In caso di espropriazione per pubblica utilità

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 5 giugno 2020, n. 10747.

La massima estrapolata:

In caso di espropriazione per pubblica utilità qualora il vincolo di inedificabilità assoluta riguardi esclusivamente una fascia di rispetto (nella specie autostradale), il proprietario deve essere comunque indennizzato se per effetto di tale vincolo l’area residua non risulti più utilizzabile come lo era (o poteva essere prima) e deprezzata (anche)) per essere ridotta la capacità edificatoria che le era propria in forza dell’unione con l’area destinata al rispetto stradale. In altri termini l’apposizione del vincolo di inedificabilità (riguardanti l’area di rispetto) potrebbe incidere anche sull’area residua – quando sia unita funzionalmente ed economicamente o in stretto collegamento strutturale e obiettivo con quella espropriata riducendone l’utilizzabilità e anche la capacità edificatoria con effetti pregiudizievoli per il proprietario e quindi indennizzabili.

Sentenza 5 giugno 2020, n. 10747

Data udienza 25 febbraio 2020

Tag – parola chiave: ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA’ O PUBBLICO INTERESSE – INDENNITA’

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 28227/2017 proposto da:
(OMISSIS) S.r.l. in Fallimento, in persona del curatore avv. (OMISSIS), e (OMISSIS) S.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentate e difese dall’avvocato (OMISSIS), e la seconda anche dall’avvocato (OMISSIS), giuste procure in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) S.p.a., in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di ANCONA del 24 aprile 2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/02/2020 dal Cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso e, in subordine, per la rimessione alle Sezioni Unite;
udito, per le ricorrenti, l’avvocato (OMISSIS), con delega;
udito, per la controricorrente, l’avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1.- (OMISSIS) spa, concessionaria di (OMISSIS) spa per la costruzione e l’esercizio della terza corsia dell’Autostrada (OMISSIS), ha disposto l’occupazione d’urgenza e l’espropriazione di un terreno di proprieta’ di (OMISSIS) srl e (OMISSIS), la quale non ha accettato l’indennita’ provvisoria di esproprio; ha fatto seguito la procedura arbitrale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, articolo 21, conclusasi con una relazione di stima opposta da (OMISSIS) dinanzi alla Corte d’appello di Ancona.
2.- La corte con ordinanza del 24 aprile 2017:
ha ridotto la stima, in applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, articolo 32, comma 2, in tema di migliorie opportunistiche realizzate dall’espropriato, per avere chiesto il 20 aprile 2006 e ottenuto un permesso di costruire per demolire un fabbricato destinato a magazzino (avente una superficie di mq. 1100) e ricostruirlo con una superficie maggiore (di mq. 2670 mq.) e con destinazione commerciale, dopo la comunicazione di avvio del procedimento preordinato all’esproprio in data 16 giugno 2005, sul presupposto che non si potesse tenere conto ai fini indennitari del plusvalore che i terreni espropriati avevano ottenuto in ragione di tale intervento edilizio;
non ha riconosciuto il pregiudizio per la ridotta capacita’ edificatoria e la perdita di volumetria utilizzabile sull’area residua, sulla quale risultava impedita la sopraelevazione del fabbricato commerciale, a seguito dell’ampliamento della sede autostradale e dell’avanzamento della fascia di rispetto di circa trenta metri verso il fabbricato;
ha escluso la voce di danno per la perdita di luminosita’ e panoramicita’ derivante dalla costruzione di un alto muro di contenimento del tratto autostradale in posizione sopraelevata, in quanto non incidente in modo specifico e differenziato sulla porzione residua del fondo e non eccedente la normale tollerabilita’;
ha escluso le voci di danno per l’impossibilita’ di locare o alienare un locale adibito a magazzino insistente sull’area parzialmente occupata e per il costo di realizzazione di un parcheggio provvisorio ritenuto necessario per la movimentazione dei mezzi;
ha infine determinato le indennita’ di esproprio, di occupazione d’urgenza e di occupazione temporanea.
3.- Avverso questa ordinanza la (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, resistito da (OMISSIS). Le parti hanno presentato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Il primo motivo (I sub 1) denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., articolo 115 c.p.c., Decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, articolo 32, comma 2 e articolo 16, comma 4, per avere applicato la norma sulle migliorie opportunistiche in mancanza sia di prova della comunicazione di avvio del procedimento espropriativo, sia di specifica eccezione dell’espropriante.
Il secondo motivo (I sub 2) denuncia errata qualificazione di un fatto decisivo per il giudizio, per avere ritenuto tardiva la contestazione da parte di (OMISSIS) della comunicazione dell’avvio del procedimento nelle memorie conclusionali, che era invece tempestiva, considerando che l’espropriante aveva invocato tardivamente l’applicazione dell’articolo 32 citato in fase di osservazioni alla c.t.u. e nelle memorie conclusionali.
Il terzo motivo (I sub 3) denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 702 bis e 183 c.p.c., per avere dato credito all’ipotesi della miglioria opportunistica introdotta tardivamente nel processo dall’espropriante, in relazione alla comunicazione dell’avvio del procedimento preordinato all’apposizione del vincolo espropriativo.
Il quarto motivo (I sub 4) denuncia violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 32, per avere erroneamente ritenuto che l'(OMISSIS) avesse deciso di demolire un fabbricato di 1100 mq. ad uso magazzino e di costruirne uno di mq. 2670, con lo scopo preordinato di fare incrementare l’indennita’ di esproprio che le sarebbe stata riconosciuta in futuro, dovendosi ritenere superata la presunzione semplice stabilita dalla norma.
1.1.- I suddetti motivi, da esaminare congiuntamente, sono inammissibili sia nella parte in cui si appuntano sul passaggio motivazionale della sentenza impugnata – non integrante tuttavia ratio decidendi e privo di influenza ai fini della decisione – che ha riferito incidentalmente della tardiva contestazione da parte di (OMISSIS) della comunicazione di avvio del procedimento di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 17, comma 4, sia nella parte relativa alla tardiva introduzione della questione delle migliorie opportunistiche da parte dell’ente espropriante nel processo, avendo al contrario la corte territoriale direttamente accertato l’esistenza della suddetta comunicazione con un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimita’ (nel senso della inammissibilita’ del motivo di ricorso per cassazione che censuri argomentazioni della sentenza impugnata svolte “ad abundantiam”, Cass. n. 8755 del 2018).
A quest’ultimo riguardo le ricorrenti non considerano che per fare applicazione dell’articolo 32, comma 2, del Decreto del Presidente della Repubblica 2001 – che impone di non tenere conto ai fini indennitari delle costruzioni e migliorie “opportunistiche”, quali sono quelle “che siano state intraprese sui fondi soggetti ad esproprio dopo la comunicazione dell’avvio del procedimento” (e del “deposito degli atti con l’indicazione del nominativo del responsabile del procedimento”, a norma dell’articolo 16, comma 4) – il giudice del merito non e’ vincolato alla eccezione o istanza della parte espropriante, trattandosi di una circostanza che egli e’ tenuto a rilevare anche d’ufficio sulla base degli elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti, come nella specie, in quanto incidente sulla determinazione giudiziale dell’indennita’. Ed infatti, premesso che le eccezioni in senso stretto sono quelle rilevabili soltanto ad istanza di parte che si identificano in quelle per le quali la legge espressamente riserva il potere di rilevazione alla parte o in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e che, quindi, per svolgere efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico suppongono il tramite di una manifestazione di volonta’ della parte (Cass. SU n. 15661 del 2005), la liquidazione dell’indennita’ di esproprio costituisce un’operazione che e’ rimessa al giudice, il quale e’ tenuto ad operare valutazioni tecniche, quali sono quelle per la stima del valore di mercato, e ad applicare regole giuridiche, tra le quali vi e’ anche quella di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 32, comma 2, all’esito di un accurato esame della fattispecie la cui ricognizione in concreto e’ incensurabile in sede di legittimita’. Quella posta dalla disposizione poc’anzi richiamata costituisce espressione di una valutazione legale di tipo presuntivo che esclude rilievo, ai fini indennitari, alle costruzioni realizzate dopo la comunicazione dell’avvio del procedimento.
E’ opportuno precisare che la disposizione in esame di cui dell’articolo 32, comma 2 del Decreto del Presidente della Repubblica 2001 (che riproduce nella sostanza della L. 25 giugno 1865, n. 2359, articolo 43), di limpida chiarezza letterale, non confligge con la regola generale desumibile dello stesso articolo 32, comma 1, che ancora la ricognizione legale e fattuale dell’immobile, al fine di stimarne il valore, al momento dell’adozione del decreto di esproprio, e non e’ suscettibile di una interpretazione che ne annulli di fatto l’ambito operativo (come sembra essere quella seguita da Cass. n. 16084 del 2018). Diversa e’ infatti la ratio giustificativa della norma in esame con cui il legislatore, esercitando non irragionevolmente la sua discrezionalita’, ha inteso evitare che il proprietario, essendo a conoscenza dell’avvio del procedimento espropriativo, ponga in essere comportamenti di tipo speculativo per ottenere indebite lievitazioni dell’indennita’ di esproprio.
2.- Il quinto motivo (II) denuncia violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articoli 32 e 37, Decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, articoli 26 e 28, per avere la Corte di merito avallato la tesi, fatta propria dalla decisione impugnata, secondo la quale non e’ indennizzabile il pregiudizio arrecato alla porzione residua di terreno per la perdita della pregressa volumetria e, dunque, della capacita’ edificatoria che essa aveva in quanto unita all’area destinata a fascia di rispetto autostradale, a causa dell’avanzamento della suddetta fascia all’interno dell’area di proprieta’ privata, rendendo impossibile la sopraelevazione del fabbricato commerciale di proprieta’ della societa’; e cio’ in violazione del principio secondo cui, ove l’esproprio riguardi solo una parte del bene, si deve tenere conto, nella determinazione dell’indennita’ di esproprio, della svalutazione della porzione residua, dovendo l’indennita’ corrispondere alla differenza tra il valore che il bene aveva prima dell’esproprio e quello che aveva dopo, solo in tal modo l’indennita’ potendo rappresentare il valore di mercato cui deve essere ragguagliata.
2.1. – Preliminarmente, il Collegio ritiene di non aderire all’istanza delle ricorrenti di rimessione alle Sezioni Unite, potendo il ricorso, che pure presenta profili di indubbio rilievo nomofilattico (in relazione al suddetto motivo), essere deciso dalla Sezione semplice sulla base di una interpretazione evolutiva del contesto normativo.
2.2.- Il motivo e’ fondato nei termini e con le precisazioni che si illustreranno.
Il Collegio non condivide la tesi, sostenuta nel motivo, secondo cui la fascia di rispetto stradale e autostradale avrebbe l’effetto di imporre un semplice obbligo di distanza, al fine di impedire la realizzazione di manufatti edilizi all’interno della predetta fascia e di favorire e garantire la sicurezza della circolazione sulle strade e nelle immediate vicinanze; ritiene, invece, di dare continuita’ al diverso orientamento secondo cui il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale o autostradale si traduce in un divieto assoluto di edificazione che le rende legalmente inedificabili, trattandosi di limitazioni costituzionalmente legittime, in quanto concernenti la generalita’ dei cittadini proprietari di determinati beni individuati a priori per categoria e localizzazione, espressione del potere conformativo della P.A. di cui all’articolo 42 Cost. (cfr. Cass. n. 14632 del 2018, n. 13516 e 25668 del 2015, n. 27114 del 2013, n. 5875 del 2012; in senso analogo e’ la giurisprudenza del Consiglio di Stato: sez. IV, n. 90 del 2018, n. 347 del 2015, n. 2062 del 2013; sez. V, n. 4432 del 2012).
Il suddetto orientamento esclude la natura espropriativa del vincolo in questione sul presupposto che, derivando dalla legge (L. 17 agosto 1942, n. 1150, articolo 41 septies, come modificato dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, articolo 19; Decreto Ministeriale 1 aprile 1968, articolo 4; L. 24 luglio 1961, n. 729, articolo 9; Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, articolo 16 e il Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992 cit., articolo 26), non puo’ ritenersi preordinato all’espropriazione, con l’effetto che di esso deve tenersi conto nella determinazione dell’indennita’ di esproprio, come risulta sia dall’articolo 32, comma 1, Decreto del Presidente della Repubblica 2001, secondo cui l’indennita’ di esproprio e’ determinata “valutando l’incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa”, sia dall’articolo 37, comma 4, che specifica che “non sussistono le possibilita’ legali di edificazione” – ancor prima di esaminare gli strumenti urbanistici – “quando l’area e’ sottoposta ad un vincolo di inedificabilita’ assoluta in base alla normativa statale o regionale”.
Questi concetti sono condivisibilmente ripetuti nella giurisprudenza con implicito riferimento a fattispecie eterogenee: a quella in cui l’area gia’ soggetta a vincolo assoluto di inedificabilita’ (per qualunque causa) sia stata espropriata e si tratti di stimare il valore del bene, al fine di determinare l’indennita’ di esproprio, e a quella in cui il privato resti proprietario dell’area (non espropriata), pur subendo l’integrale o parziale soggezione della sua proprieta’ al rispetto stradale.
La distinzione concettuale tra le due fattispecie (esproprio di area vincolata e imposizione del vincolo di inedificabilita’ su area non espropriata) e’ una premessa necessaria per verificare se e fino a che punto l’orientamento sopra richiamato sia utilizzabile per sostenere la conclusione cui e’ pervenuta la corte territoriale, nel senso che in sostanza nulla spetti al privato che resti proprietario dell’area incisa dall’apposizione del vincolo di inedificabilita’.
La suddetta conclusione invero sembra avvalorata da una parte della giurisprudenza di legittimita’ che fa leva sul carattere generale dei vincoli (conformativi) imposti a tutti i cittadini, in quanto proprietari di determinati beni individuati a priori per la loro posizione o localizzazione rispetto ad un’opera pubblica, per giungere alla conclusione che, trattandosi di “limitazioni legali della proprieta’” riguardanti tutti i beni che si trovano a una certa vicinanza con l’opera pubblica, esse “non arrecano (al privato) in via specifica alcun deprezzamento del quale debba tenersi conto in sede di determinazione del valore dell’immobile, facendo difetto il nesso di causalita’ diretto sia con l’ablazione, sia con l’esercizio del pubblico servizio cui l’opera e’ destinata” (cfr. Cass. n. 2552 del 2014, n. 23210 del 2012). Alla mancanza del nesso di causalita’ fanno richiamo le pronunce che non riconoscono al proprietario alcun indennizzo per i pregiudizi – relativi sia alla ridotta edificabilita’ sia alla concreta fruibilita’ del bene – arrecati alla parte residua del fondo inciso dalla realizzazione di opere stradali (cfr. Cass. n. 25668 del 2015, n. 2959 del 2014, n. 5875 del 2012, n. 2938 del 2008, n. 4830 del 1983, n. 3932 del 1980).
Questa conclusione cui ha aderito la sentenza impugnata non e’ condivisibile.
E’ certamente vero che l’imposizione del vincolo di inedificabilita’ impedisce di indennizzare il privato per la perdita della edificabilita’ dell’area utilizzata come fascia di rispetto (della quale resta proprietario), per la ragione che si tratta di una disciplina inderogabile che non e’ aggirabile ipotizzando che l’area possieda comunque una volumetria edificatoria utilizzabile (e dunque indennizzabile) per il computo di superfici e di volumi perduti per effetto dell’espropriazione: in quanto e’ il presupposto su cui si fonda la costruzione ad essere errato, posto che la disposizione legislativa precede logicamente (e gerarchicamente) la classificazione urbanistica del suolo, precludendole qualsiasi valutazione difforme; e non e’ suscettibile di deroghe di fatto da parte degli strumenti generali di pianificazione del territorio che, in quanto provvedimenti amministrativi, sono assoggettati pur essi al rispetto delle norme di legge.
E tuttavia, se e’ agevolmente spiegabile perche’ non sia configurabile l’invocato diritto all’automatico trasferimento della cubatura dall’area di rispetto a quella residua o ad altre aree, non sussistendo un diritto di costruire sulla prima, sarebbe eccedente rispetto agli scopi del vincolo legale di inedificabilita’ attribuirgli un effetto pervasivo indiretto e sostanzialmente ablatorio, senza indennizzo, anche sulle parti residue della proprieta’ (esterne all’area di rispetto autostradale).
In questa direzione si colloca il condivisibile indirizzo secondo cui, in caso di espropriazione parziale per la realizzazione di opere stradali che comporti la creazione o l’avanzamento della fascia di rispetto che gia’ gravava sulla proprieta’ privata, nel calcolo dell’indennita’ di espropriazione con il criterio della differenza fra il valore dell’intero fondo prima dell’espropriazione e quello di detta porzione residua dopo l’espropriazione (L. 25 giugno 1865, n. 2359, ex articolo 40, ora del Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 33), il suddetto vincolo deve essere computato in detrazione non di entrambi i termini di paragone, ma di uno soltanto, perche’ altrimenti verrebbe a pregiudicare due volte il medesimo bene (Cass. n. 6592 del 1996, n. 2592 del 1988).
In altri termini, il vincolo pur assoluto di inedificabilita’ riguarda esclusivamente l’area (di rispetto) cui esso si riferisce per legge, rispetto alla quale soltanto opera l’effetto ablatorio incidente sullo jus aedificandi, ma il proprietario deve essere indennizzato se per effetto del suddetto vincolo l’area residua risulti non piu’ utilizzabile come lo era (o poteva essere) prima e deprezzata (anche) per essere ridotta la capacita’ edificatoria che le era propria in forza dell’unione con l’area destinata al rispetto stradale (nel senso della indennizzabilita’ delle porzioni residue dei fondi che subiscono l’imposizione di vincoli di inedificabilita’, cfr. Cass. n. 24435 del 2006, n. 2107 del 1982, n. 3576 del 1972, seppure con riferimento ad occupazioni illegittime).
L’apposizione del vincolo di inedificabilita’ (riguardante l’area di rispetto) potrebbe incidere anche sull’area residua – quando sia unita funzionalmente ed economicamente o in stretto collegamento strutturale e obiettivo con quella espropriata (Cass. n. 17789 del 2015, n. 9541 del 2012, n. 3790 del 1990) – riducendone l’utilizzabilita’ e anche la capacita’ edificatoria, con effetti pregiudizievoli per il proprietario e per questo indennizzabili. E’ utile riportare in tal senso un passaggio motivazionale di un precedente di legittimita’: “il preesistente vincolo di inedificabilita’ (relativo all’obbligo di osservanza delle distanze previste per le costruzioni rispetto al ciglio stradale) gravante sull’area espropriata o su parte di essa, si sposta dall’area su cui gravava originariamente a quella contigua che diviene percio’, nella stessa misura, inedificabile, con la conseguenza che, in questo caso, l’esproprio colpisce un’area edificatoria, resa inedificabile nella parte in cui va a sostituire quella precedentemente destinata a zona di rispetto stradale (massima di Cass. n. 7303 del 1997, seguita da Cass. n. 14643 del 2001 e da Cass. n. 6518 del 2007)”, senza possibilita’ di assimilare urbanisticamente l’area residua a quella di rispetto (inedificabile o agricola), restando la prima edificabile (Cass. n. 13970 del 2011).
Ad imporre la soluzione qui condivisa e’ la disciplina dell’espropriazione parziale che postula che l’indennizzo riconosciuto al proprietario dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 33, non riguardi soltanto la porzione espropriata (quando questa vi sia), ma anche la compromissione o l’alterazione delle possibilita’ di utilizzazione della restante porzione del bene rimasta nella disponibilita’ del proprietario, in tutti i casi in cui il distacco di una parte del fondo e l’esecuzione dell’opera pubblica influiscano negativamente sulla parte residua (Cass. n. 20241 del 2017).
Non varrebbe obiettare che la suddetta disciplina sia applicabile soltanto in presenza di una materiale apprensione di una porzione di fondo. Evidente e’ infatti l’identita’ di ratio che ne giustifica un’interpretazione estensiva all’ipotesi in cui sia ablato lo jus aedificandi relativo alla porzione corrispondente all’area di rispetto (che resta in proprieta’ del privato), come si desume dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 32, comma 1, che, in tema di indennita’ espropriativa, contiene disposizioni analoghe per la “espropriazione di un diritto diverso da quello di proprieta’”, assimilando le due ipotesi.
Del resto, opinando diversamente nel senso che nulla spetti, in via di principio, al proprietario dell’area residua quando sulla restante porzione (rimasta formalmente di sua proprieta’ ma destinata ad area di rispetto) operi un vincolo di inedificabilita’ assoluto, si perverrebbe alla conclusione di favorire una disparita’ di trattamento, ingiustificabile in quanto derivante da una insindacabile scelta della pubblica amministrazione, rispetto al proprietario che, subendo l’espropriazione della medesima porzione, potrebbe ottenere l’indennizzo, seppure calcolato in relazione al valore non edificatorio dell’area stessa.
Il criterio differenziale tipico dell’espropriazione parziale (che prevede la differenza tra il valore dell’intero fondo prima della vicenda ablatoria e quello della porzione residua) deve essere adattato alla specificita’ della fattispecie nella quale il privato resta proprietario dell’area di rispetto (sulla quale la perdita del diritto di edificare non e’ indennizzabile) e, nel caso in esame, egli non ha dedotto pregiudizi specificamente inerenti alla stessa, ma esclusivamente riguardanti l’area residua.
Il suddetto criterio non e’ del resto vincolante, potendo il giudice di merito accertare e calcolare la diminuzione di valore dell’area residua mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti (cfr. Cass. n. 24304 del 2011, n. 10217 del 2009, n. 11782 del 2007).
Nella specie, l’indennizzo eventualmente spettante al proprietario per la perdita di valore dell’area residua deve essere calcolato in relazione alla piu’ limitata capacita’ edificatoria consentita sulla piu’ ridotta superficie rimasta a seguito della creazione o dell’avanzamento della fascia di rispetto (in tal senso e’ anche Cass. n. 7195 del 2013), ma senza automatismi come quello, auspicato dalle ricorrenti, del trasferimento di cubatura da un’area all’altra.
Va dunque affermato il seguente principio, al quale la corte territoriale dovra’ attenersi: in tema di espropriazione per pubblica utilita’, nel caso in cui, per effetto della realizzazione o dell’ampliamento di una strada pubblica (nella specie, di una autostrada), il privato debba subire nella sua proprieta’ la creazione o l’avanzamento della relativa fascia di rispetto, quest’ultima si traduce in un vincolo assoluto di inedificabilita’ che di per se’ non e’ indennizzabile, ma che, in applicazione estensiva della disciplina in tema di espropriazione parziale, non esclude il diritto del proprietario di essere indennizzato per il deprezzamento dell’area residua mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti, quando risultino alterate le possibilita’ di utilizzazione della stessa ed anche per la perdita della capacita’ edificatoria realizzabile sulle piu’ ridotte superfici rimaste.
3.- Il sesto motivo (III) denuncia violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 33, per avere negato l’indennizzabilita’ della perdita di luminosita’ e panoramicita’ a causa della realizzazione di un muro di sostegno dell’opera autostradale, alto oltre venti metri a pochi metri di distanza dalla facciata del fabbricato, sulla base dell’affermazione che si assume apodittica e immotivata del mancato superamento della soglia di tollerabilita’, da cui era derivata un’oggettiva perdita di valore economico della parte residua e, in particolare, del fabbricato.
3.1.- Il motivo e’ fondato.
La corte territoriale ha rigettato la domanda di indennizzo per la ritenuta tollerabilita’ della perdita di luminosita’ e panoramicita’ del fabbricato, che e’ tuttavia un criterio sfornito di basi normative, dovendosi invece accertare il profilo decisivo dell’incidenza dell’opera stradale sul valore dell’area residua in termini di deprezzamento del fabbricato contiguo, nel caso in cui si accerti una oggettiva e apprezzabile riduzione della luminosita’, panoramicita’ e godibilita’ dello stesso. E’ anche questa una applicazione del principio dell’integralita’ dell’indennizzo dovuto al privato per i pregiudizi arrecati all’area residua nella fase di esecuzione dell’opera e di esercizio del pubblico servizio cui l’opera e’ destinata.
4.- Il settimo motivo (IV) denuncia violazione dell’articolo 132 c.p.c., per il diniego, ritenuto immotivato, della tutela indennitaria riferita al pregiudizio relativo al costo di realizzazione di un parcheggio provvisorio, resosi necessaria per l’inutilizzabilita’ del piazzale adibito a parcheggio e movimentazione mezzi.
L’ottavo motivo (V sub 1) denuncia violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articoli 49 e 50, per non avere riconosciuto il pregiudizio per l’impossibilita’ di locare o alienare il magazzino e la corte di pertinenza, liquidabile alla stregua di una indennita’ di occupazione temporanea, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articoli 22 bis e 50, in misura pari a un dodicesimo dell’indennita’ virtuale di esproprio per ogni anno di occupazione.
4.1.- I suddetti motivi sono inammissibili. La corte di merito ha riconosciuto l’indennita’ di occupazione temporanea dell’area non espropriata, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 49, ma ha escluso il nesso causale tra l’espropriazione e gli ulteriori pregiudizi lamentati, in relazione alle possibilita’ di locazione dei locali adibiti a magazzino e al costo di realizzazione del parcheggio, con apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede che impropriamente si vorrebbe sovvertire.
5.- Il nono motivo (V sub 2) denuncia omissione di motivazione (violazione dell’articolo 132 c.p.c.), per avere applicato il criterio dell’interesse legale senza valutare il bene su cui calcolare l’interesse.
5.1.- Il motivo e’ inammissibile, per difetto di specificita’, non essendo questa Corte stata posta in condizioni di comprendere quale sia la statuizione impugnata e le specifiche ragioni poste a base dell’impugnazione.
6.- In conclusione, in accoglimento dei motivi quinto e sesto, la sentenza impugnata e’ cassata con rinvio alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto e sesto motivo di ricorso, dichiara inammissibili gli altri e, in relazione ai motivi accolti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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