Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 27 dicembre 2019, n. 52035
Massima estrapolata:
Il giudice dell’esecuzione al quale, dopo la sentenza della Consulta 40/2019, sia richiesto di accogliere il nuovo accordo tra le parti sulla rideterminazione della pena che tenga conto di quella inflitta con sentenza irrevocabile di patteggiamento, deve valutare l’istanza congiunta delle parti e può rideterminare la pena in favore del condannato solo in caso di mancato accordo o di pena ritenuta incongrua. In questo secondo caso senza fare ricorso a criteri automatici di tipo aritmetico, provvede in via autonoma e discrezionale, pur nel rispetto dell’accordo intervenuto in origine tra le parti relativamente agli elementi che influiscono sulla pena, non coinvolti nel giudizio di illegittimità costituzionale.
Sentenza 27 dicembre 2019, n. 52035
Data udienza 3 dicembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZEI Antonella P. – Presidente
Dott. SIANI Vincenzo – Consigliere
Dott. BONI Monica – rel. Consigliere
Dott. ALIFFI Francesco – Consigliere
Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 30/05/2019 del GIP TRIBUNALE di TORINO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
lette le conclusioni del PG Dott. ORSI Luigi, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 30 maggio 2019 il G.i.p. del Tribunale di Torino, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, in accoglimento dell’istanza avanzata dal condannato (OMISSIS) col consenso del pubblico ministero, volta ad ottenere la rideterminazione in termini piu’ favorevoli della pena di anni cinque di reclusione, oltre alla pena pecuniaria ed a quelle accessorie, inflittagli con sentenza, emessa dallo stesso Giudice in data 30 novembre 2018, irrevocabile il 20 dicembre 2018, in relazione al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, respingeva l’accordo tra le parti e determinava in via autonoma la pena detentiva in anni quattro, mesi sei, giorni venti di reclusione.
1.1.A fondamento della decisione rilevava che nella valutazione del caso concreto doveva considerarsi il rilevante quantitativo di stupefacente detenuto, tale da non consentire di applicare pena assestata sul minimo edittale.
1.2. Ricorre per cassazione l’interessato col patrocinio del difensore, avv.to (OMISSIS), la quale ne ha chiesto l’annullamento per violazione dell’articolo 666 c.p.p. relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1. Secondo la difesa, l’ordinanza impugnata ha illegittimamente stabilito in via autonoma la pena, disattendendo la nuova misura concordata dalle parti. I principi gia’ affermati dalla giurisprudenza di legittimita’ in riferimento alle condotte aventi ad oggetto droghe leggere non sono riferibili al tema della rideterminazione della pena per reati concernenti droghe pesanti dopo l’intervento demolitore parziale della Corte costituzionale che, in prospettiva quantitativa, non qualitativa come operato con la sentenza n. 32 del 2014, ha ritenuto sproporzionata per eccesso la misura minima della pena detentiva pari ad anni otto di reclusione, sicche’ la ritenuta inapplicabilita’ di rigidi criteri matematici per la nuova individuazione della pena non e’ riferibile anche alla presente fattispecie. La ragione dell’esclusione di tale criterio, legata all’esigenza di considerare una differente forbice edittale, in luogo di quella unica ed indifferenziata stabilita in precedenza per tutti i tipi di sostanze stupefacenti, non vale per il caso in cui si sia ridotta di due anni la sola pena minima. Inoltre, deve ritenersi escluso il sindacato di congruita’ della pena proposta per concorde richiesta delle parti, quanto fissata nel minimo edittale (Cass. sez 1, n. 51844 del 25/11/2014).
1.3 Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, Dott. Luigi Orsi, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ infondato e non merita dunque accoglimento.
1.E’pacifico in atti che (OMISSIS) con la sentenza del G.i.p. del Tribunale di Torino del 30 novembre 2018 aveva ottenuto l’applicazione su accordo delle parti della pena detentiva di anni cinque di reclusione, oltre a quella pecuniaria ed alle peni accessorie di legge, in relazione al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, per condotte aventi ad oggetto sostanza stupefacente rientrante nelle tabelle I e III del citato testo normativo. Basandosi su tale presupposto e sull’apprezzamento dell’incongruita’ della pena, oggetto di rinnovato accordo tra le parti, il Giudice dell’esecuzione l’ha disatteso e ha proceduto a rideterminarla nell’ambito di una propria autonoma e discrezionale rivalutazione della fattispecie.
1.1, Nel caso in esame le parti hanno fatto ricorso allo schema procedurale stabilito dallo articolo 188 disp. att. c.p.p. al fine di conseguire dal giudice dell’esecuzione la rinnovata commisurazione della pena inflitta al (OMISSIS) con sentenza irrevocabile di patteggiamento in adeguamento alla diversa previsione sanzionatoria per il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, divenuta vigente a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 40 del 23/01/2019.
1.2. La proposizione di siffatta istanza ha inteso ricalcare la soluzione suggerita dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 37107 del 26/2/2015, Marcon, rv. 264858, con la quale si e’ stabilito che, fermo restando il giudizio di responsabilita’ e di accertamento e comparazione delle circostanze, la pena applicata su richiesta delle parti per i delitti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 in relazione alle droghe c.d. leggere, ossia incluse nelle tabelle II e IV del predetto decreto, con pronuncia divenuta irrevocabile prima della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, deve essere necessariamente rideterminata in sede di esecuzione mediante la “rinegoziazione” dell’accordo tra le parti, ratificato dal giudice dell’esecuzione, che viene investito di incidente di esecuzione, attivato dal condannato o dal pubblico ministero: soltanto in caso di mancato accordo, detto giudice dovra’ provvedere di sua iniziativa ad individuare la pena congrua in riferimento ai ripristinati limiti edittali di pena, facendo ricorso ai criteri di cui agli articoli 132 e 133 c.p..
La soluzione cosi’ formulata valorizza la natura irrevocabile della definizione pattizia del procedimento (sulla irreversibilita’ dell’accordo ex articolo 444 c.p.p., comma 1, sez. 5, n. 44456 del 27/06/2012, Bernardini, rv. 254058) e preserva la volonta’ delle parti che hanno proceduto di loro comune iniziativa all’individuazione del trattamento punitivo, ritenuto congruo dal giudice della cognizione a norma dell’articolo 444, comma 2, c.p.p.: mantiene dunque inalterata la natura negoziata dell’accordo e demanda alle parti di rinnovarlo alla luce del mutato quadro normativo di riferimento, prevedendo un intervento decisorio del giudice dell’esecuzione di verifica della congruita’ e correttezza del calcolo, in analogia con gli stessi poteri conferitigli in sede di cognizione, e di autonoma determinazione soltanto in via suppletiva, a fronte d’insuperabile dissenso tra le parti. In altri termini, si e’ individuato nella previsione dell’articolo 188 disp. att. c.p.p. il modello di procedimento adattabile al diverso tema della riconduzione a legalita’ della pena detentiva per conformarla allo stato della legislazione penale, risultante da pronuncia di incostituzionalita’ della disposizione costituente il parametro normativo di commisurazione della pena in base al quale era stata commisurata la pena gia’ definitiva, ma non ancora espiata.
2.Si tratta quindi di verificare se, ai fini di conseguire la nuova e piu’ favorevole individuazione della pena per il reato gia’ definitivamente accertato che riguardi sostanze stupefacenti comprese nelle tabelle I e III del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, l’intervento del giudice, richiesto di recepire il rinnovato negoziato proveniente dalle parti, contempli anche la facolta’ di esprimere un motivato dissenso sull’esito di tale pattuizione e di procedere in via autonoma all’individuazione della pena ritenuta congrua. Al quesito ritiene il Collegio debba offrirsi risposta positiva.
2.1.In primo luogo va affermata la natura non vincolante per il giudice della pattuizione che le parti gli rappresentino: l’opposta opzione interpretativa non puo’ essere avallata, dal momento che porrebbe l’autorita’ giudiziaria in una posizione di subordinazione alle indicazioni, ancorche’ convergenti, delle parti in una situazione di palese contrasto con il disposto dell’articolo 101 Cost., che vuole il giudice soggetto soltanto alla legge,e condurrebbe a risultati confliggenti anche con il potere di valutare la congruita’ della pena in modo da garantirne la funzione rieducativa, costituzionalmente sancita dall’articolo 27 Cost., comma 3. Inoltre, comporterebbe effetti irragionevoli e distonici con i principi generali dell’ordinamento processuale, dal momento che vincolerebbe all’accoglimento di un patto solo perche’ frutto dell’incontro della volonta’ delle parti anche in casi in cui sia palesemente insussistente la condizione dell’adeguatezza e della proporzione della risposta sanzionatoria rispetto al fatto ed alla personalita’ del suo autore, come accertati nella sentenza passata in giudicato.
2.2. Di tale disarmonia si e’ avveduta anche la Corte costituzionale, la quale con l’ordinanza n. 37 del 5/2/1996 ha dichiarato manifestamente infondata la questione d’incostituzionalita’ dell’articolo 188 disp. att. c.p.p. per contrasto con l’articolo 101 Cost., comma 2, e con l’articolo 27 Cost., comma 2; richiamando quanto gia’ argomentato con la precedente sentenza n. 313 del 1990, che aveva escluso un intervento giudiziale di tipo “notarile” a fronte della richiesta di patteggiamento avanzata dalle parti, ha dunque affermato che, anche in casol l’istanza per l’unificazione di reati a titolo di continuazione o concorso formale riguardi illeciti giudicati con separate sentenze di patteggiamento, al giudice dell’esecuzione spetta “non soltanto il potere-dovere di verificare in concreto la sussistenza di tutti i presupposti cui l’ordinamento subordina l’applicazione della disciplina del reato continuato, fra i quali anche, attesi i limiti inerenti alla fase, la mancanza della condizione ostativa espressa dall’articolo 671 c.p.p., comma 1, ma anche quello di valutare la congruita’ della pena indicata dalle parti ai fini di quanto previsto dall’articolo 27 Cost., comma 3”.
2.3,Sulla scorta di tali considerazioni anche la citata sentenza Marcon delle Sezioni Unite e’ pervenuta allo stesso risultato: valorizzando l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza costituzionale, vi ha indirettamente rinvenuto conferma della possibilita’ per il giudice dell’esecuzione di apprezzare in via discrezionale la congruita’ della pena concordata onde verificarne la funzionalita’ alla rieducazione del soggetto che vi debba essere sottoposto ai sensi dell’articolo 27 Cost.. In quella decisione si e’ affermato: “deve escludersi che la rideterminazione della pena da parte del giudice dell’esecuzione possa avvenire in base al criterio matematico-proporzionale, realizzando una sorta di automatismo nell’individuazione della sanzione nel tentativo di replicare le medesime scelte operate nell’originario accordo intervenuto tra le parti. Il giudice dovra’ invece procedere alla rideterminazione della pena utilizzando i criteri di cui agli articoli 132 e 133 c.p., secondo i canoni dell’adeguatezza e della proporzionalita’ che tengano conto della nuova perimetrazione edittale. Questa operazione di “riqualificazione sanzionatoria” presuppone, ovviamente, che il giudice prescinda dalla volonta’ delle parti, tuttavia non potra’ non considerare, nella sua autonoma rideterminazione, l’accordo sulla pena raggiunto dalle parti nella sentenza di patteggiamento, evitando cioe’ di eludere la finalita’ della richiesta che ha avviato l’incidente di esecuzione, che e’ quella di eliminare la pena illegale e di sostituirla con una che sia il risultato di una valutazione basata su criteri edittali costituzionali. In altri termini, se e’ vero che devono essere scartati criteri ispirati a irragionevoli automatismi, e che il giudice non e’ vincolato a rideterminare la pena partendo dal nuovo minimo edittale (due anni di reclusione ed Euro 5.164) nei casi in cui la pena patteggiata originariamente partiva dal minimo edittale previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 come modificato dalla L. n. 49 del 2006 (sei anni ed Euro 26.000), allo stesso modo deve escludersi che per lo stesso fatto, inquadrato nei nuovi limiti edittali scaturiti dalla dichiarazione di incostituzionalita’, il giudice possa operare la rideterminazione partendo dalla stessa pena-base individuata in origine, troppo distanti essendo gli orizzonti delle comminatorie edittali previste dell’articolo 73 cit. prima e dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, non potendosi considerare di massima gravita’ lo stesso fatto, per il quale, in precedenza, era stata applicata la pena base minima, se non a costo di realizzare una vera e propria elusione della modifica della pena illegale, che verrebbe di fatto confermata. La sensibile differenza delle cornici edittali impone risposte sanzionatorie differenti ed individualizzate”.
2.4.Ebbene, ad avviso del Collegio, non si rinvengono argomenti per approdare ad esiti differenti quando l’operazione di “riqualificazione sanzionatoria” debba essere compiuta per fatti riguardanti sostanze stupefacenti di tipo “pesante” a seguito della declaratoria di illegittimita’ costituzionale, contenuta nella sentenza n. 40/2019, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, quanto al solo limite minimo previsto per la reclusione. L’esclusione da parte delle Sezioni Unite del ricorso a criteri automatici di quantificazione del trattamento punitivo in fase esecutiva non e’ stata giustificata in dipendenza della riconosciuta illegittimita’ costituzionale dell’intero paradigma normativo, comprensivo sia del limite minimo, che di quello massimo, ma della necessita’ di raggiungere soluzioni differenziate ed aderenti al caso specifico e di evitare che, respingendo il concordato tra le parti per incongruita’ della pena rideterminata, permanga in esecuzione un trattamento illegale. Tale esigenza non viene meno solo perche’ la declaratoria d’incostituzionalita’ ha colpito la soglia punitiva minima di otto anni di reclusione, sostituita con quella di sei anni. Inoltre, la tesi qui affermata non comporta nemmeno la negazione della matrice pattizia del procedimento, ma soltanto il suo coordinamento con l’esigenza insopprimibile che la sanzione inflitta sia congrua e proporzionata, oltre che legale perche’ commisurata in base ai corretti indici normativi di riferimento: in altri termini, non si vuole significare che il giudice dell’esecuzione possa procedere direttamente alla nuova quantificazione della pena, disinteressandosi dell’accordo che le parti gli sottopongono, ma soltanto che gli deve essere riconosciuto il potere, in caso di verificata inadeguatezza della nuova misura di pena concordata, di operare in via autonoma alla sua riduzione, anche se al di fuori di ogni rigido automatismo di trasposizione della pena in precedenza inflitta nell’ambito della nuova cornice edittale.
Non puo’ quindi darsi seguito al principio affermato da sez. 1, n. 51844 del 25/11/2014, Riva, rv. 261331, che appartiene ad indirizzo del tutto minoritario e sconfessato dalle Sezioni Unite e dalle successive pronunce anche delle sezioni semplici, che, seppur riferite a fattispecie concrete attinenti a droghe leggere, per le ragioni gia’ esposte mantengono inalterata validita’ anche per le situazioni come quella presente (sez. 1, n. 49935 del 28/10/2015, Pm in proc. Martoccia, rv. 265697; sez. 1, n. 5199 del 24/11/2015, dep. 2016, P.M. in proc. Vitali, rv. 266137 in motivazione; sez. 2, n. 29431 dell’8/05/2018, Puglisi, rv. 273809).
Va quindi formulato il seguente principio di diritto: “Il Giudice dell’esecuzione, che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 23/01/2019 dichiarativa della illegittimita’ costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, in riferimento alle sostanze di cui alle tabelle I e III previste dall’articolo 14 dello stesso testo normativo, nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni, anziche’ di sei anni, sia richiesto di accogliere il nuovo accordo delle parti sulla rideterminazione della pena che tenga luogo di quella inflitta con sentenza irrevocabile di patteggiamento, deve valutare l’istanza congiunta delle parti e puo’ rideterminare la pena in favore del condannato soltanto in caso di mancato accordo, ovvero di pena ritenuta incongrua; in questo secondo caso, senza fare ricorso a criteri automatici di tipo aritmetico, provvede in via autonoma e discrezionale ai sensi degli articoli 132 e 133 c.p., pur nel rispetto dell’accordo originariamente intervenuto tra le parti quanto agli elementi influenti sulla pena, non coinvolti nel giudizio di illegittimita’ costituzionale”.
3. Nel caso specifico il giudice dell’esecuzione ha ridimensionato la sanzione detentiva, valorizzando i dati oggettivi emergenti dalla sentenza e dal procedimento di cognizione nell’ambito di un autonomo apprezzamento della fattispecie concreta, che ha tenuto conto della nuova cornice edittale: il relativo giudizio supera immune le censure difensive, perche’ espressione della discrezionalita’ valutativa del giudice di merito che, essendo congruamente motivato non e’ sindacabile in sede di legittimita’.
Ne discende il rigetto del ricorso e la condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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