Consiglio di Stato, Sentenza|24 giugno 2021| n. 4844.
Il principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione, in quanto principio generale del procedimento di gara è necessariamente destinato ad essere adattato alla specificità della fattispecie che venga di volta in volta in rilievo e deve essere inteso ed applicato in coerenza con i concorrenti principi di ragionevolezza e proporzionalità, aventi rango non subordinato ai fini della disciplina del procedimento selettivo.
Sentenza|24 giugno 2021| n. 4844. Il principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione
Data udienza 10 giugno 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Gara per l’affidamento di servizi – Art. 26, L.n. 488/1999 – Art. 58, L. n. 388/2000 – Provvedimento di aggiudicazione – Criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa – Vincolo di aggiudicazione – Sanzione interdittiva antimafia – Art. 91, D.Lgs. n. 159/2011 – Art. 32, comma 10, D.L. n. 90/2014 – Gestione commissariale – Principio di necessaria continuità del possesso dei requisiti di partecipazione – Il principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1956 del 2021, proposto da
Ma. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Ad., Fr. Ga. Sc. e Ig. Tr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Fr. Ga. Sc. in Roma, via (…);
contro
Consip s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
La Ca. Gl. Se. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mi. Pe. e Sa. St. Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Mi. Pe. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 13824/2020, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Consip s.p.a. e di La Ca. Gl. Se. s.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 giugno 2021 il Cons. Ezio Fedullo e uditi gli Avvocati Pi. Ad., Fr. Ga. Sc., Ig. Tr., Mi. Pe., Ad. Ma. su delega dichiarata di Sa. St. Da. e l’Avvocato dello Stato Em. Da.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
Il principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione
FATTO e DIRITTO
Con la sentenza (in forma semplificata) appellata, il T.A.R. per il Lazio ha respinto il ricorso proposto dalla odierna appellante avverso la nota Consip prot. n. 38872/2020 del 29 settembre 2020, avente ad oggetto: “Gara per l’affidamento dei servizi di pulizia, di sanificazione ed altri servizi per gli Enti del Servizio Sanitario Nazionale ai sensi dell’art. 26 legge n. 488/1999 e s.m.i. e dell’art. 58 legge n. 388/2000 – ID 1460 – LOTTO 1 Comunicazione ex art. 79, comma 5 lett. a) del D.Lgs. 163/2006”, con la quale si comunicava l’aggiudicazione del Lotto 1 della gara in oggetto in favore del RTI La Ca. Gl. Se. s.r.l. – Gl. Cr. s.r.l., nonché avverso il relativo provvedimento di aggiudicazione.
Premesso che la gara, alla quale partecipava la società ricorrente, doveva essere aggiudicata secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e che la stessa si classificava al secondo posto nella graduatoria del Lotto 1 (con un punteggio totale di 79,225 punti, di cui 42,225 per l’offerta tecnica e 37,000 per l’offerta economica, a fronte del punteggio totale di 81,469 punti, di cui 46,100 per il profilo tecnico e 35,369 per il profilo economico, conseguito dalla aggiudicataria), a seguito dell’esclusione del concorrente Ma. Società Consortile e dell’applicazione del vincolo di aggiudicazione di cui all’art. 2.2 del disciplinare di gara, essa deduceva in primo grado che l’aggiudicataria, dopo la presentazione dell’offerta in data 28 aprile 2015, era stata colpita in data 22 giugno 2015 da una sanzione interdittiva antimafia ex art. 91 del D. Lgs. n. 159/2011, nonché sottoposta, ai sensi dell’art. 32, comma 10, del D.L. n. 90/2014, alla gestione commissariale dal Prefetto nel luglio 2015 e poi successivamente ad amministrazione giudiziaria dei beni utilizzabili per lo svolgimento dell’attività d’impresa, ai sensi dell’art. 34 del D.Lgs. 159/2011, come da decreto del Tribunale di Roma n. 102 del 27 luglio 2015.
Lamentava quindi che la stazione appaltante non aveva escluso, in forza della suddetta circostanza, il RTI controinteressato, in violazione del principio di necessaria continuità del possesso dei requisiti di partecipazione dal momento della presentazione della domanda di partecipazione fino all’aggiudicazione, non rilevando al suddetto fine che il Prefetto della Provincia di Roma, con il provvedimento prot. n. 255925 del 22 settembre 2015, aveva revocato l’informativa antimafia (richiamando il dispositivo dell’ordinanza del Tribunale di Roma del 17 settembre 2015 che aveva confermato che per l’aggiudicataria “alla data odierna, non sussistono le cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 del D. Lgs. 6/9/2011, n. 159, nonché le situazioni di cui all’art. 84, comma 4 e all’art. 91, comma 6 del D. Lgs. 06/09/2011, n. 159. La misura della straordinaria e temporanea gestione ai sensi dell’art. 32, comma 10 della Legge 11.8.2014, n. 114 cessa dalla data del presente provvedimento”), atteso che, poiché i rischi di infiltrazione mafiosa che avevano riguardato l’impresa in questione erano stati arginati grazie all’intervento degli amministratori nominati dal Tribunale di Roma, solo a partire da tale fase l’impresa avrebbe potuto tornare a svolgere la propria attività sul mercato.
Il principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione
Sotto altro profilo, la ricorrente lamentava l’omessa comunicazione della sanzione interdittiva alla stazione appaltante da parte dell’aggiudicataria, reputando trattarsi di violazione ex se idonea a determinarne l’esclusione dalla gara.
Il T.A.R. ha respinto preliminarmente il secondo motivo di ricorso, rilevando che, con nota tramessa il 20 aprile 2016, gli amministratori giudiziari della società La Ca. Gl. Se. avevano comunicato alla Consip il subentro nei poteri di rappresentanza, unitamente all’applicazione della misura di prevenzione di cui all’art. 34 del D.lgs. n. 159/2011 e alla documentazione concernente la misura interdittiva e la sua revoca, entrambe annotate nel casellario informatico dell’ANAC, con la conseguente non ravvisabilità di alcuna violazione degli obblighi di comunicazione in capo alla controinteressata.
Quanto al primo motivo di ricorso, invece, il T.A.R. ha ricostruito preliminarmente la sequenza fattuale sulla quale si innestava la res controversa, nei termini di seguito riportati: a) il Prefetto di Roma aveva assunto nei confronti della controinteressata l’informativa interdittiva antimafia prot. 175305/area 1 bis O.S.P. del 22 giugno 2015, ai sensi e per gli effetti di cui al combinato disposto degli artt. 84, commi 3 e 4, e 91del D.lgs. n. 159/2011; b) con il successivo decreto n. 185626 del 2 luglio 2015, il medesimo Prefetto di Roma, ravvisando la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 32, comma 10, del D.L. n. 90/2014, aveva disposto la gestione temporanea e straordinaria della società controinteressata nominando due amministratori ed individuandone poi un terzo; c) con decreto n. 102 del 27 luglio 2015, il Tribunale di Roma – Sezione Misure di Prevenzione – aveva disposto, ai sensi dell’art. 34, commi 2 e 3, del D.lgs. n. 159/2011 e per la durata di sei mesi, la misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria con riguardo a “tutti i beni direttamente ed indirettamente utilizzabili per lo svolgimento delle attività economiche facenti capo alla La Ca.”, precisando in motivazione che “l’amministrazione giudiziaria pone le condizioni per ottenere dalla Prefettura di ricollocare le società interessate, oggi sotto interdittiva antimafia, nella white list ed al Gruppo di proseguire la propria rilevantissima attività aziendale partecipando anche a nuovi appalti pubblici e garantendo il lavoro alle migliaia di lavoratori impegnati”; d) con atto del 28 luglio 2015 n. 209800/Area I bis/O.S.P., il Prefetto di Roma, alla luce del decreto del Tribunale di Roma n. 102/2015, aveva sospeso la misura della temporanea gestione dell’impresa, ai sensi dell’art. 32, comma 10, del D.L. n. 90/2014, convertito nella legge n. 114/2014, precisando che, “alla luce della misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria disposta dall’A.G., l’attività delle società (…) potrà proseguire attraverso l’amministrazione giudiziaria e limitatamente alla durata della stessa”; e) in data 1° agosto 2015, il Tribunale di Roma, ad integrazione del precedente decreto n. 102/2015, autorizzava, tra l’altro, “la piena operatività e continuità aziendale” delle società del Gr. “La Ca.”, “partecipando anche a nuove gare e bandi e ponendo in essere attività varie funzionali all’acquisizione di nuove commesse e nuovi contratti”; f) con ordinanza del 16 settembre 2015 il Tribunale di Roma, su istanza degli amministratori giudiziari, aveva chiesto alla Prefettura di “valutare la revoca di detti provvedimenti interdittivi”, affermando contestualmente che “ai sensi dell’art. 34 del D.lgs. n. 159/2011, le società di cui in premessa non hanno alcuna preclusione, anche solo temporale, alla partecipazione/aggiudicazione alle gare di appalto e ciò anche con riferimento alle procedure le cui offerte sono state presentate prima dell’adozione del provvedimento prefettizio recante l’informazione interdittiva”; g) con provvedimento n. 255925/Area I bis/O.S.P. del 22 settembre 2015, il Prefetto di Roma aveva dichiarato cessata la misura della straordinaria e temporanea gestione dell’impresa, attestando l’insussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 del D.lgs. n. 159/2011, nonché delle situazioni di cui all’art. 84, comma 4, e all’art. 91, comma 6, del citato D.lgs..
Il T.A.R. quindi, dopo aver rimarcato la natura (non sanzionatoria ma preventiva) dell’interdittiva antimafia e richiamato il disposto dell’art. 38, comma 1, lett. m), del D.lgs. n. 163/2006, applicabile ratione temporis, a mente del quale “sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: (…) m) nei cui confronti è stata applicata la sanzione interdittiva di cui all’articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo dell’8 giugno 2001 n. 231 o altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione compresi i provvedimenti interdittivi di cui all’articolo 36-bis, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006 n. 248”, ha evidenziato, in chiave reiettiva, che “secondo l’orientamento della giurisprudenza formatosi nella vigenza della predetta norma “l’interdittiva antimafia non è (…) un requisito (di ordine generale) ai sensi dell’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, ovvero una caratterizzazione soggettiva dell’impresa, ma produce gli effetti di una misura di prevenzione finalizzata a negare l’accesso alle commesse pubbliche alle imprese sospettabili di connessione con la criminalità organizzata. Ove gli effetti di un tale sospetto, formalizzati nel provvedimento interdittivo, vengano meno, cessa la ragione stessa della inabilitazione e la sua (temporalmente) circoscritta previgenza non preclude la stipula del contratto, né, a maggior ragione, impone l’esclusione o la revoca dell’aggiudicazione. Del resto, il non essere stato destinatario di un’interdittiva antimafia non è condizione che la legge eleva a requisito generale di qualificazione alle procedure di evidenza pubblica. A questo riguardo, è bene precisare ancora che non trova applicazione alla fattispecie de qua la previsione dell’art. 38, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 163 del 2006, come agevolmente inferibile dalla lettura delle disposizioni di rinvio nella stessa contenute (art. 9, comma 2, lett. c, del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 ed art. 36-bis, comma 1, del d.-l. 4 luglio 2006, n. 223, come conv. dalla l. 4 agosto 2006, n. 248), che nulla hanno a che vedere con le interdittive antimafia. E’ per tale essenziale ragione che non vi è spazio per invocare il principio di continuità dei requisiti generali e speciali, che devono (questi sì ) essere posseduti, in un procedimento di gara, dai candidati non solo alla data di scadenza del termine per la presentazione della richiesta di partecipazione alla procedura di affidamento, ma anche per tutta la durata della procedura fino all’aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto, nonché per tutto il periodo dell’esecuzione dello stesso, secondo l’insegnamento di Cons. Stato, Ad. plen., 20 luglio 2015, n. 8″ (cfr. Cons. Stato, V, 8.7.2020, n. 4373; Cons. Stato, V, 10.4.2017, n. 1677)”.
Mediante i motivi di appello, l’originaria ricorrente lamenta l’erroneità, sotto plurimi profili, della sentenza appellata, chiedendone la riforma ed il consequenziale accoglimento del ricorso di primo grado.
Il principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione
Si oppone invece all’accoglimento dell’appello, eccependone anche l’inammissibilità così come quella del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, la società La Ca. Gl. Se. s.r.l., in proprio e in qualità di capogruppo mandataria dell’A.T.I. costituita con la società mandante Gl. Cr. s.r.l..
Si è altresì costituita in giudizio Consip s.p.a., con la medesima finalità di opporsi all’accoglimento del gravame.
Tanto premesso, e venendo alle valutazioni della Sezione, va rilevato che costituisce oggetto di controversia la questione della sussistenza di una causa di preclusione alla partecipazione ad una gara pubblica, con il conseguente obbligo della stazione appaltante di escluderla dal procedimento selettivo al quale essa abbia chiesto di prendere parte, nei confronti di un’impresa attinta da un provvedimento interdittivo antimafia ai sensi degli artt. 84, commi 3 e 4, e 91del D.lgs. n. 159/2011.
Nella fattispecie in esame, infatti, la società La Ca. s.r.l., aggiudicataria della gara de qua in RTI con la società Gl. Cr. s.r.l., della quale era mandataria, successivamente alla presentazione dell’offerta, avvenuta in data 28 aprile 2015, era stata attinta dall’informativa interdittiva antimafia emessa dal Prefetto di Roma in data 22 giugno 2015.
La questione interpretativa nasce essenzialmente dal fatto che, con riferimento ai procedimenti di gara sottoposti, come quello in esame, al d.lvo n. 163/2006, non vige una norma analoga a quella introdotta dall’art. 80, comma 2, d.lvo n. 50/2016, ai sensi del quale “costituisce altresì motivo di esclusione la sussistenza, con riferimento ai soggetti indicati al comma 3, di cause di decadenza, di sospensione o di divieto previste dall’articolo 67 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 84, comma 4, del medesimo decreto”.
Deve infatti escludersi che la misura interdittiva sia riconducibile al novero delle cause escludenti di cui all’art. 38, comma 1, lett. b) d.lvo n. 163/2006, ai sensi del quale “sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: (…) nei cui confronti è pendente procedimento per l’applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all’articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 o di una delle cause ostative previste dall’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575…”.
Premesso infatti che, ai sensi dell’art. 116, comma 2, d.lvo n. 159/2011, “dalla data di cui al comma 1, i richiami alle disposizioni contenute nella legge 31 maggio 1965, n. 575, ovunque presenti, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni contenute nel presente decreto”, è sufficiente evidenziare che l’art. 67 d.lvo cit., nel quale sono confluite le disposizioni recate dall’art. 10 l. n. 575/1965, attiene alle “misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II”, quale non può considerarsi l’informazione interdittiva antimafia, contemplata dal libro II, capo IV, del medesimo testo legislativo: né in senso contrario potrebbe rilevarsi, come fa la parte appellante, che l’art. 84 d.lvo n. 159/2011, cui a sua volta rinviano gli artt. 91 e 94 del medesimo d.lvo, richiama il citato art 67, atteso che l’art. 84 ha ad oggetto il contenuto della documentazione antimafia (la quale, sia nella species della comunicazione sia in quella della informazione antimafia, “consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67”), ma non può essere invocato al fine di estendere il perimetro della portata escludente dell’art. 67 a fattispecie (come quella ipoteticamente derivante dall’accertamento di un tentativo di infiltrazione mafiosa, costituente l’oggetto precipuo dell’informazione antimafia) ad esso estranee.
Ad analoghe conclusioni interpretative, a fortiori, deve pervenirsi con riguardo al disposto dell’art. 38, comma 1, lett. m) d.lvo n. 163/2006, a mente del quale la causa escludente deve trovare applicazione ai soggetti “nei cui confronti è stata applicata la sanzione interdittiva di cui all’articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo dell’8 giugno 2001 n. 231 o altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione compresi i provvedimenti interdittivi di cui all’articolo 36-bis, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006 n. 248”, tenuto conto dell’evidente estraneità della misura interdittiva ex d.lvo n. 159/2011 al novero di quelle contemplate dalla disposizioni oggetto di rinvio.
Nemmeno la fonte dell’obbligo escludente può ravvisarsi nel disposto dell’art. 95, comma 1, d.lvo n. 159/2011, ai sensi del quale “se taluna delle situazioni da cui emerge un tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all’articolo 84, comma 4, ed all’articolo 91, comma 6, interessa un’impresa diversa da quella mandataria che partecipa ad un’associazione o raggruppamento temporaneo di imprese, le cause di divieto o di sospensione di cui all’articolo 67 non operano nei confronti delle altre imprese partecipanti quando la predetta impresa sia estromessa o sostituita anteriormente alla stipulazione del contratto. La sostituzione può essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione delle informazioni del prefetto qualora esse pervengano successivamente alla stipulazione del contratto”: la norma focalizza infatti la rilevanza ostativa dell’interdittiva in relazione alla fase della stipulazione del contratto, senza che alla stessa possano quindi attribuirsi effetti inibenti la partecipazione alla gara dell’impresa interdetta.
Allo stesso modo, non giova alla parte appellante il richiamo ai principi giurisprudenziali secondo i quali l’informazione antimafia incide sulla capacità giuridica del suo destinatario, il quale, per effetto di tale misura interdittiva, non può essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive che implichino rapporti giuridici con la P.A. (Cons. Stato, Ad. Pl.,n. 23 del 26 ottobre 2020).
In primo luogo, invero, la mera partecipazione alla gara – che la parte appellante assume inibita dal provvedimento interdittivo – non è suscettibile di determinare l’acquisizione di risorse pubbliche da parte dell’impresa interdetta (evento che la speciale forma di incapacità giuridica derivante dall’interdittiva è finalizzata ad evitare), inerendo ad una relazione procedimentale in divenire, la cui eventuale evoluzione, favorevole all’impresa attinta dal provvedimento interdittivo, deve comunque misurarsi con la preclusione (alla stipulazione del contratto) sancita dall’art. 94, comma 1, d.lvo n. 159/2011.
In secondo luogo, l’intrinseco carattere temporaneo della suddetta incapacità, posto in evidenza dalla pronuncia citata, collide con l’attribuzione alla stessa di effetti definitivamente preclusivi della chance di aggiudicazione, quali deriverebbero dall’esclusione dell’impresa colpita da un provvedimento interdittivo nel corso del procedimento di gara, laddove la stessa sia reintegrata nella sua piena capacità giuridica (per effetto della cessazione del regime interdittivo) nelle more della sua definizione.
In ogni caso, ritiene la Sezione che la soluzione della controversia possa essere individuata ponendo in luce le caratteristiche peculiari che ne hanno contraddistinto lo svolgimento.
Deve preliminarmente osservarsi che il pur indiscusso principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione, in quanto principio generale del procedimento di gara (necessariamente destinato, quindi, ad essere adattato alla specificità della fattispecie che venga di volta in volta in rilievo), deve essere inteso ed applicato in coerenza con i concorrenti principi di ragionevolezza e proporzionalità, aventi rango non subordinato ai fini della disciplina (per gli aspetti non compiutamente regolamentati in via legislativa) del procedimento selettivo.
Corollario di tale rilievo è che la pur accertata discontinuità nel possesso del requisito, tanto più laddove esso non appartenga all’ambito dei presupposti soggettivi di partecipazione legislativamente tipizzati, non è suscettibile di determinare l’esclusione del partecipante alla gara, quando – vuoi per la durata dell’interruzione, vuoi per altre ragioni – essa non abbia concretamente determinato alcun vulnus all’esigenza dell’Amministrazione di instaurare rapporti contrattuali con soggetti affidabili e qualificati.
Applicando le suesposte coordinate interpretative alla fattispecie oggetto di giudizio, non può non osservarsi che la discontinuità nel possesso del requisito di partecipazione in capo all’impresa poi aggiudicataria, determinata dalla emissione nei suoi confronti dell’interdittiva antimafia del 22 giugno 2015, ha avuto una durata poco più che mensile, atteso che i relativi effetti interdittivi sono stati inibiti per effetto del decreto n. 102 del 27 luglio 2015, col quale il Tribunale di Roma – Sezione Misure di Prevenzione – ha disposto, ai sensi dell’art. 34, commi 2 e 3, del D.lgs. n. 159/2011 e per la durata di sei mesi, la misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria con riguardo a “tutti i beni direttamente ed indirettamente utilizzabili per lo svolgimento delle attività economiche facenti capo alla La Ca.”, precisando in motivazione che “l’amministrazione giudiziaria pone le condizioni per ottenere dalla Prefettura di ricollocare le società interessate, oggi sotto interdittiva antimafia, nella white list ed al Gruppo di proseguire la propria rilevantissima attività aziendale partecipando anche a nuovi appalti pubblici e garantendo il lavoro alle migliaia di lavoratori impegnati”: deve invero riconoscersi che al citato provvedimento dell’AGO, coerentemente con la sua finalità e con il suo tenore dispositivo, non potrebbero non attribuirsi pieni effetti ripristinatori della legittimazione dell’impresa interessata a partecipare alla gara.
Inoltre, non risulta – né comunque viene allegato – che nel corso del (breve) periodo di efficacia della misura interdittiva, la posizione dell’impresa si sia atteggiata, da un punto di vista procedimentale, in forma che non fosse meramente passiva, né che essa abbia posto (o dovesse porre) in essere atti giuridicamente rilevanti, la cui adozione fosse suscettibile di subire gli effetti contaminanti aventi la loro origine nel pericolo infiltrativo cui l’impresa era soggetta, nelle more della nomina degli amministratori giudiziari.
Del resto, a ritenere diversamente, si smarrirebbe la visione unitaria nella cui ottica, in una prospettiva complessiva degli istituti introdotti dal legislatore al fine di garantire che il mercato delle pubbliche commesse e la concorrenza tra le imprese siano immuni dagli agenti inquinanti indotti dagli interessi della criminalità organizzata, agli istituti di tipo interdittivo si affiancano quelli volti a consentire la perdurante operatività delle imprese che ne siano colpite, previa neutralizzazione dei fattori condizionanti la libera e socialmente utile esplicazione del diritto di iniziativa economica, anche ai fini della salvaguardia del tessuto imprenditoriale e dei livelli occupazionali: in tale contesto, l’esclusione dell’impresa che si sia rivelata meritevole dell’aggiudicazione sulla scorta di una offerta presentata prima dell’adozione dell’interdittiva ed allorquando, per effetto dell’intervento giudiziario, sia venuto meno il rischio di condizionamento mafioso finirebbe per frustrare le finalità cui quegli istituti sono preordinati, senza che sia dimostrato un pregiudizio effettivo per la libertà di concorrenza ed principi di buon andamento ed imparzialità dell’attività amministrativa.
Il principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione
Ma un ulteriore elemento induce a respingere le deduzioni della parte appellante.
Come si è detto, con ordinanza del 16 settembre 2015 il Tribunale di Roma, su istanza degli amministratori giudiziari, chiedeva alla Prefettura di “valutare la revoca di detti provvedimenti interdittivi”, affermando contestualmente che “ai sensi dell’art. 34 del D.lgs. n. 159/2011, le società di cui in premessa non hanno alcuna preclusione, anche solo temporale, alla partecipazione/aggiudicazione alle gare di appalto e ciò anche con riferimento alle procedure le cui offerte sono state presentate prima dell’adozione del provvedimento prefettizio recante l’informazione interdittiva” (prescrizione ripresa anche dal consequenziale provvedimento prefettizio prot. n. 255925 del 22 settembre 2015, disponente la revoca dell’informativa antimafia).
E’ infatti evidente che il citato provvedimento è idoneo a fondare la legittimazione partecipativa dell’impresa con portata univocamente retroattiva, ovvero anche con riferimento alle procedure di gara (come quella in discorso) per le quali essa abbia presentato domanda di partecipazione in data antecedente all’adozione dell’informativa interdittiva: non solo, ma, in una prospettiva incentrata sulla valutazione della legittimità dell’impugnato provvedimento di aggiudicazione, questo non può non rinvenire il suo presupposto legittimante nella suddetta ordinanza della AGO, tale da creare uno schermo, impenetrabile alle censure attoree, tra la predicata perdita (temporanea) del requisito di partecipazione e l’aggiudicazione finale della gara.
L’appello, in conclusione, deve essere complessivamente respinto, con il conseguente assorbimento delle (riproposte) eccezioni di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e di quelle, anche di improcedibilità, inerenti all’atto di appello.
L’originalità dell’oggetto della controversia costituisce infine una giusta ragione per disporre la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del giudizio di appello compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2021, svolta in modalità telematica con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere, Estensore
Il principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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