E’ onere, di chi richiede il condono, la presentazione di elementi tali da poter far ragionevolmente concludere nel senso che entro tale data vi sia stata l’ultimazione

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 2 dicembre 2019, n. 8244.

La massima estrapolata:

E’ onere, di chi richiede il condono, la presentazione di elementi tali da poter far ragionevolmente concludere nel senso che entro tale data vi sia stata l’ultimazione, poiché, l’Amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio, mentre colui che lo richiede può, di regola, procurarsi la documentazione da cui si possa desumere che l’abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data fissata dalla legge.

Sentenza 2 dicembre 2019, n. 8244

Data udienza 26 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sull’appello n. 8187 del 2013, proposto dalla società D’A. Ge. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Fe. e Ca. Ba., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Ba. in Roma, viale (…);
contro
Il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione staccata di Salerno Sezione Seconda, n. 899/2013, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 26 novembre 2019 il pres. Luigi Maruotti;
Nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. In data 23 marzo 1986 e 17 novembre 2004, la società appellante ha presentato due domande di condono edilizio, aventi per oggetto alcune opere abusive, realizzate in via (omissis), nel territorio del Comune di (omissis).
2. Col ricorso n. 1550 del 2011 (proposto al TAR per la Campania, Sezione staccata di Salerno), la società ha impugnato il silenzio formatosi sulle istanze.
La società, con i primi motivi aggiunti, ha impugnato l’atto comunale di data 10 ottobre 2011 che ha comunicato l’andamento dei procedimenti e, con i secondi motivi aggiunti, ha impugnato l’atto n. 5 del 5 dicembre 2011, che ha respinto l’istanza proposta il 17 novembre 2004 (per due ragioni: a) la mancata ultimazione dell’edificio alla data del 31 marzo 2003; la violazione dell’art. 32, comma 27, lettera d), della legge n. 326 del 2003).
3. Con la sentenza n. 899 del 2013, il TAR:
– ha accolto il ricorso principale, per la parte riguardante l’obbligo di esaminare l’originaria istanza di data 23 marzo 1986;
– ha dichiarato la cessazione della materia del contendere sulla domanda riguardante l’obbligo di esaminare l’istanza di data 17 novembre 2004, poiché tale istanza è stata respinta con l’atto di data 5 dicembre 2011;
– ha dichiarato inammissibili i primi motivi aggiunti, perché proposti contro un atto non avente portata lesiva;
– ha respinto i secondi motivi aggiunti, poiché l’edificio oggetto dell’istanza – alla data del 31 marzo 2003 – non risultava ultimato (in considerazione della relazione comunale depositata nel corso del giudizio), perché privo delle tamponature perimetrali.
4. Con l’appello in esame, la società ha impugnato la sentenza del TAR ed ha chiesto che in sua riforma il ricorso di primo grado sia accolto.
Con due motivi, la società ha dedotto che:
– il TAR non avrebbe correttamente inteso il contenuto della perizia depositata dal tecnico di parte in data 28 marzo 2012, da cui risulterebbe che la struttura in questione sarebbe stata sempre composta da una struttura verticale ed una orizzontale, da completare con le finestre e i vetri termici, sicché già alla data del 31 marzo 2003 era ultimata al rustico;
– dopo la realizzazione dell’edificio, sono state presentate alcune d.i.a., aventi rilievo giuridico poiché sull’area vi è un vincolo non assoluto di inedificabilità ;
– l’opera sarebbe conforme allo strumento urbanistico, ai sensi dell’art. 36 del testo unico n. 380 del 2001.
In data 28 ottobre 2019, l’appellante ha depositato una memoria, con cui ha insistito nelle già formulate conclusioni.
5. Ritiene il Collegio che l’appello risulta infondato e va respinto.
5.1. In primo luogo, va osservato che la società non ha depositato – nel corso dei due gradi del giudizio – alcun atto che possa avere un qualche rilievo probatorio, circa la data di ultimazione del manufatto.
Per la costante giurisprudenza di questo Consiglio, è onere di chi richieda il condono la presentazione di elementi tali da poter far ragionevolmente concludere nel senso che entro tale data vi sia stata l’ultimazione, poiché, l’Amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio, mentre colui che lo richiede può, di regola, procurarsi la documentazione da cui si possa desumere che l’abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data fissata dalla legge (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4479; sez. VI, 27 dicembre 2017, n. 6100; Sez. IV, 11 settembre 2017, n. 4268; Sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4075; Sez. VI, 24 settembre 2012, n. 5057).
In assenza di tali prove, il Comune non può che respingere l’istanza.
L’appellante neppure ha dedotto di avere corroborato l’istanza di condono con specifici elementi tali da poter indurre ad accoglierla sotto il profilo della individuazione della data di ultimazione.
5.2. In secondo luogo, va condivisa la valutazione del TAR, secondo cui anche dalla relazione depositata nel corso del primo grado del giudizio e dalla perizia di parte non si desume univocamente che l’edificio fosse ultimato alla data del 31 marzo 2003.
E’ decisivo l’esame della seguente frase; ‘come descritto e rappresentato nella perizia giurata del 15 marzo 2006, l’opera oggetto di richiesta di condono edilizio non è completa di tutte le sue parti, infatti, nelle opere di completamento, descritte al punto B) della perizia del 10 marzo 2006, è prevista la realizzazione delle pareti perimetrali… e la posa in opera con gli infissà .
L’assenza delle pareti perimetrali costituisce una circostanza che non può essere posta in dubbio per la lettura del capoverso successivo, in cui il tecnico ha affermato che “l’intervento edilizio da eseguire riguarda la realizzazione di una tompagnatura da mettere in adiacenza alle pareti perimetrali esistenti di proprietà”.
Nel comune lessico, la tamponatura (o tompagnatura) consiste nella parete di chiusura perimetrale di un fabbricato costruito con una struttura intelaiata, in acciaio o in calcestruzzo.
La frase “l’intervento edilizio da eseguire riguarda la realizzazione di una tompagnatura” non può essere che intesa nel senso che si è descritto un manufatto privo – in tutto o in parte non rileva nel giudizio – della chiusura con le pareti perimetrali.
5.3. Non rileva il fatto (dedotto dall’appellante) che in relazione al manufatto siano state poi presentate d.i.a.
Infatti, le determinazioni comunali (espresse o tacite), conseguenti alla presentazione delle d.i.a. non incidono sul contenuto del provvedimento che deve esaminare l’istanza di condono, dal momento che le sopravvenienze non possono che risultare irrilevanti, rispetto all’esame preliminare, ed indefettibile, che il manufatto sia stato ultimato entro la data presa in considerazione dalla legge.
5.4. Infine, neppure rileva la possibilità – dedotta, ma comunque indimostrata – per cui il manufatto potrebbe essere oggetto di una sanatoria ai sensi dell’art. 36 del testo unico n. 380 del 2001.
Infatti, una tale possibilità – che implica la verifica del rispetto della regola della cd doppia conformità con gli strumenti urbanistici vigenti alla data di commissione dell’abuso e alla data di rilascio della sanatoria – attiene ad un procedimento del tutto diverso da quello riguardante il condono.
6. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
Nulla per le spese del secondo grado del giudizio, non essendosi costituita l’Amministrazione appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta respinge l’appello n. 8187 del 2013.
Nulla per le spese del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Sp., nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2019, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente, Estensore
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere

 

 

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