Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 20 giugno 2019, n. 16579.
La massima estrapolata:
Pur attenendo la questione relativa all’applicabilità di uno specifico termine di prescrizione all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge, sicché la relativa rilevazione -anche in ordine alla decorrenza da un determinato dies a quo – non è riservata al monopolio della parte ma può avvenire anche d’ufficio, allorquando il giudice di prime cure si sia espresso al riguardo e la relativa statuizione non abbia formato oggetto di specifico gravame deve ritenersi essersi sul punto formato il giudicato implicito.
Ordinanza 20 giugno 2019, n. 16579
Data udienza 25 settembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. CIGNA Mario – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6833/2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), in proprio, domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) difensore di se’ medesimo;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4147/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 09/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/09/2018 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha chiesto l’accoglimento dei motivi I e II di ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza ex articolo 281 sexies c.p.c., del 9/11/2016 la Corte d’Appello di Milano, in accoglimento del gravame interposto dal sig. (OMISSIS) e in conseguente riforma della pronunzia Trib. Milano 26/6/2015, ha rigettato la domanda nei confronti del medesimo proposta dal sig. (OMISSIS) di risarcimento di danni lamentati in conseguenza della “difettosa prestazione professionale dallo stesso svolta”, nella sua qualita’ di avvocato, in una causa di recupero credito, “per il grave errore in cui era incorso… nella determinazione dell’azione da intraprendere per la restituzione dell’indebito oggettivo”, per avere “impostato la causa sotto l’esclusivo profilo dell’indebito arricchimento anziche’ dell’azione ex articolo 2033 c.c.”, errore al quale era conseguito “un ingente danno economico”.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il (OMISSIS) propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi.
Resiste con controricorso il (OMISSIS), che ha presentato anche memoria.
Con conclusioni scritte del 4/9/2018 il P.G. presso questa Corte ha chiesto l’accoglimento dei primi 2 motivi del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che la corte di merito abbia escluso la responsabilita’ professionale della controparte in relazione a domanda di arricchimento senza causa ex articolo 2041 c.c., dal medesimo erroneamente proposta al fine di fargli ottenere la restituzione di somme corrisposte a tale sig. (OMISSIS) a titolo di caparra sin della conclusione di due contratti preliminari di compravendita di terreni stipulati con il sig. (OMISSIS), benche’ tale domanda sia stata dal giudice dell’appello rigettata per essere stata la suddetta azione sussidiaria proposta pur sussistendo i presupposti per l’esercizio della diversa azione di ripetizione dell’indebito ex articolo 2033 c.c., nella specie tra l’altro ritenuta esperibile in ragione del ravvisato mancato decorso del relativo termine di prescrizione sulla base di un erroneamente individuato momento di decorrenza del termine di prescrizione, diverso da quello prospettato.
Con il 2 motivo denunzia violazione degli articoli 112 e 342 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole non essersi dalla corte di merito considerato il dedotto profilo di responsabilita’ della controparte per non averlo maggiormente tutelato proponendo in via alternativa le azioni ex articoli 2033 e 2041 c.c..
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Va anzitutto osservato che essi risultano formulati in violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che la ricorrente pone a suo fondamento atti o documenti del giudizio di merito (es., il “ricorso ex articolo 702 bis c.p.c.”, la citazione in giudizio “dell’ing. (OMISSIS)”, l'”appello proposto dall’ing. (OMISSIS) avverso la sentenza di prime cure”, la revoca “dell’incarico all’avv. (OMISSIS)”, alla domanda proposta “contro l’avvocato” avanti al Tribunale di Milano, alla sentenza del giudice di prime cure, all’atto di appello, il “preliminare tra il sig. (OMISSIS) e l’ing. (OMISSIS)”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti, laddove e’ al riguardo necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta alla Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimita’ (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239; Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).
A tale stregua, l’odierno ricorrente non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare e intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificarne il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 3/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).
Non sono infatti sufficienti affermazioni -come nel caso- apodittiche, non
seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).
E’ al riguardo appena il caso di osservare che i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex articolo 366 c.p.c., vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilita’ del medesimo.
Essi rilevano ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilita’ del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).
Si e’ da questa Corte al riguardo precisato che anche ai fini della censura di ex articolo 112 c.p.c., i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex articolo 366 c.p.c., vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilita’ del medesimo, non assumendo in contrario rilievo la circostanza che la S.C. sia in tale ipotesi (anche) “giudice del fatto (processuale)”, con potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, giacche’ preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero quella concernente l’ammissibilita’ del motivo in relazione ai termini in cui e’ stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilita’ diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicche’ esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte Suprema di Cassazione puo’ e deve procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221, e, conformemente, Cass., 13/3/2007, n. 5836; Cass., 17/1/2012, n. 539, Cass., 20/7/2012, n. 12664, nonche’, da ultimo, Cass., 24/3/2016, n. 5934, Cass., 25/9/2017, n. 22333 e Cass., 13/2/2018, n. 3406).
Quanto al merito, va osservato che nella specie la corte di merito ha ravvisato l’insussistenza della responsabilita’ dell’odierno controricorrente “alla luce di una valutazione ex ante e a fronte dell’opinabilita’ della questione relativa all’individuazione, nella fattispecie concreta, dell’azione da intraprendere per la restituzione della somma indebitamente trattenuta”.
Ha al riguardo in particolare argomentato dal rilievo: a) che “l’affermazione del primo Giudice che ha riconosciuto la responsabilita’ dell’Avv. (OMISSIS) per avere impostato la causa sotto l’esclusivo profilo dell’indebito arricchimento anziche’ dell’azione ex articolo 2033 c.c., e’ argomentazione tutt’altro che pacifica, come dimostra la sentenza della Suprema Corte (Cass. n. 11417/2002) relativa a fattispecie analoga” (pag. 7 dell’impugnata sentenza); b) che nel giudizio di merito patrocinato dall’odierno controricorrente posto a base della domanda di responsabilita’ professionale proposta nel presente giudizio “la Suprema Corte, nel respingere il ricorso e confermare la sentenza d’appello, contrariamente a quanto affermato dal (OMISSIS), non ha rilevato “anche in tale sede l’inspiegabile errore difensivo nel proporre azione ex articolo 2041 c.c., anziche’ ex articolo 2033 c.c., commesso dall’Avv. (OMISSIS)”, ma si e’ limitata a porre la propria attenzione sull’errore tecnico posto in essere dal Giudice di prime cure il quale, a fronte di una domanda di ingiustificato arricchimento, aveva deciso la fattispecie sulla base della diversa azione di ripetizione dell’indebito in violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato sancito dall’articolo 112 c.p.c., stante la “differenza ontologica tra le due azioni””.
Orbene siffatta ratio decidendi e’ rimasta invero, (anche) alla stregua di quanto sopra, non idoneamente censurata dall’odierno ricorrente, risultando dal medesimo conseguentemente non osservato il consolidato principio secondo cui e’ sufficiente che anche una sola delle rationes su cui si fonda la decisione impugnata non abbia formato oggetto di censura (ovvero sia stata respinta) perche’ il ricorso (o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa) debba essere rigettato nella sua interezza (v. Cass., Sez. Un., 8/8/2005, n. 16602), non gia’ per carenza di interesse, come pure si e’ da questa Corte sovente affermato (v. Cass., 11/2/2011, n. 3386; Cass., 12/10/2007, n. 21431; Cass., 18/9/2006, n. 20118; Cass., 24/5/2006, n. 12372; Cass., Sez. Un., 8/8/2005, n. 16602), quanto bensi’ per essersi formato il giudicato in ordine alla ratio decidendi non censurata (v. Cass., Sez. Un., 22/2/2018, n. 4362; Cass., Sez. Un., 2/3/2017, n. 5302; Cass., 27/12/2016, n. 27015; Cass., 22/9/2011, n. 19254: Cass., 11/1/2007, n. 1658; Cass., 13/7/2005, n. 14740).
Va peraltro corretta l’affermazione contenuta nell’impugnata sentenza in ordine all’exordium praesciptionis.
Come anche dal P.G. indicato nella requisitoria scritta, pur attenendo la questione relativa all’applicabilita’ di uno specifico termine di prescrizione all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge, sicche’ la relativa rilevazione – anche in ordine alla decorrenza da un determinato dies a quo (cfr. Cass., 21/5/2007, n. 11774)- non e’ riservata al monopolio della parte ma puo’ avvenire anche d’ufficio (v. Cass., 16/05/2016, n. 9993; Cass., 22/12/2011, n. 28292; Cass., 21/2/2011, n. 4238; Cass., Sez. Un., 25/7/2002, n. 10955), allorquando come nella specie il giudice di prime cure si sia espresso al riguardo e la relativa statuizione non abbia formato oggetto di specifico gravame deve ritenersi essersi sul punto formato il giudicato implicito.
A tale stregua, non risultando essere stata invero mossa specifica impugnazione in relazione all’individuato dies a quo della prescrizione, al riguardo invero non valendo il (diverso) rilievo circa l’interruzione del termine di prescrizione, erroneamente risulta essere stato dalla corte di merito pertanto indicato quale exordium praescriptionis il momento dell’accertamento dell’indebito in luogo di quello del pagamento dell’indebito indicato dal giudice di prime cure.
Va pertanto ex articolo 384 c.p.c., comma 4, corretta l’affermazione contenuta nell’impugnata sentenza secondo cui “contrariamente a quanto affermato dal primo Giudice – che ha ricondotto la decorrenza del termine decennale di prescrizione per proporre l’eventuale azione ex articolo 2033 c.c., alla data del pagamento indebito (gennaio/febbraio 1995)”, nella specie il “termine di prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito… decorre dal giorno in cui l’accertamento dell’indebito sia divenuto definitivo”.
Emerge evidente, a tale stregua, come le deduzioni dell’odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’articolo 366 c.p.c., n. 4, in realta’ si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).
Per tale via in realta’ sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimita’, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimita’ non e’ un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto gia’ considerati dai giudici di merito, al fine di pervenire a un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore del controricorrente.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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