Qualora una variante semplificata sia stata adottata in precipua funzione del successivo rilascio di un permesso di costruire

Consiglio di Stato, Sentenza|26 aprile 2021| n. 3333.

Qualora una variante semplificata sia stata adottata in precipua funzione del successivo rilascio di un permesso di costruire, espressamente investito dall’azione impugnatoria unitamente alla variante l’annullamento della variante predetta non comporta un effetto caducante, bensì meramente viziante sub specie di invalidità derivata, dei titoli edilizi eventualmente rilasciati sulla base della previsione urbanistica annullato, dovendo pertanto tale invalidità fatta valere con un’espressa azione impugnatoria in sede cognitoria.

Sentenza|26 aprile 2021| n. 3333

Data udienza 21 gennaio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Ordine di demolizione – Sanzioni – Variante urbanistica – Permesso di costruire – Giudizio di ottemperanza – Esecuzione di giudicato

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5965 del 2020, proposto da At. Ma. Ro., rappresentata e difesa dall’avvocato Al. Es., c on domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Al. Pl. in Roma, via (…);
nei confronti
Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Sa. Cr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ufficio Territoriale del Governo Salerno – Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via (…);
Al. Se. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Al. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fr. An. in Roma, Piazza (…);
Bo. S.r.l., non costituita in giudizio nel presente grado;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione staccata di Salerno Sezione Seconda, n. 893/2020, resa tra le parti e concernente: ottemperanza al giudicato formatosi sulla sentenza n. 1790/2016 del TAR per la Campania, Sezione staccata di Salerno;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione delle parti appellate e l’appello incidentale condizionato proposto dall’impresa Al. Se. S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2021, il consigliere Bernhard Lageder e uditi, per le parti, gli avvocati Al. Es., Al. Me. e Sa. Cr. in collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 4, comma 1, Decreto Legge n. 28 del 30 aprile 2020 e dell’art. 25, comma 2, del Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il TAR per la Campania – Sezione staccata di Salerno pronunciava definitivamente sui ricorsi per ottemperanza n. 522 del 2019 (integrato da motivi aggiunti) e n. 805 del 2019, previa riunione.
Il ricorso n. 522 del 2019 era stato proposto dall’impresa Al. Se. S.r.l. (ricorrente nel giudizio cognitorio) – in riassunzione dalla sentenza n. 1988/2019 del Consiglio di Stato, dichiarativo dell’inammissibilità per incompetenza funzionale con rimessione della causa al TAR – per l’ottemperanza e la corretta esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 1790/2016 del TAR per la Campania – Sezione staccata di Salerno.
Il ricorso n. 805 del 2019 era stato proposto da At. Ma. Ro. (controinteressata nel giudizio cognitorio definito con la sentenza n. 1790/2016), per l’ottemperanza e la corretta esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 10166/2010 del TAR per la Campania – Sezione staccata di Salerno.
Entrambe le sentenze cognitorie del TAR, previa riunione dei relativi ricorsi d’appello, erano state confermate dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2107/2018.
1.1 Con la sentenza cognitoria n. 1790/2016 il TAR aveva accolto i ricorsi n. 1780 del 2015 e n. 14 del 2016, tra di loro riuniti, entrambi proposti dall’impresa Al. Se. S.r.l., di cui il primo avverso il provvedimento n. 367 del 18 giugno 2015, con il quale il Comune di (omissis) aveva disposto la demolizione dell’ampliamento della dependance della struttura alberghiera denominata “Vi. Al.”, realizzata dalla ricorrente in esecuzione della deliberazione consiliare n. 33/2004 di variante semplificata e della successiva concessione edilizia n. 114/04, annullate dallo stesso TAR con la sentenza n. 10166/2010 su ricorso proposto dall’impresa Bo. S.r.l. (in qualità di proprietaria di un’area limitrofa alla costruzione in contestazione), ed il secondo avverso l’atto prot. n. 25411 del 23 novembre 2015, con cui il Comune aveva rilevato che l’istanza della ricorrente vò lta all’applicazione della sanzione pecuniaria non poteva essere esaminata “in quanto afferente ad un procedimento già definito in data 12/6/2015 con atto n. 13550”, con il quale il responsabile dell’Area urbanistica del Comune aveva comunicato la sospensione del procedimento di applicazione di sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione per le opere realizzate sulla base di titolo edilizio annullato, ai sensi dell’art. 38 d.P.R. n. 380/2001.
1.1.1 In particolare, il TAR con la sentenza cognitoria n. 1790/2016 aveva accolto il ricorso n. 1780 del 2015 proposto avverso il provvedimento di demolizione n. 367 del 18 giugno 2015, in considerazione sia della immotivata obliterazione delle risultanze istruttorie precedentemente acquisite (segnatamente, della relazione del responsabile dell’Area Assetto del Territorio del Comune del 5 febbraio 2014, con la quale era stata verificata la non fattibilità della “demolizione della parte delle sole autorizzate con il permesso di costruire n. 114/2004 successivamente annullato […] che danneggerebbe anche quelle regolarmente autorizzate”) sia dell’illegittima affermazione della doverosità della sanzione ripristinatoria.
1.1.2 Con la stessa sentenza, il TAR aveva accolto il ricorso n. 14 del 2016 proposto avverso l’atto soprassessorio, di “arresto” procedimentale, n. 25411 del 23 novembre 2015, sulla base del rilievo che l’ivi richiamato atto n. 13550 del 12 giugno 2015 non assumeva carattere conclusivo del procedimento, essendosi limitato a rinviare ogni determinazione conclusiva “alla presentazione di idonea documentazione atta a comprovare la impossibilità di procedere alla demolizione della parte divenuta abusiva per effetto dell’annullamento del permesso di costruire”.
1.2 Con la qui appellata sentenza n. 893/2020 – pronunciata all’esito di udienza pubblica, dopo che il TAR con l’ordinanza cautelare n. 331/2019, previa riunione dei due ricorsi, aveva accolto l’istanza di sospensiva dell’ordinanza di demolizione n. 3/2019 presentata dall’impresa Al. Se. S.r.l. e fissato udienza pubblica per la trattazione congiunta di entrambi i ricorsi (ai sensi dell’art. 32 cod. proc. amm.) -, il TAR provvedeva come segue:
(i) accoglieva il ricorso n. 522 del 2019 e i motivi aggiunti – proposti dall’impresa Al. Se. S.r.l. per sentir dichiarare la nullità, per elusione di giudicato, del provvedimento n. 28 del 14 dicembre 2018, con cui il Comune aveva respinto l’istanza di applicazione di sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione, e della successiva ingiunzione di demolizione n. 3 del 3 aprile 2019 -, rilevando che:
– alla luce del decisum della sentenza del Consiglio di Stato n. 2107/2018, con cui era stata confermata la sentenza ottemperanda n. 1790/2016, il Comune ai sensi dell’art. 38 d.P.R. n. 380/2001 avrebbe dovuto valutare la sussistenza sia del requisito della possibilità di rimuovere i vizi delle procedure amministrative (e quindi, nella specie, verificare l’effettiva efficacia, sussistenza, ampiezza e incidenza rispetto all’opera realizzata del vincolo connesso alla destinazione di zona a “verde pubblico” ), sia del requisito dell’impossibilità della restituzione in pristino;
– il gravato provvedimento di rigetto dell’istanza vò lta all’applicazione di una sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione nulla diceva riguardo al secondo requisito, mentre recava una motivazione tautologica sul primo, mediante il semplice richiamo alla sentenza n. 2107/2018;
– il provvedimento doveva pertanto dichiararsi nullo per elusione del giudicato;
– ne derivava, altresì, l’illegittimità derivata dell’ingiunzione di demolizione n. 3 del 3 aprile 2019;
(ii) dichiarava improcedibile il ricorso n. 805 del 2019 – proposta dalla signora At. Ma. Ro. avverso detta ordinanza di demolizione, in quanto limitata esclusivamente alle “opere realizzate con il permesso di costruire n. 114/2004” e non comprensiva anche delle “opere successivamente realizzate a seguito dell’approvata manovra urbanistica” -, per sopravvenuta carenza d’interesse, essendo venuto meno l’atto impugnato, nella sua totalità ;
(iii) dichiarava le spese di causa interamente compensate tra le parti.
2. Avverso tale sentenza interponeva appello la signora At., deducendo i motivi come di seguito rubricati:
a) “Error in iudicando ed error in procedendo – violazione di legge art. 111, comma 5, Cost. – violazione di legge art. 112 del c.p.a. – violazione e falsa applicazione delle norme processuali – contraddittorietà (sviamento e travisamento dei fatti) – omessa decisione (art. 105 c.p.a.)”, sotto il profilo che il TAR erroneamente avrebbe considerato quale titolo giudiziario ottemperando la sentenza d’appello n. 2107/2018 del Consiglio di Stato, anziché la sentenza di primo grado n. 1790/2016 del TAR, “la quale non aveva alcunché disposto sotto il profilo della vincolatività dell’azione amministrativa successiva, limitandosi a statuire unicamente l’obbligatorietà della riattivazione del procedimento incidentale ex art. 38 del TUE con relativa istruttoria che tenesse conto anche della fattiva partecipazione dell’appellata s.r.l.”, ed inoltre avrebbe “omesso di dare specifiche indicazioni sulle modalità esecutive del titolo giudiziario generale Sentenza n. 10166/2010, di annullamento della Delibera di Consiglio Comunale 33/2004 e dunque della variante urbanistica con il consequenziale titolo edilizio n. 114/2004” (v. così, testualmente, p. 11 del ricorso in appello);
b) “Error in iudicando ed error in procedendo – violazione di legge art. 111, comma 5, Cost. – violazione di legge art. 112 del c.p.a. – violazione e falsa applicazione delle norme processuali – contraddittorietà (sviamento e travisamento dei fatti) – omessa decisione (art. 105 c.p.a.)”, sotto il profilo dell’erronea dichiarazione di improcedibilità del ricorso n. 805 del 2019 di essa appellante, “atteso che permane l’interesse alla decisione in ordine alla necessaria statuizione sulla corretta applicazione della decisione generale di cui alla Sentenza n. 10166/2010, di annullamento della variante urbanistica” (v. così, testualmente, p. 14 del ricorso in appello);
c) “Error in iudicando ed error in procedendo – omessa pronuncia su di un punto decisivo della controversia – violazione del petitum e della causa petendi – contraddittorietà (sviamento e travisamento dei fatti)”, in relazione all’erronea declaratoria d’invalidità dell’ordinanza di demolizione n. 3/2019;
d) “Error in iudicando ed error in procedendo (violazione di legge art. 111, comma 5, Cost.) – omessa pronuncia su di un punto decisivo della controversia – violazione del petitum e della causa petendi – contraddittorietà (sviamento e travisamento dei fatti)”, atteso il difetto di motivazione e la violazione dell’obbligo di decidere, vizianti la declaratoria d’improcedibilità del ricorso n. 805 del 2019 proposto da essa appellante, con particolare riguardo alla domanda di nullità del provvedimento di revoca solo parziale dell’autorizzazione commerciale su cui nulla avevo statuito l’appellata sentenza;
e) “Error in iudicando ed error in procedendo – violazione di legge art. 111, comma 5, Cost. – omessa pronuncia su di un punto decisivo della controversia – violazione del petitum e della causa petendi – contraddittorietà (sviamento e travisamento dei fatti)”, avendo il TAR erroneamente omesso di valorizzare la circostanza che l’annullamento della variante urbanistica, con la sentenza n. 10166/2010, aveva travolto tutti i titoli edilizi rilasciati successivamente, e quindi, oltre al permesso di costruire n. 114/2004, anche il permesso di costruire n. 55/2005 e la d.i.a. del 16 maggio 2006;
f) “Error in iudicando ed error in procedendo – violazione di legge art. 111, comma 5, Cost. – omessa decisione – sviamento – travisamento dei titoli da eseguire”, sotto il profilo che “il Collegio Territoriale, fissata l’udienza pubblica, ha dato corso ad una “inedita” statuizione, dichiarando la nullità del provvedimento del 14.12.2018 n. 28, di diniego della istanza di fiscalizzazione dell’abuso, inquadrandolo nell’alveo della ottemperanza, e nel contempo l’annullamento della ingiunzione demolitoria n. 3 del 3.04.2019, inquadrandolo come giudizio ordinario, nulla disponendo in ordine alle domande avanzate dall’appellante se non una apodittica sopravvenuta carenza di interesse”, e quindi lamentando “che le domande soggette a riti diversi, contrariamente allo sviamento processuale operato dal Tar Territoriale, andavano proposte e valutate non in via cumulativa, ma l’una in via principale e l’altra in via subordinata” (v. p. 23 del ricorso in appello);
g) “Error in iudicando ed error in procedendo – violazione di legge art. 111, comma 5, Cost. – omessa decisione – sviamento – travisamento dei titoli da eseguire – violazione di legge (art. 31 e 38 del T.U.E.) – travisamento”, deducendo l’elusione delle statuizioni di cui alla sentenza n. 10166/2010 del TAR sotto il profilo che “il Tar Territoriale non ha rilevato che l’istanza di cui all’art. 38 del D.P.R. n. 380 del 2001 è stata ancorata limitatamente alle opere edilizie realizzate in forza del permesso di costruire n. 114/2004, e che successivamente al medesimo titolo sono stati rilasciati ulteriori titoli edilizi, caducati a cascata per effetto del venir meno della conformità urbanistica, sicché le opere di trasformazione realizzate debbano essere ripristinate in conformità alla disciplina urbanistica dell’area” (v. p. 25 del ricorso in appello).
L’appellante chiedeva pertanto “disporre l’integrale annullamento e/o riforma della sentenza impugnata, con o senza rinvio al Tar Territoriale”.
3. Si costituiva in giudizio l’appellata Al. Se. S.r.l., contestando la fondatezza dell’avversario appello e chiedendone la reiezione, nonché proponendo appello incidentale condizionato (all’accoglimento dell’appello principale) tramite la riproposizione delle censure di violazione degli artt. 31 e 38 d.P.R. n. 380/2001 dedotte con i motivi aggiunti di primo grado avverso l’ordinanza di demolizione n. 3/2019.
3.1 Si costituiva altresì in giudizio l’Ufficio Territoriale del Governo di Salerno, con comparsa di stile.
3.2 Si costituiva, infine, in giudizio anche il Comune di (omissis) con atto del 7 agosto 2020, con cui chiedeva il rigetto dell’appello, mentre, nella memoria del 5 gennaio 2021, censurava la statuizione di accoglimento del ricorso per ottemperanza, negando la configurabilità di un’ipotesi di elusione del giudicato, quale ritenuta dal TAR.
4. Alla camera di consiglio del 21 gennaio 2021, tenutasi come da verbale, la causa è stata trattenuta in decisione.
5. Premesso che inammissibili sono le censure mosse avverso l’appellata sentenza dal Comune di (omissis) nella memoria del 5 gennaio 2021, non avendo il Comune proposto rituale ricorso incidentale, si osserva che l’appello principale è infondato, con conseguente improcedibilità dell’appello incidentale condizionato.
5.1 Infondato è il primo motivo d’appello, con cui si deduce che il TAR erroneamente avrebbe considerato quale titolo giudiziario ottemperando la sentenza d’appello n. 2107/2018 del Consiglio di Stato, anziché la sentenza di primo grado n. 1790/2016 del TAR, in quanto:
– come chiaramente rilevato nella sentenza n. 1988/2019 del Consiglio di Stato, affermativa della competenza funzionale del TAR a conoscere del ricorso per l’ottemperanza alla sentenza n. 1790/2016 del TAR, confermata con la sentenza d’appello n. 2107/2018, quest’ultima non ha comportato un sostanziale ampliamento della portata conformativa della sentenza di primo grado;
– le considerazioni svolte al § 3.4 della sentenza d’appello n. 2107/2018, richiamate nella qui appellata sentenza, costituiscono mera esplicitazione, con formulazione diversa, degli effetti conformativi scaturenti dalla sentenza cognitoria di primo grado n. 1790/2016, la quale già aveva statuito testualmente: “[…] se l’annullamento giurisdizionale del PDC, con sentenza passata in giudicato, rende abusive le opere edilizie realizzate in base a quest’ultimo, il Comune non deve necessariamente disporre la sola riduzione in pristino potendo assumere “una gamma articolata di possibili soluzioni, della valutazione delle quali l’atto conclusivo del nuovo procedimento dovrà ovviamente dare conto” (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 15/06/2016, n. 2631) e ciò sia in presenza di vizi formali che sostanziali, con la sola esclusione dei vizi inemendabili a causa della inedificabilità dell’area […]”;
– deve pertanto confermarsi il passaggio dell’appellata sentenza censurato con il motivo all’esame, del seguente tenore letterale: “Nella fattispecie, l’autorità comunale avrebbe dovuto valutare la sussistenza di entrambi i requisiti della “rimozione dei vizi delle procedure amministrative” e dell’impossibilità della “restituzione in pristino”, alla stregua del § 3.4 della sentenza del Consiglio di Stato n. 2107/2018 che:
– sul primo requisito, ha confermato la statuizione di prime cure, nella parte in cui è stato stabilito l’obbligo per la P.A. di considerare “l’effettiva efficacia, sussistenza, ampiezza e incidenza rispetto all’opera realizzata del vincolo connesso alla destinazione di zona a verde pubblico”;
– sul secondo requisito, ha dato atto della “contestata possibilità di riduzione in pristino, con demolizione della parte costruita in ampliamento senza pregiudizio della parte conforme”.”.
Occorre, al contempo, precisare che le statuizioni del decisum ottemperando, con le quali sono stati delineati gli obblighi conformativi dell’amministrazione comunale, sono coperte da giudicato e si sottraggono quindi alle sopravvenienze giurisprudenziali (v., in particolare, Ad. plen. n. 17/2020) in tema di individuazione della natura dei vizi emendabili, in esito all’annullamento giudiziale del titolo edilizio, con lo strumento di cui all’art. 38 d.P.R. n. 380/2001.
In reiezione del profilo di censura (sempre dedotto nell’ambito del primo motivo d’appello), per cui il TAR avrebbe “omesso di dare specifiche indicazioni sulle modalità esecutive del titolo giudiziario generale Sentenza n. 10166/2010, di annullamento della Delibera di Consiglio Comunale 33/2004 e dunque della variante urbanistica con il consequenziale titolo edilizio n. 114/2004”, si osserva che:
– gli effetti scaturenti dalla statuizione di annullamento della variante urbanistica semplificata, di cui alla sentenza n. 10166/2010 (quale confermata dalla sentenza n. 2107/2018 del Consiglio di Stato), sono costituiti, per un verso, dalla reviviscenza dell’assetto urbanistico anteriore all’annullata delibera consiliare n. 33 dell’8 luglio 2004, e, per altro verso, dall’invalidità derivata del permesso di costruire n. 114/04, consequenzialmente annullata dalla medesima sentenza n. 10166/2010;
– nella qui impugnata sentenza di ottemperanza il TAR, con le sopra riportate statuizioni, ha compiutamente tenuto conto dell’effetto scaturente dall’annullamento della variante urbanistica, specificando gli oneri motivazionali che avrebbero dovuto sorreggere le determinazioni dell’amministrazione comunale sull’istanza ex art. 38 d.P.R. n. 380/2001, nella specie tuttavia rimasti non assolti dal provvedimento n. 28 del 14 dicembre 2018, di diniego dell’istanza di applicazione della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione;
– infondato è, poi, l’assunto dell’appellante, per cui l’annullamento della variante urbanistica semplificata avrebbe travolto anche i titoli edilizi diversi da quello espressamente annullato n. 114/2004, segnatamente il permesso di costruire n. 55/2005 e la d.i.a. del 16 maggio 2006, non comportando invero l’annullamento della variante semplificata dello strumento urbanistico un effetto caducante, bensì meramente viziante sub specie di invalidità derivata, dei titoli edilizi eventualmente rilasciati sulla base della previsione urbanistica annullato, e dovendo pertanto tale invalidità fatta valere con un’espressa azione impugnatoria in sede cognitoria, nella specie non proposta nel giudizio definito con la sentenze n. 10166/2010 invocata dall’odierna appellante;
– peraltro, la variante semplificata in questione era stata adottata in precipua funzione del successivo rilascio del permesso di costruire n. 114/2004, espressamente investito dall’azione impugnatoria unitamente alla variante, sicché gli effetti demolitori e conformativi della sentenza n. 10166/2010 dovevano ritenersi limitati alle opere autorizzate con tale titolo edilizio;
– la pretesa dell’odierna appellante di estendere i menzionati effetti anche a titoli edilizi diversi da quello espressamente impugnato e annullato in sede cognitoria, esula pertanto dai limiti oggettivi del giudicato formatosi sulla predetta sentenza.
Considerazioni identiche valgono a respingere il profilo di censura con cui l’appellante critica l’intervenuta revoca soltanto parziale dell’autorizzazione commerciale, limitatamente alla parte dell’immobile oggetto dell’annullata concessione edilizia n. 114/2004.
5.2 Dalle considerazioni sopra svolte deriva l’infondatezza del secondo, quarto, quinto e settimo motivo d’appello, riportati sopra sub § § 2.b), 2.d), 2.e) e 2.g), tutti incentrati sulla sopra rilevata erronea ricostruzione dei limiti oggettivi del giudicato formatosi sulla sentenza n. 10166/2010.
5.3 Destituito di fondamento è il terzo motivo d’appello sub § 2.c), costituendo la declaratoria d’invalidità del gravato provvedimento di demolizione n. 3/2019 null’altro che la statuizione logicamente consequenziale alla dichiarazione di nullità del provvedimento di diniego dell’istanza di applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001, per elusione degli effetti conformativi scaturenti dal giudicato formatosi sulla sentenza n. 1790/2016.
5.4 Destituito di fondamento è, infine, anche il sesto motivo d’appello sub 2.f), non essendo ravvisabile alcun pregiudizio specifico al diritto di difesa dell’odierna appellante, derivante dalla trattazione delle domande di primo grado secondo le forme del rito ordinario anziché nelle forme del rito camerale, per il resto basandosi il motivo all’esame ancora una volta su un’erronea ricostruzione dei limiti oggettivi del giudicato formatosi sulla sentenza n. 10166/2010.
5.5 Conclusivamente, per le considerazioni tutte sopra svolte, s’impone la reiezione dell’appello principale, con sequela di improcedibilità dell’appello incidentale condizionato proposto dall’impresa Al. Se. S.r.l..
6. Tenuto conto di ogni circostanza connotante la presente controversia, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra tutte le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 5965 del 2020), respinge l’appello principale, dichiara improcedibile l’appello incidentale condizionato e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza; dichiara le spese del presente grado di giudizio interamente compensate fra tutte le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2021, con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Bernhard Lageder – Consigliere, Estensore
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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