Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 10 gennaio 2020, n. 239
La massima estrapolata:
L’art. 18 D.L. 67/97 ricollega il riconoscimento del rimborso delle spese legali al presupposto che il dipendente abbia agito in nome, per conto ed anche nell’interesse dell’Amministrazione; solo in tal caso, infatti, è possibile ravvisare il nesso di immedesimazione organica in ordine ai fatti o agli atti oggetto del giudizio; tale presupposto sussiste solo ove gli atti o i fatti compiuti dall’interessato siano riconducibili, in un rapporto di stretta dipendenza, con l’adempimento dei propri obblighi, ossia con l’esercizio diligente della funzione pubblica; occorrendo, altresì, che sia ravvisabile l’esistenza di un nesso di strumentalità tra il compimento dell’atto o del fatto e l’adempimento del dovere, non potendo il dipendente assolvere ai propri compiti, se non tenendo quella determinata condotta.
Sentenza 10 gennaio 2020, n. 239
Data udienza 28 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 10335 del 2018, proposto dalla signora
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato Ci. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sede di Milano, sezione terza, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la determinazione del Capo di Stato Maggiore del Comando Generale della Guardia di Finanza n. 175284/14 del 19 giugno 2014, con la quale è stato rigettato il ricorso gerarchico avverso il provvedimento di diniego della domanda di rimborso delle spese legali.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze e della Guardia di Finanza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre 2019 il consigliere Nicola D’Angelo e uditi, per l’appellante, l’avvocato Ci. Me. e, per l’Amministrazione appellata, l’avvocato dello Stato Pa. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La signora -OMISSIS-, militare della Guardia di Finanza, veniva denunciata dal proprio
Comandante Provinciale e dal proprio Capo Ufficio per il reato di disobbedienza militare aggravata.
Il processo si concludeva in data 21 febbraio 2013, con il rito abbreviato e con sentenza di assoluzione del Tribunale militare di Verona, ex art. 530, comma 1, c.p.p., per insussistenza dei fatti.
1.1. In data 12 novembre 2013 la signora -OMISSIS- ha quindi presentato all’Amministrazione di appartenenza domanda di rimborso delle spese legali sostenute per la propria difesa nell’ambito del suddetto procedimento penale, ai sensi dell’art. 18 del D.L. n. 67 del 1997, come convertito con modificazioni nella legge n. 135 del 1997.
1.2. L’Amministrazione ha comunicato all’interessata il preavviso di diniego dell’istanza inerente il procedimento penale della Procura militare di Verona, rilevando, quale motivo ostativo, la mancata riferibilità della condotta al perseguimento delle finalità istituzionali dell’Ente di appartenenza.
Con successivo provvedimento l’istanza di rimborso è stata rigettata.
1.3. Avverso il provvedimento di diniego l’interessata ha quindi proposto ricorso gerarchico, respinto con determinazione del Capo di Stato Maggiore del Comando Generale della Guardia di Finanza n. 175284 del 19 giugno 2014.
1.4. La signora -OMISSIS- ha dapprima proposto istanza di riesame in autotutela in relazione al provvedimento di diniego e successivamente lo ha impugnato dinanzi al Tar per la Lombardia, sede di Milano, sostenendo la spettanza del rimborso delle spese legali affrontate per la propria difesa in giudizio, sul presupposto dell’assenza di ogni profilo di responsabilità penale in ordine ai fatti contestati.
2. Il Tar di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, ha concluso per la reiezione del ricorso, ritenendo decisiva la circostanza che l’imputazione non riguardasse lo svolgimento di un’attività direttamente connessa con i fini istituzionali dell’Ente.
3. Contro la predetta pronuncia la signora -OMISSIS- ha interposto appello, con contestuale istanza cautelare, affidato ad un unico ed articolato motivo di censura.
3.1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 1, del D.L. n. 67/1997, convertito nella legge n. 135/1997 e degli artt. 11 e 12 del D.P.R. n. 461/2001.
3.1.1. La ricorrente contesta l’applicazione che della predetta disciplina avrebbe operato il Tar. In particolare, il giudice di prime cure non avrebbe considerato le insindacabili valutazioni, già compiute dal Comitato di Valutazione delle Cause di Servizio nel riconoscere la sussistenza del nesso di causalità tra la sua successiva patologia ansiosa depressiva e i suddetti avvenimenti penali.
3.1.2. Negando il diritto ad ottenere il rimborso delle spese legali sostenute, il Tar avrebbe operato una riedizione illegittima del riconoscimento del nesso causale effettuato dall’organo tecnico preposto, stravolgendone il risultato e senza che fosse resa un’idonea motivazione a supporto di tale conclusione.
4. Il 26 gennaio 2019 il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Guardia di finanza si sono costituiti in giudizio per resistere all’appello.
5. Alla camera di consiglio del 31 gennaio 2019 l’esame dell’istanza cautelare è stato rinviato al merito.
6. Le parti hanno prodotto ulteriori scritti difensivi.
7. All’udienza pubblica del 28 novembre 2019 la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione.
8. Ritiene il Collegio che l’appello sia infondato e vada, pertanto, respinto.
9. Nell’odierno giudizio viene in questione la spettanza del rimborso delle spese legali sostenute dal pubblico dipendente, ai sensi dell’art. 18 co. 1 del D.L. n. 67 del 1997, come convertito nella legge n. 135 del 1997, che testualmente dispone: “Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Le Amministrazioni interessate, sentita l’Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità “.
9.1. Sui presupposti che indefettibilmente devono essere presenti affinché il pubblico dipendente possa invocare l’applicazione del citato art. 18 è attualmente ravvisabile una convergenza di posizioni nella giurisprudenza amministrativa.
9.2. Come recentemente chiarito anche dalla sentenza n. 8137/2019 di questa Sezione, la norma subordina la spettanza del beneficio ad una duplice circostanza:
a) l’esistenza di un giudizio, promosso nei confronti del (e non anche dal) dipendente, conclusosi con un provvedimento che abbia definitivamente escluso la sua responsabilità ;
b) la sussistenza di un nesso tra gli atti e i fatti ascritti al dipendente e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali.
9.3. In ordine alla prima circostanza, è necessario che la pronuncia giurisdizionale abbia accertato l’assenza di responsabilità ed un tale presupposto può ritenersi sussistente anche laddove sia stato applicato l’art. 530 comma 2 del c.p.p. (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28 novembre 2019, n. 8137; Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176; Ad. Gen., 29 novembre 2012, n. 20/13; Sez. IV, 21 gennaio 2011, n. 1713); dovendosi invece negare l’applicazione dell’art. 18 quando il proscioglimento sia conseguenza di cause diverse, quali l’estinzione del reato, l’intervenuta prescrizione, oppure quando sia stato disposto per ragioni processuali, quali la mancanza delle condizioni di promovibilità o di procedibilità dell’azione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28 novembre 2019, n. 8137; Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176; Sez. VI, 2005, n. 2041).
9.4. Ulteriore presupposto cui l’art. 18 ricollega il riconoscimento del rimborso delle spese legali è che il dipendente abbia agito in nome, per conto ed anche nell’interesse dell’Amministrazione; solo in tal caso, infatti, è possibile ravvisare il nesso di immedesimazione organica in ordine ai fatti o agli atti oggetto del giudizio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28 novembre 2019, n. 8137).
9.5. Al riguardo è stato ulteriormente precisato che tale presupposto sussiste solo ove gli atti o i fatti compiuti dall’interessato siano riconducibili, in un rapporto di stretta dipendenza, con l’adempimento dei propri obblighi, ossia con l’esercizio diligente della funzione pubblica; occorrendo, altresì, che sia ravvisabile l’esistenza di un nesso di strumentalità tra il compimento dell’atto o del fatto e l’adempimento del dovere, non potendo il dipendente assolvere ai propri compiti, se non tenendo quella determinata condotta (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190).
9.6. Peraltro, occorre porre in rilievo come la ricostruzione dell’esatta portata dei requisiti indefettibili, ai quali l’art. 18 subordina il rimborso delle spese legali, sia condivisa dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, in ordine ai rapporti di impiego pubblico contrattualizzato.
9.7. La Cassazione, dando vita ad un orientamento ermeneutico consolidato, ha affermato l’esigenza che il giudizio, cui la richiesta di rimborso inerisce, riguardi procedimenti giudiziari strettamente connessi all’adempimento dei compiti istituzionali. Ed infatti, lo specifico interesse che deve necessariamente sussistere affinché l’Amministrazione possa essere chiamata a tenere indenne dalle spese legali il proprio dipendente, imputato in un procedimento penale, consiste nella circostanza che l’attività sia riferibile all’Ente di appartenenza, ponendosi in un rapporto di stretta connessione con il fine pubblico (cfr. Cass., 29 gennaio 2019, n. 2475; Cass., 6 agosto 2018, n. 20561; Cass. Lav., 6 luglio 2018 n. 17874; Cass., 5 febbraio 2016 n. 2366; Cass. Lav, 3 febbraio 2014, n. 2297)
9.8. Risulta pertanto evidente come il rimborso delle spese legali rappresenti un meccanismo volto ad imputare al titolare dell’interesse sostanziale le conseguenze dell’operato di chi abbia agito per suo conto; ne deriva che un siffatto meccanismo di imputazione può operare solo in quanto siano ravvisabili quel rapporto di stretta dipendenza, nonché quel nesso di strumentalità tra l’adempimento del doveri istituzionali e il compimento dell’atto, di cui si è detto in precedenza.
Una diversa conclusione condurrebbe a riconoscere la spettanza del beneficio in ogni ipotesi di reato proprio, anche laddove il fatto addebitato esuli dai doveri istituzionali, senza che possa ravvisarsi un collegamento, diretto e di tipo oggettivo, con l’interesse dell’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5 aprile 2017, n. 1568).
9.9. Alla luce delle accennate coordinate ermeneutiche consegue ulteriormente che la condotta del dipendente, consistente in atti o in comportamenti, deve essere espressione della volontà dell’Amministrazione di appartenenza e a questa riferibile, in quanto finalizzata al corretto adempimento dei suoi fini istituzionali (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28 novembre 2019, n. 8137). Sussistendo tali condizioni, il principio di immedesimazione organica consente, mediante la creazione del rapporto d’ufficio, l’imputazione in capo all’Amministrazione dell’intera attività, quindi anche degli effetti, scaturenti dai comportamenti posti in essere dal titolare dell’organo.
9.10. La giurisprudenza ha infine chiarito come la natura eccezionale della disposizione in esame ne imponga una stretta interpretazione, dovendo concludersi per la non spettanza del beneficio nel caso in cui l’atto o il comportamento:
a) non abbiano trovato origine nell’esecuzione dei compiti istituzionali, ma abbiano avuto luogo ‘in occasionè dello svolgimento della pubblica funzione, senza che possa ravvisarsi la necessaria riferibilità all’Amministrazione di appartenenza (cfr. Cass. civ., Sez. I, 31 gennaio 2019, n. 3026; Sez. lav., 6 luglio 2018, n. 17874; Sez. lav., 3 febbraio 2014, n. 2297; Sez. lav., 30 novembre 2011, n. 25379; Sez. lav., 10 marzo 2011, n. 5718; Cons. Stato, Sez. V, 5 maggio 2016, n. 1816; Sez. III, 2013, n. 4849; Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190);
b) costituiscano violazione dei doveri d’ufficio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2018, n. 3427);
c) possano condurre ad un conflitto con gli interessi dell’Amministrazione di appartenenza, cioè quando, pur in assenza di responsabilità penale, sussistano i presupposti per la configurazione di un illecito disciplinare e l’attivazione del relativo procedimento (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 27 agosto 2018, n. 2055; Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176; Sez. IV, 2013, n. 1190; Sez. IV, 2012, n. 423).
9.11. La necessità che la disposizione sia oggetto di stretta interpretazione è del resto ricavabile dalla ratio che il legislatore ha inteso imprimere all’istituto del rimborso delle spese legali.
Lo scopo della norma è quello di sollevare i funzionari pubblici dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse all’espletamento del servizio, nell’intento di impedire ‘che il dipendente statale tema di fare il proprio doverè (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28 novembre 2019, n. 8137). Il fine avuto di mira dal normatore consiste quindi nel tenere indenni i soggetti che abbiano agito in nome, per conto e nell’interesse dell’Amministrazione dalle spese legali sostenute per difendersi dalle accuse di responsabilità, poi rivelatesi infondate.
9.12. Al conseguimento di un siffatto scopo non basta una connessione con il fatto di reato, di tipo soggettivo ed indiretto, come accadrebbe se lo svolgimento dell’attività costituisse una mera occasione per il compimento dell’atto o del comportamento; è necessario, invece, che sussista uno specifico nesso causale che consenta di affermare la stretta riconducibilità del fatto contestato all’espletamento del dovere d’ufficio, pena la dilatazione del perimetro applicativo della norma oltre i confini delineati dal legislatore.
10. Ricostruita la ragione ispiratrice della predetta disciplina, ne consegue come del tutto inconferente si riveli il richiamo, operato nell’atto di appello, agli artt. 11 e 12 del D.P.R. n. 461/2001 sulla riconducibilità a cause di servizio di lesioni, infermità o aggravamenti di lesioni o infermità preesistenti, riscontrate in capo al dipendente appartenente ad amministrazioni pubbliche.
10.1. La ricorrente ha infatti esposto di aver ottenuto con determinazione dirigenziale n. 1489/D del 27 ottobre 2014 il riconoscimento della dipendenza da fatti di servizio della patologia riscontrata, nella specie reazione ansioso depressiva. Ha quindi lamentato la circostanza secondo cui l’Amministrazione avrebbe aderito al parere espresso dal Comitato di Verifica sulle Cause di Servizio in ordine al riconoscimento della valenza patogenetica del servizio prestato, salvo discostarsene successivamente e senza che venisse resa un’adeguata motivazione nell’ambito del procedimento sull’istanza di rimborso delle spese legali.
10.2. A giudizio dell’appellante sia l’Amministrazione di appartenenza, che il Tar avrebbero operato una riedizione illegittima del riconoscimento del nesso causale effettuato dall’organo tecnico preposto, stravolgendolo implicitamente.
10.3. Siffatta ricostruzione non coglie nel segno. E’ infatti da respingere la tesi, da ultimo ribadita nella memoria di replica prodotta dall’appellante, secondo cui il parere del Comitato di Verifica sulle Cause di Servizio, seppur relativo ad un diverso procedimento, dovrebbe essere assunto quale indice rivelatore della presenza del nesso causale anche in altri giudizi, in ragione della natura vincolata ed insindacabile della valutazione compiuta dal Comitato, siccome connotata da certezza o da alto grado di credibilità logica e razionale.
10.4. A tale tesi non è possibile accedere proprio alla luce della ratio ispiratrice dell’istituto del rimborso delle spese legali. Eterogenei, infatti, sono i criteri che informano le relative discipline e differenti devono essere i principi che presiedono alle rispettive valutazioni.
10.5. Dal riconoscimento degli eventi di servizio prestato, quali fattori concausali efficienti sull’insorgenza o l’aggravamento dell’affezione, non può automaticamente e meccanicamente desumersi un accertamento, differente per natura e per oggetto, circa la stretta riconducibilità dell’atto o del fatto ai doveri istituzionali dell’Ente di appartenenza. Ed invero, i fatti addebitati al dipendente potrebbero, come nel caso di specie, esulare dall’esercizio della funzione, per rinvenire nell’attività lavorativa solo l’occasione del loro verificarsi.
10.6. Nel caso all’esame del Collegio, infatti, le condotte che hanno portato alla contestazione del reato di disobbedienza aggravata, seppur riconosciute come non rilevanti penalmente, non sono in ogni caso riconducibili ad esigenze di servizio, perché non trovano immediata e diretta riferibilità nella volontà dell’Ente di appartenenza, risultando anzi frutto di iniziative autonome, contrarie ai doveri funzionali. D’altro canto lo stesso GUP del Tribunale Militare, pur assolvendo l’interessata, ha ritenuto “grave… il fatto che un militare appartenente alla G.d.F. munito di patente militare non abbia la capacità di condurre un mezzo militare”. 10.7. Ne deriva l’impossibilità di ravvisare un nesso tra l’agire del militare e la volontà dell’Amministrazione, in ragione del dissolvimento del rapporto di immedesimazione organica.
10.8. Né ha pregio l’eccezione sollevata dall’appellante in ordine al riconoscimento di un conflitto di interesse tra Amministrazione e dipendente. Si legge nell’atto di appello che il predetto conflitto potrebbe ritenersi sussistente solo ove l’Amministrazione avviasse un procedimento disciplinare nei confronti del proprio dipendente e procedesse all’irrogazione di una sanzione, nonostante l’intervenuta assoluzione in sede penale. Orbene, la circostanza dell’assoluzione, così come la mancata instaurazione di un procedimento disciplinare non ha alcuna rilevanza. Il conflitto d’interesse può infatti rilevare ex se, indipendentemente dall’esito del giudizio penale (cfr. Cass. Lav., 3 febbraio 2014, n. 2297). E l’assoluzione, giova ulteriormente precisare, non ha alcuna incidenza in ordine al giudizio sulla non riconducibilità all’Amministrazione del fatto addebitato (cfr. Cass. 5 febbraio 2016, n. 2366). Ne consegue che per ravvisare un conflitto con gli interessi dell’Amministrazione ed escludere la spettanza del beneficio è sufficiente che sussistano i presupposti per la configurazione dell’illecito disciplinare e per l’attivazione del relativo procedimento (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 27 agosto 2018, n. 2055; Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176; Sez. IV, 2013, n. 1190; Sez. IV, 2012, n. 423).
11. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.
12. In ragione della particolarità della controversia, le spese della presente fase di giudizio possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere, Estensore
Silvia Martino – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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