito, non voleva avere”, aggiungendo che la precedente assunzione di alcol avrebbe impedito alla p.o. di percepire chiaramente cio’ che stava accadendo alla p.o. e di reagire di conseguenza. A tal proposito, la difesa del ricorrente, sostiene che quanto sopra esposto emergerebbe: a) dalle dichiarazioni della p.o. in sede di esame del 5.10.2010, in cui aveva affermato “si entrava, si prendeva da bere…poi si usciva con il drink”, allegando una fotografia estrapolata da Google maps per meglio descrivere lo stato dei luoghi che cio’ consentiva; b) dalle dichiarazioni della teste (OMISSIS) in data 10.02.2013, che avrebbe confermato che le ragazze avevano ordinato da bere e che il ricorrente sarebbe arrivato piu’ tardi, poi affermando di averla vista ridere quando l’aveva vista tornare dopo la consumazione del rapporto sessuale; c) dalle dichiarazioni della teste (OMISSIS), riportando alcune risposte che la stessa avrebbe reso al Presidente del collegio all’ud. 10.02.2013 o al PM in data 15.12.2015 o all’ufficiale di p.g. in data 28.06.2010. I giudici di appello, dunque, erroneamente, avrebbero ritenuto credibile la versione offerta dalla p.o. senza tuttavia offrire idonea motivazione e senza aver preso minimamente in esame tutta una serie di deposizioni (di cui la difesa del ricorrente allega le integrali trascrizioni al ricorso), contrastanti rispetto alla tesi accusatoria. Sarebbero stati quindi violati i criteri dettati dall’articolo 192 c.p.p., omettendo i giudici di appello di dare contezza delle prove o travisandone il contenuto, laddove dalla loro analisi e dalla valutazione rispetto ai fatti di causa sarebbe emerso diversamente. La sentenza sarebbe quindi viziata sia per non aver minimamente motivato la Corte d’appello sulle predette prove o, comunque, perche’ si sarebbe posta in netto contrasto con le deposizioni richiamate, che vengono allegate al ricorso per offrirle in lettura a questa Corte.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di aver profittato dello stato di inferiorita’ psichica della p.o..
Con il terzo motivo, infine, la difesa del ricorrente, richiamata una decisione di questa Corte (Cass., 32462/2018), sostiene che l’aggravante di cui all’articolo 609-ter c.p., non poteva ritenersi sussistente, in quanto l’assunzione dell’alcol era stata volontaria, non essendo stato l’uso della sostanza alcolica strumentale alla violenza sessuale, atteso che non era stato il ricorrente ad utilizzare l’alcol somministrandolo alla vittima per abusare di lei. La ragazza, come emergerebbe pacificamente dagli atti, avrebbe invece assunto volontariamente l’alcol, senza quindi che alcuna responsabilita’ possa essere ascritta al ricorrente. Infine, ulteriore censura investe la motivazione della sentenza in punto di quantificazione della pena, in quanto la Corte d’appello, pur avendo escluso l’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 5, non avrebbe ritenuto di dover ridurre il trattamento sanzionatorio essendo state gia’ riconosciute le attenuanti generiche prevalenti alla aggravanti contestate, cio’ tuttavia costituendo una violazione di legge.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con articolata requisitoria scritta datata 15.02.2021, ha chiesto il rigetto del ricorso.
In particolare, ha rilevato che la sentenza appare ben motivata, posto che effettua un’attenta ricostruzione dei fatti, anche alla luce delle dichiarazioni della parte offesa, e centra la soluzione di diritto. Ed invero il consenso o la sua mancanza sono elementi strutturali per la configurazione del reato di cui all’articolo 609 bis c.p.; il principio espresso dalla Suprema Corte ed adottato dalla sentenza ivi impugnata afferma che, affinche’ possa considerarsi integrato il reato di violenza sessuale, non sono richiesti da parte dell’agente un’azione violenta o un effettivo dissenso da parte della persona offesa, ma la semplice mancanza di consenso all’approccio da parte di quest’ultima (dissenso che la parte offesa, dalle dichiarazioni rilasciate, avrebbe mostrato prima e durante il rapporto). Il comportamento posto in essere dalla p.o. nell’allontanarsi volontariamente con il ricorrente, come il precedente scambio di effusioni, non poteva dunque sottintendere un consenso tacito ed onnicomprensivo, come evidenzia la sentenza della Corte di Appello di Trieste ed anche l’assenza di grida deve ritenersi compatibile con lo stato di alterazione della suddetta. Quanto all’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 5, correttamente la sentenza della Corte di Appello di Trieste l’ha esclusa, posto che il fatto si e’ consumato in un luogo illuminato, in un parco situato al centro cittadino vicino alla Questura e vicino a locali affollati. Altrettanto correttamente e’ stato ritenuto che l’assunzione volontaria di alcool comportasse la condizione di “inferiorita’ psichica o fisica” prevista dall’articolo 609 bis c.p., comma 2, n. 1.
4. La difesa della parte civile, nelle proprie conclusioni scritte in data 17.02.2021, ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese della parte civile del presente grado, secondo liquidazione giudiziale.
5. La difesa del ricorrente, con memoria del 24.02.2021, nell’insistere nell’accoglimento del ricorso, ha aggiunto un ulteriore profilo che ad avviso della difesa, rileverebbe agli effetti del giudizio, ossia la circostanza per la quale nessuno dei giudici di merito avrebbe valutato il fatto che alla parte offesa, persona di 16 anni all’epoca del fatto, fossero state vendute sostanze alcooliche, fatto che, per legge, nel caso di persona inferiore agli anni 16, integra l’ipotesi di reato di cui all’articolo 689 c.p., mentre nell’ipotesi di vendita a persona superiore agli anni 16 comporterebbe una multa ed una sospensione della licenza commerciale.
Se si fosse tenuto conto di tale circostanza i fatti non sarebbero giunti all’attenzione dell’autorita’ giudiziaria. La difesa del ricorrente, infine, si riporta al ricorso insistendo ancora una volta sull’esistenza dello stato confusionale che avrebbe giustificato l’assenza di grida, valorizzando poi quanto dalla p.o. dichiarato alla propria insegnante di religione, la teste (OMISSIS), alla quale avrebbe riferito la verita’, ossia il fatto di non aver compreso “subito” quanto stava accadendo a causa dell’ingestione dell’alcol. Lo stato di alterazione, dunque, avrebbe sicuramente inciso su un eventuale esplicito dissenso al rapporto sessuale, in quanto questo eventuale dissenso per la difesa del ricorrente potrebbe essere unicamente il frutto di un tardivo pentimento rispetto all’atto compiuto quella notte, in un giardino pubblico, dietro la Questura di Udine perfettamente illuminato e cosi’ si spiegherebbe anche la circostanza dedotta dal P.G. ossia “l’assenza di grida”.
6. Con provvedimento del Presidente di sezione del 23.02.2021 e’ stata rigettata la richiesta di trattazione orale per il mancato rispetto del termine di gg. 25 antecedenti la data dell’udienza 5.03.2021, previsto dal Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, conv. in L. n. 176 del 2020, essendo stata depositata l’istanza di trattazione orale in data 22.02.2021.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, trattato ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, ex articolo 23, comma 8, e’ parzialmente fondato.
2. Esso tuttavia si espone al giudizio di inammissibilita’ in relazione ai primi due motivi, in quanto generico per aspecificita’, atteso che non si confronta con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive svolte nei motivi di appello (che, vengono, per cosi’ dire “replicate” in questa sede di legittimita’ senza alcun apprezzabile elemento di novita’ critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilita’.
Ed invero, e’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che e’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni gia’ esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
3. Dalla lettura della sentenza d’appello e di primo grado (che, attesa la natura di doppia conforme, si integrano reciprocamente, formando un unicum motivazionale, avendo esaminato i giudici territoriali le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione: Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 – dep. 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595 – 01), emerge infatti la puntuale, argomentata e insindacabile confutazione di tutti i profili di doglianza mossi da parte della Corte d’appello, il tutto con un percorso logico immune dai denunciati vizi. In estrema sintesi, in particolare, si evidenzia quanto segue in ordine anzitutto al primo ed al secondo motivo di ricorso – che, attesa l’omogeneita’ dei profili di doglianza mossi, meritano congiunta illustrazione -, in relazione ai quali si ravvisano anche profili di manifesta infondatezza che saranno indicati in sede di esame di ciascuno di essi.
4. In particolare, la Corte d’appello ed il giudice di primo grado affrontano ex professo la questione della mancanza di consenso all’atto sessuale della vittima (che, come del resto risulta chiaramente dal capo di imputazione, non aveva riguardato la fase preliminare in cui i due si erano baciati, atto rispetto al quale anche la stessa p.o. conferma essere stata consenziente), dando conto di come non solo la stessa avesse piu’ volte dichiarato sia in sede di incidente probatorio (v. pag. 6 della sentenza impugnata) che successivamente come, rispetto al congiungimento carnale, la stessa avesse manifestato immediatamente, non appena resasi conto delle reali intenzioni del ricorrente di andare oltre alle effusioni sino a quel momento limitatesi ai baci (inizialmente anche quando i due si erano appartati e sdraiati sull’erba), di non essere disponibile a consumare il rapporto sessuale completo, cui invece il ricorrente l’avrebbe costretta sopraffandola ed immobilizzandola con il salirle di sopra, rendendo cosi’ nulla la capacita’ di reazione della vittima, visto che, anche per la sua struttura fisica, l’uomo la sovrastava, peraltro incurante della richiesta della minore di non volerlo fare, dicendole di stare tranquilla. Si legge in particolare nella sentenza impugnata come “gia’ dalle prime dichiarazioni rese, reiterate anni dopo in sede dibattimentale, emerge che la ragazza aveva cercato di reagire e di impedire l’atto sessuale non riuscendo che a spingere l’uomo per le spalle a causa della stazza di quest’ultimo (“dicendogli esplicitamente si’ che non volevo assolutamente”: fl 18 v. inc. probatorio). A domanda del P.M. se non avesse gridato cercato aiuto gridando o se avesse solo pensato che fosse sufficiente dirgli “no, no basta”, la ragazza ha risposto che lei aveva avuto come la sensazione di aver urlato senza essere riuscita a manifestarla (fl 18 stesso verbale). Ha aggiunto di avere avuto paura durante l’atto sessuale e di essere stata scossa e di avere scalciato (fl 36 stesso verbale)”. Precisano i giudici di appello, a tal proposito, come la “ragazza in tal caso intendeva riferirsi alle urla e alle grida ma non alla mancanza di consenso all’atto, espressamente manifestata prima e durante il rapporto sessuale. La circostanza di non aver gridato, anche se la stessa ricorda che le sembrava di averlo fatto, compatibile con lo stato di alterazione alcolica della ragazza che aveva precedentemente assunto cinque/sei c.d. chupiti (bicchierini di vodka) e quindi con lo stato confusionale della medesima – e cio’ nonostante la stessa abbia dichiarato “mi ricordo che ero brilla, pero’ riuscivo a capire quello che mi stava succedendo attorno”, non implica volonta’ e partecipazione all’atto, tanto piu’ che verbalmente la stessa aveva espressamente manifestato la mancanza di consenso alla penetrazione, accompagnando alle parole una condotta o meglio un tentativo di allontanamento del ragazzo da se’, tentativo non riuscito per la mole del ragazzo rispetto alla sua (lei piccola e mingherlina, il ragazzo alto e di mole massiccia)”.
5. La Corte, al fine di evidenziare la attendibilita’ intrinseca della ragazza, a pag. 7 della sentenza impugnata, evidenzia poi come la stessa avesse reiterato le predette dichiarazioni anche in sede dibattimentale all’ud. 15.12.2015 (“e allora lo gli ho detto di no, gli ho detto no, cioe’ non voglio e lui mi ha detto di stare tranquilla, lo mi ricordo che mi ha detto, zitta, stai tranquilla e dopo lo mi ricordo che, insomma, e’ successo e allora, dopo..” (fl 12); “io detto, no non fare, perche’ lo gli avevo capito che quello che voleva fare e lo gli ho detto no”(fl 34); “ero bloccata, non riuscivo a muovermi e lo gli dicevo a lui no e non mi ricordo, cioe’ non riuscivo a fare nient’altro” (fl 13). La Corte d’appello, poi, nel commentare la frase che il ricorrente aveva poi riferito subito dopo l’atto sessuale, di fronte agli amici (“abbiamo fatto”), la qualifica, peraltro, logicamente, come “circostanza neutra non essendo indicativa per il Tribunale di un consenso e per la difesa, nemmeno di un “un dissenso””, comportamento dell’uomo, quest’ultimo, da cui i giudici territoriali traggono conferma per ritenere provata la penetrazione della ragazza, anche per aver il ricorrente, dopo il rapporto sessuale, mostrato a tutti gli amici la sua camicia con i segni dello sperma, peraltro riferendo i giudici territoriali delle dichiarazioni dei testi assunti che avevano riferito di una ragazza piangente e disperata, cui si accompagnava, come elemento di riscontro estrinseco, il certificato medico del 1 giugno 2010, rilasciato dall’azienda ospedaliera che evidenziava la esistenza di “una piccola abrasione a livello della forchetta vaginale, non sanguinante”, compatibile con un atto non consenziente.
6. I giudici di appello, peraltro, si prendono carico di individuare anche elementi di riscontro estrinseci al narrato della minore, gia’ ritenuto intrinsecamente attendibile per la coerenza delle dichiarazioni rilasciate, ma anche dalla condotta successiva, in particolare valorizzando: a) le dichiarazioni della teste (OMISSIS) che non aveva creduto alla consensualita’ del rapporto perche’ conosceva la p.o. e l’importanza che la stessa annetteva al primo atto sessuale e alla verginita’; b) soprattutto quelle del precedente ragazzo della persona offesa, il quale aveva confermato che nonostante sue richieste espresse, la ragazza non aveva mai voluto avere rapporti intimi con lui, non sentendosi pronta. I giudici territoriali, inoltre, non si sottraggono al ruolo di garanzia attribuito ex lege al giudice di secondo grado, provvedendo in particolare a confutare l’argomento valorizzato dal ricorrente (che viene ad essere riproposto, senza alcun apprezzabile elemento di novita’ critica, in questa sede di legittimita’), rappresentato dalle dichiarazioni di un’unica teste, (OMISSIS), che avrebbe ricevuto la confidenza dell’amica la quale con una frase le aveva fatto presupporre la consensualita’ del rapporto (“per fortuna l’ho fatto con lui, perche’ se no l’avrei fatto con un altro”), dichiarazione che la difesa del ricorrente lamenta non essere stata sufficientemente valorizzata sin dal giudizio di primo grado. Orbene sul punto, a dispetto delle critiche della difesa del ricorrente, i giudici di appello motivano le ragioni per le quali hanno ritenuto, come del resto il primo giudice, di non attribuire alcuna credibilita’ al narrato della teste (OMISSIS). Si legge, in particolare, in sentenza (pag. 8), che “il giudice di primo grado ha evidenziato come tale frase risulti poco credibile in quanto non sentita dalle altre ragazze presenti e anche ammesso che la confidenza possa essere stata fatta mentre le altre ragazze si trovavano tutte in un’altra stanza, la stessa si giustifica con lo stato confusionale della persona offesa che era stato fatto oggetto di sputi e di insulti (“troia e puttana”) e soprattutto colpevolizzata da parte del gruppo di amici una volta che gli stessi erano stati messi al corrente dall’imputato del rapporto intervenuto poco prima. Del resto non puo’ dimenticarsi che tutto il gruppo di amici, una volta appresa la notizia che la persona offesa aveva sporto querela nei confronti dell’appellante, si era schierato a favore di quest’ultimo (fl 27 v. udienza dd 5.11.2010), anche per paura di dovere andare a testimoniare; infatti, proprio (OMISSIS) aveva detto alla persona offesa “io non posso andare a testimoniare, perche’ i miei genitori non lo sapevano” (fl. 25 v. udienza dd. 15.12.2015), cioe’ non sapevano che la stessa quella sera era uscita e cosa era accaduto”.
Si tratta, all’evidenza, di una motivazione che, lungi dal presentare segni di illogicita’ manifesta, fornisce invece in maniera del tutto logica la spiegazione dell’irrilevanza del contributo dichiarativo della teste (OMISSIS), nel contempo descrivendo il contesto nel quale la situazione era maturata, evidenziando la solidarieta’ al ricorrente “interessata” del gruppo di amici, preoccupati solo dal timore di dover andare a testimoniare che da altro.
7. Analogamente immune dai denunciati vizi si appalesa la ulteriore argomentazione offerta dai giudici territoriali a sostegno della credibilita’ della p.o. – e, correlativamente, della non attendibilita’ della versione del ricorrente circa l’esistenza dello stato confusionale che avrebbe inciso sulla reale manifestazione del dissenso alla consumazione del rapporto sessuale da parte della ragazza -, argomentazione fondata sulle dichiarazioni dell’insegnante di religione della vittima (le cui dichiarazioni, peraltro, vengono valorizzate dalla difesa del ricorrente come particolarmente credibili), la quale aveva riferito di un diverbio proprio tra la p.o. e la teste (OMISSIS), avvenuto a scuola, dopo l’estate. Era stato in quell’occasione che l’insegnante aveva appreso, essendo la discussione tra le due proseguita, che la ragazza aveva avuto un rapporto sessuale con un ragazzo, rapporto che la ragazza aveva espressamente riferito non essere stato consenziente (” (OMISSIS) continuava a ripetere che non voleva il rapporto e piangeva raggomitolata sulla sedia dicendo che le compagne non le credevano mentre proprio la (OMISSIS) l’accusava di mentire, sopraggiunto un altro compagno, (OMISSIS), tutti sostenevano che (OMISSIS) era un bravo ragazzo e non meritava di essere denunciato (per inciso, qualche tempo dopo, la stessa teste (OMISSIS) chiedera’ scusa ad (OMISSIS) una volta visto il comportamento dell’amica – introversione, bisogno di stare da sola – per quanto accaduto). La deposizione della teste (OMISSIS) era stata confermata dalle altre insegnanti, (OMISSIS) e (OMISSIS), intervenute quel giorno che hanno riferito di (OMISSIS) come di una ragazza seria e dedita agli studi”).
Si tratta di un approdo che, oltre ad essere di piana lettura, resiste a qualsiasi critica di ordine logico – argomentativo, frutto di una valutazione ancorata rigorosamente alle emergenze processuali. Del resto, come e’ noto, l’esercizio del controllo affidato dalla legge alla Corte Suprema di Cassazione non comporta mai una sovrapposizione di valutazioni sugli elementi di fatto da parte del giudice di legittimita’, posto che tale sovrapposizione di quest’ultimo in un campo – quello appunto della valutazione delle prove – che e’ per contro affidato al giudice di merito. Il controllo ha ad oggetto solo la motivazione posta dal giudice di merito a fondamento della propria esclusione, ed i parametri utilizzabili sono quelli della completezza dell’indagine, della correttezza della valutazione dei singoli elementi acquisiti al processo ed infine della congruita’ logica dei vari sillogismi lungo i quali si snoda il ragionamento che, muovendo da date premesse, perviene alle conclusioni che sono poi, a ben vedere, le sole che formano oggetto dell’impugnazione, in quanto si traducono nel dispositivo della sentenza (tra le tante: Sez. 1, n. 320 del 17/12/1991 – dep. 15/01/1992, Rv. 191100 – 01).
Del resto, le critiche esposte nei primi due motivi di ricorso, circa la supposta contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ quanto alla valorizzazione “a corrente alternata” dello stato confusionale della vittima (come, ancora, quella basata sulla supposta omessa valutazione o travisamento probatorio delle deposizioni dei testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e della stessa persona offesa), ancora una volta, lungi dall’individuare nella sentenza reali vizi motivazionali – sentenza che si dimostra del tutto immune dai denunciati vizi, e che e’ frutto dell’apprezzamento degli elementi probatori in atti, rispetto ai quali il giudice di appello perviene ad un risultato logico sulla base di un’ipotesi ricostruttiva in chiave logica -, si risolvono in una critica al ragionamento logico del giudice d’appello.
8. Conclusivamente, al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze del ricorrente si appalesano manifestamente infondate, in quanto si risolvono nel “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di appello, operazione vietata in sede di legittimita’, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per presunti vizi motivazionali con cui, in realta’, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimita’ operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita’ di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745). Verifica, nel caso di specie, agevolmente superata dalla sentenza impugnata.
9. A cio’ va aggiunto, peraltro, quanto al supposto travisamento, come la relativa censura si appalesi del tutto generica, avendo si’ la difesa allegato al ricorso le trascrizioni integrali delle deposizioni in esame, ma sostanzialmente invitando questa Corte a procedere alla loro lettura integrale, senza individuare con chiarezza il “peso” reale del dedotto travisamento probatorio, cosi’ dimenticando che il ricorso per cassazione che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena di inammissibilita’ e in forza del principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e non puo’ limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto e’ alla stessa precluso (Sez. 6, n. 29263 del 08/07/2010 -dep. 26/07/2010, Rv. 248192 – 01). Ne’, infine, coglie nel segno la dedotta censura di violazione di legge relativa all’articolo 192 c.p.p., avendo infatti le Sezioni Unite di questa Corte affermato il principio per cui in tema di ricorso per cassazione, e’ inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell’articolo 192 c.p.p., anche se in relazione all’articolo 125 e articolo 546, comma 1, lettera e), stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilita’ delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita’ (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020 – dep. 23/10/2020, Filardo, Rv. 280027 – 04).
10. Resta da esaminare, infine, il terzo motivo, con cui si censura la sentenza per aver ritenuto sussistente l’aggravante di cui all’articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 2, in fatto contestata.
11. Il motivo e’ fondato.
12. Ed invero, i giudici di appello, sul punto, si limitano ad affermare come il ricorrente avesse abusato dello stato di inferiorita’ psichica della ragazza che aveva assunto cinque/sei c.d. chupiti (bicchierini di vodka) e quindi si trovava in stato di alterazione alcoolica, con cio’ confondendo l’aggravante contestata (rispetto alla quale avevano operato il giudizio di bilanciamento, aggravante prevista dall’articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 2) con l’ipotesi di cui all’articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1, che prevede invece l’ipotesi dell’induzione a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorita’ psichica della persona offesa al momento del fatto.
A tal proposito, i giudici territoriali richiamano una sentenza di questa Corte che ha affermato come l’inferiorita’ psichica consiste in uno stato individuale, permanente o transitorio, che senza risolversi in una infermita’ totale o parziale che toglie in tutto in parte la capacita’ di esprimere un valido consenso, come ad esempio in caso di ubriachezza o di uso di stupefacenti o di suggestione ipnotica.
L’argomentazione, tuttavia, non e’ corretta, soprattutto alla luce della recente giurisprudenza di questa Corte, cui il Collegio reputa di dover dare continuita’, secondo cui in tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilita’ dell’aggravante speciale di cui all’articolo 609 ter c.p., comma 1, n. 2, e’ necessario che l’assunzione, da parte della vittima, di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti sia stata provocata o agevolata dall’autore del reato e sia funzionalmente diretta alla realizzazione degli atti sessuali, si’ che deve escludersi la stessa quando egli abbia solamente approfittato della condizione discendente da tale assunzione (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza dell’aggravante in relazione alla violenza sessuale subita dalla vittima che aveva assunto volontariamente sostanza stupefacente cedutagli da un terzo non accordatosi con l’autore del reato: Sez. 3, n. 10596 del 19/03/2020 – dep. 24/03/2020, Rv. 278768 – 01).
13. Non e’ contestato, infatti, nel caso in esame, che il ricorrente non avesse personalmente provveduto ne’ ad offrire ne’ a somministrare l’alcol alla vittima, che aveva assunto volontariamente i bicchierini di vodka.
Sul punto – in disparte il rilievo che e’ la stessa difesa a sottolineare nel ricorso come non fosse nemmeno certo che il ricorrente sopraggiunse dopo l’assunzione della vodka da parte del gruppo di ragazze (v. pag. 5 del ricorso e pag. 8 in cui al punto 2 di pag. 5 ed alla lettera b) di pag. 8, si afferma “il signor (OMISSIS) arrivera’ dopo o durante l’assunzione dei bicchierini – non avevano nessun appuntamento – incontro casuale”), cio’ che dunque costituisce elemento da cui potrebbe emergere che l’uomo fosse consapevole che la ragazza aveva assunto sostanze alcoliche e, dunque, avesse approfittato dello stato di alterazione dovuto alla volontaria assunzione dell’alcol – occorre tuttavia ribadire quanto da questa stessa sezione affermato nella richiamata sentenza, in cui si e’ chiarito (pagg. 3/4, sentenza n. 10596/2020) come “la soluzione secondo cui, ai fini della configurabilita’ dell’aggravante di cui all’articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 2, l’uso delle sostanze alcoliche o stupefacenti debba dipendere da un’attivita’ di somministrazione la quale sia stata effettuata o agevolata dall’agente e risulti funzionalmente diretta alla realizzazione degli atti sessuali sembra imporsi per un duplice ordine di ragioni. Invero, soccorrono argomenti letterali e sistematici. Precisamente, l’articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 2, ha riguardo ai “fatti di cui all’articolo 609-bis (…) commessi: (…) 2) con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa”. Il riferimento ai “fatti (…) commessi (…) con l’uso” e l’accostamento, in via alternativa, delle sostanze alcoliche o stupefacenti alle armi costituiscono elementi dai quali e’ ragionevolmente inferibile come, per il legislatore, ai fini dell’aggravante in discorso, il ricorso a tali sostanze rilevi quale strumento per costringere o indurre la vittima a compiere o subire atti sessuali, e, quindi, dia luogo ad una situazione diversa, e piu’ grave, rispetto a quella in cui l’agente “si limita” ad approfittare di una situazione di inferiorita’ della persona offesa”.
14. Tali argomentazioni, del tutto condivisibili, consentono pertanto di ritenere fondata la doglianza difensiva di insussistenza dell’aggravante de qua. Cio’ comporta, di conseguenza, l’assorbimento dell’ulteriore profilo di doglianza, relativo a trattamento sanzionatorio, atteso che l’esclusione della configurabilita’ dell’aggravante di cui all’articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 2, se impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con riferimento a tale circostanza, con eliminazione della stessa, determina contestualmente il rinvio degli atti ad altra Sezione della Corte d’appello di Trieste per la rideterminazione della pena. Innanzitutto, per quanto concerne la decisione di eliminazione della circostanza aggravante, risulta corretto fare applicazione del piu’ generale principio enunciato anche dalle Sezioni Unite secondo cui, nel giudizio di cassazione, l’annullamento della sentenza di condanna va disposto senza rinvio allorche’ un eventuale giudizio di rinvio, per la natura indiziaria del processo e per la puntuale e completa disamina del materiale acquisito e utilizzato nei pregressi giudizi di merito, non potrebbe in alcun modo colmare la situazione di vuoto probatorio storicamente accertata (cfr. per tutte, Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226100-01, nonche’, per citare la piu’ recente massimata, Sez. 6, n. 26226 del 15/03/2013, Savina, Rv. 255784-01).
15. Cio’ posto, l’eliminazione della precisata aggravante, pur ritenuta sub valente alle riconosciute circostanze attenuanti generiche, potrebbe, da un lato, implicare una diversa valutazione in ordine all’entita’ della riduzione della pena (considerata la riduzione in misura inferiore al massimo disposta dal giudice di merito), con conseguente possibilita’, di applicazione di una riduzione della pena per il riconoscimento di queste ultime in assenza di circostanze eterogenee, secondo un giudizio discrezionale, che tenga conto di tutti gli elementi di fatto rilevanti; dall’altro, essendo legata al risarcimento del danno riconosciuto alla parte civile, l’esclusione dell’aggravante potrebbe parimenti incidere sulla determinazione complessiva del danno risarcibile ex articolo 574 c.p.p., comma 4.
16. L’impugnata sentenza dev’essere pertanto annullata senza rinvio nella parte in cui ha ritenuto sussistente la predetta aggravante, dovendosi, nel resto, dichiarare inammissibile il ricorso, conseguendone nondimeno la condanna alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile costituita, liquidate in base al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 nella misura in dispositivo indicata.
17. Infine, a norma dell’articolo 624 c.p.p., in considerazione dell’esito del giudizio, diventa irrevocabile l’affermazione di responsabilita’ del ricorrente.
18. Segue ex lege l’oscuramento dei dati, attesa la contestazione del delitto di cui all’articolo 609 bis c.p..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante di cui all’articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 2, che esclude, con rinvio per la rideterminazione della pena ad altra sezione della Corte D’appello di Trieste.
Dichiara inammissibile, nel resto, il ricorso.
Visto l’articolo 624 c.p.p., dichiara l’irrevocabilita’ della sentenza quanto all’affermazione di responsabilita’.
Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto disposto d’ufficio e/o imposto dalla Legge.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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