Il principio del clare loqui

Consiglio di Stato, Sentenza|2 agosto 2021| n. 5665.

Il principio del clare loqui.

Grava su tutte le parti processuali l’onere di serbare un comportamento improntato a lealtà e correttezza, sicché – per il principio del clare loqui – i ricorrenti che avessero voluto distinguere la propria posizione processuale, da quella degli altri ricorrenti, avrebbero dovuto significare tale volontà in qualche modo, in modo tale da non avvantaggiarsi (in caso di esito favorevole della lite) di una sentenza di accoglimento del ricorso e (in caso di esito negativo della lite, come in effetti è poi stato), da non sottrarsi alle responsabilità che conseguono ad una sentenza di rigetto, soprattutto in punto di pagamento delle spese processuali.

Sentenza|2 agosto 2021| n. 5665. Il principio del clare loqui

Data udienza 8 giugno 2021

Integrale

Tag – parola chiave: O.P.C.M. n. 3890/2010 – Proroga ai poteri di intervento del Commissario Delegato – Avviso pubblico per la ricerca di sponsor per il finanziamento e la realizzazione dei lavori – Differimento dell’accesso agli atti – Art. 9, comma 2, D.P.R. n. 184/2006 – Accordo di sponsorizzazione – Ricorso collettivo o cumulativo – Condanna alle spese di lite

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1397 del 2021, proposto dai signori Cl. Fe. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Or. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, e il Commissario Delegato pro tempore alla realizzazione degli interventi urgenti nelle aree archeologiche di Roma e Provincia, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sede di Roma, Sezione Prima, n. 7877/2020, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Commissario delegato di cui all’epigrafe;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 giugno 2021 – svoltasi mediante collegamento da remoto ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. e) del d.l. n. 44 del 2021 – il consigliere Daniela Di Carlo;
Nessuno è presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Il principio del clare loqui

FATTO e DIRITTO

1. I ricorrenti, residenti in Roma ed operatori commerciali in aree site in adiacenza del Co., hanno impugnato (con ricorso principale) l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 luglio 2010, n. 3890, contenente “Ulteriori disposizioni di protezione civile dirette a fronteggiare la situazione di pericolo in atto nell’area archeologica di Roma e provincia”, nella parte in cui ha prorogato i poteri di intervento già attribuiti al Commissario Delegato per la realizzazione degli interventi nelle aree archeologiche di Roma e Ostia, nonché l’avviso pubblico per la ricerca di sponsor per il finanziamento e la realizzazione dei lavori secondo il “Piano degli interventi” per il Co..
1.1. Con successivo ricorso per motivi aggiunti, i medesimi ricorrenti hanno contestato il differimento dell’accesso agli atti ai sensi dell’art. 9, comma 2, del d.P.R. n. 184/2006, relativo all’acquisizione di copia integrale dell’accordo di sponsorizzazione.
2. Il T.a.r., con la sentenza di cui all’epigrafe, ha dichiarato il ricorso principale inammissibile per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti ed ha respinto nel merito il ricorso per motivi aggiunti.
Infine, il T.a.r. ha condannato le parti ricorrenti al pagamento delle spese di lite, complessivamente
quantificate, per ciascuna di esse, in euro 1.500,00 (millecinquecento), oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.
3. Gli appellanti hanno censurato la sentenza deducendo:
3.1. in primis, la violazione e la falsa applicazione della legge processuale (art. 82 e 83 c.p.a.).
A loro avviso, la sentenza avrebbe ingiustamente posto a carico (anche) dei ricorrenti Gi. Tu. ed altri, le spese di lite.
In particolare essi sostengono che, a seguito dell’avviso di perenzione ultraquinquennale ex art. 82 c.p.a., non tutti i ricorrenti hanno proposto la nuova istanza di fissazione di udienza (segnatamente, la stessa non è stata sottoscritta dai signori Tu. ed altri).
A loro avviso, dunque, il giudizio si sarebbe dovuto dichiarare perento, o comunque improcedibile, quanto meno nei loro confronti, con la conseguenza che, in relazione alle loro posizioni, si sarebbe dovuto comunque applicare l’art. 83 c.p.a., il quale prevede che ciascuna delle parti sopporta le proprie spese nel giudizio.
3.1. In secondo luogo, essi hanno lamentato l’eccesso di potere per eccessività, incongruità, illogicità e disparità e la violazione della legge processuale (art. 26 c.p.a. e art. 91 e ss. c.p.c.).
In particolare, è impugnato il capo concernente la condanna alle spese del giudizio, in ragione della sua asserita abnormità ed eccessività .
4. La Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Commissario Delegato hanno resistito al gravame, chiedendone la reiezione.

 

Il principio del clare loqui

5. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive mediante il deposito di memorie.
6. All’udienza pubblica dell’8 giugno 2021, la causa è passata in decisione.
7. La Sezione ritiene che l’appello non sia fondato e che vada, pertanto, respinto.
8. Il primo motivo censura la sentenza per avere posto a carico (anche) dei signori Gi. Tu. ed altri le spese del giudizio, malgrado gli stessi non abbiano aderito all’istanza di fissazione di udienza sottoscritta soltanto dagli altri ricorrenti.
8.1. Il motivo non è fondato.
8.2. Il Consiglio di Stato Sezione V, sentenza n. 5344/2014 e Sezione IV, sentenza n. 2188/2019 ha già affrontato la specifica questione giuridica concernente l’ampiezza soggettiva della condanna alle spese di lite nell’ipotesi in cui la causa, nata da un ricorso collettivo o cumulativo, sia stata poi di fatto coltivata da taluni soltanto dei ricorrenti.
Anche alla luce di questi specifici precedenti, che vengono richiamati ai sensi degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d) del c.p.a., possono trarsi, ad avviso della Sezione, le seguenti considerazioni:
a) quando il ricorso abbia le caratteristiche del ricorso collettivo o cumulativo, è sufficiente che l’istanza sia formulata e sottoscritta da una sola delle “parti ricorrenti”, trattandosi di attività processuale svolta in funzione conservativa di una situazione soggettiva attiva imputabile a tutti i ricorrenti;
b) la mancata sottoscrizione di taluni ricorrenti potrebbe, in ipotesi, essere autonomamente apprezzata come circostanza in virtù della quale ritenere che questi non abbiano più interesse all’azione, e dunque che debba per loro essere emessa una pronuncia di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. c), cod. proc. amm. (pronuncia che, invece, attiene al diritto di azione);
c) è da escludere che una siffatta evenienza possa essersi concretizzata nel caso di specie, atteso che nessuno dei co-ricorrenti ha mai depositato alcun atto da cui si sarebbe potuta desumere un’eventuale sopravvenuta carenza di interesse alla decisione, né ha altrimenti allegato elementi in base ai quali inferire, anche ex officio, un abbandono o un disinteresse per la lite;
d) grava su tutte le parti processuali l’onere di serbare un comportamento improntato a lealtà e correttezza, sicché – per il principio del clare loqui – i ricorrenti che avessero voluto distinguere la propria posizione processuale, da quella degli altri ricorrenti, avrebbero dovuto significare tale volontà in qualche modo, in modo tale da non avvantaggiarsi (in caso di esito favorevole della lite) di una sentenza di accoglimento del ricorso e (in caso di esito negativo della lite, come in effetti è poi stato), da non sottrarsi alle responsabilità che conseguono ad una sentenza di rigetto, soprattutto in punto di pagamento delle spese processuali.
9. Il secondo motivo censura l’asserita eccessività ed iniquità della condanna alle spese.
9.1. Anche questo motivo non è fondato.
9.2. Secondo il consolidato indirizzo esegetico seguito dalla giurisprudenza amministrativa, rispetto al quale la sezione non ravvisa motivo per discostarsi, il giudice di primo grado esercita ampi poteri discrezionali in ordine alla statuizione sulle spese di lite, sia ai fini della condanna, sia ai fini della compensazione, con il solo limite dell’abnormità o della manifesta ingiustizia (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 24 maggio 2007, n. 8; Sez. IV, 9 ottobre 2019, n. 6887; Sez. IV, 8 ottobre 2019, n. 6797; Sez. IV, 23 settembre 2019, n. 6352; Sez. V, 28 ottobre 2015, n. 4936; Sez. III, 9 novembre 2016, 4655; Sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5012; Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 891; Sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4471; Sez. IV, 27 settembre 1993, n. 798).
Inoltre, nel giudizio di appello la sindacabilità sulle spese liquidate all’esito del giudizio di primo grado è limitata soltanto all’ipotesi in cui venga modificata la decisione principale, eccezion fatta per le ipotesi di manifesta abnormità (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 309 del 13 gennaio 2020).
La manifesta abnormità, secondo l’indirizzo esegetico in commento, ricorre “solo in situazioni eccezionali, identificate dalla giurisprudenza nell’erronea condanna alle spese della parte vittoriosa e nella manifesta e macroscopica eccessività o sproporzione della condanna (Cons. Stato, Sez. III, 13 dicembre 2018, n. 7039).
Applicando le suesposte coordinate esegetiche alla fattispecie all’esame, si ricava che:
a) il giudizio di primo grado si è caratterizzato per una apprezzabile complessità, atteso che, accanto al ricorso principale volto a far caducare l’avviso del 4 agosto 2010 per la ricerca dello sponsor per il finanziamento degli interventi sul Co., i ricorrenti hanno proposto, altresì, un ricorso per motivi aggiunti col quale hanno censurato il differimento dell’accesso agli atti e ai documenti amministrativi;
b) il T.a.r. ha esaminato entrambi i ricorsi, effettuando innanzitutto un esame approfondito circa la qualificazione della situazione soggettiva fatta valere dai ricorrenti. All’esito, il T.a.r. è giunto alla conclusione che il primo ricorso doveva essere dichiarato inammissibile, mentre quello per motivi aggiunti doveva essere respinto.
Nessuna di queste statuizioni è stata censurata sotto il profilo della sua correttezza con l’odierno appello, sicché entrambi i capi devono ritenersi – oramai – passati in cosa giudicata.

 

Il principio del clare loqui

In mancanza di specifica contestazione nel merito della correttezza del ragionamento seguito in prime cure, la doglianza relativa alla pretesa ingiustizia della condanna alle spese di lite si appalesa, oltre che destituita di fondamento, anche genericamente formulata.
Infine, non è fondato nemmeno il secondo profilo che censura l’asserita sproporzione della condanna alle spese.
Il D.M. 20 luglio 2012, n. 140 (in Gazz. Uff., 22 agosto 2012, n. 195), reca il “Regolamento per la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27”.
Il giudice di prime ha proceduto alla liquidazione delle spese di lite secondo un metodo sintetico, suggerito dallo stesso decreto ministeriale, per il quale (artt. 1 e 4) devono essere valorizzati i vari aspetti della presenza o meno della prova, in giudizio, del preventivo di massima di cui
all’articolo 9, comma 4, terzo periodo, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27; della non vincolatività, in nessun caso, delle soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate; del valore, della natura e della complessità della controversia, del numero e dell’importanza e complessità delle questioni trattate, con valutazione complessiva anche a seguito di riunione delle cause, dell’eventuale urgenza della prestazione.
Si è già detto della complessità che ha contraddistinto il giudizio, caratterizzato da un ricorso introduttivo della lite e da uno successivo mediante atto di motivi aggiunti, per cui non è corretto in primis sostenere che la liquidazione ha riguardato una sola domanda giudiziale, essendone state proposte perlomeno due, di diverso contenuto e natura (domanda di annullamento e domanda di accesso agli atti).
Inoltre, la domanda di annullamento ha riguardo due provvedimenti diversi (segnatamente, il provvedimento di proroga dei poteri commissariali e l’avviso pubblico per la ricerca dello sponsor), sicché lo scrutinio circa la sussistenza della legittimazione a ricorrere si è dipanato su tematiche e questioni giuridiche non assimilabili rispetto agli atti impugnati.
Infine, va considerato che gli appellanti non hanno specificamente censurato le ragioni per le quali la condanna alle spese sarebbe ingiusta, limitandosi a prospettare argomentazioni non pertinenti e comunque non’taratè sulla specifica controversia oggi all’esame, genericamente prospettando che in altri casi, simili o analoghi, la giurisprudenza amministrativa è incline a valutare la compensazione delle spese.
Tale asserzione, oltre che non corretta alla luce della complessità del contenzioso, è pure generica.
10. In definitiva, alla luce delle considerazioni appena esposte, l’appello va respinto.
11. Le spese del presente grado di appello sono liquidate in dispositivo secondo i parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014 e s.m.i., in ragione della soccombenza nel giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 1397/2021, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna gli appellanti, in solido tra di loro, alla refusione, in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Commissario delegato alla realizzazione degli interventi urgenti nelle aree archeologiche di Roma e Provincia, delle spese di lite liquidate in favore di ciascuna parte nella misura di euro 2.500,00 (e così per complessivi euro 5.000,00), il tutto oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. se dovute come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2021 – svoltasi mediante collegamento da remoto ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. e) del d.l. n. 44 del 2021 – con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Daniela Di Carlo – Consigliere, Estensore
Nicola D’Angelo – Consigliere
Michele Pizzi – Consigliere
Giuseppe Rotondo – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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