Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 26 aprile 2018, n. 10130.
Il ministero della Giustizia può compensare il credito vantato nei confronti del detenuto per il mancato pagamento delle pene pecuniarie, trattenendo il denaro destinato a risarcire la detenzione inumana. La pena pecuniaria rappresenta, infatti, un’entrata patrimoniale dello Stato, che può essere riscossa mediante ruolo. E l’ordinamento non contempla un divieto di compensazione per le entrate patrimoniali, neppure in riferimento alle tributarie vista la possibilità di pagare spontaneamente attraverso la compensazione volontaria del credito di imposta.
Ordinanza 26 aprile 2018, n. 10130
Data udienza 28 novembre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24852-2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo STUDIO (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 2700/2016 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 27/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 28/11/2017 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO TERRUSI.
FATTO E DIRITTO
Rilevato che:
(OMISSIS) ricorre per cassazione, con unico motivo, avverso il decreto col quale il tribunale di Napoli ha dichiarato estinto il suo credito di Euro 4.144,00, accertato ai sensi dell’articolo 35-ter ord. pen., per compensazione con un maggior debito per pene pecuniarie;
il ministero della Giustizia ha replicato con controricorso.
Considerato che:
il ricorrente, denunziando la violazione dell’articolo 1243 c.c., comma 1, assume che l’obbligazione di pagamento della posta risarcitoria cd. da “inumana detenzione”, articolo 35-ter ord. pen., non possa essere compensata da un controcredito vantato dall’amministrazione per pene pecuniarie;
il motivo e’ nella sua astrattezza manifestamente infondato, dal momento che erroneamente assume ostativa alla compensazione la natura giuridica del controcredito;
in contrario deve invece osservarsi che la natura giuridica del credito non ostacola affatto la possibilita’ della compensazione, in quanto la pena pecuniaria giuridicamente rappresenta una mera entrata patrimoniale dello Stato, oltre tutto suscettibile di riscossione mediante ruolo a seguito dell’estensione operata dal Decreto Legislativo n. 46 del 1999; in particolare, secondo l’articolo 17 di tale d.lgs. – “salvo quanto previsto dal comma 2” (vale a dire salvo che per le entrate delle regioni, delle province, anche autonome, dei comuni e degli altri enti locali, nonche’ per la tariffa di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 156) – “si effettua mediante ruolo la riscossione coattiva delle entrate dello Stato, anche diverse dalle imposte sui redditi, e di quelle degli altri enti pubblici, anche previdenziali, esclusi quelli economici”, con conseguente applicabilita’ delle disposizioni di cui al capo II del titolo I e al titolo II del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 come modificate;
e’ decisivo osservare che l’ordinamento non contempla un divieto di compensazione per le entrate patrimoniali dello Stato; non lo contempla neppure con riferimento alle entrate tributarie, attesa la possibilita’ del pagamento spontaneo mediante compensazione volontaria con crediti d’imposta (v. Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 28-ter e Decreto Legislativo n. 46 del 1999, articolo 20-bis derivante dal Decreto Legge n. 262 del 2006, conv. in L. n. 286 del 2006);
in altre parole, finanche rispetto alle entrate tributarie e’ consentita la compensazione tra poste a debito e poste a credito, fatta salva in quel solo caso l’identita’ delle natura dei crediti (tributari) da compensare;
tale relazione di identita’ e’ in quel caso eccezionalmente stabilita in considerazione dell’oggetto della prestazione (il tributo), donde non puo’ essere estesa oltre l’ambito per il quale e’ contemplata;
ne consegue che, per le altre entrate patrimoniali, l’amministrazione e’ abilitata a opporre in compensazione i propri crediti qualunque ne sia la fonte, con la sola necessita’ del requisito di certezza del credito vantato;
secondo quanto da tempo affermato in giurisprudenza, l’operare della compensazione propria postula in se’ – a differenza di quella cd. impropria (cfr. Cass. n. 12302-16, Cass. n. 7474-17) – l’autonomia dei rapporti (oltre che ovviamente l’eccezione di parte), cosicche’ ai fini del suo operare resta salvo esclusivamente il fatto che il credito opposto in compensazione possieda il requisito di certezza; il ricorso va dunque rigettato, poiche’ tale requisito risulta implicitamente accertato dal tribunale e poiche’ il medesimo non appare esser stato minimamente contestato; le spese processuali seguono la soccombenza; dal ricorso risulta che le spese relative al contributo unificato sono state prenotate a debito; consegue che non opera il meccanismo del raddoppio di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.
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