In caso di peculato nella nozione di prezzo del reato

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 7 maggio 2020, n. 14041.

Massima estrapolata:

In caso di peculato nella nozione di prezzo del reato, oggetto di sequestro in vista della confisca per equivalente, rientra anche il denaro indebitamente percepito dall’agente pubblico a terzi, nella misura da questi versata al primo a titolo di corrispettivo per commettere l’illecito.

Sentenza 7 maggio 2020, n. 14041

Data udienza 9 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Peculato – Sequestro – Sequestro in vista della confisca per equivalente – Nozione di prezzo del reato – Denaro indebitamente percepito dall’agente pubblico a terzi – Misura versata a titolo di corrispettivo per commettere l’illecito

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOGINI Stefano – Presidente

Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere

Dott. VIGNA Maria S – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
– (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
– (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/03/2019 della Corte di appello di Potenza;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa VIGNA Maria Sabina;
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. ORSI Luigi che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione.
Udito l’avvocato (OMISSIS) del foro di Roma in difesa della parte civile Comune di Pisticci, che ha insistito per la declaratoria di inammissibilita’ o di rigetto dei ricorsi degli imputati.
Udito l’avvocato (OMISSIS) del foro di Matera difensore di fiducia delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) e quale sostituto processuale dell’avvocato (OMISSIS), difensore della parte civile (OMISSIS), che si e’ riportato alle conclusioni scritte depositate e ha chiesto la conferma delle statuizioni civili.
Uditi l’avvocato (OMISSIS) del foro di Matera per il ricorrente (OMISSIS) e l’avvocato (OMISSIS) del foro di Matera per il ricorrente (OMISSIS), i quali hanno insistito per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata o, in subordine, per l’annullamento con rinvio limitatamente alle questioni che la Corte riterra’ meritevoli di approfondimento.
Udito l’avvocato (OMISSIS) del foro di Torino, sostituto processuale dell’avvocato (OMISSIS) del foro di Potenza, in difesa di (OMISSIS), che si e’ riportato al ricorso e ha insistito per l’accoglimento dello stesso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Potenza ha dichiarato inammissibili ex articoli 581 e 592 c.p.p. gli appelli proposti da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso la sentenza emessa nei loro confronti dal Tribunale di Matera in data 20 novembre 2014 che li condannava alla pena ritenuta di giustizia in relazione alla commissione di un elevato numero di peculati, falsi materiali e falsi ideologici per mezzo di induzione in errore.
In particolare:
– (OMISSIS) e’ stato condannato per i reati di peculato e di falso dal n. 30 al n. 106 del capo A) nonche’ per gli episodi elencati nei capi C), D), F) e G) ad eccezione dei delitti di peculato contestati nei capi C) e F) per i quali e’ stata pronunciata assoluzione;
– (OMISSIS) e’ stato condannato per i reati di peculato e di falso dal n. 30 al n. 106 del capo A);
– (OMISSIS) e’ stato condannato per i reati di peculato e di falso di cui al capo G).
Nelle sentenze di merito e’ stata, altresi’, disposta la confisca per equivalente delle somme e dei beni corrispondenti al prezzo/profitto del reato di peculato, gia’ sottoposti a sequestro preventivo.
1.1. In sintesi, (OMISSIS), in qualita’ di dipendente-geometra in servizio presso l’ufficio tecnico del Comune di Pisticci, e quindi pubblico ufficiale, in concorso con il correo (OMISSIS), in servizio presso l’ufficio ragioneria, in alcuni casi predisponeva, o faceva predisporre da altri, false determinazioni di liquidazione in favore della ditta di (OMISSIS), sottoponendole alla firma del dirigente dell’ufficio tecnico e di altri dirigenti, che firmavano senza effettuare alcun controllo anche in merito alla copertura finanziaria, in virtu’ del rapporto di fiducia che si era instaurato; in altri casi falsificava direttamente la firma del dirigente su detti atti amministrativi, con la conseguente emissione di falsi mandati di pagamento da parte di (OMISSIS) che aveva la disponibilita’ del denaro del Comune, il cui importo veniva incassato da (OMISSIS) il quale poi lo divideva con (OMISSIS) e gli altri correi. La somma complessivamente incassata da (OMISSIS) ammontava a Euro 836.685,35.
Gli altri capi di imputazione hanno ad oggetto i medesimi reati posti in essere con le stesse modalita’ in favore di altre ditte; in particolare, al capo G) sono contestate dodici vicende di peculato e falso aventi (OMISSIS) quale beneficiario.
1.2. La Corte di appello di Potenza ha dichiarato inammissibili gli appelli proposti dagli imputati ritenendo i motivi articolati aspecifici, non confrontandosi con il percorso argomentativo svolto nella sentenza impugnata e reiterativi delle doglianze difensive contenute nelle memorie ex articolo 121 c.p.p. depositate nel corso del giudizio di primo grado in relazione alle quali la sentenza del Tribunale aveva fornito puntuale risposta.
2. Ricorrono per cassazione i tre imputati deducendo, come motivo comune, quello relativo alla violazione di legge penale processuale in relazione all’errata applicazione dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c).
Evidenziano i difensori che il pronunciamento della sentenza delle Sezioni Unite Galtelli n. 8825/2016 e’ stato reso pubblico nel 2017 a fronte di un atto d’appello redatto e depositato nell’aprile 2015 in assoluta conformita’ con gli orientamenti giurisprudenziali maggioritari esistenti al momento. La questione di diritto affrontata nella citata sentenza atteneva proprio alla valutazione del tasso di determinatezza richiesto per i motivi d’appello ai fini della declaratoria di ammissibilita’ o meno dell’atto di impugnazione. La valutazione sulla congruita’ dei motivi di appello dell’imputato andava quindi operata alla luce dei principi e degli orientamenti maggioritari disponibili al momento della redazione e del deposito della impugnazione.
In ogni caso, l’inammissibilita’ per mancanza di specificita’ dei motivi poteva essere pronunciata solo se i difensori non avessero enunciato, come invece hanno fatto, rilievi critici alle ragioni di fatto e di diritto contenute nella decisione del Tribunale.
La Corte non ha, comunque, tenuto in alcun conto la circostanza che la specificita’ che deve caratterizzare i motivi d’appello va intesa la luce del principio del favor impugnationis.
3. (OMISSIS), a mezzo dell’avvocato (OMISSIS), deduce i seguenti ulteriori motivi:
3.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla dichiarazione di aspecificita’ dei motivi di appello.
I singoli motivi di appello – aventi ad oggetto censure sulla costituzione di parte civile, sulla sussistenza della truffa invece che del peculato, sulla sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 476 c.p., comma 2, sulla presenza dei requisiti per disporre la confisca per equivalente, sulla mancanza di corrispondenza tra la condotta per cui e’ intervenuta condanna e quella contestata nel capo di imputazione, sul travisamento dei fatti e sulla illogicita’ e mancanza della motivazione – sono stati indicati in maniera specifica e dettagliata.
In particolare, quanto alla sussistenza del reato di peculato, l’atto di appello evidenziava il vizio di motivazione nel quale era incorsa la Corte territoriale che si limitava a richiamare la sentenza n. 39039/13 con la quale questa Corte rigettava il ricorso di (OMISSIS) avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Matera che confermava il sequestro per equivalente a fine di confisca disposto nei suoi confronti dal Giudice per le indagini preliminare del medesimo Tribunale.
Tale sentenza si fondava su un compendio indiziario che doveva ancora essere sottoposto al vaglio dibattimentale e la successiva istruttoria aveva permesso di accertare come l’imputato non avesse mai avuto ne’ formalmente, ne’ di fatto e neppure in forma mediata la disponibilita’ giuridica del denaro. L’eventuale falsificazione addebitata a (OMISSIS), in concorso con (OMISSIS), costituiva l’unico mezzo attraverso il quale gli stessi avrebbero potuto procurarsi indebitamente la disponibilita’ di denaro.
La sentenza impugnata incorreva, pertanto, anche nella violazione e falsa applicazione della legge penale in relazione ai requisiti di cui all’articolo 314 c.p. in quanto la condotta appropriativa ascritta al ricorrente era fondata su artifici e raggiri necessari per entrare in possesso del denaro pubblico del quale egli non aveva la disponibilita’.
3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai criteri di valutazione della prova.
L’autorita’ procedente ha ripercorso acriticamente le valutazioni riportate nella pronuncia di primo grado, facendone proprio l’iter argomentativo limitandosi, a fronte di un esaustivo atto di appello contenente doglianze mai prese in considerazione, a fornire una motivazione del tutto apparente. Sul punto si evidenzia l’omessa valutazione della richiesta di rinnovazione dibattimentale in relazione alla perizia grafologica, la mancata valorizzazione delle risultanze della consulenza grafologica redatta dal Dottor (OMISSIS), la errata valutazione della testimonianza resa dalla teste del Pubblico ministero, Dottoressa (OMISSIS), l’erronea convinzione, frutto di mere deduzioni, circa il fatto che tutti gli artifici e raggiri posti in essere al fine di appropriarsi del denaro non potessero essere stati posti in essere da un solo pubblico dipendente, cioe’ il (OMISSIS), e che fosse stata necessaria la collaborazione di un altro soggetto, individuato nel (OMISSIS).
4. (OMISSIS), a mezzo dell’avvocato (OMISSIS), deduce i seguenti ulteriori motivi:
4.1. Insussistenza della inammissibilita’ dell’appello con riferimento alla eccezione di prescrizione del reato di cui all’articolo 476 c.p..
La Corte territoriale assume che la deduzione della prescrizione del reato in questione con preventiva concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, cosi’ come formulata nell’atto d’appello, fosse inammissibile in quanto priva della indicazione delle ragioni di diritto su cui la stessa si basava. Al contrario, l’eccezione si fondava sulla ritenuta violazione del combinato disposto degli articoli 62-bis, 69, 81 e 476 c.p.. In altri termini, si deduce che la concessione delle attenuanti generiche con criterio di prevalenza avrebbe dovuto comportare pacificamente l’applicazione dell’articolo 476 c.p., comma 1 e, per l’effetto, la declaratoria di intervenuta prescrizione del reato.
4.2. Violazione dell’articolo 129 c.p.p. per omessa declaratoria della prescrizione intervenuta prima della proposizione dell’appello.
Nel caso in cui il presente ricorso per cassazione dovesse essere ritenuto ammissibile deve essere rilevata l’intervenuta prescrizione di tutti i fatti rubricati al capo G) (numeri 1, 2, 3, 4, 5 e 6) maturata prima della pronuncia in grado di appello ed eccepita solo in sede di discussione orale. La prescrizione dei fatti di cui ai mandati di pagamento n. 1 e 2 maturava dopo la presentazione dell’appello e prima della fissazione dell’udienza, mentre per i fatti di cui agli altri mandati essa maturava prima della pronuncia di inammissibilita’; pertanto l’intervenuta prescrizione non poteva che essere eccepita all’udienza di discussione dell’appello e reiterata in sede di ricorso per cassazione, a fronte della declaratoria di inammissibilita’ della Corte di merito.
4.3. Il giudice di secondo grado assume che le censure di insussistenza di atti falsi e di carenza di prova del concorso dell’imputato non si confrontano con il percorso argomentativo del primo giudice. Cio’ non corrisponde al vero. Per quanto attiene alla qualita’ di atti fidefacienti conferita alle determinazioni e ai mandati di pagamento, si rileva come alle argomentazioni del Collegio veniva opposto il difetto dei requisiti di cui agli articoli 2699 e 2700 c.c., l’errata qualificazione dei suddetti atti, il difetto della qualifica soggettiva degli imputati e conseguentemente l’applicabilita’ dell’articolo 476 c.p., comma 1, la natura di atti interni all’ente comunale delle determinazioni, da ritenersi prive della capacita’ certificativa, e la non sussumibilita’ dei predetti atti nel paradigma del comma 2 del suindicato articolo, atteso che per emendare, correggere o modificare una determinazione di liquidazione non occorre la querela di falso.
La Corte d’appello ha ritenuto inammissibile la doglianza relativa alla carenza di prova per mancanza di confronto con il percorso argomentativo contenuto nella sentenza del Tribunale, laddove la predetta autorita’ giudiziaria individuava la prova logica dell’accordo spartitorio nel numero (dodici) dei mandati irregolari per un importo di oltre Euro sessantanovemila, tale da escludere la buona fede di (OMISSIS). Non si considerava che nell’atto d’appello veniva contestata la mancanza di riscontri sulla presunta divisione degli importi con gli impiegati comunali, l’operato giudizio di inverosimiglianza adottato dal giudice di circostanze di fatto incompatibili, come la tenuta regolare della contabilita’, la non provata mancanza di esecuzione dei lavori da parte dell’imputato e la provata buona fede dello stesso che registrava correttamente i ricavi contestati.
I motivi di ricorso erano specifici perche’ individuavano il punto che intendevano devolvere alla cognizione del giudice di appello enucleandolo con specifico riferimento alla motivazione della sentenza impugnata.
4.4. Violazione di legge in relazione all’erronea applicazione dell’articolo 581 c.p.p. con riferimento alla ritenuta aspecificita’ della censura relativa alla dosimetria della pena nel calcolo dell’aumento per la continuazione. Nessuno degli elementi addotti dalla difesa e’ stato considerato dal giudice di prime cure, mentre si era formulata una doglianza fondata su elementi specifici.
5. (OMISSIS), a mezzo dell’avvocato (OMISSIS), deduce i seguenti ulteriori motivi:
5.1. Vizio di motivazione in ordine alla declaratoria di inammissibilita’ dei motivi di appello che, invece, hanno individuato in maniera precisa e specifica alcuni punti della sentenza emessa dal Tribunale di Matera che dovevano necessariamente essere riformati.
La sentenza impugnata ha liquidato con poche battute le deduzioni relative alla erronea valutazione di inattendibilita’ del movente affermato dal ricorrente e della sua buona fede. L’appellante secondo i giudici territoriali non si sarebbe confrontato con le puntuali allegazioni del giudice di primo grado. Tale tesi e’ errata e va confutata poiche’ l’imputato in sede di interrogatorio ha chiarito quali erano i mandati irregolari e quali quelli regolari. Nei motivi di appello si e’ sottolineato come (OMISSIS) avesse lavorato, emesso fatture e ricevuto solo quanto a lui spettante, restituendo quello che gli veniva erogato in piu’.
5.2. Violazione di legge con specifico riferimento alla condotta di peculato e falso in atto pubblico fidefaciente. La Corte si limita a ripetere, in maniera acritica, le censure mosse agli altri motivi d’appello, in tal modo tralasciando ogni valutazione sugli elementi sottolineati nell’atto d’appello di (OMISSIS) in cui si ricordava che (OMISSIS) non aveva alcun potere di firma nell’ambito delle procedure relative sia alla emissione della determinazione di impegno che nella apposizione del visto di conformita’ finanziaria e dei mandati di pagamento. Tutte le responsabilita’ di firma gravavano sui suoi superiori: cio’ significa che (OMISSIS) non aveva alcun potere di disposizione del denaro e che quindi aveva dovuto ricorrere a una serie di attivita’ fraudolente sia nei confronti di (OMISSIS) che nei confronti dei colleghi.
5.3. Vizio di motivazione in relazione:
– alla mancata assoluzione con la formula “perche’ il fatto non sussiste” per tutti gli episodi contestati in cui i mandati di pagamento riportavano firme non riconosciute da (OMISSIS);
– alla dedotta inesistenza del concorso in peculato e falso aggravato con (OMISSIS) e (OMISSIS), essendo il reato di peculato indipendente dall’ulteriore condotta consistita nella riscossione e non avendo (OMISSIS) in alcun modo partecipato alla l’interversione nel possesso.
– alla dosimetria della pena e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto che (OMISSIS) e’ incensurato oltreche’ extraneus alla condotta dei pubblici ufficiali;
– alla insussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 476 c.p., comma 2;
– alla mancata applicazione dell’indulto. L’ipotesi piu’ grave di peculato doveva essere individuata in quella di cui al n. 60 del capo A) o in quella di cui al n. 92. Trattandosi di mandati di pagamento di importo superiore a quello di cui al n. 106, la pena base andava calcolata sui due mandati sopraindicati, con applicazione dell’indulto per intero o sottrazione di tre anni dalla pena inflitta. Proprio perche’ non vi sono elementi o prove per ritenere una compartecipazione dell’imputato alle ipotesi di reato successive al 2 maggio 2006, la pena doveva essere ricompresa completamente nell’indulto o, solo per una parte piccolissima, esclusa.
5.4. Vizio di motivazione in relazione alla eccezione di prescrizione dei capi di imputazione da 29 a 39.
La Corte di appello ha sottolineato che costituisce principio consolidato il fatto che l’interrogatorio dell’indagato, effettuato dalla Polizia Giudiziaria su delega del Pubblico ministero, possa considerarsi interruttivo della prescrizione; sul punto deve, pero’, evidenziarsi che non figura da nessuna parte una delega formale del Pubblico ministero alla Polizia Giudiziaria e che, comunque, le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza n. 33543 del 11/07/2001 hanno aderito all’orientamento piu’ rigido, ribadendo la tassativita’ degli atti interruttivi della prescrizione (tra cui non rientra l’invito a presentarsi all’interrogatorio, anche se esso provenga dal Pubblico ministero). Tale orientamento e’ stato ribadito dalla sentenza Sez. 2, n. 39903 del 11/10/2005, Ferrari, Rv. 232665.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati nei termini di seguito indicati.
2. I motivi afferenti al comune tema della sussistenza dei presupposti legittimanti la declaratoria di inammissibilita’ degli appelli per difetto di specificita’ posso essere trattati congiuntamente.
2.1. E’ fondato il motivo di ricorso relativo al fatto che l’inammissibilita’ per mancanza di specificita’ dei motivi di appello non poteva essere pronunciata, avendo i difensori enunciato con puntualita’ rilievi critici alle ragioni di fatto e di diritto contenute nella decisione del Tribunale.
2.1.1. Come si e’ detto, l’appello, al pari del ricorso per cassazione, e’ inammissibile per difetto di specificita’ dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificita’, a carico dell’impugnante, e’ direttamente proporzionale alla specificita’ con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 – dep. 22/02/2017 -, Galtelli, Rv. 268822).
Le Sezioni unite Galtelli hanno, quindi, statuito la sostanziale equiparazione tra appello e ricorso per cassazione, aderendo a quella ormai consolidata giurisprudenza in virtu’ della quale il ricorso per cassazione e’ inammissibile qualora vi sia mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento della impugnazione.
Sotto questo profilo, la suindicata sentenza sembra aver anticipato i tempi della Riforma Orlando, prevedendo anche per il giudizio di seconde cure il requisito della “specificita’ estrinseca” dei motivi di impugnazione da sempre operante nel giudizio di legittimita’. Ha, infatti, rilevato che anche per l’atto di appello risulta necessaria la specificita’ estrinseca dei motivi, non essendovi mai stato alcun dubbio sulla inammissibilita’ dell’atto di appello inficiato dalla piu’ grave patologia inerente la “specificita’ intrinseca”. Mentre quest’ultima attiene ad atti di appello radicalmente privi di qualsiasi giustificazione, o comunque fondati su considerazioni generali ed astratte, del tutto avulse dalla concreta vicenda processuale, la genericita’ cd. “estrinseca” si realizza quando gli atti di appello, pur essendo fondati su considerazioni specifiche, non contengono censure dirette alle contestate argomentazioni poste alla base della decisione impugnata. Si parla, conseguentemente, di “aspecificita’ estrinseca” quando a mancare sia la “esplicita correlazione dei motivi di impugnazione con le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata”, giacche’ come ben evidenziato dalla sentenza, tali motivi “non sono diretti all’introduzione di un nuovo giudizio, del tutto sganciato da quello di primo grado, ma sono, invece, diretti ad attivare uno strumento di controllo, su specifici punti e per specifiche ragioni, della decisione impugnata”.
E’, quindi, possibile affermare, in chiave di sintesi, che il concetto enucleato dalle Sezioni unite sembra basarsi, da un lato, sul requisito della “precisione” volto a individuare i singoli punti della decisione di merito da appellare, le singole ragioni dedotte a sostegno dell’appello nonche’ le singole richieste, e dall’altro lato, sul requisito della “simmetria” tra la struttura dell’atto di appello e l’articolazione nonche’ la motivazione della sentenza.
2.1.2. Occorre ancora precisare che, come previsto dalla sentenza delle S.U. Aiello (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016 – dep. 14/02/2017 – Rv. 268966) per il giudizio di cassazione, ed ora anche per il giudizio di appello alla luce dei principi dettati da SU Galtelli, la sentenza di condanna che, come nel caso della sentenza del Tribunale di Matera, riguardi piu’ reati ascritti allo stesso imputato, e’ idealmente scindibile, in ragione di ogni capo di imputazione, in altrettante autonome statuizioni di condanna, con la conseguenza che, sebbene i diversi capi siano contenuti in un unico documento-sentenza, ognuno di essi conserva la propria individualita’ ad ogni effetto giuridico.
La Corte di appello di Potenza, quindi, ben avrebbe potuto operare un distinguo e rigettare o accogliere l’appello su alcuni reati e dichiaralo inammissibile per aspecificita’ su altri determinando in relazione ad essi il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.
Si deve osservare che da tempo la giurisprudenza delle Sezioni unite e’ consolidata nell’affermare il principio dell’autonomia dei singoli capi della sentenza cumulativa. Si richiamano sul punto gli insegnamenti offerti da Sez. U, n. 373 del 16/01/1990, Agnese, Rv. 186164; Sez. U, n. 20 del 09/10/1996, Vitale, Rv. 206170; Sez. U, n. 1 del 28/06/2000, Tuzzolino, Rv. 216239 e Sez. U, n. 10251 del 09/03/2007, Michaeler, Rv. 235699, che tutte hanno espresso analoghe considerazioni circa l’autonomia delle statuizioni relative ai diversi “capi” nei processi cumulativi ad ogni effetto giuridico, quindi anche ai fini dell’impugnazione e del giudicato, in caso di pluralita’ delle azioni penali seppure riunite in una sentenza documentalmente unica.
2.1.3. Rileva il Collegio che la decisione della Corte di appello relativa alla aspecificita’ dei motivi di appello e’ errata, risultando le questioni dedotte dalle difese, in relazione a ciascun imputato e in relazione a tutti i reati, articolate con specifico riferimento alla cadenza argomentativa della sentenza di primo grado. Cio’ fa si che per nessuno dei capi della sentenza di primo grado si sia formato il giudicato parziale.
2.1.4. Non puo’, in particolare, ritenersi aspecifico il motivo dedotto da tutti i ricorrenti con riguardo al punto della sentenza di primo grado afferente la sussistenza del reato di peculato, in relazione al quale le difese si dolevano della mancata considerazione di una serie di elementi che avrebbero ricondotto la condotta degli imputati nell’ambito del reato di truffa, ed, in particolare del fatto che il denaro non era nella disponibilita’ dei pubblici ufficiali, ma i predetti avevano dovuto porre in essere artifici e raggiri per entrarne in possesso.
La sentenza della Corte di appello richiama la sentenza n. 39039/13 con la quale questa Corte aveva rigettato il ricorso di (OMISSIS) avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Matera che confermava il sequestro per equivalente ai fini di confisca disposto nei suoi confronti dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale. In quella sede la Corte aveva effettivamente riconosciuto in capo a (OMISSIS) la disponibilita’ giuridica del denaro del Comune, ma tale circostanza e’ stata smentita, all’esito del dibattimento, proprio dal Tribunale di Matera.
A pag. 209 della sentenza di primo grado, richiamata per relationem dalla sentenza impugnata, si evidenzia, infatti, che (OMISSIS) non aveva la disponibilita’ giuridica del denaro, e si sostiene che la stessa era unicamente in capo a (OMISSIS), salvo poi rilevare che (OMISSIS) falsificava i mandati di pagamento, da cio’ dovendosi logicamente dedurre che anche quest’ultimo era privo della disponibilita’ del denaro perche’ altrimenti non avrebbe posto in essere gli artifici e raggiri sopra menzionati.
Va ancora evidenziato che la sentenza della Corte territoriale richiama espressamente le pagine da 201 a 203 della sentenza di primo grado nelle quali viene indicata una giurisprudenza risalente di questa Corte sul peculato e sull’autore mediato secondo la quale risponde a titolo di peculato, ai sensi degli articoli 314 e 48 c.p., il funzionario il quale con inganno induce in errore l’organo della pubblica amministrazione, della quale egli stesso fa parte, perche’ sottoscriva un titolo che gli consenta di entrare in possesso del denaro dal quale poi trarre illecito profitto (Sez. 6, n. 2064 del 13/01/1984, Sciarretta, Rv. 162992).
Non puo’ tacersi del fatto che trattasi di una questione sulla quale esistono anche pronunce di senso contrario che ritengono, invece, configurabile il delitto di truffa, aggravato ai sensi dell’articolo 61 c.p., n. 9, e non quello di peculato quando l’atto che in concreto produce l’effetto di appropriazione si inserisce in una procedura articolata, nella quale piu’ soggetti sono chiamati ad intervenire e l’agente infedele, per ottenere il trasferimento della cosa nella sua materiale e personale disponibilita’, deve ricorrere ad una condotta decettiva che gli procuri il compimento di atti di disposizione aventi natura costitutiva la cui adozione compete a terzi (Sez. 6, n. 31243 del 04/04/2014, Currao, Rv. 260505).
L’esistenza di diversi orientamenti interpretativi, che non determina di per se’ la fondatezza della doglianza formulata con l’atto di appello, imponeva pero’ al giudice dell’impugnazione di affrontare la questione di diritto che era stata sollevata e di fornire anche l’opportuna ricostruzione degli elementi di fatto in ragione della quale poteva ritenersi superata la doglianza difensiva, ma non consentiva certo al giudice di appello di trincerarsi dietro un mero rinvio per relationem alla sentenza di primo grado e alla citazione di un orientamento giurisprudenziale in relazione al quale l’atto di gravame aveva contrapposto una piu’ recente interpretazione. Il giudice d’appello, abdicando ai propri doveri, ha, di fatto, tralasciato di esaminare e rispondere a una specifica doglianza difensiva.
2.1.5. Analogo discorso deve essere fatto con riferimento al motivo dedotto dalle difese circa la sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 476 c.p., comma 2.
E’, infatti, corretto quanto sostenuto nei ricorsi a proposito del fatto che, solo a seguito dell’istruttoria, e’ emerso che ne’ (OMISSIS) ne’ (OMISSIS) avevano potere di firma di atti a rilevanza esterna; quindi la questione giuridica posta (se il reato puo’ considerarsi posto in essere anche se l’atto e’ emesso da pubblico ufficiale non autorizzato dalla legge, da regolamenti oppure dall’ordinamento interno della P.A. ad attribuire all’atto pubblica fede) non poteva in alcun modo ritenersi aspecifica.
Cio’ in presenza di plurime pronunce di questa Corte secondo le quali, in tema di falso ideologico in atto pubblico aggravato ex articolo 476 c.p., comma 2, sono documenti dotati di fede privilegiata quelli che, emessi da pubblico ufficiale autorizzato dalla legge, da regolamenti oppure dall’ordinamento interno della P.A. ad attribuire all’atto pubblica fede, attestino quanto da lui fatto e rilevato o avvenuto in sua presenza (ex plurimis Sez. 6, n. 25258 del 12/03/2015 dep. 2015, Guidi, Rv. 263806).
3. Alla luce della molteplicita’ degli elementi specificamente indicati dagli appellanti – la cui valutazione rimane comunque demandata al giudice del merito -, l’affermazione della Corte di appello risulta conseguentemente errata la’ dove ritiene che i motivi siano aspecifici.
In realta’, l’indicazione di plurimi elementi di valutazione, che con gli atti di appello si assumono omessi, in punto di sussistenza del reato di peculato e di falso materiale aggravato nella sentenza di primo grado, implica la specificita’ dei ricorsi che importa l’annullamento della sentenza impugnata.
Si e’ gia’ detto che cio’ fa si che su nessuno dei capi della sentenza di merito si sia formato il giudicato parziale.
3.1. A seguito dell’annullamento della decisione di inammissibilita’ dell’appello, risultano assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso proposti sul punto dalle difese, nonche’ quelli relativi alla valutazione delle prove.
4. Deve, a questo punto, rilevarsi che – tenuto conto delle sospensioni del corso della prescrizione ex articolo 159 c.p. (mesi cinque e giorni dodici in primo grado; anni uno, mesi undici e giorni sette in grado di appello) – il termine di prescrizione dei reati di peculato e falso contestati e’ pari ad anni quattordici, mesi dieci e giorni diciannove (anni dodici e mesi sei, corrispondenti al termine massimo, sommato al periodo di sospensione sopra indicato) e, conseguentemente, ad oggi, si sono prescritti tutti i reati commessi prima del 20/08/2017 e quindi:
– nei confronti di (OMISSIS) i reati a lui ascritti ai capi A), dal numero 30 al numero 87, C), E), F) e G;
– nei confronti di (OMISSIS) i reati a lui ascritti al capo A), dal numero 30 al numero 87;
– nei confronti di (OMISSIS) i reati a lui ascritti al capo G).
4.1. In relazione a tali reati va disposto l’annullamento senza rinvio poiche’ la contestuale ricorrenza nel giudizio di cassazione di una causa estintiva del reato e di una nullita’ processuale anche assoluta e insanabile, comporta la prevalenza della prima, per effetto del principio della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilita’, sancito dall’articolo 129 c.p.p., salvo che l’operativita’ della causa estintiva non presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, prevalendo in tal caso la nullita’, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio (Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403).
Nel caso in esame, come si e’ detto, il decorso del termine di prescrizione si evince senza la necessita’ di procedere ad ulteriori accertamenti, sicche’ si impone la relativa declaratoria.
5. Con riferimento, invece, ai reati non ancora prescritti ascritti a (OMISSIS) e (OMISSIS) al capo A) dal n. 88 al n. 106 e, per il solo (OMISSIS), al capo D), la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte d’appello di Salerno la quale dovra’ procedere su tali capi e sulle relative statuizioni civili a nuovo giudizio, valutando, in piena liberta’, le doglianze sviluppate con gli atti d’appello erroneamente dichiarati inammissibili.
6. Per quanto concerne i reati prescritti, ineludibile compito della Corte di appello di Salerno sara’ quello, ex articolo 578 c.p.p., di esaminare compiutamente i motivi di gravame ai fini del giudizio di risarcimento del danno reclamato dalla parte civile.
In base a tale articolo, “quando nei confronti dell’imputato e’ stata pronunciata condanna anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati da reato, a favore della parte civile” prima il giudice di appello e poi la Corte di cassazione “nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione” devono decidere “sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili”.
Nel caso in esame l’accertamento sul giudizio di responsabilita’ degli imputati ai fini del risarcimento del danno non puo’, pero’, essere compiuto da questa Corte in difetto di un giudizio di condanna anche generica al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, da parte della Corte di appello che, nel caso in esame, pur all’esito di giudizio, si e’ fermata alla preliminare valutazione di inammissibilita’ dell’atto di appello.
6.1. Mette conto evidenziare che non ricorrono, invece, le condizioni per il rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello ex articolo 622 c.p.p..
Tale norma non presuppone necessariamente un definitivo accertamento della responsabilita’ penale, ma solo l’intangibilita’ degli effetti penali della sentenza impugnata, di cui la cassazione annulla unicamente le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile (o accoglie il ricorso della parte civile contro la decisione di proscioglimento dell’imputato).
La ratio della previsione normativa e’, infatti, quella di evitare ulteriori interventi del giudice penale ove non vi sia piu’ nulla da accertare da parte sua (Sez. 3, n. 46476 del 13/07/2017, Ostuni, Rv. 271147).
6.2. Deve sottolinearsi che, nel caso di specie, e’ stato disposto l’annullamento con rinvio anche per le statuizioni penali relative ad alcuni reati di peculato e falso – statuizioni tra l’altro strettamente connesse a quelle prescritte – nell’ambito di un procedimento con parti civili costituite e, proprio in ragione di cio’, la norma di riferimento non puo’ che essere quella di cui all’articolo 578 c.p.p., non essendo consentito e razionale il rinvio a due giudici d’appello diversi.
Occorre, quindi, ribadire che ogni qualvolta vengano colpiti non solo le disposizioni e i capi che riguardano l’azione civile, restando comunque aperto il giudizio preliminare su un capo rilevante a fini penali, il rinvio deve essere disposto unitariamente davanti al giudice penale, posto che il rinvio al giudice civile, di cui alla seconda parte dell’articolo 622 c.p.p., e’ limitato alla sola ipotesi di accoglimento del ricorso della parte civile proposto ai soli effetti civili e di contestuale mancata presentazione o rigetto di ricorsi rilevanti agli effetti penali (Si vedano sul punto Sez. 6, n. 13844 del 02/12/2016 – dep. 21/03/2017 -, Aracu, Rv. 270371 e Sez. 5, n. 10097 del 15/1/2015, Cassaniti, Rv. 262633; vedi, Sez. 6, n. 31921 del 06/06/2019, De Angelis, Rv. 277285).
7. Analogo compito sara’ svolto dalla Corte d’appello, con riferimento a tutti i reati di peculato cui si riferisce il disposto annullamento, ivi compresi quelli dichiarati prescritti, in ordine alla confisca per equivalente disposta dal giudice di primo grado ex articolo 322-ter c.p..
7.1. Deve sottolinearsi a tale riguardo che l’articolo 1, comma 4, lettera f), della legge c.d. “Spazzacorrotti” (L. 9 gennaio 2019, n. 3, in vigore dal 31.1.2019), ha modificato il testo originario dell’articolo 578-bis c.p.p. (introdotto nel codice di rito dal Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21, articolo 6), stabilendo che la relativa disciplina – in forza della quale nel caso in cui sia stata ordinata in primo grado la confisca nelle ipotesi particolari previste dall’articolo 240-bis c.p. e da altre disposizioni di legge, il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel pronunciare l’estinzione del reato per amnistia o prescrizione, devono comunque valutare i motivi di impugnazione accertando l’eventuale sussistenza della penale responsabilita’ dell’imputato ai fini della conferma o meno della confisca – si applica anche nel caso di confisca prevista dall’articolo 322-ter c.p..
L’articolo 578-bis c.p.p. oggi vigente – norma processuale di immediata applicazione secondo il principio “tempus regit actum” (Sez. 3, n. 8785 del 29/11/2019, Rv. 278256) – impone dunque espressamente, ai fini della conferma o meno della confisca di cui all’articolo 322-ter c.p. ordinata in primo grado, un compiuto accertamento della penale responsabilita’ dell’imputato in un caso, quello della sentenza di proscioglimento pronunciata in appello o in cassazione per prescrizione del reato, diverso da una formale pronuncia di condanna. La necessita’ di tale accertamento viene inoltre prevista, in via generale e senza distinzioni di sorta, per tutte le diverse forme di confisca, diretta o per equivalente, contemplate nel citato articolo 322-ter c.p..
Nel disporre, in tali casi e al verificarsi di quelle condizioni, lo svolgimento di un pieno accertamento della responsabilita’ penale che supera i limiti della cognizione normalmente propria alla constatazione dell’estinzione del reato per prescrizione a norma dell’articolo 129 c.p.p., comma 1, il legislatore ha all’evidenza ritenuto che quell’accertamento possa metter capo ad una “condanna in senso sostanziale”, atteso che tutte le tipologie di confisca previste all’articolo 322-ter c.p.p. risultano testualmente applicabili solo “nel caso di condanna”.
La finalita’ della nuova norma e’ chiara. Essa si trova espressa nel corso dei lavori preparatori, che pongono in evidenza lo scopo dell’intervento normativo finalizzato a sottrarre i patrimoni illecitamente accumulati, anche in caso di estinzione del reato (cfr. Relazione del Governo al disegno di legge presentato il 34/09/2018 recepito in Atto Camera n. C – 1189 -; Atto Senato n. 955, dossier n. 85). Essa era inoltre ben presente sia nelle ripetute segnalazioni della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite in ordine agli elementi di forte aporia e rischi di negative ricadute sul piano della effettivita’ della tutela penale insiti nell’impossibilita’ di operare la confisca del prezzo o del profitto del reato senza una sentenza di condanna (Corte Cost. sent. n. 49/2015; Sez. U, n. 38834 del 10/07/2008, De Maio; sul punto ripresa da Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci), che nel monito della risalente, autorevole dottrina secondo la quale e’ “antigiuridico e immorale” che “il corrotto, non punibile per qualsiasi causa, possa godersi il denaro ch’egli ebbe per commettere il fatto obiettivamente delittuoso”, “giacche’ basta che un reato sia stato obiettivamente commesso, ancorche’ l’autore non sia punibile per qualsiasi causa”.
7.2. La nuova formulazione dell’articolo 578-bis c.p.p. rappresenta del resto l’esito di un percorso normativo che si pone in continuita’ con l’evoluzione registrata nella giurisprudenza di legittimita’, della Corte costituzionale e della Corte EDU in ordine alla possibilita’ di disporre la confisca, anche di carattere sanzionatorio, allorche’ la declaratoria di prescrizione non sia “anodina”, ma sia preceduta e si accompagni ad un compiuto accertamento del fatto-reato e della responsabilita’, condotto sulla base dell’intero compendio probatorio e nel pieno rispetto delle regole proprie al “giusto processo”.
Gia’ Sez. U, De Maio (cit.) aveva osservato come, a fronte dell’obbligo della immediata declaratoria di estinzione del reato, la circostanza che il giudice possa procedere ad accertamenti non puo’ affatto considerarsi, in linea di principio, alla stregua di una evenienza “anomala”. In seguito, Sez. U, Lucci (cit.), aderendo a quella conclusione, aveva incidentalmente rilevato che, nel caso di estinzione del reato dichiarata con provvedimento di archiviazione, il giudice dell’esecuzione dispone di poteri di accertamento finalizzati all’applicazione della confisca non solo sulle cose oggettivamente criminose per loro intrinseca natura (articolo 240 c.p., comma 2, n. 2), ma anche su quelle che sono considerate tali dal legislatore per il loro collegamento con uno specifico fatto-reato (Sez. 1, n. 2453 del 04/12/2008, Squillante, Rv. 243027, pronunciata in fattispecie relativa a corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio e corruzione in atti giudiziari). Mentre la Corte costituzionale nella sentenza n. 85 del 2008 (pronuncia con la quale venne dichiarata la illegittimita’ costituzionale dei limiti introdotti dalla L. n. 46 del 2006 all’appellabilita’ delle sentenze di proscioglimento da parte dell’imputato) aveva sottolineato che la categoria delle sentenze di proscioglimento comprende, accanto a quelle ampiamente liberatorie con formule in fatto, anche “sentenze che, pur non applicando la pena, comportano – in diverse forme e gradazioni – un sostanziale riconoscimento della responsabilita’ dell’imputato o, comunque, l’attribuzione del fatto all’imputato stresso e cio’ in particolare vale per le dichiarazioni di estinzione del reato per prescrizione”. La giurisprudenza citata sottolineava inoltre al riguardo che casi di confisca senza sentenza di condanna sono previsti dalle leggi speciali, ad esempio in tema di lottizzazione abusiva (Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 44, comma 2) o di contrabbando (Decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, articolo 301, sostituito dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, articolo 11).
La confisca senza condanna non e’ un dunque, come ritenuto da una parte della dottrina, un “ircocervo giuridico”. Di piu’, essa e’ stata finalmente ritenuta compatibile coi rilevanti parametri convenzionali e costituzionali anche allorche’ la misura ablatoria si connoti per la sua natura afflittiva e sanzionatoria, come nel caso dei terreni oggetto di lottizzazione abusiva.
7.3. Gia’ nella lettura della Corte costituzionale successiva alle sentenze della Corte EDU Sud Fondi c. Italia prima (Corte Cost. sent. n. 239/2009) e Varvara c. Italia poi (Corte Cost. sent. n. 49/2015), la confisca urbanistica confermata nel caso di prescrizione del reato dichiarata ad esito del giudizio di impugnazione conserva l’intero fascio delle garanzie sostanziali (legalita’, inderogabilita’ del fatto, personalita’ della responsabilita’) e processuali (presunzione di non colpevolezza, contraddittorio, diritto di difesa, in dubio pro reo, adeguata motivazione, pubblicita’) tipiche delle pene criminali, mancando solo la “forma” propria dell’accertamento dei reati e dell’applicazione della pena rappresentata dalla sentenza di condanna. La Corte costituzionale ha peraltro ritenuto che questa mancanza non scalfisca nella sostanza l’inderogabile garanzia del principio di giurisdizionalita’ e della presunzione di innocenza, anche rispetto a una sanzione di tipo certamente punitivo come la confisca urbanistica (Corte EDU, Sud Fondi c. Italia, cit., vagliando analiticamente quella forma di confisca alla luce dei principi elaborati dalla stessa Corte, in particolare nella sentenza Welch c. Regno Unito del 9/2/1995, ha affermato che essa, in ragione degli scopi prevalentemente repressivi che la connotano, ha natura penale, risultando pertanto attratta nella sfera di applicabilita’ dell’articolo 7 della Convenzione; Corte EDU, Varvara c. Italia, cit., confermata sul punto da Corte EDU G.I.E.M. S.r.l. c. Italia, ha ribadito la natura sanzionatoria e afflittiva della confisca urbanistica).
In particolare, la Corte costituzionale (sent. n. 49/2015, cit.) ha – con specifico riferimento alla confisca urbanistica di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 44, comma 2, qualificata dalla giurisprudenza Europea come pena – sostenuto “un’interpretazione che non costringa l’accertamento di responsabilita’ nelle sole forme della condanna penale” ed ha affermato che “nell’ordinamento giuridico italiano la sentenza che accerta la prescrizione del reato non denuncia alcuna incompatibilita’ logica o giuridica con un pieno accertamento di responsabilita’”, esplicitamente riconoscendo che ove non fosse possibile applicare in tal caso la misura ablatoria il sistema rimarrebbe scoperto sul versante della tutela di diritti, anch’essi di rango costituzionale.
7.4. Si tratta del resto di considerazioni fatte espressamente proprie da Sez. U, Lucci, la quale da cio’ trae l’evidente corollario che “se tutto cio’ e’ vero in presenza di una misura che venga qualificata come “pena”, alla luce dei criteri elaborati dalla Corte di Strasburgo (come e’ avvenuto per la confisca urbanistica nei casi Sud Fondi e Varvara c. Italia), a fortiori simili approdi non potranno non essere valorizzati nella ipotesi in cui la misura in questione non attinga siffatte connotazioni sanzionatorie”.
Al riguardo, non si vuole tanto segnalare il possibile scarto logico tra quelle argomentazioni e la decisione delle Sezioni Unite di differenziare le ripercussioni della prescrizione del reato sulla confisca ex articolo 322-ter c.p. a seconda che si tratti di ablazione diretta ovvero di valore, stante la natura afflittiva e sanzionatoria di quest’ultima, peraltro non difforme da quella della confisca urbanistica, quanto dimostrare come la scelta del legislatore di innovare il quadro normativo considerato da Sez. U. Lucci – fissando in modo indifferenziato, con il testo vigente dell’articolo 578-bis c.p., le condizioni e modalita’ dei diversi tipi di confisca previsti dall’articolo 322-ter c.p. in assenza di una sentenza di condanna – affonda le sue radici in valutazioni di conformita’ costituzionale e convenzionale ben presenti nella giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte EDU. Il nuovo quadro normativo trae del resto ancor piu’ solido fondamento nella giurisprudenza della Corte EDU intervenuta in epoca successiva alle Sez. U., Lucci.
7.5. Assume a tal proposito particolare importanza la sentenza della Grande Camera della Corte EDU nel caso G.I.E.M. S.r.l. e altri contro Italia. La Grande Camera ha, infatti, esplicitamente affermato, in piena coerenza con le ragioni gia’ esposte dalla Corte costituzionale e rimuovendo l’ostacolo rappresentato dalla decisione della stessa Corte EDU nel caso Varvara c. Italia (sez. 2, 29 ottobre 2013), la compatibilita’ con l’articolo 7 della Convenzione EDU delle confische -sanzione fondate su accertamenti “sostanziali” di responsabilita’ contenuti nel provvedimento che dichiara l’estinzione del reato per prescrizione (Corte Edu G.I.E.M. v. Italia, 28 giugno 2018, § 261), purche’ la sanzione sia proporzionata al fatto.
7.6. Va del resto rilevato che nella confisca per equivalente del prezzo o del profitto del reato prevista dall’articolo 322-ter c.p., connotata, al pari di quella urbanistica, da un prevalente carattere afflittivo e sanzionatorio (Sez. U., Lucci, cit.), convergono evidenti finalita’ ripristinatorie, di semplificazione probatoria ed esecutiva, che la differenziano sostanzialmente da una pura e semplice pena patrimoniale.
In vero, la confisca per equivalente ex articolo 322-ter c.p. non ha la capacita’ di infliggere un quid pluris afflittivo, poiche’ si limita a privare l’autore di uno dei reati contro la pubblica amministrazione contemplati dalla norma di un valore equivalente a quanto da lui illecitamente ed effettivamente conseguito attraverso il reato e di cui sia divenuta impossibile l’apprensione diretta. Si tratta, in altre parole, di una forma di confisca che trova il proprio fondamento e limite nel vantaggio tratto dal reato e per la quale, non a caso, si ritiene applicabile il principio di solidarieta’ passiva, proprio delle misure riparatorie, che limita la misura ablatoria alla quota di prezzo o profitto conseguita effettivamente e personalmente da ciascuno degli imputati (Sez. 6, n. 25877 del 23/06/2006, Maniglia, Rv. 234850; Sez. 6, n. 929 del 13/02/2014, Giancone, Rv. 259592), restando detta confisca esclusa nel caso in cui quanto illecitamente percepito sia gia’ stato altrimenti restituito (vedi, con riferimento a reati contro la p.a., Sez. 6, n. 15847 del 05/02/2019, Mauro Sandra, Rv. 275543, Sez. 6, n. 16872 del 30/01/2019, Guerra Leoniero, Rv. 275671, secondo cui in tema di patteggiamento per reati contro la pubblica amministrazione, l’applicazione cumulativa della restituzione integrale del profitto del reato, prevista dall’articolo 444 c.p.p., comma 1-ter, e della confisca per equivalente del profitto del reato ex articolo 322-ter c.p., determina la violazione del principio del ne bis in idem sanzionatorio, trattandosi di misure aventi il medesimo oggetto ed analoga finalita’ afflittiva; si veda altresi’, in materia di confisca tributaria: ex multis, Sez. 3, n. 20887 del 20/05/2015, Aumenta, Rv. 263409; Sez. 3, n. 33587 del 19/06/2012, Paulin, non mass.; analogamente, in tema di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche: Sez. 3, n. 44446 del 15/10/2013, Runco, Rv. 257628).
Per inciso, si segnala che tali caratteristiche di necessaria proporzionalita’ della confisca per equivalente di cui all’articolo 322-ter c.p. soddisfano le esigenze poste al riguardo dalla citata giurisprudenza della Corte EDU e rendono vieppiu’ fondate le conclusioni raggiunte dalla stessa Corte EDU e, prima ancora, dalla Corte costituzionale circa la piena compatibilita’ costituzionale e convenzionale dell’applicazione di tale confisca allorche’ non vi sia stata formale decisione di condanna a causa dell’intervenuta prescrizione del reato e, purtuttavia, si sia in presenza, come oggi espressamente previsto dall’articolo 578-bis c.p.p., di un accertamento, condotto sulla base dell’intero compendio probatorio e nel rispetto delle regole del giusto processo, della responsabilita’ penale e dell’effettivo conseguimento, totale o pro-quota, del prezzo/profitto del reato da parte del suo autore.
7.7. Si noti, infine, che a favore dell’interpretazione dell’articolo 578-bis c.p.p. qui sostenuta milita la recente sentenza delle Sezioni unite n. 6141 del 25/10/2018, Milanesi, Rv. 274627, la quale ha espressamente ritenuto ammissibile, sia agli effetti penali che civili, la revisione, richiesta ai sensi dell’articolo 630 c.p.p., comma 1, lettera c), della sentenza del giudice di appello che, prosciogliendo l’imputato per l’estinzione del reato dovuta a prescrizione o amnistia, e decidendo sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi concernenti gli interessi civili, abbia confermato la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile. Il rimedio straordinario e’, infatti, consentito all’imputato, ancorche’ in assenza di formale sentenza di condanna per la sopravvenuta prescrizione del reato, proprio perche’ il giudice dell’impugnazione ha deciso sugli interessi civili, in applicazione dell’articolo 578 c.p.p., in forza dell’accertamento sostanziale della sua responsabilita’. L’equiparazione di quella decisione ad una sentenza di condanna appare evidente, allorche’ altrettanto evidente, anche nella collocazione codicistica, risulta il parallelismo tra l’accertamento sostanziale di responsabilita’ in assenza di condanna previsto dall’articolo 578 c.p.p. e quello di cui all’articolo 578-bis c.p.p..
8. Nel ribadire che l’articolo 578-bis c.p.p., nel testo oggi vigente, e’ norma processuale di immediata applicazione secondo il principio “tempus regit actum” (Sez. 3, n. 8785 del 29/11/2019, Rv. 278256), giova aggiungere che la confisca di beni per un valore corrispondente al prezzo o profitto di taluni reati contro la pubblica amministrazione ai sensi dell’articolo 322-ter c.p. deve, per il suo carattere sanzionatorio, trovare fondamento in una norma sostanziale entrata in vigore prima dei fatti per cui si procede (vedi, L. n. 300 del 2000, articolo 15).
Ratione temporis, dunque, ai fatti oggetto dell’accertamento demandato al giudice di rinvio, potra’ eventualmente applicarsi solo la confisca di beni il cui valore sia equivalente al prezzo del reato di peculato (Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, Rv. 244189; Sez. 6, n. 10679 del 11/02/2009, Marzetti, Rv. 243240), ma non quella del profitto di tale reato, atteso che mentre la prima e’ stata introdotta dalla L. 29 settembre 2000, n. 300 e, quindi, in data anteriore ai fatti per i quali si procede, la seconda e’ stata introdotta dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, e quindi in epoca successiva ai reati oggetto di accertamento.
Peraltro, va ribadito che, come affermato da questa Corte in sede cautelare nel corso di questo stesso procedimento, in tema di peculato, nella nozione di prezzo del reato – relativamente al quale puo’ essere disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca “per equivalente” – e’ compreso anche il denaro indebitamente procurato dall’agente pubblico a terzi, nella parte da questi riversata al primo, a titolo di corrispettivo per la commissione dell’illecito (Sez. 6, n. 39039 del 15/04/2013, Malvaso, Rv. 257097).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali nei confronti di (OMISSIS) limitatamente ai reati a lui ascritti ai capi A), dal numero 30 al numero 87, C), E), F), G) nei confronti di (OMISSIS) limitatamente ai reati a lui ascritti al capo A), dal numero 30 al numero 87, e nei confronti di (OMISSIS) per i reati a lui ascritti al capo G), per essere tali reati estinti per prescrizione. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) con riferimento ai reati a loro ascritti al capo A), dal numero 88 al numero 106, e, per il solo (OMISSIS), al capo D), nonche’ nei confronti di tutti i ricorrenti con riferimento alla disposta confisca per equivalente e alle statuizioni civili e rinvia per nuovo giudizio su tali capi e punti alla Corte di appello di Salerno.
Si da’ atto che il presente provvedimento e’ sottoscritto, oltreche’ dal consigliere estensore, dal consigliere anziano del collegio Giordano Emilia Anna per impedimento del suo Presidente, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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