Il termine per impugnare un titolo edilizio

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 10 gennaio 2020, n. 242

La massima estrapolata:

Il termine per impugnare un titolo edilizio in sanatoria non può all’evidenza esser fatto decorrere dall’inizio dei lavori, che per definizione sono stati già completati, proprio perché di abuso si tratta; decorre invece dall’effettiva conoscenza del rilascio del titolo, conoscenza che deve essere provata con rigore da chi intenda dimostrare che il ricorso è stato proposto fuori termine.

Sentenza 10 gennaio 2020, n. 242

Data udienza 26 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 331 del 2014, proposto dal signor Ma. Ce., rappresentato e difeso dagli avvocati Va. Pa. e Ri. Ta., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gi. Pe. in Roma, corso (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Tu., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Pa. Pa. in Roma, via (…);
nei confronti
della Ho. La Ve. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Mo., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Fr. Pa. in Roma, via (…);
per l’annullamento ovvero la riforma
della sentenza del TAR Toscana, sezione III, 18 ottobre 2013 n. 1402, che ha pronunciato sul ricorso n. 1051/2008 R.G. integrato da motivi aggiunti, proposto per l’annullamento dei seguenti atti del Comune di (omissis):
(ricorso principale)
a) del permesso di costruire 11 maggio 2007 n. 172, conosciuto in data imprecisata, rilasciato dal Dirigente del Settore urbanistica a Em. Ia. per lavori di ristrutturazione edilizia e adeguamento funzionale e sopraelevazione di un fabbricato per civile abitazione monofamiliare da eseguire a (omissis), via (omissis) sull’immobile distinto in catasto al foglio (omissis) mappale (omissis) subalterno (omissis);
di tutti gli atti presupposti, prodromici e consequenziali, comunque collegati e connessi, e in particolare:
b) della concessione edilizia in sanatoria 30 agosto 2006 n. 380, conosciuta in data imprecisata, rilasciata dallo stesso Dirigente a Em. Ia. per il cambio di destinazione d’uso da ripostiglio a civile abitazione dell’immobile predetto;
c) del Regolamento edilizio comunale, quanto agli articoli 6 comma 2 lettera a) secondo alinea e 7 comma 2 lettera a) sesto alinea;
(motivi aggiunti)
d) del permesso di costruire 14 novembre 2008 n. 309, conosciuto in data imprecisata, rilasciato dal Dirigente del Settore urbanistica a Em. Ia. per lavori in variante al permesso di costruire 172/2007;
e di ogni altro atto connesso, presupposto e successivo;
nonché in ogni caso per la condanna
dell’amministrazione intimata al risarcimento del danno.
In particolare, la sentenza ha accolto la domanda di annullamento ed annullato gli atti impugnati, respinto la domanda di risarcimento del danno;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della Ho. La Ve. S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 26 novembre 2019 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti gli avvocati Va. Pa., Gi. Tu. e Gi. Mo.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Si controverte di una serie di opere abusive che la controinteressata in I grado- alla quale in corso di processo è succeduto l’erede, attuale appellante- avrebbe realizzato a (omissis), via (omissis) sull’immobile distinto in catasto al foglio (omissis) mappale (omissis) subalterno (omissis), opere che, in buona sostanza, avrebbero portato a trasformare in una piccola abitazione il preesistente ripostiglio (doc. ti da 5 a 8 in I grado ricorrente appellante, titoli edilizi impugnati);
In particolare, la società ricorrente appellata, proprietaria di un albergo al confine con il terreno di cui sopra, ha impugnato i titoli edilizi con i quali la progressiva trasformazione dell’originario immobile è stata assentita, sostenendo in sintesi estrema che essi non si sarebbero potuti rilasciare, perché contrari alla normativa edilizia vigente, e proponendo anche domanda di risarcimento danni.
La sentenza di I grado ha condiviso tale tesi e, come da dispositivo, ha annullato i titoli stessi, precisamente: la concessione edilizia in sanatoria 30 agosto 2006 n. 380, con la quale era stato assentito il cambio di destinazione d’uso dell’immobile, da ripostiglio ad abitazione; il permesso di costruire 11 maggio 2007 n. 172 e la variante in corso d’opera 14 novembre 2008 n. 309; ha poi respinto la domanda di risarcimento del danno.
In motivazione, il TAR ha anzitutto sinteticamente respinto le eccezioni preliminari di irricevibilità ovvero inammissibilità proposte dalla controinteressata, osservando che le norme tecniche di attuazione non impugnate non avrebbero in astratto precluso il rilascio dei titolo impugnati, e quindi che non c’era onere di impugnarle; che le norme edilizie di piano relative alla zona interessata sarebbero state correttamente impugnate contestualmente al permesso di costruire 11 maggio 2007, perché prima non avrebbero avuto alcun carattere lesivo e che la ricorrente appellata avrebbe tempestivamente proposto il ricorso, notificato il 29 maggio 2008, perché avrebbe conosciuto non prima del 1 aprile 2008 -data di inizio dei lavori relativi al permesso di costruire 11 maggio 2007- l’esistenza del permesso di costruire in sanatoria 30 agosto 2006.
Nel merito, il TAR ha ritenuto poi che il permesso di costruire in sanatoria 30 agosto 2006 non si sarebbe potuto rilasciare, perché il cambio di destinazione d’uso da magazzino ad abitativo non sarebbe stato ammissibile in base alle norme urbanistiche di zona; di conseguenza, ha ritenuto non condonabile l’intervento oggetto di tale permesso, e non assentibile l’intervento di cui al permesso di costruire 11 maggio 2007, relativo ad una modifica successiva dello stesso immobile.
Ciò posto, ha dichiarato assorbite per difetto di rilevanza le ulteriori censure proposte contro i predetti titoli.
Di seguito, ha accolto i motivi aggiunti proposti come censura di vizi di illegittimità derivata contro la variante in corso d’opera 14 novembre 2008 ed ha dato atto che dall’annullamento dei tre titoli edilizi di cui si è detto conseguiva la caducazione per invalidità derivata della sanatoria edilizia 19 agosto 2009, rilasciata per lievi difformità rispetto a quanto assentito con la variante predetta.
L’erede della controinteressata proprietaria dell’immobile ha proposto impugnazione contro questa sentenza, con appello che contiene i seguenti quattro motivi:
– con il primo di essi, deduce difetto di motivazione e violazione degli artt. 29, 35 e 41 c.p.a. e quindi critica la sentenza impugnata per avere respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso da lui proposta per mancata tempestiva impugnazione del regolamento urbanistico e degli strumenti pianificatori del Comune, nella parte in cui disciplinano l’area interessata;
– con il secondo motivo, deduce ancora difetto di motivazione e violazione degli articoli suindicati del c.p.a. sostenendo che il TAR avrebbe errato nel non ritenere il ricorso principale irricevibile perché tardivamente proposto. L’appellante osserva in proposito che sia la concessione in sanatoria 30 agosto 2006 sia il permesso di costruire 11 maggio 2007 sarebbero stati pubblicati all’albo pretorio, e che il termine per impugnarli sarebbe decorso, a suo dire, già da quel momento; pertanto ritiene tardivo il ricorso di I grado, notificato come si è detto solo il giorno 28 maggio 2008. Sostiene comunque che la ricorrente appellata, in quanto proprietaria confinante, avrebbe ben potuto rendersi conto dei lavori in corso e quindi dell’esistenza dei relativi titoli;
– con il terzo motivo, deduce nuovamente difetto di motivazione e violazione degli articoli suindicati del c.p.a. e sostiene che il TAR avrebbe dovuto dichiarare irricevibile perché tardivo il ricorso per motivi aggiunti proposto contro la sanatoria edilizia 19 agosto 2009, depositata in giudizio il giorno 27 gennaio 2011, ma impugnata con motivi aggiunti solo il successivo giorno 27 giugno 2013;
– con il quarto motivo, deduce infine violazione ovvero falsa applicazione della l.r. Toscana 20 ottobre 2004 n. 53, la quale com’è noto contiene norme in materia di sanatoria edilizia straordinaria in conformità ai principi del condono edilizio nazionale, ovvero dell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003 n. 269. Sostiene infatti che a norma della legge indicata, il cambio di destinazione d’uso si sarebbe dovuto ritenere possibile.
La ricorrente appellata si è difesa con atto 21 gennaio e memoria 21 febbraio 2014, ed ha chiesto che l’appello sia respinto; il Comune, con atto 24 febbraio 2014, ne ha invece chiesto l’accoglimento.
In particolare, con la memoria 21 febbraio 2014, la ricorrente ha riproposto i motivi dichiarati assorbiti in I grado, così come segue:
– con il primo motivo riproposto, corrispondente alla prima censura a p.4 dell’atto, deduce violazione degli artt. 2, 3, 7 ed 8 del D.M. 5 luglio 1975 n. 399, del d.lgs. 19 agosto 2005 nonché dell’art. 17 della l. 2 febbraio 1974 n. 64. In proposito, sostiene che i titoli edilizi impugnati conterrebbero una serie di violazioni della normativa edilizia, ovvero: a) le camere da letto non rispetterebbero la metratura minima inderogabile; b) la costruzione, in zona sismica, non sarebbe accompagnata dalla certificazione di cui alla l. 64/1974; c) i muri perimetrali non rispetterebbero gli standard di contenimento energetico; d) i materiali non sarebbero idonei a garantire la protezione acustica degli ambienti; e) l’ampliamento sul lato monti andrebbe a coprire la visuale di una finestra del fabbricato della stessa proprietà in via (omissis), con pretesa violazione delle distanze tra fronti finestrati e dei requisiti aeroilluminanti;
– con il secondo motivo riproposto, corrispondente alle residue due censure alle pp. 4 e 5 dell’atto deduce violazione ovvero falsa applicazione degli artt. 6 comma 2 lettera a) e 7 comma 2 lettera a) del regolamento urbanistico comunale e degli artt. 7, 8 e 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, e sostiene che la sopraelevazione realizzata violerebbe le norme sulle distanze, dato che è stata realizzata al confine, mentre sarebbe dovuta essere arretrata di almeno 1.50 metri e comunque avrebbe dovuto rispettare la distanza di 10 metri fra pareti finestrate.
Con memorie 21 giugno e repliche 2 luglio 2019, l’appellante e la ricorrente appellata hanno ribadito le reciproche difese.
All’esito dell’udienza pubblica del giorno 23 luglio 2019, il Collegio ha emesso l’ordinanza 31 luglio 2019 n. 5410, con la quale ha richiesto al Comune una relazione istruttoria, depositata il giorno 9 settembre 2019 dopo che il Collegio stesso, all’esito dell’udienza di rinvio del giorno 26 settembre 2019, con ordinanza 30 settembre 2019 n. 6518, ha accolto ora per allora la richiesta di proroga del termine di deposito presentata il giorno 30 agosto 2019.
Con memoria 24 ottobre 2019 per l’appellante, memoria 25 ottobre e replica 5 novembre 2019 per la ricorrente appellata nonché memoria 26 ottobre 2019 per il Comune, le parti hanno ancora insistito sulle reciproche loro posizioni.
All’udienza del 26 novembre 2019, la Sezione ha infine trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è parzialmente fondato, nei termini di cui appresso.
2. E’ infondato il primo motivo, secondo il quale la ricorrente appellata avrebbe dovuto previamente impugnare le previsioni di piano ovvero di regolamento urbanistico relative all’area, e non avendolo fatto avrebbe proposto un ricorso di I grado inammissibile. Le previsioni citate, per comune esperienza, hanno carattere generale ed astratto, e non consta nel caso di specie un contenuto diverso, di carattere puntuale; quindi, per costante giurisprudenza che come tale non richiede puntuali citazioni, sono previsioni non sono immediatamente lesive. L’onere di impugnarle sorge allora soltanto in presenza di un provvedimento puntuale che si ritenga illegittimo perché fa applicazione di regole a sua volta illegittime contenute nel provvedimento generale. Ciò in questo caso si è verificato per il regolamento urbanistico, impugnato in modo proceduralmente corretto assieme ai titoli edilizi come in epigrafe, nei termini di cui si dirà, Non si è invece verificato, lo si dice per completezza, per gli atti di pianificazione, dei quali non è stata dedotta alcuna illegittimità . L’asserita inammissibilità del ricorso in ogni caso non sussiste.
3. E’ infondato anche il secondo motivo, che sostiene l’irricevibilità del ricorso principale in quanto tardivo. Per costante giurisprudenza di questo Giudice – per tutte sez. VI 10 settembre 2018 n. 5307 e sez. IV 11 novembre 2010 n. 8017- il termine per impugnare un titolo edilizio in sanatoria non può all’evidenza esser fatto decorrere dall’inizio dei lavori, che per definizione sono stati già completati, proprio perché di abuso si tratta; decorre invece dall’effettiva conoscenza del rilascio del titolo, conoscenza che deve essere provata con rigore da chi intenda dimostrare che il ricorso è stato proposto fuori termine. Ciò posto, in mancanza di specifiche contestazioni sul punto, non si può che ripetere quanto affermato dal Giudice di I grado, ovvero che il titolo in sanatoria 30 agosto 2006 è stato conosciuto non prima della data di inizio dei lavori relativi al permesso di costruire 11 maggio 2007, e quindi rispetto a tale data un ricorso notificato il 29 maggio 2008 è tempestivo.
4. Il terzo motivo di appello, richiede una precisazione in fatto. Che contro la sanatoria 19 agosto 2009, provvedimento prodotto in causa il giorno 27 gennaio 2011 come sostiene la parte appellante, sia stato proposto un ulteriore ricorso per motivi aggiunti risulta dagli atti del processo, ad esempio dal § 2.3 a p. 5 dell’atto di appello, che lo dà come notificato il giorno 27 gennaio 2013. La sentenza di I grado però non lo cita, né nell’intestazione né altrove, e come si è detto si limita a dare atto dell’immediata efficacia caducante sul titolo in sanatoria di cui si tratta dell’annullamento dei titoli precedentemente rilasciati. Tale ricorso per motivi aggiunti inoltre non risulta registrato nella corrispondente pagina del registro elettronico. Ciò detto per completezza di esposizione, va però detto che la questione del carattere tardivo o no dei motivi aggiunti in questione è irrilevante. Per costante giurisprudenza, che anche qui non richiede come tale particolari citazioni, un titolo edilizio come quello di cui si tratta, rilasciato per legittimare una variante non sostanziale, sta e cade con il titolo cui accede, sì che l’annullamento del titolo principale ha efficacia automaticamente caducante sul titolo che autorizza la variante, come del resto affermato anche dal Giudice di I grado. Il motivo in esame, secondo il quale esso sarebbe stato impugnato con motivi aggiunti tardivi, è quindi inammissibile perché privo di rilevanza: anche se tale impugnazione fosse mancata del tutto, il titolo sarebbe stato comunque caducato in conseguenza della caducazione del titolo principale, ovvero del permesso di costruire 11 maggio 2007, e sul punto si rinvia a quanto segue.
5. Il quarto motivo di appello è invece fondato per quanto riguarda la concessione in sanatoria 30 agosto 2006.
5.1 Come risulta dalla relazione del Comune 9 settembre 2019, il titolo in sanatoria è stato rilasciato in applicazione della legge nazionale, art. 32 del d.l. 269/2003, e per quanto qui più interessa della legge regionale attuativa, l.r. Toscana 54/2003. Le criticità da considerare, sempre secondo la relazione del Comune, non contestata quanto ai fatti storici, erano due: la circostanza per cui l’immobile si trova in zona vincolata ai sensi del D.M. Istruzione 21 agosto 1952 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 1 settembre 1952 n. 211, e la possibilità di sanare il cambio di destinazione d’uso in base alle norme urbanistiche vigenti.
5.2 Sul primo punto, il Comune, sempre secondo la relazione citata, ha correttamente escluso la necessità di tener conto dell’art. 2 comma 5 lettera a) della l.r. 53/2004, per cui non era ammessa la sanatoria degli abusi in zone vincolate che fossero in contrasto con i vincoli e non fossero conformi agli strumenti urbanistici. Le opere oggetto della sanatoria per cui è causa, infatti, consistono soltanto in opere interne, non rilevanti sotto il profilo in esame, che in effetti nemmeno è oggetto di ricorso.
5.3 Sul secondo punto, il Comune ha dato atto del disposto dell’art. 2 comma 5 lettera c) della l.r. 53/2004, per cui non sono ammesse a sanatoria “le opere e gli interventi in contrasto con le destinazioni d’uso ammesse, nella zona interessata, dagli strumenti urbanistici vigenti al momento dell’entrata in vigore della presente legge” ed ha interpretato il requisito come riferito alla zona complessiva in cui l’immobile si trova, in conformità alla circolare applicativa regionale approvata con delibera della Giunta 11 maggio 2004 n. 1158 (cfr. all. 9 alla relazione citata). Di conseguenza, ha ritenuto di rilasciare il condono, tenuto conto che l’immobile ricade nella zona del centro di antica formazione, in cui la destinazione abitativa è pacificamente ammessa (cfr. sempre la relazione comunale).
5.4 Sul punto specifico la difesa della ricorrente appellata, in conformità a quanto ritenuto dalla sentenza di I grado, ha invece sostenuto che il condono non si sarebbe dovuto rilasciare, in quanto il requisito del non contrasto con gli strumenti urbanistici andrebbe inteso in modo diverso e più restrittivo, ovvero con riguardo alle “puntuali prescrizioni” di zona (in particolare, memoria ricorrente appellata 5 novembre 2019 p. 2 diciassettesimo rigo).
5.5 Il Collegio non condivide tale interpretazione, e concorda con quella proposta dal Comune, conforme del resto alla circolare regionale, e sostenuta dalla parte appellante. Si deve infatti osservare che si verte in materia di sanatoria edilizia straordinaria, per sua natura soggetta a requisiti meno restrittivi rispetto all’ordinario istituto dell’accertamento di conformità di cui all’art. 36 del T.U. 6 giugno 2001 n. 380. Pretendere per il rilascio del condono la conformità alle puntuali prescrizioni di zona significherebbe in sostanza richiedere che per il singolo edificio di cui si discute il cambio di destinazione d’uso fosse ammesso, e quindi significherebbe richiedere di fatto gli stessi requisiti prescritti per un accertamento di conformità, vanificando la distinzione fra i due istituti.
6. Quanto sopra esposto elimina il vizio corrispondente ravvisato dalla sentenza di I grado nella concessione in sanatoria 30 agosto 2006 come vizio proprio e nel permesso di costruire 11 maggio 2007 come vizio di illegittimità derivata; rispetto a tali atti vanno però esaminati i vizi ulteriori dedotti nei motivi dichiarati assorbiti in I grado e riproposti dalla parte ricorrente appellata nella memoria 21 febbraio 2014, così come sopra.
7. Il Collegio ritiene infatti di respingere l’eccezione della parte appellante (v. da ultimo replica 24 ottobre 2019 p. 6 prime righe), secondo la quale tali motivi si dovrebbero invece considerare non riproposti, dato che a semplice lettura della memoria 21 febbraio 2014 citata la volontà di riproporli è chiara se pure nella forma sintetica ivi adottata.
8. Ciò premesso, il primo dei motivi aggiunti riproposto, relativo a presunte difformità dell’immobile rispetto alle norme di progettazione ovvero edilizie di dettaglio di cui si è detto, è in primo luogo inammissibile perché generico: le difformità in parola sono elencate in forma assertiva, senza la necessaria dimostrazione del loro specifico atteggiarsi e degli atti della pratica da cui esse risulterebbero. Si può solo aggiungere, salvo quanto appunto si dirà per il rispetto della disciplina sulle distanze, che il vicinante il quale impugna un titolo edilizio ha interesse a che si accerti se l’immobile nella sua interezza poteva sorgere in quella data collocazione; non ha invece in generale interesse – a meno di situazioni particolari che qui non constano- a far valere eventuali violazioni commesse nel progettarlo, relative come si è detto alla metratura delle stanze, alle certificazioni sismiche, acustiche ed energetiche ovvero ai requisiti aeroilluminanti.
9. Il secondo motivo assorbito riproposto, relativo all’evidenza al permesso di costruire 11 maggio 2007 che ha assentito la sopraelevazione, è invece fondato.
9.1 In linea di fatto, non è controverso che la sopraelevazione in esame sia stata realizzata a distanza non rispettosa del D.M. 1444/1968, anche se la relazione del Comune non contiene un rilievo planimetrico preciso sul punto. La relazione stessa infatti fa riferimento agli articoli 6 e 7 del regolamento urbanistico, i quali prevedono una possibilità di deroga alle norme sulle distanze di cui al D.M. 1444/1968 per le costruzioni, come la presente, che si trovano nel centro di antica formazione. D’altro canto, la parte appellante dà per scontato che la deroga vi sia stata (da ultimo, replica 24 ottobre 2019 ultime righe) e la ricorrente appellata si è preoccupata nel ricorso introduttivo di I grado (pp. 2 e 13 e ss.) di impugnare il regolamento proprio per contrasto con le norme suddette.
9.2 Ciò posto, la deroga operata dal Comune al regime delle distanze con il rilascio del permesso 11 maggio 2007 va ritenuta illegittima. In primo luogo, non è controverso che il regime delle distanze valido per le nuove costruzioni debba essere rispettato per le sopraelevazioni: sul punto, per tutte C.d.S. sez. VI 13 dicembre 2017 n. 5863. D’altro canto, le norme dei regolamenti comunali le quali, come nel caso di specie, stabiliscano una deroga alle distanze minime previste dal D.M. 1444/1968 per costante giurisprudenza sono illegittime, e vanno disapplicate anche se non specificamente impugnate: per tutte, C.d.S. sez. VI 2 ottobre 2018 n. 5656 e sez. IV 27 ottobre 2011 n. 5759. Nel caso di specie, lo si ricorda per completezza, la disposizione di regolamento illegittima, ovvero l’art. 7, va propriamente disapplicata, perché la specifica impugnazione dell’atto, come si è detto proposta in I grado, non è stata riproposta nel grado presente.
9.3 In proposito, la parte appellante ha sostenuto, anche se in termini non chiarissimi (in particolare alle pp. 23 e ss. dell’atto di appello, ove ha creduto di anticipare le proprie difese rispetto ai motivi assorbiti), che la propria sopraelevazione sarebbe invece legittimata dal principio della prevenzione, perché sarebbe stata la parte ricorrente appellata a creare una “nuova entità edilizia” (in particolare, appello, p. 26 quinto rigo) a distanza inferiore a quella regolamentare. Sennonché, a lettura dell’atto di appello citato nella parte rilevante (p. 29 dal quattordicesimo rigo), l’appellante ammette che i lavori in questione sono del 2006, ovvero secondo logica anteriori alla sopraelevazione di cui si tratta, che come si è detto più volte è stata assentita nel 2007, con lavori incominciati l’anno successivo.
10. In conclusione, la sentenza di I grado va riformata per quanto riguarda il capo relativo all’annullamento della concessione in sanatoria 30 agosto 2006, che come si è visto resiste alle censure di illegittimità che le sono state mosse; va invece mantenuta ferma, con le diverse motivazioni di cui sopra, per quanto riguarda l’annullamento del permesso di costruire 11 maggio 2007, che porta con sé l’annullamento anche delle varianti 14 novembre 2008 e 19 agosto 2009. Nel riesaminare l’affare, l’amministrazione dovrà all’evidenza tener conto della specifica disciplina dettata dall’art. 38 del T.U. 380/2001 in tema di permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale, nonché di eventuali normative di sanatoria sopravvenute.
11. La parziale soccombenza è giusto motivo per compensare le spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 331/2014), lo accoglie in parte e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di I grado (1051/2008 R.G. TAR Toscana) nella sola parte concernente l’impugnazione della concessione edilizia in sanatoria 30 agosto 2006 n. 380; fermo il resto.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore
Raffaello Sestini – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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