Corte di Cassazione, penale, Sentenza|27 novembre 2020| n. 33654.
Non è configurabile il concorso formale tra il reato di rivelazione di segreti di ufficio previsto dall’art. 326 cod. pen. e quello di cui all’art. 127 cod. pen. mil., attesa la sostanziale identità di struttura delle fattispecie incriminatrici, che si differenziano solo per la presenza, in quella prevista dal codice penale militare, di elementi specializzanti, costituiti dalla natura del soggetto agente e dalla divulgazione del segreto appreso in occasione dello svolgimento dell’attività militare. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’art. 127 cod. pen. mil. tutela la riservatezza non solo dei segreti relativi all’organizzazione del servizio, ma anche di quelli relativi al suo svolgimento, sicchè l’ambito di applicabilità della norma copre tutte le ipotesi rientranti nella previsione generale dell’art. 326 cod. pen.).
Sentenza|27 novembre 2020| n. 33654
Data udienza 13 ottobre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – RIVELAZIONE ED UTILIZZAZIONE DI SEGRETI D’UFFICIO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente
Dott. DI STEFANO Pierluig – Consigliere
Dott. GIORDANO E. – rel. Consigliere
Dott. GIORGI Maria S. – Consigliere
Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedett – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 7/6/2019 della Corte di appello di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIORDANO Emilia Anna;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale GIORDANO Luigi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Salerno, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la decisione con la quale, in esito a giudizio abbreviato, il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Salerno, esclusa l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, aveva dichiarato non doversi procedere, per intervenuta prescrizione, nei confronti di (OMISSIS), carabiniere gia’ in servizio presso la (OMISSIS), in ordine ai reati di cui all’articolo 319 c.p., commesso in (OMISSIS) nel corso dell’anno 2008 e dei reati di cui agli articoli 326 e 378 c.p., articolo 61 c.p., n. 9, reati commessi in (OMISSIS). In particolare, sulla scorta di dichiarazioni rese da (OMISSIS) e (OMISSIS), nel corso della collaborazione con la giustizia, si era ritenuto accertato che il (OMISSIS), nella descritta qualita’, al fine di compiere atti contrari ai doveri di ufficio, e, in particolare, assicurare la propria disponibilita’ ad avvertire (OMISSIS) di perquisizioni, controlli ed altre iniziative, aveva ricevuto un’autovettura Audi A7 ad un prezzo sicuramente piu’ basso di quello di mercato e pari a quello corrisposto dal (OMISSIS) per l’acquisto; nonche’ per avere aiutato (OMISSIS) ad eludere le indagini in relazione alla detenzione di armi ed altro e rivelato al predetto di una perquisizione che sarebbe stata effettuata il 6 dicembre 2008 dai Carabinieri di Nocera Inferiore.
2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati nei termini ritenuti indispensabili ai fini della motivazione, denunciano:
2.1 erronea applicazione della legge penale (articoli 546, 125, 129 e 649 c.p.p.) per mancata pronuncia di declaratoria di non doversi procedere per precedente giudicato in relazione al delitto di cui all’articolo 326 c.p., contestato al capo c) della rubrica rispetto alla precedente sentenza di assoluzione, perche’ il fatto non sussiste, pronunciata, con riferimento al reato di cui all’articolo 127 c.p., mil., rispetto alla medesima condotta consistita nel rivelare a (OMISSIS) la notizia della disposta perquisizione. Premesso che, al di la’ del riferimento ad un perimetro temporale piu’ ampio, oggetto della contestazione in entrambi i procedimenti era la rivelazione della disposta perquisizione, poi eseguita il 6 dicembre 2008, e’ erronea la conclusione della Corte di appello che ha ritenuto ostativa alla pronuncia la circostanza che a base del reato contestato nel processo penale ordinario fossero due fattispecie incriminatrici, ovvero, oltre al reato di cui all’articolo 326 c.p., il delitto di favoreggiamento personale (articolo 378 c.p.) mentre nel processo penale militare era contestata la divulgazione di notizie segrete, con conseguente eccedenza obiettiva di contestazione e tenuto conto, altresi’, che la sentenza del Tribunale Militare di Napoli era stata pronunciata dopo la sentenza di proscioglimento del giudice dell’udienza preliminare sicche’ non trovava applicazione l’articolo 649 c.p., che disciplina l’istituto del divieto di secondo giudizio;
2.2 analogo vizio di violazione di legge e difetto di motivazione inficia la conferma della declaratoria di proscioglimento in relazione al delitto di corruzione poiche’ la Corte di appello non solo ha errato nel giudizio di attendibilita’ delle dichiarazioni accusatorie ma, soprattutto, ha omesso ogni doveroso scrutinio della documentazione prodotta in appello e, segnatamente della visura storica relativa all’autovettura e dalla quale si evince, a fronte del prezzo di acquisto corrisposto dal (OMISSIS), che il prezzo di acquisto dell’autovettura, corrisposto dalla Crash auto, era stato di ottomila Euro. Da qui la infondatezza della contestazione, innestata con riferimento all’utilita’ o al vantaggio economico dell’imputato sulla differenza del prezzo corrisposto per l’acquisto – sicuramente maggiore e pari a dieci mila Euro ovvero a 14/15.000, Euro secondo il (OMISSIS), e delle stesse propalazioni accusatorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. E’ fondato, il primo motivo di ricorso con il conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’articolo 326 c.p., di cui al capo c) ai sensi dell’articolo 649 c.p.p.. Il ricorso e’ inammissibile nel resto.
In via preliminare, deve essere rilevato come non sia revocabile in dubbio la legittimazione del ricorrente a proporre impugnazione avverso la sentenza di improcedibilita’ del reato di cui all’articolo 326 c.p., contestatogli al capo c) della rubrica, per intervenuta prescrizione, essendo egli titolare di un concreto interesse alla rimozione di un provvedimento pregiudizievole. Non ignora il Collegio un precedente con il quale questa Corte ha, invece, ritenuto inammissibile, per carenza d’interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione avverso una sentenza d’improcedibilita’ per estinzione del reato per prescrizione ove l’impugnazione tenda ad ottenere la diversa formula dell’improcedibilita’ per ne bis in idem, in quanto la diversita’ di tale declaratoria non determina alcun vantaggio per il ricorrente (Sez. 2, n. 46149 del 10/10/2019, Trubia Giuseppe, Rv. 277592). La declaratoria di estinzione del reato per violazione del divieto del ne bis in idem rimanda, infatti, nel caso in esame, alla esistenza della sentenza di assoluzione con formula ampia, per il medesimo fatto, ed e’ rispetto a tale statuizione finale che va calibrato l’interesse, concreto e attuale, del ricorrente all’odierna impugnazione che consegue, per tale via, la rimozione di una sentenza pregiudizievole – quale quella della declaratoria di estinzione per prescrizione – rispetto alla assoluzione di merito perche’ il fatto non sussiste, essendosi accertata, nel procedimento culminato nella sentenza di assoluzione del 5 dicembre 2016 del Tribunale Militare di Napoli, l’assenza dal servizio dell’imputato proprio nel periodo immediatamente precedente alla perquisizione, ovvero dal 30 novembre al 9 dicembre 2008.
2. Erronee sono le conclusioni alle quali sul punto e’ pervenuta la Corte di appello di Salerno e non solo perche’ risulta irrilevante, ai fini della disamina della questione posta dalla difesa, la contestazione, nel reato sub capo c), della distinta condotta di favoreggiamento dovendo l’attenzione dell’interprete concentrarsi nell’analisi, rispetto al tema del divieto di bis in idem, sugli elementi strutturali del reato di cui all’articolo 326 c.p., oggetto della contestazione.
La pronuncia della sentenza da parte del Tribunale Militare di Napoli e la sua irrevocabilita’, sopravvenuta alla sentenza di primo grado che aveva qia’ dichiarato la prescrizione dei reati ascritti al (OMISSIS) tra i quali quello di rivelazione di segreto di ufficio ascrittogli al capo c), sia pure nell’ambito di una contestazione cumulativa, giustifica la verifica dell’applicazione dell’articolo 649 c.p.p. e, quindi, ricorrendone i presupposti costitutivi, del ne bis in idem, poiche’, invece, in pendenza dei procedimenti, davanti ad autorita’ giudiziarie diverse e a seguito dell’esercizio dell’azione penale da parte di due diversi inquirenti, avrebbero dovuto trovare applicazione le norme in materia di conflitto (Sez. 5, n. 10037 del 19/01/2017, Catapano, Rv. 269422).
Il principio del ne bis in idem, finalizzato ad evitare che per lo stesso fatto si svolgano piu’ procedimenti e si adottino piu’ provvedimenti anche non irrevocabili, l’uno indipendentemente dall’altro, assume portata generale nel vigente diritto processuale penale, trovando espressione nelle norme sui conflitti positivi di competenza (articoli 28 e segg. c.p.p.), nel divieto di un secondo giudizio (articolo 649 c.p.p.) e nell’ipotesi di una pluralita’ di sentenze per il medesimo fatto (articolo 669 c.p.p.) (Sez. 1, n. 27834 del 01/03/2013, P.G. in proc. Carvelli, Rv. 255701). Il principio in esame assurge a canone di legittimita’ dell’esercizio dell’azione penale a partire dalla risalente sentenza di questa Corte secondo la quale non puo’ essere nuovamente promossa l’azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo gia’ sia pendente (anche se in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P.M., di talche’ nel procedimento eventualmente duplicato dev’essere disposta l’archiviazione oppure, se l’azione sia stata esercitata, dev’essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilita’ (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, P.G. in proc. Donati ed altro, Rv. 231800).
Va, infine, richiamato il piu’ recente intervento del Giudice delle leggi (Corte Cost., sentenza n. 200 del 2016) che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale, per violazione dell’articolo 117 Cost., comma 1, in relazione all’articolo 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, dell’articolo 649 c.p.p., nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato gia’ giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui e’ iniziato il nuovo procedimento penale, con un principio applicabile, in generale, alla operativita’ dell’articolo 649 c.p.p.. Tale aspetto si presenta rilevante ai fini dell’esame del caso potendo porsi questioni che involgono la ricorrenza del concorso formale fra reati in relazione alla ricostruzione dell’oggetto giuridico dei reati di cui all’articolo 326 c.p. e articolo 127 c.p. mil.. La verifica, per le ragioni che saranno di seguito esplicitate, si rivela negativa potendo escludersi, secondo le linee interpretative tracciate dalla sentenza della Corte Costituzionale, che l’apprezzamento della dimensione giuridica del fatto oggetto delle previsioni recate dalle fattispecie incriminatrici, porti alla individuazione di una dliversita’ di evento giuridico suscettibile di ricondurre l’idem factum, nella sua dimensione naturalistica ed empirica, alla lesione di beni giuridici diversi e, quindi, alla individuazione di una fattispecie di concorso formale fra reati che imporrebbe di attribuire all’imputato – senza timore di incorrere in violazione del divieto di bis in idem – tutti gli illeciti commessi anche con un’unica condotta.
3. Nella fattispecie in esame ricorrono i presupposti per l’applicazione del principio del ne bis in idem sia in relazione al fatto contestato, considerato nella sua dimensione storico-naturalistica, sia agli elementi strutturali, riguardati con riferimento alla condotta, all’evento e al nesso di causalita’, nonche’ alla individuazione del bene giuridico tutelato dalla norma di cui all’articolo 326 c.p. e da quella recata dall’articolo 127 c.p. mil. ovvero dei reati contestati all’imputato nel procedimento svoltosi dinanzi all’autorita’ giudiziaria comune e dinanzi a quella militare: deve, dunque, escludersi che sussista, sul piano dell’analisi delle norme, un rapporto da genus a species.
4. Indiscussa, in primo luogo, e’ la identita’ del fatto storico posta a base della incriminazione per il reato di cui all’articolo 326 c.p. e quello posto a base della violazione di cui all’articolo 127 c.p. mil. dal momento che in entrambi i procedimenti e’ contestata la rivelazione al (OMISSIS) della imminente perquisizione, che sarebbe poi stata effettivamente eseguita, con esito negativo, il 6 dicembre 2008. La stessa sentenza impugnata da’ atto che la condotta materiale descritta nei due procedimenti e’ conforme e si incentra quanto al ricorrente (che pure coimputato con altri colleghi in servizio presso la (OMISSIS) nel procedimento dinanzi al Tribunale militare di Napoli e per i quali il Tribunale e’, invece, addivenuto alla trasmissione degli atti al giudice ordinario competente per il reato di cui all’articolo 326 c.p.) nel medesimo comportamento che lo vedeva autore, nel processo ordinario, della propalazione al (OMISSIS) dell’imminente perquisizione in quanto notizia destinata a rimanere segreta.
5. Ritiene il Collegio che, sulla base di precisi elementi esegetici ricavabili dalle fattispecie incriminatrici, puo’ ritenersi sussistente una tendenziale identita’ sul piano dei rapporti tra la norma recata dall’articolo 326 c.p. e quella di cui all’articolo 127 c.p. mil. – punite con la omologa pena della reclusione da sei mesi a tre anni – e che la previsione recata dall’articolo 127 c.p. mil. realizza una fattispecie del tutto speculare rispetto al reato di cui all’articolo 326 c.p., dal quale, sul piano generale, si differenzia per la presenza di elementi specializzanti costituiti dalla natura del soggetto agente (cioe’ un militare, cosi’ come stabilito ai fini dell’applicazione di queste norme del codice sostanziale dagli articoli 3 e ss. c.p.p. mil.) e, rispetto all’oggettiva appartenenza della notizia segreta all’ufficio svolto, richiesta dall’articolo 326 c.p., dalla maggiore ampiezza, nel diritto penale militare, della fonte ovvero modalita’ di conoscenza della notizia oggetto di rivelazione poiche’, in tale sistema, e’ oggetto di incriminazione la rivelazione di notizie segrete di cui si sia venuti a conoscenza anche in occasione del servizio militare (Salvo che il fatto costituisca un piu’ grave reato, il militare, che rivela notizie concernenti il servizio o la disciplina militare in generale, da lui conosciute per ragione o in occasione del suo ufficio o servizio, e che devono rimanere segrete, e’ punito….).
Piu’ complessa, come si dira’ nel prosieguo e con diretta incidenza sulla possibilita’ di ravvisare la preclusione sottostante all’operativita’ del divieto di bis in idem, e’, invece, la individuazione del bene giuridico tutelato dalla norma di cui all’articolo 326 c.p. e dall’articolo 127 c.p. mil..
6. Incontroversa appare la qualifica soggettiva in capo all’odierno ricorrente di militare in servizio ma, ad avviso del Collegio, anche di quella di pubblico ufficiale, idonea ad attrarre la condotta nell’operativita’ dell’articolo 326 c.p..
E’ stato accertato, infatti, che il ricorrente era titolare della correlativa situazione soggettiva rilevante nell’ordinamento militare; che all’epoca dei fatti era in servizio presso la Stazione Carabinieri di Pagani, informata, per ragioni di servizio, della perquisizione che i Carabinieri di Nocera avrebbero dovuto eseguire nei confronti del (OMISSIS) sita in (OMISSIS), e dunque, per la natura del ruolo ricoperto ed il tipo di attivita’ formalmente e sostanzialmente riconducibile alle funzioni di polizia giudiziaria, egli era anche pubblico ufficiale tenuto al rispetto della segretezza, rispetto al compimento dell’atto di ufficio.
7. Oggetto della condotta prevista dalla fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 326 c.p. – che protegge il prestigio e buon funzionamento della pubblica amministrazione e che, strutturato in termini di pericolo concreto e’ posto a tutela del buon andamento e dell’imparzialita’ della pubblica amministrazione, Sez. 6, n. 49526 del 03/10/2017, (OMISSIS) e altro, Rv. 271565 – e’ la divulgazione di segreti di ufficio.
Per notizie di ufficio che devono rimanere segrete si intendono non solo le informazioni sottratte alla divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, ma anche quelle la cui diffusione sia vietata dalle norme sul diritto di accesso, perche’ effettuate senza il rispetto delle modalita’ previste ovvero nei confronti di soggetti non titolari del relativo diritto (Sez. 6, n. 19216 del 04/11/2016, dep. 2017, P.G. in proc. Di Campli, Rv.. 269776). In tale categoria rientrano anche gli atti di indagine che siano, come la perquisizione disposta dal pubblico ministero, destinati alla notifica poiche’, in tal caso, e’ solo al momento della esecuzione che l’indagato acquista il diritto alla consegna del provvedimento che, come noto, e’ atto diretto alla ricerca della prova per il quale non e’ previsto l’avviso al difensore, trattandosi di un atto cd. a sorpresa, ai sensi dell’articolo 364 c.p.p., comma 5. E’, dunque, solo contestualmente all’esecuzione dell’atto accompagnata da una serie di adempimenti (notifica del decreto motivato, invito a nominare un difensore di fiducia ovvero, in mancanza, designazione di un difensore d’ufficio) che l’indagato acquista il diritto a venire a conoscenza dell’atto stesso.
La rivelazione della disposta perquisizione – che e’ stata riferita agli inquirenti dal (OMISSIS) solo una volta divenuto collaboratore di giustizia, a distanza di anni dal fatto – non puo’ di per se’ non pregiudicare il buon andamento delle attivita’ di indagine e, in definitiva, offendere il bene giuridico tutelato, tenuto conto del fatto che la propalazione ha riguardato la esecuzione di un atto a sorpresa in relazione al quale il (OMISSIS), per sua stessa ammissione, aveva provveduto a neutralizzare l’esito “spostando” il luogo di custodia delle armi. L’accertamento di tale danno peraltro, e’ in concreto irrilevante, poiche’ e’ sufficiente, ai fini della sussistenza del reato di cui all’articolo 326 c.p., che la rivelazione indebita sia tale da poter cagionare nocumento all’interesse tutelato, interesse che, come anticipato, e’ rappresentato dal buon funzionamento dell’amministrazione, attraverso il dovere di fedelta’ del funzionario (Sez. 6, n. 5141 del 18/12/2007, dep. 2008, Rv. 238729).
8. Dal punto di vista strutturale anche la norma di cui all’articolo 127 c.p. mil., introdotta da una norma di sussidiarieta’ espressa rispetto ad altre norme che presidiano il rispetto dell’obbligo di fedelta’ e della difesa militare, punisce la rivelazione di notizie concernenti il servizio o la disciplina militare da parte del militare che le abbia conosciute per ragione o in occasione del suo ufficio o servizio e che devono rimanere segrete (ovvero che abbiano carattere riservato).
Non appare revocabile in dubbio che l’operazione di perquisizione, comunicata alla Stazione dei Carabinieri di Pagani in quanto competenti territorialmente in relazione al luogo nel quale la perquisizione doveva essere eseguita, costituiva un atto di ufficio destinato a rimanere segreto e che la sua divulgazione era suscettibile di arrecare un vulnus alla esecuzione dell’atto in conseguenza della violazione del dovere di fedelta’ incombente sul militare ed in relazione ad un atto conosciuto in ragione del servizio, sul quale era tenuto ad osservare il segreto.
9. Si viene, cosi’, all’ultimo tema oggetto di disamina che rimanda alla possibile individuazione, in relazione al bene oggetto giuridico del reato di cui all’articolo 127 c.p. mil. ad una limitazione di questo agli interessi militari per cui assumerebbero rilevanza, venendo cosi’ attratte nella disciplina militare, le sole rivelazioni che attengono alla organizzazione del servizio prestato e non anche le possibili informazioni originate dallo stesso le quali dovrebbero trovare piu’ idonea copertura nell’ambito della fattispecie comune di rivelazione dei segreti di ufficio di cui all’articolo 326 c.p..
Secondo tale esegesi, la specialita’ del delitto militare di cui all’articolo 127 c.p. mil. sarebbe individuabile, oltre che nel carattere di militarita’ del soggetto attivo, nel fatto che le notizie oggetto di rivelazione dovrebbero concernere necessariamente il servizio o la disciplina militare e cio’ sarebbe ricavabile dalla collocazione della fattispecie incriminatrice nella Sezione relativa alla violazione di doveri inerenti a speciali servizi, e nei soli casi nei quali le notizie segrete divulgate attengono alle modalita’ relative all’organizzazione ed allo svolgimento di un ben determinato e specifico servizio che sia stato disposto nel contesto militare in cui l’agente opera.
Giova, al riguardo, una precisazione.
La ricerca di precedenti giurisprudenziali non consente di rinvenire un indirizzo univoco nella delimitazione dei rapporti tra il reato di cui all’articolo 326 c.p. e quello di cui all’articolo 127 c.p. mil. se non un dato che emerge dalla giurisprudenza di merito ovvero quello che, nella stragrande maggioranza dei casi di rivelazione di segreto di ufficio da parte di un militare in servizio di polizia giudiziaria la tematica della giurisdizione viene generalmente risolta a favore di quella ordinaria. Fermando l’attenzione su due piu’ recenti decisioni di questa Corte in materia, che riguardavano la rivelazione di segreti di ufficio di carabinieri in servizio di polizia giudiziaria (Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013, Autieri e altri, Rv. 257056; Sez. 6, n. 5141 del 18/12/2007, Cincavalli, Rv. 238729) il tema ora in esame non e’ venuto in rilievo discutendosi, invece della natura giuridica del reato di cui all’articolo 326 c.p..
Oscillanti, invece, risultano risalenti precedenti (Sez. 1, 28 maggio 1988, Angius, pubblicata in Rass. Giust. Mil., 1988, p. 262; Sez. 1, 22 dicembre 1988, Gagliardi, In Rass. Giur. Mil., 1988, p. 334) che avevano ricondotto la condotta, rispettivamente, di rivelazione di notizie attinenti all’attivita’ di Polizia Tributaria al reato di cui all’articolo 326 c.p. e di trasporto detenuti, affidata all’Arma dei Carabinieri, affermando la sussistenza del reato di cui all’articolo 127 c.p. mil..
Non ritiene il Collegio che, con riferimento al militare che svolga funzioni di polizia giudiziaria, possano individuarsi fonti normative esterne (in particolare il Decreto Legislativo n. 66 del 2010, per l’Arma dei Carabinieri) che individuino limitazioni o eccezioni all’applicazione della legislazione costituita dall’articolo 127 c.p. mil., rispetto a quella comune, individuandole nella propalazione di mere notizie organizzative del servizio che, raffrontate alla vicenda concreta in esame, rivelano tutta l’artificiosita’ di tale distinzione in quanto sarebbe punibile, attraverso la norma di cui all’articolo 127 c.p. mil., la sola rivelazione di una notizia attinente alla organizzazione di un servizio restandone al di fuori le informazioni che appartengono al servizio stesso. Tali limitazioni non discendono dagli articoli 5 e 10 disp. att. c.p.p., secondo i quali la Polizia giudiziaria e’ composta dagli appartenenti ai diversi corpi (tra i quali i Carabinieri) per il quali lo stato giuridico e la carriera….sono disciplinati dagli ordinamenti della amministrazioni di appartenenza, ne’ dagli articoli 161 e 178 del richiamato decreto legislativo dai quali si evince che i compiti di Polizia giudiziaria rientrano a pieno titolo fra le funzioni ordinarie del Corpo, assumendo l’ufficio in questione un servizio militare a tutti gli effetti. Non sussiste, in particolare, la possibilita’ di individuare, nella condotta del ricorrente che ha costituito oggetto di esame da parte del Tribunale penale militare, la limitazione della violazione ascrittagli alle sole norme che regolavano l’organizzazione del servizio, di cui era venuto a conoscenza quale componente della Stazione Carabinieri di Pagani, notiziata dell’intervento, neppure sulla scorta della individuazione del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice ricostruibile sulla nozione di interesse militare e in contrapposizione alle notizie di ufficio oggetto della norma di cui all’articolo 326 c.p..
Pur dando atto che il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice e’ costituito dall’interesse militare rispetto a speciali servizi, la collocazione della norma di cui all’articolo 127 c.p. mil. e la sua struttura consentono di interpretare tale interesse in maniera sufficientemente lata e tale da abbracciare tutto il servizio, nella sua interezza, poiche’ cio’ che rileva e’ che un particolare ufficio o servizio, indipendentemente dalla sua natura od origine, sia attribuita e svolta da parte di un corpo militare. Sul piano lessicale la diversa terminologia usata nelle fattispecie non lascia ragionevolmente ipotizzare una diversita’ di contenuto e la notizia che concerne il servizio non puo’ limitarsi alla diffusione del suo mero aspetto organizzativo essendo suscettibile di coprire, invece, tutte le informazioni che appartengono al servizio svolto, e non solo di un aspetto per cosi’ dire estrinseco come quello organizzativo.
Ne consegue, anche per questo aspetto, la identita’ delle previsioni che regolano l’applicazione delle norme recate dagli articoli 326 c.p. e 127 c.p. in guisa da escludere che l’applicazione di questa lasci impunita l’area di antigiuridicita’ o illiceita’ coperta dalla fattispecie di cui all’articolo 326 c.p..
10. Generiche e manifestamente infondate si presentano le censure rivolte nei confronti della valutazione di scarsa credibilita’ delle dichiarazioni del (OMISSIS) e della diversa valutazione della vicenda sulla base di un documento, costituito dalla visura storica del PRA sul prezzo corrisposto dal (OMISSIS) per l’acquisto dell’autovettura.
Si tratta di profili di doglianza inammissibili in quanto diretti ad ottenere una valutazione alternativa delle prove esclusa dal perimetro che circoscrive il giudizio di legittimita’ nel quale non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita’, dalla sua contraddittorieta’ (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasivita’, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o dii puntualita’, la stessa illogicita’ quando non manifesta, cosi’ come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilita’, della credibilita’, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 – dep. 31/03/2015, 0., Rv. 262965).
Contrariamente a quanto dedotto, la Corte territoriale con motivazione esente da vizi logici ed aderente alle emergenze processuali ha evidenziato la responsabilita’ del ricorrente, suscettibile di escludere, in presenza di reati prescritti, l’evidenza della prova ai fini dell’applicazione dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, sulla base di convergenti elementi processuali, anche collegati all’acquisto dell’autovettura. Se ne ricava un compendio motivazionale completo e insuscettibile di rilievi in questa sede.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’articolo 326 c.p. di cui al capo c) ai sensi dell’articolo 649 c.p.p., e dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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