Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 8 maggio 2019, n. 19644.
La massima estrapolata:
Nel giudizio di esecuzione scaturente dall’impugnazione dell’ordine di carcerazione emesso in seguito ad annullamento parziale con rinvio della sentenza di condanna disposto dalla Corte di cassazione, non determina alcuna preclusione alla disamina della questione relativa all’esecutività del giudicato parziale l’eventuale decisione definitiva sulla medesima questione sopravvenuta nel parallelo giudizio cautelare avente ad oggetto la richiesta di dichiarazione di inefficacia per scadenza dei termini della misura in corso di applicazione, atteso che gli accertamenti compiuti nell’incidente cautelare, per principio generale di struttura processuale, non producono effetti nel giudizio principale, sia esso cognitorio od esecutivo. (In motivazione, la Corte ha precisato che, inversamente, le evenienze del giudizio principale hanno incidenza su quello cautelare in forza del principio di assorbimento).
Sentenza 8 maggio 2019, n. 19644
Data udienza 9 aprile 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZEI Antonella P – Presidente
Dott. BIANCHI Michele – Consigliere
Dott. LIUNI Teresa – Consigliere
Dott. BINENTI Roberto – Consigliere
Dott. SANTALUCIA Giusep – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 08/05/2018 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. Giuseppe Santalucia;
lette le conclusioni del PG, Dott. Epidendio T., che ha chiesto l’annullamento senza rinvio.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta proposta nell’interesse di (OMISSIS) cl. (OMISSIS), di dichiarazione di illegittimita’ dell’ordine di carcerazione emesso sulla base di una sentenza di condanna non ancora esecutiva. Il richiedente, all’esito del giudizio di appello, e’ stato condannato, con sentenza poi fatta oggetto di annullamento con rinvio, per il delitto di associazione di tipo mafioso ed armata con ruolo direttivo (capo A); per il delitto di associazione per delinquere armata e finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (capo B); e per una serie di delitti fine. La Corte di cassazione, nell’annullare con rinvio la condanna per alcuni delitti fine e per l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, in relazione a due dei delitti fine, oltre che per la eventuale rideterminazione della pena, ha determinato l’irrevocabilita’ della parte della condanna non interessata dall’annullamento e, in specie, della condanna per il delitto di associazione per delinquere armata e finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (capo B), reato piu’ grave della sequela di continuazione.
Nel corso del giudizio di rinvio sono state accolte le doglianze difensive circa la sua estraneita’ ai delitti fine e l’insussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 ed inoltre e’ stata esclusa la configurabilita’ dell’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, in riferimento ad altri delitti fine.
1.1. La Corte di cassazione, nel rigettare il ricorso sugli altri capi di condanna, ha confermato il trattamento sanzionatorio gia’ irrogato nella misura di anni venti, tenuto conto che a tale pena si giunge soltanto per effetto del criterio moderatore di cui all’articolo 78 c.p., rispetto al quale l’assoluzione da taluno dei reati satellite non puo’ condurre ad alcuna attenuazione. La pena minima e’ stata calcolata, in modo corretto, esclusivamente sulla condanna piu’ grave divenuta irrevocabile, relativa alla violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 1: pena base anni ventiquattro, aumentata ad anni trentadue per l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, poi ridotta ad anni trenta in applicazione del criterio moderatore di cui all’articolo 78 c.p., ulteriormente ridotta per il rito nella misura di anni venti.
2. Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso i difensori di (OMISSIS), avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno dedotto vizio di violazione di legge.
La Corte di cassazione, nell’annullare la sentenza di appello limitatamente ad alcuni delitti fine e all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, in relazione a due episodi, non ha determinato la pena minima da espiare in relazione ai reati coperti da giudicato. La stessa Corte di cassazione, con le sentenze n. 3273/17 del 19 dicembre 2016 e n. 20178 del 7 aprile 2017, entrambe rese in sede cautelare, ha rilevato che la pronuncia di annullamento con rinvio adottata nel giudizio principale non ha determinato la parte di pena immediatamente eseguibile con riferimento alle parti della condanna divenute irrevocabili e, pertanto, non costituisce un titolo esecutivo idoneo a novare il fondamento della restrizione carceraria che rimane di natura cautelare.
2.1. Il giudice dell’esecuzione ha del tutto illegittimamente richiamato nel provvedimento impugnato la sentenza emessa nel giudizio di rinvio, perche’ intervenuta sei mesi dopo l’emissione dell’ordine di esecuzione e non ancora definitiva. Con pari illegittimita’ non ha tenuto conto della sentenza della Corte di cassazione, n. 20178 del 2017, che pochi giorni prima dell’emissione dell’ordine di esecuzione aveva chiarito che la sentenza della Corte di appello del 4 maggio 2015 non costituisce titolo esecutivo idoneo.
Ha poi errato nella determinazione della pena minima che, invece dei venti anni indicati, sarebbe al piu’ pari ad anni sedici, e comunque ha ignorato che la sentenza di condanna della Corte di appello non ha specificato l’aumento per ogni singolo reato satellite, ne’ tanto meno il quantum di pena da computare per l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7. L’aumento di un terzo per l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, e’ una mera presunzione del giudice dell’esecuzione, perche’ non e’ mai stato quantificato dal giudice della cognizione.
3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.
4. Successivamente, l’avv.to (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), ha proposto motivi nuovi, con cui ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione. La pena da eseguire, nei casi di annullamento parziale, deve essere definitiva con certezza nel quantum minimo inderogabile. Nel caso in esame, la sentenza della Corte di appello del 29 aprile 2013, unica pronuncia su cui e’ fondato l’ordine di esecuzione, non ha specificato in alcun modo gli aumenti per i reati satellite, ne’ per le aggravanti ad effetto speciale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, a giudizio del Collegio, non merita accoglimento per le ragioni di seguito esposte.
2. Questione centrale per la valutazione delle pretese di ricorso e’ costituita dall’esame dell’incidenza nel procedimento di esecuzione delle due pronunce con cui questa Corte – Sez. 1, n. 3273 e n. 20178 del 2017 – ha stabilito che la sentenza di annullamento parziale pronunciata il 4 maggio 2015, che pure ha reso definitive le statuizioni di condanna del ricorrente per i reati di cui all’articolo 416-bis c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, (aggravato Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7), non costituisce titolo esecutivo per non aver determinato la parte di pena immediatamente eseguibile con riferimento a tali reati.
Occorre, infatti, stabilire se queste due pronunce – che hanno concordemente concluso nel senso che quella sentenza di annullamento con rinvio non ha la forza di “novare il fondamento della restrizione in carcere del ricorrente, che rimane detenuto in forza dell’originario titolo cautelare…” producano una preclusione per consumazione di potere, impedendo al Collegio di decidere nel merito del presente ricorso e imponendo di prendere atto che una decisione e’ gia’ intervenuta.
2.1. Il Collegio ritiene che di preclusione non possa dirsi per la considerazione che entrambe le sentenze sono state pronunciate nell’ambito di un incidente cautelare iniziato per impugnazione del provvedimento con cui la Corte di appello, quale giudice della cognizione, aveva rigettato la richiesta di declaratoria di perdita di efficacia per decorso del termine di durata complessiva della custodia cautelare, adducendo la formazione del giudicato parziale sull’affermazione di responsabilita’.
La sede procedimentale di natura incidentale fa escludere l’esistenza dell’effetto preclusivo. Questo infatti potrebbe essere ipotizzato soltanto ammettendo che le evenienze del giudizio cautelare riverberino effetti sul giudizio principale, sia esso di cognizione che di esecuzione. Cio’ pero’ si risolverebbe nella deroga ad un principio generale di struttura processuale, secondo cui quel che accade in sede cautelare non puo’ in nessun caso essere trasferito nella sede principale.
La relazione tra i due giudizi non e’ di reciprocita’: se le evenienze del giudizio principale hanno incidenza nel giudizio cautelare in forza del principio di assorbimento (si pensi, ad esempio, alla immediata inefficacia delle misure cautelari in caso di pronuncia di sentenza di proscioglimento o di assoluzione, benche’ non definitiva), non vale il contrario per l’assoluta impermeabilita’ del giudizio principale rispetto al cautelare.
3. Non occorre allora neanche interrogarsi sul ruolo dell’ordine di esecuzione emesso pur dopo che questa Corte aveva per due volte escluso l’esecutivita’ del giudicato parziale conseguente all’annullamento con rinvio disposto il (OMISSIS), per stabilire se possa costituire una sopravvenienza rispetto alle due determinazioni cautelari prima indicate o se, di contro, si faccia apprezzare per una diretta contrarieta’ alle statuizioni del principio di diritto fissato con entrambe quelle decisioni di rinvio per nuovo esame al Tribunale dell’appello cautelare.
La diversita’ di sede procedimentale fa si’ che non si debba verificare la sopravvenienza di un fatto nuovo per superare l’accertamento allo stato degli atti della pronuncia cautelare, nella misura in cui quegli accertamenti non hanno alcuna efficacia oltre il ristretto ambito dell’incidente in cui sono intervenuti.
4. Il Collegio ritiene che, a seguito dell’annullamento con rinvio della decisione di condanna, sia individuabile la porzione di pena certa che puo’ essere posta in esecuzione, si’ come affermato dalla Corte di appello di Napoli quale giudice dell’esecuzione nel provvedimento impugnato.
In seguito alla formazione del giudicato parziale sulle parti della sentenza di appello non oggetto di annullamento ad opera della Corte di cassazione si era cristallizzata la responsabilita’ del ricorrente per il delitto piu’ grave della continuazione criminosa costituito dall’essere stato partecipe, con ruoli di promozione, direzione ed organizzazione, dell’associazione finalizzata alla commissione di piu’ delitti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, reato aggravato ai sensi della Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7.
Ha osservato la difesa che la sentenza conclusiva del giudizio di appello, l’unica che poteva essere legittimamente messa a fondamento dell’ordine di esecuzione, non ha quantificato l’aumento per l’aggravante speciale contestata, si’ che la pena per questo reato, che e’ il piu’ grave tra quelli in continuazione, non era stata definita con la necessaria certezza.
Sul punto il Collegio rileva che il carattere di certezza della pena posta in esecuzione discende anche dal contenuto della previsione aggravatrice, che impone un aumento minimo, senza alcuna discrezionalita’ valutativa per il giudice, di un terzo della pena.
Il calcolo condotto sui minimi di legge, sia per il reato associativo qualificato dal ruolo direttivo e organizzativo che per l’aggravante, non oggetto di annullamento, conferiscono certezza alla pena da porre in esecuzione perche’, al di la’ degli sviluppi del giudizio conseguente all’annullamento parziale, questo nucleo minimo di pena non era sin da subito revocabile in dubbio.
Si tratta dunque di una pena certa, determinata dal giudice della cognizione e non gia’ determinabile, ove con tale ultima espressione si intenda la possibilita’ di oscillazioni quantitative dipendenti da apprezzamenti discrezionali che si sostituiscano a computi meramente aritmetici, capaci per loro intrinseca natura di conferire certezza ai risultati.
5. Il ricorso e’ pertanto infondato e va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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