Corte di Cassazione, civile, Sentenza|13 aprile 2021| n. 9657.
Il giustificato motivo soggettivo, al pari della giusta causa di licenziamento, è nozione legale rispetto alla quale non sono vincolanti le previsioni dei contratti collettivi, che hanno valenza esemplificativa, con il solo limite all’irrogazione di un licenziamento per giusta causa quando costituisca più grave sanzione di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione.
Sentenza|13 aprile 2021| n. 9657
Data udienza 3 novembre 2020
Integrale
Tag/parola chiave: Licenziamento disciplinare – Immediatezza relativa della contestazione – Congruità del lasso di tempo intercorso tra la commissione dei fatti e la loro contestazione – Specificità – Riferimento a fatti puntualmente determinati – Logicità della motivazione – Insindacabilità – Rigetto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 146/2019 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5470/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 08/10/2018 R.G.N. 59/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/11/2020 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilita’ in subordine rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza 8 ottobre 2018, la Corte d’appello di Napoli rigettava il reclamo proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza di primo grado, di reiezione, in esito a procedimento con rito Fornero, della sua impugnazione del licenziamento intimatogli da (OMISSIS) s.p.a. il 17 marzo 2015 per giustificato motivo soggettivo e delle coerenti domande reintegratoria e risarcitoria.
Preliminarmente esclusa la tardivita’ della contestazione disciplinare del 9 febbraio 2015 rispetto alla commissione dei fatti nel periodo gennaio 2013 – febbraio 2014 (per la complessita’ degli accertamenti e la peculiarita’ degli addebiti con la chiusura della relazione istruttoria il 18 dicembre 2014), in applicazione del principio di immediatezza relativa, la Corte territoriale riteneva motivata la comunicazione del licenziamento, per relationem a quella della lettera di contestazione, conosciuta dal lavoratore, parimenti negando l’estinzione del potere disciplinare, in quanto non consumato dalla precedente contestazione del 10 novembre 2014, in parte generica e in parte relativa ad addebiti diversi.
Nel merito, la Corte partenopea riteneva provata l’omessa segnalazione Extra Gianos da (OMISSIS), in qualita’ di direttore dell’ufficio postale di (OMISSIS), di reiterate operazioni sospette di prelievo (in numero di 128) nel periodo dal (OMISSIS) da (OMISSIS) e (OMISSIS) sui conti intestati ad (OMISSIS) s.r.l. in violazione di Delib. interne e del Decreto Legislativo n. 231 del 2007, articolo 41, nonche’ l’avere egli consentito dal (OMISSIS) prelievi (in numero di 11) di importo pari ad Euro 20.000,00 senza la prescritta autorizzazione ed omesso la segnalazione Extra Gianos delle operazioni sospette: anche di questo addebito ritenuto responsabile per la violazione del particolare obbligo di vigilanza comportato dalla sua responsabilita’ dell’ufficio, invece escluso dal Tribunale per la ravvisata competenza diretta di segnalazione dell’operatore di sportello, non anche del direttore dell’ufficio.
Essa riteneva quindi la misura espulsiva proporzionata alla gravita’ degli addebiti, non riconducibili ad alcuna sanzione conservativa del contratto collettivo, siccome idonei alla rottura irreparabile del vincolo di fiducia tra le parti.
Con atto notificato il 6 dicembre 2018, il lavoratore ricorreva per cassazione con sei motivi, cui la societa’ datrice resisteva con controricorso e memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce nullita’ della sentenza per travisamento degli atti processuali e violazione e falsa applicazione degli articoli 115, 116 c.p.c., articoli 2118, 2697 c.c., L. n. 604 del 1966, articoli 1, 3, 5, per avere la Corte territoriale fondato la responsabilita’ del ricorrente per gli addebiti disciplinari su dichiarazioni raccolte dai funzionari della struttura Fraud Management, rimaste estranee al processo in quanto non ammessi i dichiaranti quali informatori o testimoni ne’ nella fase sommaria, ne’ in quella di opposizione del procedimento.
2. Esso e’ infondato.
2.1. Preliminarmente, deve essere ritenuto inconferente il denunciato “travisamento”, configurabile soltanto in riferimento al “fatto” (integrante motivo di revocazione ai sensi dell’articolo 395 c.p.c. e non di ricorso per cassazione: Cass. 9 febbraio 2016, n. 2529; Cass. 24 febbraio 2017, n. 4868) ovvero alla “prova” (implicante, non una valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, e’ contraddetta da uno specifico atto processuale e ricorrente quando essa, riportata ed utilizzata dal giudice per fondare la decisione, sia diversa ed inconciliabile con quella contenuta nell’atto e rappresentata nel ricorso o addirittura non esista”: Cass. 25 maggio 2015, n. 10749; Cass. 21 gennaio 2020, n. 1163) e comunque non potendo essa implicare una valutazione dei fatti (Cass. 14 febbraio 2020, n. 3796).
2.2. Giova poi ribadire la mancanza nell’ordinamento processuale vigente di una norma di chiusura sulla tassativita’ dei mezzi di prova, sicche’ il giudice puo’ legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche (Cass. 26 giugno 2015, n. 13229; Cass. 1 settembre 2015, n. 17392); in particolare, potendo il giudice civile avvalersi delle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali (Cass. 19 ottobre 2007, n. 22020; Cass. 8 gennaio 2008, n. 132; Cass. 30 gennaio 2013, n. 2168): dipendendo la loro rilevanza esclusivamente dalla maggiore o minore efficacia probatoria ad esse riconosciuta dal giudice di merito, non sussistendo (ne’ potendo essere censurato in cassazione) alcun vizio invalidante la formazione della prova atipica per essere stata questa assunta nel diverso processo in violazione di regole a quello esclusivamente applicabili; neppure se tale vizio integri un difetto della garanzia del contraddittorio, atteso che nel processo civile il contraddittorio sulla prova viene assicurato dalle forme e modalita’ “tipizzate” di introduzione della stessa nel giudizio, che trovano disciplina nella fase istruttoria del processo volta ad assicurare la discussione in contraddittorio delle parti sulla efficacia dimostrativa del mezzo atipico in ordine al fatto da provare (Cass. 20 gennaio 2017, n. 1593; Cass. 5 maggio 2020, n. 8459).
2.3. Nel caso di specie, non sussiste la denunciata estraneita’ al processo delle dichiarazioni raccolte dai funzionari della struttura Fraud Management, per non essere stati ammessi quali informatori o testimoni ne’ nella fase sommaria, ne’ in quella di opposizione del giudizio di primo grado. Esse, infatti, sono state ritualmente acquisite agli atti del giudizio, in quanto integralmente contenute nella contestazione disciplinare (e riportate a pg. 9 del ricorso, nella trascrizione del ricorso introduttivo del giudizio secondo il rito cd. Fornero) ed oggetto di puntuali giustificazioni in merito (riportate a pg. 46 del ricorso) del lavoratore, che non le ha sostanzialmente contestate: soltanto diversamente valutate dalla Corte d’appello (per le ragioni esposte dal penultimo capoverso di pg. 9 al primo di pg. 10 della sentenza) rispetto al Tribunale (come riportato al penultimo capoverso di pg. 2 della sentenza), in ordine alla responsabilita’ del direttore dell’ufficio, congruamente argomentata e dunque non oggetto di sindacabilita’ in sede di legittimita’.
3. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 2118, 2697 c.c., L. n. 604 del 1966, articoli 1, 3, 5, articoli 115, 116, 416, 436 c.p.c., ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte territoriale fondato la decisione sulle comunicazioni interne di (OMISSIS) n. 236 e n. 460, senza tenere conto della copiosa documentazione prodotta e del funzionamento del sistema di alert Giano, strutturato come unicum sia pure articolato sui diversi livelli di “Inattesi”, “Immediati” (sistemi questi di segnalazione automatica di operazioni rispettivamente sospette o potenzialmente anomale, diretta alle Filiali e non al singolo ufficio postale) e “Extra-Gianos” (di segnalazione discrezionale dal Direttore dell’Ufficio postale, e prima ancora dalla Direzione della Filiale, di operazioni sospette oppure di mutamento dell’operativita’ abituale di un cliente), comprovanti l’assoluta inerzia, pure a fronte delle segnalazioni direttamente ricevute dai sistemi “Inattesi” e “Immediati” oltre che dallo stesso (OMISSIS) (non meno di 150) sempre del cliente (OMISSIS) s.r.l., della Direzione della Filiale cosi’ da indurne il convincimento che dette operazioni, conosciute dai superiori gerarchici, fossero ritenute legittime e approvate.
4. Esso e’ inammissibile.
4.1. Il giudizio di cassazione e’ un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte non e’ mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalita’ e logicita’ della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa; con la conseguenza che la parte non puo’ limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass. 6 marzo 2019, n. 6519).
4.2. Ebbene, nel caso di specie, il ricorrente ha reiterato le difese di merito (come si evince dall’illustrazione del motivo di reclamo del lavoratore, riportato dal primo al terz’ultimo capoverso di pg. 4 della sentenza), gia’ disattese dalla Corte territoriale e proposto una diversa ricostruzione del fatto rispetto ad un accertamento della stessa Corte, basato su un’attenta ricognizione normativa in ordine al funzionamento del meccanismo di segnalazione delle operazioni sospette ed agli obblighi del direttore dell’ufficio postale, piu’ che congruamente argomentato (per le ragioni esposte dal quarto capoverso di pg. 7 all’ultimo di pg. 8 della sentenza).
5. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 7, articoli 2118, 2697 c.c., L. n. 604 del 1966, articoli 1, 3, 5, ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione al principio di immediatezza relativa della contestazione disciplinare (soltanto il 9 febbraio 2015), non rispettato nel caso di specie per la mancata tempestiva segnalazione dei superiori gerarchici aziendali, da tempo edotti della segnalazione di operazioni sospette sul conto del cliente (OMISSIS) s.r.l., essendo stata l’indagine autonomamente avviata dalla Polizia Ferroviaria (il (OMISSIS)), in ogni caso avendo anche il tempo intercorso da questa data superato il limite di ragionevolezza.
6. Esso e’ inammissibile.
6.1. La Corte ha operato una corretta applicazione (con richiamo anche di arresto di legittimita’: al penultimo capoverso di pg. 5 della sentenza) del principio di immediatezza, la cui ratio e’ individuata nella connessione dell’onere di tempestivita’ al principio di buona fede oggettiva e piu’ specificamente al dovere di non vanificare la consolidata aspettativa, generata nel lavoratore, di rinuncia all’esercizio del potere disciplinare (Cass. 17 dicembre 2008, n. 29480; Cass. 4 dicembre 2017, n. 28974). Tale principio e’ declinato, in materia di licenziamento disciplinare e con specifico riferimento alla contestazione, in senso relativo, a motivo delle ragioni che possono cagionare il ritardo, quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessita’ della struttura organizzativa dell’impresa, ferma la valutazione delle suddette circostanze riservata al giudice del merito, insindacabile in sede di legittimita’, se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici (Cass. 12 gennaio 2016, n. 281; Cass. 26 giugno 2018, n. 16841; Cass. 20 settembre 2019, n. 23516).
6.2. E cosi’ la Corte partenopea ha accertato in fatto la congruita’ del lasso temporale occorso tra la commissione dei fatti e la loro contestazione e l’ha congruamente argomentata, per la complessita’ degli accertamenti (dall’ultimo capoverso di pg. 5 al secondo di pg. 6 della sentenza); sicche’, e’ insindacabile in sede di legittimita’.
7. Con il quarto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, articolo 2, come novellato dalla L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 37, per mancata specificazione dei motivi di licenziamento nella relativa comunicazione, indicati per relationem ad un allegato alla lettera di contestazione, tuttavia mancante.
8. Esso e’ inammissibile.
8.1. Il motivo difetta di specificita’, in violazione della prescrizione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 23 gennaio 2019, n. 1845), per omessa confutazione dell’argomentata ragione (di conoscenza dei motivi di licenziamento comunque acquisita dal lavoratore incolpato, che ha reso le proprie giustificazioni) esposta dalla Corte territoriale (al quarto e quinto capoverso di pg. 6 della sentenza), avendo il ricorrente meramente reiterato la doglianza esposta nel ricorso introduttivo, cui il motivo esplicitamente rinvia.
9. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 7, articoli 115, 116 c.p.c., per non avere la Corte territoriale ravvisato la consumazione del potere disciplinare datoriale, sull’erroneo assunto di genericita’ della precedente contestazione del 10 novembre 2014, avente lo stesso oggetto (di omissione o insufficienza degli adempimenti antiriciclaggio, con particolare riferimento alla presenza dell’autorizzazione del TSC per operazioni pari o superiori a Euro 20.000,00 nonche’ degli obblighi da osservare per antiriciclaggio e in caso di operazioni sospette, in riferimento al COI n. 250 in vigore dal 10 giugno 2013) di quella in questione, sia pure qui piu’ puntualmente precisato e sanzionata quella in via conservativa con sette giorni di sospensione dal servizio e privazione della retribuzione.
10. Esso e’ infondato.
10.1. E’ noto che, in virtu’ del generale principio di “ne bis in idem” (ricavabile dal testuale disposto dell’articolo 90 c.p. e articolo 39 c.p.c.), comune a tutti i rami del diritto, il potere di provocare una modificazione nel mondo giuridico dopo che sia stato efficacemente esercitato, dando luogo a quel mutamento, venga a mancare del suo oggetto e si estingua quindi per consunzione. L’applicazione del principio al procedimento disciplinare privatistico ha portato al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui il datore di lavoro, una volta che abbia esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro in relazione a determinati fatti, complessivamente considerati, non puo’ esercitare, una seconda volta, per quegli stessi fatti singolarmente considerati, il detto potere ormai consumato, neppure sotto il profilo di una diversa valutazione o configurazione giuridica, essendogli consentito soltanto di tener conto delle sanzioni eventualmente applicate, entro il biennio, ai fini della recidiva (Cass. 23 ottobre 2018, n. 26815, con richiami di precedenti conformi in motivazione).
10.2. Occorre pure rammentare come la contestazione dell’addebito disciplinare debba essere costitutivamente specifica, ossia avere per oggetto fatti puntualmente determinati, cosi’ da individuare l’addebito del datore di lavoro (e quindi la condotta ritenuta disciplinarmente rilevante), in modo da tracciare il perimetro dell’immediata attivita’ difensiva del lavoratore, fornendo le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialita’, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari (Cass. 6 maggio 2011 n. 10015; Cass. 13 giugno 2013 n. 14880; Cass. 21 aprile 2017 n. 10154). E cio’ per la funzione di garanzia a tutela del diritto di difesa del lavoratore cui e’ preordinata l’immutabilita’ degli stessi fatti, anche ai fini del pieno svolgimento del contraddittorio (Cass. 30 giugno 2005, n. 13998; Cass. 14 giugno 2013, n. 15006; Cass. 20 marzo 2018, n. 6894): con la conseguenza della corretta valutazione del giudice di merito, ai fini della verifica di legittimita’ o meno della sanzione, soltanto dei fatti specificamente contestati, senza tener conto di quelli genericamente indicati (Cass. 24 luglio 2018, n. 19632).
10.3. Tanto premesso, l’accertamento della Corte territoriale, che costituisce l’oggetto di un’indagine di fatto, e’ incensurabile in sede di legittimita’, salva la verifica di logicita’ e congruita’ delle ragioni esposte dal giudice di merito (Cass. 30 marzo 2006, n. 7546; Cass. 6 maggio 2011, n. 10015; Cass. 24 luglio 2018, n. 19632), nel caso di specie piu’ che adeguatamente argomentate ed esenti da vizi logici ne’ giuridici (agli ultimi due capoversi di pg. 6 della sentenza).
11. Con il sesto, il ricorrente deduce, infine, violazione e falsa applicazione dell’articolo 2106 c.c., L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, articoli 53, 54 CCNL (OMISSIS) del 14 aprile 2011, articoli 2118, 2119 c.c., L. n. 604 del 1966, articoli 1, 3, 5, ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per violazione del principio di proporzionalita’, non ricorrendo i presupposti della sanzione espulsiva comminata, non ricondotta dalla Corte territoriale all’ipotesi intimata dell’articolo 54, comma 5, lettera c) CCNL (OMISSIS), in assenza del prescritto pregiudizio alla societa’ o a terzi, neppure allegato, ma sussistendo piuttosto quelli della sanzione conservativa, secondo la previsione dell’articolo 54, commi 3 o 4 CCNL cit., dovendosi in ogni caso tenere conto dell’attenuazione dell’elemento soggettivo del lavoratore in dipendenza delle circostanze di fatto illustrate con il primo (rectius: secondo) motivo di ricorso.
12. Esso e’ infondato.
12.1. Occorre preliminarmente ribadire il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di licenziamento disciplinare, la tipizzazione delle cause di recesso contenuta nella contrattazione collettiva non e’ vincolante, potendo il catalogo delle ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo essere esteso, in relazione a condotte comunque rispondenti al modello di giusta causa o giustificato motivo, ovvero ridotto, se tra le previsioni contrattuali ve ne siano alcune non rispondenti al modello legale, dunque nulle per violazione di norma imperativa; con la conseguenza che il giudice non possa limitarsi a verificare se il fatto addebitato sia riconducibile ad una previsione contrattuale, dovendo comunque valutare in concreto la condotta addebitata e la proporzionalita’ della sanzione (Cass. 11 febbraio 2020, n. 3283). E pure che il giustificato motivo soggettivo, al pari della giusta causa di licenziamento, e’ nozione legale rispetto alla quale non sono vincolanti le previsioni dei contratti collettivi, che hanno valenza esemplificativa, con il solo limite all’irrogazione di un licenziamento per giusta causa quando costituisca piu’ grave sanzione di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione (Cass. 24 ottobre 2018, n. 27004; Cass. 16 luglio 2019, n. 19023).
12.2. Sul piano delle tutele, la L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, come novellato, ha riconosciuto quella reintegratoria (oltre che in caso di insussistenza del fatto contestato o nelle ipotesi in cui esso sia sostanzialmente irrilevante sotto il profilo disciplinare o non imputabile al lavoratore, anche) qualora la sanzione non sia proporzionale al fatto contestato ed accertato, in quanto risulti rientrare nelle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, che stabiliscano per esso una sanzione conservativa; diversamente verificandosi le “altre ipotesi” di non ricorrenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per le quali dell’articolo 18, comma 5, prevede la tutela indennitaria cd. forte (Cass. 25 maggio 2017, n. 13178; Cass. 16 luglio 2018, n. 18823). Sicche’, la novella del 2012 ha introdotto una graduazione delle ipotesi di illegittimita’ della sanzione espulsiva dettata da motivi disciplinari, facendo corrispondere a quelle di maggiore evidenza la sanzione della reintegrazione e limitando la tutela risarcitoria all’ipotesi del difetto di proporzionalita’ che non risulti dalle previsioni del contratto collettivo (Cass. 25 maggio 2017, n. 13178, in motivazione; Cass. 12 ottobre 2018, n. 25534; Cass. 14 dicembre 2018, n. 32500, in motivazione), secondo una coerente interpretazione sistematica della lettera dell’articolo 18, comma 4, che vieta operazioni ermeneutiche che estendano l’eccezione della tutela reintegratoria alla regola rappresentata dalla tutela indennitaria (da ritenersi espressione, secondo la volonta’ del legislatore, di “una valenza di carattere generale”: Cass. s.u. 27 dicembre 2017, n. 30985, in specifico riferimento alla c.d. tutela indennitaria forte, prevista dal citato articolo 18, comma 5), in quanto violerebbe la chiara ratio nel nuovo regime in cui la tutela reintegratoria presuppone l’abuso consapevole del potere disciplinare, che implica una sicura e chiaramente intellegibile conoscenza preventiva, da parte del datore di lavoratore, della illegittimita’ del provvedimento espulsivo derivante o dalla insussistenza del fatto contestato oppure dalla chiara riconducibilita’ del comportamento contestato nell’ambito della previsione della norma collettiva fra le fattispecie ritenute dalle parti sociali inidonee a giustificare l’espulsione del lavoratore (Cass. 9 maggio 2019, n. 12365).
12.3. E allora, la valutazione di non proporzionalita’ della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato puo’ essere ricondotta all’articolo 18, comma 4, solo nell’ipotesi in cui lo scollamento tra gravita’ della condotta e sanzione risulti dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, che ad essa facciano corrispondere una sanzione conservativa: con un particolare rigore, in un contesto nel quale trova applicazione il principio generale secondo cui una norma che preveda un’eccezione rispetto alla regola generale deve essere interpretata restrittivamente, cosi’ dovendo essere esclusa un’apertura all’analogia o ad un’interpretazione che allarghi la portata della norma collettiva oltre i limiti suindicati, che produrrebbe effetti esattamente contrari a quelli chiaramente espressi dal legislatore in termini di esigenza di prevedibilita’ delle conseguenze circa i comportamenti tenuti dalle parti del rapporto (Cass. 19 luglio 2019, n. 19578).
12.4. Nel caso di specie, il licenziamento e’ stato intimato con preavviso ai sensi dell’articolo 54, comma 5, lettera c) CCNL (OMISSIS) 14 aprile 2011 (escluso dalla Corte territoriale per la ravvisata insussistenza del requisito del grave danno, neppure allegato: cosi’ al terz’ultimo e quart’ultimo capoverso di pg. 10 della sentenza) e comunque anche dell’articolo 80, lettera e), (come premesso al terzo capoverso di pg. 10 della sentenza), quindi anche “per giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 c.c. e per giustificato motivo ai sensi delle vigenti disposizioni di legge”. E di questa ipotesi la Corte partenopea, preliminarmente negata la ricorrenza di quella di sanzione conservativa rilevante ai fini della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4 (dall’ultimo capoverso di pg. 10 al primo di pg. 11 della sentenza), ha ritenuto la ricorrenza (per le ragioni illustrate dal secondo capoverso di pg. 11 al primo di pg. 12 della sentenza): cosi’ esattamente applicando i suenunciati principi di diritto, con un accertamento in fatto, congruamente argomentato per le ragioni dette, pertanto insindacabile in sede di legittimita’.
13. Dalle superiori argomentazioni discende allora il rigetto del ricorso, con la statuizione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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