Corte di Cassazione, penale, Sentenza|14 gennaio 2021| n. 1305.
Il provvedimento di confisca della cosa sequestrata, contenuto nella sentenza di condanna o di proscioglimento, fa stato nei confronti dei soggetti che hanno partecipato al procedimento di cognizione. Ne deriva che solamente i terzi che non abbiano rivestito la qualità di parte nel processo in cui sia stata disposta la confisca sono legittimati a far valere davanti al giudice dell’esecuzione i diritti vantati su un bene confiscato con sentenza irrevocabile.
Sentenza|14 gennaio 2021| n. 1305
Data udienza 14 dicembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Ricettazione – Incidente di esecuzione – Opposizione – Restituzione di un reperto archeologico – Confisca – Reiterazione di censure di mero fatto – Inammissibilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente
Dott. CORBO Antonio – rel. Consigliere
Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza in data 30/06/2020 del Tribunale di Taranto;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pinelli Mario, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con ordinanza adottata in data 30 giugno 2020, e depositata il 7 luglio 2020, il Tribunale di Taranto ha rigettato l’opposizione avverso il provvedimento reiettivo dell’istanza di incidente di esecuzione con la quale (OMISSIS) aveva chiesto la restituzione di un reperto archeologico, una maschera olmeca del X/VIII secolo a.c. del quale era stata disposta la confisca.
Il reperto e’ stato sottoposto a confisca con la stessa sentenza, divenuta irrevocabile, che aveva assolto l’odierno ricorrente dal reato di ricettazione perche’ il fatto non costituisce reato. La richiesta di restituzione, proposta in sede di incidente di esecuzione, e poi reiterata mediante opposizione, e’ stata respinta in applicazione di quanto prevede l’articolo 240 c.p., comma 2, n. 2, essendo il reperto da ritenersi cosa la cui detenzione costituisce reato.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe (OMISSIS), con atto sottoscritto dall’avvocato (OMISSIS), articolando un unico motivo, con il quale si denuncia violazione di legge, in riferimento all’articolo 240 c.p., comma 2, n. 2, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo alla ritenuta applicabilita’ della confisca obbligatoria. Si deduce che la confisca e’ stata disposta sull’erroneo presupposto che l’articolo 240 c.p., comma 2, n. 2, prevedrebbe la confisca anche in caso di assoluzione dell’imputato per mancanza di dolo, presupposto assunto in contrasto con specifici precedenti giurisprudenziali di legittimita’ (si cita, in particolare, Sez. 3, n. 23295 del 28/04/2004, n. 22942701). Si osserva che la conclusione del Tribunale si fonda sul richiamo ad un precedente specificamente relativo al contrabbando doganale, non esportabile alla materia della detenzione dei reperti archeologici. Si segnala, inoltre, che la giurisprudenza ha escluso l’applicabilita’, a questo settore, della disposizione di cui all’articolo 240 c.p., comma 2, n. 2, perche’ i reperti archeologici sono beni il cui trasferimento, pur se assoggettato a particolari condizioni o controlli, non rende gli stessi illeciti, e la cui detenzione non puo’ reputarsi vietata in assoluto, bensi’ solo subordinata dalla legge a determinate condizioni (si cita Sez. 2, n. 7885 del 01/02/1995 dep. 1996, Rv. 205605-01). Si rappresenta, in fatto, che il ricorrente, come riconosce la sentenza di assoluzione, era in buona fede, perche’ aveva acquistato il reperto, la maschera olmeca, in (OMISSIS), e solo nel (OMISSIS), allertato da un conoscente, aveva fatto periziare il bene e poi informato la competente Soprintendenza Archeologica.
3. Il ricorso e’ inammissibile per preclusione derivante da giudicato.
L’ordinanza impugnata da’ atto, e la circostanza e’ riconosciuta anche nel ricorso, che il Tribunale di Taranto, con sentenza pronunciata il 28 novembre 2017, e divenuta irrevocabile il 9 marzo 2018, ha assolto l’odierno ricorrente dai reati di ricettazione e di inosservanza dei provvedimenti amministrativi impartiti dall’autorita’ preposta alla tutela dei beni culturali, perche’ i fatti non costituiscono reato, ed ha disposto la confisca della maschera olmeca di cui si chiede in questa sede, nelle forme dell’incidente di esecuzione, la restituzione.
Cio’ posto, costituisce principio giurisprudenziale assolutamente consolidato quello in forza del quale la statuizione, contenuta in una sentenza divenuta irrevocabile, con cui sia stata disposta la confisca fa stato nei confronti dei soggetti che hanno partecipato al procedimento di cognizione, con la conseguenza che solamente i terzi che non abbiano rivestito la qualita’ di parte nel predetto giudizio sono legittimati a richiedere la revoca della confisca in sede esecutiva (cfr., per tutte: Sez. 1, n. 4096 del 24/10/2018, dep. 2019, Lacatus, Rv. 276163-01; Sez. 3, n. 29445 del 19/06/2013, Principalli, Rv. 255872-01; Sez. 5, n. 34705 del 11/07/2001, Manisco, Rv. 219862-01).
Deve aggiungersi, ancora, che l’esistenza del giudicato in ordine alla confisca del reperto di cui si chiede la restituzione e’ rilevabile in questa sede, posto che tale situazione giuridica risulta specificamente indicata nella stessa sentenza la cui esecuzione e’ oggetto di discussione nel presente procedimento.
4. Alla dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ – al versamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro tremila, cosi’ equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Motivazione semplificata.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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