La remissione del debito quale causa di estinzione delle obbligazioni

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|14 dicembre 2020| n. 28439.

La remissione del debito, quale causa di estinzione delle obbligazioni, esige che la volontà abdicativa del creditore sia espressa in modo inequivoco; un comportamento tacito, pertanto, può ritenersi indice della volontà del creditore di rinunciare al proprio credito solo quando non possa avere alcun’altra giustificazione razionale, se non quella di rimettere al debitore la sua obbligazione. Ne consegue che i crediti di una società commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione, a meno che tale omissione non sia accompagnati da ulteriori circostanze tali da non consentire dubbi sul fatto che l’omessa appostazione in bilancio altra causa non potesse avere, se non la volontà della società di rinunciare a quel credito

Ordinanza|14 dicembre 2020| n. 28439

Data udienza 14 ottobre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Società di capitali – Crediti di una società commerciale estinta – Presunzione di rinuncia per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione – Esclusione – Ragioni

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 18004/17 proposto da:
-) (OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro elettivamente domiciliato a (OMISSIS), difeso dall’avvocato (OMISSIS), in virtu’ di procura speciale apposta in calce al controricorso;
– ricorrente –
contro
-) (OMISSIS), e (OMISSIS), elettivamente domiciliati a (OMISSIS), difesi dall’avvocato (OMISSIS), in virtu’ di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello (OMISSIS) 13.2.2017 n. 641;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 ottobre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2000 la societa’ (OMISSIS) s.r.l. acquisto’ dalla societa’ (OMISSIS) s.p.a. (che in seguito mutera’ forma e ragione sociale in s.r.l.) un autoveicolo che si rivelo’ difettoso.
L’acquirente convenne dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere la venditrice chiedendo la risoluzione del contratto di vendita e la condanna del venditore alla restituzione del prezzo.
2. Nelle more del giudizio la societa’ acquirente fu cancellata dal registro delle imprese, il 24 giugno 2009.
3. All’esito del secondo grado del giudizio redibitorio, la Corte d’appello (OMISSIS) con sentenza 4189/13 dichiaro’ risolto il contratto e condanno’ il venditore alla restituzione del prezzo, quantificato nell’importo di Euro 31.917,04.
4. Gli ex soci della (OMISSIS) (e cioe’ (OMISSIS) e (OMISSIS)) avvalendosi del titolo rappresentato dalla suddetta sentenza 4189/13 iniziarono l’esecuzione forzata nei confronti della (OMISSIS).
A tal fine notificarono alla (OMISSIS) – il ricorso non indica per quale ragione – due precetti: uno il 30 gennaio 2014 per l’importo di Euro 31.917 oltre accessori; l’altro il 19 maggio 2014 per l’importo di Euro 43.911 “comprensivo di interessi e spese”.
5. La (OMISSIS) propose opposizione ad ambedue i precetti.
Il presente giudizio ha ad oggetto l’opposizione proposta avverso il primo dei precetti sopra indicati, cioe’ quello notificato il 30 gennaio 2014.
A fondamento di tale opposizione, secondo quanto riferito nel ricorso, la (OMISSIS) dedusse che nel bilancio finale di liquidazione della societa’ creditrice non era stato appostato il credito vantato dalla (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS); quel credito, pertanto, doveva ritenersi rinunciato.
6. Con sentenza 28 novembre 2014 n. 322 il Tribunale di Napoli Nord rigetto’ l’opposizione.
La Corte d’appello di Napoli, adita dalla soccombente, con sentenza 13.2.2017 n. 641 rigetto’ il gravame.
A fondamento della propria decisione la Corte d’appello pose il seguente ragionamento:
-) il credito vantato dalla (OMISSIS) e posto in esecuzione dai suoi ex soci dopo lo scioglimento della societa’ non era ne’ incerto, ne’ contestato, ma era stato accertato da una sentenza passata in giudicato; e l’unica questione controversa tra le parti era la compensabilita’ di quel credito col controcredito della (OMISSIS) avente ad oggetto la restituzione dell’autoveicolo oggetto della vendita risolta per inadempimento;
-) quel credito, pertanto, ancorche’ non evidenziato nel bilancio di liquidazione, si era trasferito ai soci per effetto della estinzione della societa’;
-) in ogni caso, la (OMISSIS) aveva censurato in modo solo apparente l’affermazione del giudice di primo grado, secondi cui la mancata indicazione del credito nel bilancio finale di liquidazione poteva essere ascrivibile anche ad un errore, e quindi non era indice certo della volonta’ di rinunciarvi.
7. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione dalla (OMISSIS), con ricorso fondato su un solo motivo.
(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso illustrato da memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Vanno preliminarmente rigettate le eccezioni pregiudiziali di rito sollevate dai controricorrenti.
Regolari, infatti sono sia la notifica del ricorso, sia l’attestazione di conformita’ all’originale della relazione di notificazione effettuata per via telematica; ne’ il ricorso appare irrispettoso dei requisiti richiesti dall’articolo 366 c.p.c.: chiare, infatti, sono,sia la descrizione in esso contenuta dei fatti di causa, sia l’esposizione del contenuto delle censure.
Resta invece assorbita l’eccezione di “litispendenza” sollevata dai controricorrenti, avendo essi precisato nella memoria depositata ex articolo 380 bis c.p.c. che il giudizio pregiudiziale (e cioe’ l’impugnazione per revocazione della medesima sentenza oggetto del ricorso per cassazione), e’ stato definito dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza 5023/19, la quale ha rigettato il ricorso proposto dalla (OMISSIS).
Per quanto attiene, infine, all’eccezione di inammissibilita’ del ricorso ex articolo 348 ter c.p.c., essa e’ solo parzialmente fondata (lo si dira’ meglio tra breve), in quanto il ricorso pone, oltre che una questione di fatto, anche una questione di diritto, che in quanto tale sfugge alle previsioni dell’articolo 348 ter c.p.c..
2. Con l’unico motivo la societa’ ricorrente prospetta la “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (sic), in relazione al mancato esame d’un fatto storico oggetto di discussione tra le parti decisivo della controversia”.
Al di la’ di tale intitolazione, nella illustrazione del motivo si sostiene una tesi cosi’ riassumibile:
-) l’ammontare del credito vantato dalla (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS), al momento della estinzione della societa’, era ancora illiquido, giacche’ controverso fra le parti era l’esatto ammontare di esso;
-) poiche’ il suddetto credito era illiquido, il suo mancato inserimento nel bilancio finale di liquidazione della societa’ estinta “ha comportato senz’altro la rinuncia al credito” da parte della societa’.
1.1. Va preliminarmente rilevato come debba ritenersi un mero refuso l’affermazione contenuta al foglio 22 del ricorso (le cui pagine non sono numerate), secondo cui il ricorrente avrebbe inteso denunciare “la violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5”. Dall’illustrazione del motivo, infatti, si comprende agevolmente che la societa’ ricorrente ha inteso in realta’ denunciare l’omesso esame d’un fatto decisivo “ai sensi”, e non gia’ “in violazione”, dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
1.2. Il ricorso e’ inammissibile nel presupposto di fatto su cui si fonda, e infondato nella conseguenza giuridica che da esso la ricorrente intende trarre.
1.3. Quanto al presupposto di fatto, anche a volere ritenere che possa rientrare in tale categoria l’interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di merito, la censura sarebbe comunque inammissibile ai sensi dell’articolo 348 ter c.p.c., dal momento che nei gradi di merito vi sono state due pronunce conformi.
1.4. Quanto alle conseguenze di diritto, corretta appare la decisione impugnata, quand’anche volesse ritenersi dimostrato il presupposto di fatto da cui muove il ricorrente, e cioe’ che al momento della estinzione della societa’ (OMISSIS) il credito da essa vantato nei confronti della societa’ (OMISSIS) fosse contestato.
1.5. Infatti i principi che governano la sorte dei crediti delle societa’ commerciali estinte sono stati ricostruiti, in via generale, da una sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 6070 del 12/03/2013, Rv. 625323 – 01), di cui tanto le parti, quanto la Corte d’appello, si sono mostrati avvisati.
Non ne hanno pero’ tratto, ad avviso di questo Collegio, le debite conseguenze.
La suddetta sentenza ha fissato tre principi generali in base ai quali stabilire la sorte dei crediti vantati da una societa’ estinta, cosi’ riassumibili:
a) l’estinzione della societa’ da’ vita ad un fenomeno successorio;
b) dal lato passivo, tale successione comporta che dei debiti sociali rispondano i soci, nei limiti di quanto ad essi pervenuto per effetto del bilancio di liquidazione;
c) dal lato attivo, tale successione comporta che i crediti sociali risultanti dal bilancio di liquidazione si trasferiscono ai soci pro indiviso.
Questi sono i principi affermati ex cathedra dalle Sezioni Unite nella sentenza sopra ricordata.
1.6. La medesima sentenza ha poi affrontato anche il problema qui in esame, e cioe’ la sorte delle sopravvenienze attive e dei crediti non iscritti a bilancio, dopo l’estinzione della societa’.
Sui tale problema, esaminato alle Sezioni Unite solo obiter dictum, le SS.UU. hanno affermato che la sorte delle sopravvenienze attive e dei crediti non risultanti dal bilancio di liquidazione non puo’ essere stabilita ex ante in base ad una regola generale, uniforme ed “automatica”. Hanno invece, formulato delle ipotesi “aperte” (§ 4 e ss. dei “Motivi della decisione” di Cass. SU 6070/13).
Hanno, in particolare, stabilito che e’ compito del giudice di merito stabilire caso per caso se, in base alle peculiarita’ della fattispecie, possa presumersi ex articolo 2727 c.c. una volonta’ della societa’ di rinunciare ad un determinato credito.
Si e’ osservato nella suddetta sentenza, in particolare, che se il credito era illiquido; se il liquidatore sapeva della sua esistenza e non l’aveva inserito in bilancio; oppure se il credito “non poteva neppure essere iscritto nel bilancio”, in tutti questi casi la mancata appostazione all’attivo puo’ consentire di presumere una volonta’ della societa’ di rinunciare a quella pretesa: ma pur sempre di presunzione si tratta, senza alcuna indefettibile implicazione unilaterale tra omessa indicazione del bilancio e remissione del debito.
Nel 2013, in definitiva, le Sezioni Unite non affrontarono se non incidenter tantum il tema dei residui attivi o delle sopravvenienze attive: si limitarono a stabilire che la sorte di tali crediti resta affidata ad una valutazione caso per caso, fermo restando pero’ che l’estinzione della societa’ da’ sempre vita ad un fenomeno successorio.
1.7. Piu’ di recente il tema e’ stato ripreso e sviluppato da questa Corte con la sentenza pronunciata da Sez. 1 -, Sentenza n. 9464 del 22/05/2020, Rv. 657639 – 01.
Tale decisione, integrando e completando i principi stabiliti nel 2013, ha affermato che:
-) anche i residui attivi e le sopravvenienze attive possono trasferirsi ai soci della disciolta societa’;
-) puo’ ammettersi in astratto che la societa’ possa rinunciare ai crediti suddetti, ma questa rinuncia non puo’ presumersi ipso facto in base al solo rilievo che il credito non sia stato appostato in bilancio.
La remissione del debito, infatti, e’ pur sempre un atto negoziale che richiede una manifestazione di volonta’. Tale manifestazione di volonta’ ovviamente potra’ essere anche tacita, ma deve essere tuttavia inequivoca. Il silenzio, infatti, nel nostro ordinamento giuridico non puo’ mai elevarsi a indice certo d’una volonta’ abdicativa o rinunciataria d’un diritto, a meno che non sia circostanziato, cioe’ accompagnato dal compimento di atti o comportamenti di per se’ idonei a palesare una volonta’ inequivocabile.
La mancata appostazione d’un credito nel bilancio finale di liquidazione, tuttavia, non possiede i suddetti requisiti di inequivocita’. Essa, infatti, potrebbe teoricamente essere ascrivibile alle cause piu’ varie, e diverse da una rinuncia del credito: ad esempio, l’intenzione dei soci di cessare al piu’ presto l’attivita’ sociale; l’arriere-pensee di coltivare in proprio l’esazione del credito sopravvenuto o non appostato; la pendenza delle trattative per una transazione poi non avvenuta, e sinanche, da ultimo, la semplice dimenticanza o trascuratezza del liquidatore.
1.8. A tali principi, cui il Collegio intende dare continuita’, si e’ uniformata la sentenza oggi impugnata, dal momento che essa ha escluso che la mera omissione dell’indicazione d’un credito nel bilancio finale di liquidazione potesse ritenersi indice certo della volonta’ di rimettere quel credito.
Il ricorso va dunque rigettato, in applicazione del seguente principio di diritto:
“la remissione del debito, quale causa di estinzione delle obbligazioni, esige che la volonta’ abdicativa del creditore sia espressa in modo inequivoco; un comportamento tacito, pertanto, puo’ ritenersi indice della volonta’ del creditore di rinunciare al proprio credito solo quando non possa avere alcun’altra giustificazione razionale, se non quella di rimettere al debitore la sua obbligazione.
Ne consegue che i crediti di una societa’ commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione, a meno che tale omissione non sia accompagnati da ulteriori circostanze tali da non consentire dubbi sul fatto che l’omessa appostazione in bilancio altra causa non potesse avere, se non la volonta’ della societa’ di rinunciare a quel credito”.
2. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna (OMISSIS) s.r.l. alla rifusione in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS) delle spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano nella somma di Euro 4.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, ex articolo 2, comma 2;
(-) da’ atto che sussistono i presupposti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di (OMISSIS) s.r.l. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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