Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 22 luglio 2019, n. 5121.
La massima estrapolata:
Il proprietario dell’immobile, fino a prova contraria, deve ritenersi, almeno, corresponsabile dell’abuso.
Sentenza 22 luglio 2019, n. 5121
Data udienza 4 luglio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6958 del 2009, proposto dalla signora Mi. Ol., rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Na., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ra. An. in Roma, via (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ca., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Da. Di Gr. in Roma, via (…), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
La signora Ro. Ma., rappresentata e difesa dagli avvocati An. Ma. Pi. e Ni. Pi., con domicilio eletto presso lo studio Al. Co. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, Sez. I, n. 333/2009, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis) e di Ro. Ma.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 luglio 2019 il Cons. Roberto Proietti e udito l’avvocato Ni. Pi. per sé e per l’avvocato Gi. Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso R.G. n. 588/2008, la signora Ol. Mi. ha impugnato dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, il provvedimento del Settore Programmazione Urbanistica del Comune di (omissis) n. 35172 del 29 luglio 2008, con il quale, in relazione al fabbricato sito in (omissis) Corso (omissis), è stato negato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria per modifica di prospetti e di aperture esterne e per aumento di superficie utile locale sottotetto, nonché l’ordinanza di demolizione n. 268 del 21 ottobre 2008, emessa dal Dirigente del Settore Programmazione Urbanistica, con la quale, è stato disposto il “ripristino dello status quo ante nel rispetto della licenza edilizia n. 22 del 1953 entro il termine perentorio di giorni 90 (novanta) con effetto dalla data di notifica” dell’ordinanza stessa.
Con la sentenza n. 333 del 23 aprile 2009, il TAR per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, ha respinto il ricorso.
Avverso tale sentenza la signora Ol. Mi. ha proposto appello (R.G. n. 6958/2009) dinanzi al Consiglio di Stato, proponendo un unico articolato motivo di ricorso, con il quale ha dedotto l’illegittimità e la contraddittorietà manifesta della sentenza di primo grado.
Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto dell’appello.
Anche la controinteressata Ma. Ro. (proprietaria dell’appartamento confinante con quello oggetto di contenzioso) si è costituita in giudizio, reiterando l’eccezione di irricevibilità del ricorso di primo grado per decadenza dal termine per l’impugnazione (già formulata nel corso del giudizio di primo grado) e chiedendo il rigetto dell’appello.
Con l’ordinanza n. 4999/2009, è stata accolta la domanda cautelare proposta dall’appellante e, per l’effetto, è stata sospesa l’efficacia della sentenza di primo grado n. 333 del 23.04.2009, in considerazione dell’esigenza di verificare in sede di merito i contenuti delle sovrapposizioni edilizie realizzate nel corso del tempo.
Con istanza depositata il 30 marzo 2017, la signora Ma. Ro. ha chiesto che il ricorso sia dichiarato perento.
All’udienza del 4 luglio 2019 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio, preliminarmente, respinge l’istanza con la quale Ma. Ro. ha chiesto che sia dichiarato perento il ricorso.
Invero, la signora Ol. Mi. ha depositato il ricorso in appello il 12.08.2009 e l’istanza di fissazione d’udienza il 14.08.2009.
A seguito di avviso di perenzione ultraquinquennale, ai sensi dell’art. 82, comma 1, c.p.a., l’appellante ha depositato una ulteriore istanza di fissazione di udienza in data 10 ottobre 2014.
L’art. 81, comma 1, c.p.a., invocato dalla controinteressata, prevede che il “ricorso si considera perento se nel corso di un anno non sia compiuto alcun atto di procedura”, ma precisa che il “termine non decorre dalla presentazione dell’istanza di cui all’articolo 71, comma 1, e finché non si sia provveduto su di essa, salvo quanto previsto dall’articolo 82”.
Nel caso di specie, l’appellante ha presentato l’istanza di fissazione di udienza in data 10 ottobre 2014 e, quindi, non può essere dichiarata la perenzione del ricorso ai sensi di tale disposizione, né ai sensi dell’articolo 82 c.p.a., non essendo nuovamente decorso un altro termine ultraquinquennale.
2. Sempre in via preliminare, va esaminata l’eccezione di irricevibilità del ricorso di primo grado per decadenza dal termine per l’impugnazione, già formulata nel giudizio di primo grado dalla controinteressata.
A suo avviso, la nota del Comune di (omissis) prot. n. 9609 del 29 febbraio 2008 (notificata il 3 marzo 2008) andrebbe considerata, contestualmente, preavviso di rigetto e provvedimento finale di diniego, mentre la nota prot. n. 35172 del 29 luglio 2008 – impugnata dall’appellante unitamente al conseguente ordine di demolizione – costituirebbe un atto meramente confermativo del primo.
Pertanto, stante la mancata impugnazione del primo atto, il secondo provvedimento (e cioè la nota prot. n. 35172/2008) non sarebbe idoneo a riaprire i termini per l’impugnativa, con conseguente decadenza dalla possibilità di contestare l’ordine di demolizione.
L’eccezione è infondata.
Invero, la nota prot. n. 9609/2008 integra una comunicazione ex articolo 10 bis della legge n. 241 del 1990, con la quale l’Amministrazione ha rappresentato i motivi ostativi all’accoglimento della domanda di permesso di costruire in sanatoria, evidenziando che “dal rapporto di servizio del 19 febbraio 1998 del Corpo di Polizia Municipale è emerso che la SV non è in possesso di titoli edilizi riferiti al piano sottotetto oggetto di sanatoria edilizia”.
Al riguardo, Ol. Mi. ha presentato proprie deduzioni scritte in data 11 aprile 2008 (prot. comunale n. 16132).
Con successiva nota prot. n. 35172/2008, l’Amministrazione comunale ha descritto in modo analitico l’abuso edilizio realizzato ed ha illustrato le ragioni del diniego del permesso di costruire in sanatoria, rappresentando che: “dai rapporti di servizio del 19 febbraio 1998 del Corpo di Polizia Municipale e del 23 luglio 2008 di questo Ufficio è emerso che attualmente i piani sono cinque e l’altezza totale dell’edificio alla linea di gronda è di mt. 14,70; risulta pertanto che l’edificio è stato oggetto di sopraelevazione alla linea di gronda di mt. 4,00 in assenza di Titoli Abilitativi; la costruzione è in contrasto con le Norme del Vigente P.R.G. in quanto nel Centro Storico, secondo il Vigente Piano Particolareggiato, non sono ammesse sopraelevazioni di fabbricati”.
La suindicata nota prot. n. 35172/2008 integra, dunque, il provvedimento finale di diniego del permesso di costruire in sanatoria e, conseguentemente, la signora Ol. Mi. era nei termini per impugnare sia il suddetto diniego, che la conseguente ordinanza di demolizione.
Quindi, l’eccezione di irricevibilità del ricorso di primo grado deve essere respinta.
3. Passando all’esame del merito della controversia, si rileva che l’appellante ha affermato l’erroneità della sentenza di primo grado, evidenziando che non sussisterebbero prove documentali idonee a dimostrare la sua responsabilità nella commissione della violazione edilizia contestata con i provvedimenti impugnati; non potrebbe escludersi (sempre secondo l’appellante) che tali opere abusive siano state realizzate dal suo dante causa (signor Pa. Ca.) nel 1953, anno in cui si procedette alla completa demolizione e alla ricostruzione del fabbricato in questione (cfr. punti sub A e E del ricorso in appello).
Tali doglianze possono essere trattate congiuntamente e vanno respinte per le ragioni di seguito indicate.
Dalla documentazione in atti si evince che in relazione all’immobile in oggetto è stata rilasciata, nel 1953, al dante causa dell’odierna appellante la concessione edilizia n. 22 per la ricostruzione del fabbricato di altezza alla linea di gronda di mt. 10,70, pari a tre piani e piano sottotetto in ritiro con terrazza antistante.
Per il medesimo immobile risultano essere state rilasciate, poi, alla appllante la concessione edilizia n. 102 del 26 febbraio 1998 e la D.I.A. in variante prot. n. 3178 del 7 agosto 1998 per lavori di rifacimento della copertura del fabbricato.
Ma dalla contestata ordinanza di demolizione n. 268/2008 emerge che l’abuso edilizio perpetrato consiste nella realizzazione “di un ulteriore piano non previsto nella licenza edilizia n. 22 del 1953 (avente ad oggetto tre piani più sottotetto) rilasciata a Pa. Ca. per demolizione e ricostruzione fabbricato sito in (omissis) C.so (omissis). Attualmente, si evidenziano quattro piani più sottotetto per un’altezza totale dell’edificio alla linea di gronda di rnt.14,70, difforme dall’altezza prevista di mt.10,70, con una sopraelevazione alla linea di gronda di mt. 4,00”.
Dalla documentazione depositata in atti e dagli accertamenti tecnici effettuati dall’Amministrazioni comunale, non risulta che siano stati rilasciati per il fabbricato in questione titoli edilizi legittimanti gli interventi di sopraelevazione oltre i mt. 10,70 assentiti con la suindicata concessione edilizia del 1953.
Pertanto, correttamente il giudice di primo grado ha rilevato che l’edificio in questione è stato oggetto di un illegittimo intervento di soprelevazione – e cioè i 4 mt. in più rispetto ai 10,70 previsti dalla concessione edilizia del 1953 – non assentito da alcun titolo edilizio e, quindi, del tutto abusivo.
Parte appellante si è limitata ad affermare di essere estranea alla commissione dell’abuso, ma non ha addotto alcun elemento probatorio idoneo a dimostrare l’assunto.
Sul punto, la giurisprudenza ha affermato che il proprietario dell’immobile, “fino a prova contraria”, deve ritenersi, almeno, corresponsabile dell’abuso (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1179/2013; Cons. Stato, sez. VI, n. 4913/2013).
Si rammenta, inoltre, che la sanzione della demolizione (cfr. artt. 31 ss. D.P.R. n. 380/2001) ha carattere reale, ossia colpisce la res abusiva, a prescindere dalla attuale titolarità del diritto di proprietà in capo a chi non sia autore dell’abuso (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 1060/2017).
Le vicende civilistiche sulla titolarità, infatti, non incidono sul potere di reprimere gli abusi edilizi, che rilevano sul piano oggettivo.
In considerazione di quanto sopra, non si riscontrano nella sentenza impugnata le criticità evidenziate dall’appellante.
4. Sotto altro profilo, l’appellante ha censurato l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui la sussistenza del piano in più è stata data per scontata, senza che fossero state eseguite precise misurazioni ai fini dell’adozione dell’ordine di demolizione basato proprio sulla contestata edificazione di quattro metri realizzati in sopraelevazione (cfr. punto sub B del ricorso in appello).
Al riguardo, il Collegio osserva che ciò che è stata contestato nel caso di specie è la realizzazione sine titulo (e, quindi, abusiva) di un piano in più, la cui presenza è stata appurata a seguito degli accertamenti eseguiti dai competenti Uffici dell’Amministrazione comunale (cfr. rapporto di servizio del 19 febbraio 1998 del Corpo di Polizia Municipale; e note prot. n. 35172/2008 e prot. n. 9609/2008), non previsto nella documentazione allegata alla concessione edilizia del 1953, né nei successivi titoli edilizi rilasciati all’odierna appellante e, per giunta, in contrasto con le norme del vigente P.R.G., in quanto nel Centro Storico (ove è ubicato l’immobile de quo), secondo il vigente Piano Particolareggiato, non sono ammesse sopraelevazioni di fabbricati.
Pertanto, anche tale censura risulta infondata.
5. Va respinta anche la censura con la quale l’appellante ha invocato il principio del legittimo affidamento ed ha osservato che il giudice di primo grado avrebbe trascurato di rilevare la mancata indicazione, da parte del Comune di (omissis), delle ragioni di interesse pubblico sottese all’ordine di demolizione (cfr. punto sub C del ricorso in appello).
Sul punto, questo Collegio condivide il principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9/2017 secondo il quale è stato affermato che “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.
Alla luce di tali considerazioni, risulta infondata anche la doglianza inerente all’asserito legittimo affidamento evocato dall’appellante.
6. Infine, l’appellante ha contestato la decisione di primo grado nella parte in cui sarebbero state trascurate le conseguenze dannose che dalla demolizione si ripercuoterebbero sull’edificio della controinteressata signora Ma. Ro., che presenterebbe la sommità costruita in appoggio con l’ultimo piano ritenuto abusivo (cfr. punto sub D del ricorso in appello).
Al riguardo, va osservato che l’appellante non ha fornito idonei elementi di valutazione a dimostrazione di quanto affermato; l’Amministrazione non ha riscontrato alcunché al riguardo; mentre la stessa controinteressata non ha confermato la presenza di eventuali rischi per il proprio immobile derivanti dalla demolizione del manufatto abusivo precisando, invece, che dagli elaborati fotografici depositati in giudizio emerge che il fabbricato non risulta in aderenza al piano abusivo.
Conseguentemente, anche tale censura è da ritenere infondata.
7. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che l’appello sia infondato e debba essere respinto.
8. Le spese del secondo grado seguono la soccombenza, nella misura liquidata nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 6968 del 2009, come in epigrafe proposto:
• respinge l’appello;
• condanna la parte appellante alla rifusione delle spese di lite del giudizio d’appello in favore dell’Amministrazione appellata e della controinteressata, che liquida nella misura di Euro 3.000,00, per ciascuna delle parti (e per il totale di Euro 6.000), oltre accessori di legge;
• ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 4 luglio 2019, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere
Roberto Proietti – Consigliere, Estensore
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