Consiglio di Stato, Sentenza|26 aprile 2021| n. 3340.
Il provvedimento con cui viene ingiunta (articolo 27 Dpr n. 380/2001), sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Tale principio non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.
Sentenza|26 aprile 2021| n. 3340
Data udienza 11 marzo 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Abusivismo edilizio – Ordinanza di demolizione – Natura vincolata – Ragioni di pubblico interesse – Dpr 6 giugno 2001, n. 380, articolo 27
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4176 del 2018, proposto da
M.P. Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Di. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Nola, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Al. So., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Francesco Mangazzo in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Seconda n. 01520/2018.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 marzo 2021 il Cons. Oreste Mario Caputo;
l’udienza si svolge ai sensi degli artt. 25 del Decreto Legge 137 del 28 ottobre 2020 e 4 comma 1, Decreto Legge 28 del 30 aprile 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Seconda n. 01520/2018, di reiezione del ricorso proposto da M.P. Costruzioni S.r.l. avverso l’ordinanza n. 19/2017 del Comune di (omissis) di demolizione di opere abusive realizzate in via Aldo Moro sull’immobile catastalmente censito al foglio 4, particella 2086, sub. 6, 7 e 8, consistite nella modifica della destinazione d’uso di tre sottotetti non abitabili (due ad abitazione ed uno adibito ad uso ufficio).
Nei motivi d’impugnazione la società ricorrente ha dedotto la carenza di motivazione della sanzione ripristinatoria in pendenza di una domanda di permesso di costruire in sanatoria; l’omessa indicazione del responsabile del procedimento; l’errata qualificazione dell’abuso consistente nella modifica della destinazione d’uso senza aumento della cubatura e della superficie e non ha inciso sui parametri urbanistici; l’omessa previa definizione del procedimento avviato con la presentazione della domanda di sanatoria; l’omessa valutazione delle vicende che hanno interessato la pianificazione urbanistica comunale; la violazione in materia di recupero dei sottotetti a fini abitativi.
2. Costituitosi il Comune, il Tar ha dichiarato in ricorso in parte inammissibile e per la restante parte infondato.
Sul rilievo che, secondo quanto prescritto dal permesso di costruire n. 6 del 23 marzo 2006 e dall’atto unilaterale d’obbligo rep. 237/06 sottoscritto in data 25/10/2006 dalla società ricorrente, i sottotetti avrebbero dovuto costituire volumi tecnici, in quanto destinati all’installazione di impianti a servizio del fabbricato, il Tar ha respinto il ricorso dopo aver accertato la regolarità formale dell’ordinanza di demolizione e l’assenza di “pendenza di alcun procedimento di sanatoria in relazione alla modifica della destinazione d’uso sanzionata dall’amministrazione comunale”.
3. Appella la sentenza M.P. Costruzioni S.r.l.. Resiste il Comune di (omissis).
4. Alla pubblica udienza dell’11 marzo 2021, tenuta in modalità telematica da remoto, la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
5. Con primo motivo d’appello la società denuncia l’errore di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar nell’omettere d’accertare l’assenza di motivazione dell’ordinanza di demolizione impugnata.
5.1 Il motivo è infondato.
L’ordinanza di demolizione individua le opere abusive realizzate sull’edificio sito in Comune di (omissis) alla via A. Moro per la parte identificata al fg.4, p.lla 2086 sub 6,7,8.
Sicché va richiamato l’orientamento giurisprudenziale, qui condiviso, secondo cui i provvedimenti in materia di repressione degli abusi edilizi non necessitano di particolare motivazione sulla sussistenza del pubblico interesse alla rimozione degli stessi.
Sul punto, risulta dirimente la sentenza Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 17 ottobre 2017, n. 9/2017 che, – chiamata a pronunciarsi sulla questione relativa all’onere motivazionale gravate in
capo all’amministrazione in sede di adozione di un’ingiunzione di demolizione con specifico riguardo al decorso di considerevole lasso di tempo dalla realizzazione dell’abuso – ha enuncia il seguente principio: “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”
Né, in contrario rileva, il supposto provvedimento di sospensione n. 1999/15″ del Comune non contestato in prime cure e, pertanto, esorbitante dall’ambito di cognizione devoluto al giudice d’appello.
6. Col secondo motivo d’appello, la società lamenta l’errore di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar nel qualificare l’abuso, trattandosi di opere comportanti variazioni “non essenziali” di cui all’32 del d.P.R. 380/01
6.1 Il motivo è infondato.
I sottotetti, che avrebbero dovuto costituire volumi tecnici non abitabili, sono stati adibiti ad abitazione e ad ufficio con cambio di destinazione che, anche in assenza di specifiche opere edilizie, comporta aggravio del carico urbanistico, necessitante di idonea autorizzazione, legittimando pertanto l’esercizio del potere repressivo del Comune (cfr., Cons. Stato, sez. VI, n. del 13 ottobre 2020 n. 6191; Id., sez. VI, del 21 luglio 2020 n. 4664).
In aggiunta, la società appellante con atto unilaterale d’obbligo rep. 237/06, sottoscritto il 25.10.2016, s’era impegnata ” a non modificare la destinazione d’uso dei sottotetti, in assenza del previo formale assenso dell’amministrazione comunale”.
Il permesso di costruire rilasciato dal Comune ha condizionato l’intervento edilizio realizzato dalla società appellante al rispetto della destinazione d’uso dei sottotetti: l’inapplicabilità dell’atto unilaterale d’obbligo del 25.10.2006, rivendicata dalla società, comporterebbe l’annullabilità del permesso di costruire (n. 06/07 del 23.3.2006).
Da cui il difetto d’interesse a chiedere la disapplicazione dell’atto unilaterale d’obbligo.
7. Quanto all’omesso scrutinio della conformità degli interventi all’art. 6 della L.R. Campania n. 15/00, mette conto rilevare che la pendenza del procedimento finalizzato al rilascio di “permesso di costruire in sanatoria di cui alla L.R. 19/09”, costituente il presupposto giuridico fondante la censura, è stata esclusa dal Tar.
Gli interventi inclusi nella SCIA del 2015, successivamente integrata (d. 9/7/2015), sono stati inibiti dal Comune di (omissis) con provvedimento n. 1999 del 14/07/2015 – contenente l’ordine di “non iniziare oppure sospendere i lavori oggetto della SCIA con avvertenza che eventuali opere eseguite saranno considerate eseguite in carenza del prescritto titolo e sanzionate secondo le previsioni di legge” – non impugnato e quindi divenuto inopponibile.
8. Nondimeno, la natura dell’intervento abusivo – non comportante consumo del suolo – non pare in apicibus ostativa alla possibile revisione della sanzione demolitoria adottata dal Comune.
9. Le spese del presente grado seguono la soccombenza come liquidate nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna M.P. Costruzioni S.r.l. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di (omissis) che si liquidano complessivamente in 4000,00 (quattromila) euro, oltre diritti ed accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere, Estensore
Dario Simeoli – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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