Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 30 luglio 2019, n. 5367.

La massima estrapolata:

L’immobile da condonare deve essere esistente nel momento in cui viene decisa l’istanza di condono e solo successivamente può essere demolito per essere recuperata, in diverso sedime, la volumetria condonata.

Sentenza 30 luglio 2019, n. 5367

Data udienza 28 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5386 del 2008, proposto da
Mo. Ro., rappresentata e difesa dall’avv. Si. Ca. ed elettivamente domiciliata nello studio dell’avv. Si. Ba. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del TAR Emilia Romagna sez. II n. 782/2007 del 31.05.2007 con la quale è stato rigettato il ricorso RG n. 1162/1999 proposto avverso il provvedimento del Comune di (omissis) prot. n. 19586 del 12 giugno 1999, notificato il 14.06.1999, recante rilascio di concessione in sanatoria ex art. 39 della legge 23.12.1994 n. 724 in ordine alla domanda 24.02.1995 n. 7139, nella parte in cui esclude dalla sanatoria edilizia parte delle opere richieste
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 maggio 2019 il Cons. Francesco Guarracino e udito l’avv. Ma. An. Gi., su delega dell’avv. Si. Ca., per la parte appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso in appello la sig.ra Ro. Mo. chiede la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, sede di Bologna (sez. II), n. 782 del 31 maggio 2007, con la quale è stato respinto il ricorso che aveva proposto avverso il provvedimento del Comune di (omissis) – Settore Urbanistica ed Edilizia Privata, prot. n. 19586 del 12 giugno 1999, di rilascio della concessione in sanatoria ex art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, per interventi eseguiti senza titolo sul fabbricato di sua proprietà in Via (omissis) nella parte in cui ha escluso dalla sanatoria parte delle opere richieste e, segnatamente, “della porzione in ampliamento del box auto allo stato grezzo, il rispettivo aumento di volume, la pensilina su piedritti relativa all’abitazione allo stato grezzo ed il portico di collegamento tra le due unità sopra citate, a seguito di sopralluogo eseguito dall’ufficio in data 07.06.1999 da cui è emerso che le porzioni in oggetto sono state demolite ed in parte sostituite. Tali opere sono evidenziate sullo stato di fatto con bordatura rossa”.
Il Comune di (omissis), ritualmente intimato in appello, non si è costituito in giudizio.
Alla pubblica udienza del 28 maggio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
La sentenza appellata è così motivata: “Come evidenziato dal Comune nel provvedimento impugnato non può essere oggetto di un provvedimento di sanatoria un’opera edilizia non più esistente, perché demolita, al momento dell’emanazione del provvedimento. Sostituisce, infatti, un elemento essenziale del provvedimento amministrativo l’oggetto dello stesso la cui mancanza ne determinerebbe l’inesistenza. […] Né sussiste l’interesse della ricorrente alla sanatoria di un’opera edilizia non più esistente, perché demolita, in quanto detta superficie non potrebbe essere computata in ordine ad un’eventuale ristrutturazione. Infatti, non può essere oggetto di ristrutturazione un bene non più esistente in quanto ogni intervento edilizio, effettuato dopo la demolizione del bene originario, costituisce una nuova costruzione e ne segue il relativo regime giuridico”.
L’appellante critica la decisione di prime cure con due motivi di appello.
Con il primo motivo sostiene che non potrebbe ritenersi che non avesse un interesse sostanziale al rilascio del titolo di sanatoria sul presupposto che il successivo intervento edilizio di recupero dovesse considerarsi come nuova costruzione, essendo vero il contrario, stante il suo interesse al “recupero” della superficie preesistente, anche a demolizione effettuata, perché la ristrutturazione, intesa come recupero dell’esistente, presuppone, pure alla luce della normativa edilizia locale, che l’edificio o le sue parti risultino regolarmente licenziate o condonate, e ciò a prescindere dal fatto che l’interesse al rilascio del titolo in sanatoria, comunque, sarebbe prospettabile anche a fini penali, ai sensi dell’art. 38 della legge 47/1985.
Col secondo, lamentando l’omessa pronuncia del T.A.R. sul motivo di ricorso relativo alla formazione del titolo di sanatoria per silenzio assenso, sostiene che sulla sua domanda di sanatoria edilizia, presentata il 21 febbraio 2005, si sarebbe formato il silenzio assenso a norma dell’art. 39, comma 4, della legge 724/1994, essendo decorso il termine annuale decorrente dalla data di presentazione, e ciò anche assumendo come dies a quo per la decorrenza del termine la data del 1° gennaio 1997, come stabilito dall’art. 2 comma 38 della legge n. 662/1996, poiché il provvedimento di diniego è stato notificato il 14 giugno 1999 e, quindi, ampiamente dopo l’avvenuta scadenza di quel termine, anche in riferimento all’ultima integrazione documentale del 27 giugno 1996: con la conseguenza che, in presenza di un titolo amministrativo formato ope legis, il Comune non avrebbe avuto il potere di adottare un provvedimento di rigetto della domanda di condono edilizio, tanto meno motivato con riferimento a una situazione di fatto accertata oltre la scadenza del termine per definire il procedimento.
L’appellante ripropone, inoltre, la domanda di risarcimento del danno conseguente all’illegittimo diniego di condono edilizio ed al ritardo con il quale il Comune avrebbe provveduto alla conclusione del relativo procedimento, già proposta in primo grado.
L’appello non merita accoglimento.
La statuizione del T.A.R. sull’insussistenza di un interesse della ricorrente alla sanatoria di un’opera edilizia non più esistente – che, in effetti, non tiene conto né del fatto che nel ricorso di primo grado (pag. 5) l’odierna appellata aveva già evidenziato che il rilascio del titolo in sanatoria le avrebbe consentito di ottenere la concessione edilizia richiesta al Comune per la ristrutturazione del fabbricato computando nella superficie anche le opere condonate, né dei benefici penali della concessione in sanatoria – non costituisce la prima ragione del rigetto del ricorso, che, invece, è stato fondato dal Giudice di primo grado anzitutto sull’assunto che non può costituire oggetto di un provvedimento di sanatoria un’opera edilizia non più esistente, perché demolita, come poc’anzi si è visto.
L’assunto è corretto, poiché, una volta che il manufatto originario sia stato demolito, può dirsi, ormai, venuta meno l’opera a cui si riferiva la richiesta di sanatoria (C.d.S., sez. IV, 24 dicembre 2008 n. 6550), da cui il principio per il quale l’istanza di condono deve essere esaminata solo qualora alla data di emanazione del provvedimento esista ancora l’immobile che ne è l’oggetto (C.d.S., sez. V, 27 agosto 2014, n. 4386); in altri termini, come correttamente osservato anche nella giurisprudenza di primo grado, l’immobile da condonare deve essere esistente nel momento in cui viene decisa l’istanza di condono e solo successivamente può essere demolito per essere recuperata, in diverso sedime, la volumetria condonata (T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 2 novembre 2015, n. 949; cfr. anche T.A.R. Toscana, Firenze, sez. III, 14 maggio 2014, n. 799; T.A.R. Lazio, Latina, 13 dicembre 2001, n. 1168).
Quanto detto è, per ovvie ragioni, valido anche con riferimento al caso in cui la sanatoria dovrebbe conseguire non per provvedimento espresso, ma per silenzio assenso.
Orbene, l’appellante non ha fornito alcuna dimostrazione del fatto che le opere edilizie non più esistenti all’atto del sopralluogo lo sarebbero state, invece, alla data in cui si sarebbe formato il silenzio assenso.
Non solo, ma l’appellante non ha neppure dimostrato la ricorrenza di tutti gli altri presupposti per la formazione del silenzio assenso.
Per costante indirizzo giurisprudenziale, infatti, per la formazione del silenzio-assenso sull’istanza di condono edilizio è necessario che ricorrano i requisiti sia dell’avvenuto pagamento dell’oblazione dovuta e degli oneri di concessione, sia dell’avvenuto deposito di tutta la documentazione prevista per la sanatoria (C.d.S., sez. IV, 11 ottobre 2017, n. 4703; Id., sez. IV, 26 aprile 2018, n. 2517; Id., Sez. VI, 18 settembre 2018, n. 5455; Id., Sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 897).
Senonché non è stata fornita prova in giudizio della ricorrenza di quei requisiti, e, può aggiungersi, emerge inoltre dalla sentenza di improcedibilità resa sul ricorso r.g.n. 449/99 avverso il silenzio sulla medesima domanda di condono (T.A.R. Bologna, sez. II, 31 maggio 2007, n. 783), come già in quella sede “la difesa del Comune ha evidenziato l’incompletezza della pratica ostativa alla formazione del silenzio-assenso non avendo l’interessato né dato riscontro alla richiesta istruttoria del 25.1.99 né contestato la stessa in sede giudiziaria”.
Tanto basta a confermare la sentenza di reiezione della domanda di annullamento del provvedimento impugnato.
Venendo alla domanda di risarcimento del danno, non esaminata dal T.A.R., alla luce di quanto detto non sussiste l’illiceità del danno lamentato quanto al diniego di condono edilizio, mentre, quanto al ritardo con il quale il Comune avrebbe provveduto alla conclusione del relativo procedimento, la stessa va respinta in difetto di qualsiasi allegazione e prova sulla consistenza del pregiudizio.
Per queste ragioni, in conclusione, l’appello deve essere respinto.
Nulla va disposto per le spese del presente grado di giudizio, in difetto di costituzione dell’amministrazione intimata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Fulvio Rocco – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere, Estensore

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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