Il potere di annullamento del nulla-osta paesaggistico

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 2 dicembre 2019, n. 8246.

La massima estrapolata:

Il potere di annullamento del nulla-osta paesaggistico da parte della Soprintendenza statale, disciplinato, dapprima, dall’art. 1, L. n. 431/1985, quindi, dall’art. 151, D.Lgs. n. 490/1999 e, infine, limitatamente al periodo transitorio, dall’art. 159 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con D.Lgs. n. 42 del 2004, non comporta un riesame complessivo delle valutazioni discrezionali compiute dalla Regione o da un ente sub-delegato, tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una propria valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell’autorizzazione, estrinsecandosi in una verifica di legittimità, che, tuttavia, si estende a tutte le figure sintomatiche del vizio di eccesso di potere.

Sentenza 2 dicembre 2019, n. 8246

Data udienza 26 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7797 del 2013, proposto dai signori Fe. Va. e Co. Va. e dal signor Va. Gi., in proprio e nella qualità di legale rappresentante dell’azienda agricola vivaio Va. di Va. Gi. e Fr., rappresentati e difesi dall’avvocato Al. Za. D’A., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fr. Ca. in Roma, via (…);
contro
Il Ministero per i beni e le attività culturali e dalla Soprintendenza per i beni architettoni e per il paesaggio del Lazio, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
la Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato St. Ri. e domiciliato in Roma, via (…), nonché dall’avvocato El. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione staccata di Latina Sezione Prima, n. 199/2013, resa tra le parti, concernente un decreto di annullamento di un parere favorevole su una istanza di rilascio di una concessione edilizia in sanatoria;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni statali appellate e dell Regione Lazio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 26 novembre 2019 il Cons. Davide Ponte e udito l’avvocato Al. Za. D’A.;
Rilevato in fatto che:
– la presente controversia ha ad oggetto l’appello proposto nei confronti della sentenza n. 199 del 2013, con cui il Tar per il Lazio, Sezione di Latina, ha respinto l’originario ricorso;
– quest’ultimo era stato proposto dall’odierno appellante avverso il decreto del Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Lazio, emesso l’8 maggio 2006 e notificato il 12 giugno 2006, recante l’annullamento del parere favorevole espresso dal Comune di (omissis), ex art. 32 della legge n. 47 del 1985, con determinazione n. 859/C del 3 marzo 2006, in riferimento alla domanda di condono edilizio presentata dal medesimo appellante per un fabbricato ad uso commerciale ubicato in (omissis), loc. (omissis), alla via (omissis) e censito in catasto al foglio n. (omissis) di (omissis), part. n. (omissis);
– con il presente appello l’originario ricorrente deduceva le censure di insussistenza del vincolo di inedificabilità assoluta al momento di realizzazione dell’opera e di presentazione dell’istanza di condono, e di illegittimità dell’esercizio del potere della Soprintendenza e connesso difetto di motivazione;
– il Ministero e la Regione appellate si costituivano in giudizio, chiedendo il rigetto del gravame;
– non si costituiva il Comune appellato;
– alla pubblica udienza del 26 novembre 2019 la causa passava in decisione.
Considerato in diritto che:
– l’appello è prima facie infondato sotto entrambi i profili dedotti;
– premessa la pacifica ricostruzione in fatto, in merito alla consistenza degli abusi ed alla domanda di condono conseguentemente presentata, con un primo ordine di rilievi si contesta la sussistenza stessa del vincolo di inedificabilità assoluta, quale presupposto del potere di annullamento esercitato;
– in linea di diritto costituisce orientamento consolidato il principio per il quale la compatibilità dell’opera da condonare, rispetto al regime di salvaguardia garantito dal vincolo al fine di verificare l’effettiva tutela del bene protetto, deve essere valutata alla data dell’esame della domanda di sanatoria;
– l’esistenza del vincolo va dunque valutata al momento dell’esame della domanda di condono, con il risultato che, se non sussistono le condizioni di rispetto della normativa vincolistica in quel momento, il titolo in sanatoria non può essere assentito, anche se in ipotesi l’edificazione rispettava tale normativa al momento della sua realizzazione senza autorizzazione (cfr. la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 20 del 1999);
– l’obbligo di acquisire il parere dell’autorità preposta al vincolo in sede di rilascio dell’autorizzazione in sanatoria, ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985, sussiste in relazione all’esistenza dello stesso al momento in cui deve essere valutata la domanda di condono, a prescindere dall’epoca della sua introduzione, quindi anche per opere eseguite prima dell’apposizione del vincolo di cui trattasi (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 6 settembre 2018, n. 5244);
– nel caso di specie, dall’analisi della documentazione versata in atti, se per un verso emerge come la stessa domanda ed il conseguente atto comunale di assenso avessero a presupposto la sussistenza del vincolo paesaggistico, per un altro verso lo stesso provvedimento di annullamento oggetto di impugnazione contiene una esaustiva indicazione del vincolo sussistente in loco (vincolo ex lege, ai sensi dell’art. 142, lettera c), d.lgs. 42 del 2004);
– tale vincolo, oltre a risultare coerente ai principi sopra richiamati in termini di valenza temporale, appare chiaramente individuato, in termini già riconosciuti da questa sezione (cfr. in specie sentenza n. 3493 del 2019) coerenti alla disciplina vigente ratione temporis;
– anche nel caso in esame il contestato decreto della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Lazio è motivato, oltre che con riferimento al vincolo nascente dal PTP n. 14, adottato con la delibera della Giunta Regionale n. 2281/1987, anche con riguardo alla sussistenza del predetto vincolo ex lege;
– al riguardo, diversamente da quanto l’appellante ha dedotto, l’art. 39, comma 20, della L. n. 724/1994 non consente di sanare abusi edilizi relativi a costruzioni edificate in aree soggette a vincolo di inedificabilità assoluta, cosicché risultano ininfluenti le censure con cui egli ha lamentato l’inidoneità del PTP adottato a impedire il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica;
– con il secondo ordine di rilievi si contesta l’illegittimità del provvedimento della Soprintendenza, la quale avrebbe sovrapposto la propria valutazione a quella del Comune così esorbitando dai propri poteri, limitati a un mero ‘controllò di legittimità ;
– in linea di diritto, la giurisprudenza della sezione ha già più volte evidenziato come il potere di annullamento del nulla-osta paesaggistico da parte della Soprintendenza statale – disciplinato, dapprima, dall’art. 1, l. n. 431/1985, quindi, dall’art. 151 d.lgs. n. 490/1999 e, infine, limitatamente al periodo transitorio, dall’art. 159 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con d.lgs. n. 42 del 2004 – non comporti un riesame complessivo delle valutazioni discrezionali compiute dalla Regione o da un ente sub-delegato, tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una propria valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell’autorizzazione, estrinsecandosi in una verifica di legittimità, che, tuttavia, si estende a tutte le figure sintomatiche del vizio di eccesso di potere (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 25 giugno 2018, n. 3913, nonché la giurisprudenza seguita alla sentenza della Adunanza Plenaria n. 9 del 2001);
– in tale ottica, pertanto, se la Soprintendenza ha il potere di annullare il nulla osta paesaggistico comunale per qualsiasi vizio di legittimità della valutazione formulata dall’ente territoriale, compreso l’eccesso di potere, l’unico limite previsto è costituito dal divieto di procedere ad un riesame complessivo delle valutazioni compiute dall’ente competente, tale da comportare la sovrapposizione o sostituzione di una nuova valutazione di merito (Consiglio di Stato, sez. VI, 17 maggio 2018, n. 2989);
– applicando tali coordinate nel caso di specie, emerge come la Soprintendenza con il decreto impugnato, lungi dal sostituire le proprie valutazioni di merito a quelle del Comune, abbia ribadito l’illegittimità dell’assenso per il difetto di motivazione, derivante dalla mancata e dovuta specifica considerazione della disciplina recata dalla normativa paesistica vigente sull’area;
– inoltre, il decreto impugnato evidenzia come sia mancata la dovuta motivazione esauriente in ordine alla compatibilità dell’opera realizzata rispetto alle valenze del vincolo ed alla sua disciplina;
– le considerazioni svolte dalla Soprintendenza trovano conferma dall’analisi dell’assenso annullato, in cui la valutazione è limitata ad una mera formula di stile (“l’opera di cui trattasi è compatibile con il tessuto paesaggistico in cui si colloca”);
– appare pertanto applicabile il principio generale (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 27 agosto 2010, n. 5980) secondo cui un atto di assenso comunale palesa la propria illegittimità, a prescindere da qualunque valutazione relativa all’entità dimensionale o tipologica dell’opera prevista, ovvero dal suo carattere intrinsecamente precario, quando il Comune lo ha adottato in modo sostanzialmente immotivato, senza in alcun modo esplicitare le effettive ragioni per cui si riteneva dover ammettere la deroga al vincolo di protezione;
– in definitiva, può farsi applicazione del consolidato orientamento della sezione, per il quale l’eventuale annullamento del nulla osta paesaggistico comunale, da parte della Soprintendenza, risulta riferibile a qualsiasi vizio di legittimità, riscontrato nella valutazione formulata in concreto dall’ente territoriale, ivi compreso l’eccesso di potere in ogni sua figura sintomatica, sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 25 gennaio 2019, n. 621);
– considerato che pertanto l’appello va respinto, mentre le spese del secondo grado di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 7797 del 2014, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese di lite in favore della parte statale, liquidate in complessivi euro 1.000,00 (mille\00) oltre accessori dovuti per legge, ed in favore di quella regionale, liquidate in complessivi euro 2.000,00 (duemila\00), oltre accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2019, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *