Corte di Cassazione, penale, Sentenza|19 maggio 2021| n. 19937.
Il furto di energia elettrica realizzato attraverso l’apposizione di un magnete collocato all’esterno del contatore e idoneo ad alterare la registrazione dei consumi, è aggravato dal mezzo fraudolento (articolo 625, comma 1, numero 2, seconda ipotesi, del Cp), giacché trattasi di condotta che si risolve in un espediente o malizioso accorgimento diretto a superare la naturale custodia e protezione della cosa. Non è invece ravvisabile l’aggravante della violenza sulle cose (articolo 625, comma 1, numero 2, prima ipotesi, del Cp), perché questa si realizza solo allorquando il soggetto, per commettere il fatto, “manometta” la cosa in modo che, per riportarla ad assolvere la sua naturale funzione, sia necessaria un’attività di ripristino: l’apposizione del magnete, infatti, non determina alcuna manomissione, ma si risolve in una semplice manipolazione, che non implica alcuna rottura, guasto, danneggiamento, trasformazione o mutamento di destinazione, per cui sia necessaria un’attività di ripristino.
Sentenza|19 maggio 2021| n. 19937. Il furto di energia elettrica
Data udienza 15 aprile 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Furto energia elettrica – Aggravante della violenza sulle cose – Magnete su calotta del misuratore di energia – Non implica un ripristino che rimedi al danneggiamento/trasformazione del bene – Manomissione non riconducibile all’aggravante de qua
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente
Dott. SCARLINI Enrico V. S. – Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
Dott. MOROSINI Elisabetta M. – Consigliere
Dott. BORRELLI Paola – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 09/10/2020 della CORTE APPELLO di SALERNO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PAOLA BORRELLI;
lette le conclusioni scritte del Procuratore generale Dott. TOMASO EPIDENDIO, che ha chiesto di annullare con rinvio la sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata e’ stata emessa il 9 ottobre 2020 dalla Corte di appello di Salerno ed ha confermato la decisione del Tribunale della stessa citta’ che, all’esito di rito abbreviato, aveva condannato (OMISSIS) per furto di energia elettrica aggravato dalla violenza sulle cose.
2. Contro l’anzidetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell’imputato, suddiviso in quattro motivi.
2.1. Il primo motivo di ricorso denunzia violazione di legge quanto alla riconosciuta sussistenza della circostanza aggravante della violenza sulle cose, giustificata, dalla Corte di merito, da un precedente di legittimita’ che concerneva altra situazione concreta – l’allaccio di un cavo esterno – e che aveva reputato sussistere non gia’ l’aggravante della violenza sulle cose, ma quella del mezzo fraudolento. L’imputato, invece, aveva collocato un magnete sopra la calotta del misuratore di energia elettrica e la sottrazione di quest’ultima era avvenuta senza alcun atto di forza sulla strumentazione ne’ con la manomissione della medesima.
2.2. La sentenza sarebbe altresi’ violativa degli articoli 423, 529 e 597 c.p.p. nonche’ dell’articolo 625 c.p., n. 2), – si sostiene nel secondo motivo di ricorso – laddove la Corte di appello ha sostenuto che, quand’anche non si ritenesse sussistente la circostanza aggravante della violenza sule cose, dovrebbe stimarsi provata quella della seconda parte del n. 2), dell’articolo 625 c.p. (mezzo fraudolento), mai contestata al prevenuto e del tutto differente dall’altra, ancorche’ collocata nella medesima disposizione. Neanche vi era stata impugnativa del pubblico ministero sul punto ne’ la verifica delle aggravanti attiene al concetto di qualificazione giuridica.
In mancanza di aggravanti, la fattispecie sarebbe semplice e, pertanto, improcedibile per difetto di querela.
2.3. Sostiene il ricorrente nel terzo motivo di ricorso che il riconoscimento della diversa aggravante del mezzo fraudolento di cui al precedente motivo determinerebbe altresi’ nullita’ della sentenza impugnata per violazione degli articoli 521 e 522 c.p.p. nonche’ dell’articolo 111 Cost e dell’articolo 6, par. 3, lettera a) e b) CEDU in relazione all’articolo 625 c.p., n. 2), tenuto conto della precisa contestazione della diversa circostanza della violenza sulle cose e della mancanza di elementi descrittivi per reputare contestato, in fatto, il mezzo fraudolento.
2.4. Il quarto motivo di ricorso – erroneamente numerato come quinto -deduce vizio di motivazione perche’ la Corte di merito ha giustificato l’aggravante riportando in sentenza una decisione di questa Corte che ha affermato la sussistenza di una circostanza completamente diversa e comunque non giustificando affatto la ritenuta fraudolenza del mezzo. Anche il Giudice di prime cure aveva malamente motivato circa la sussistenza dell’aggravante, facendo riferimento ad una sentenza di legittimita’ non pertinente rispetto alle modalita’ di manomissione.
3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza, sostenendo che l’articolo 625, comma 1, n. 2), comma contiene due diverse aggravanti e che la contestazione cosi’ come formulata nel capo di imputazione fa riferimento solo alla violenza sulle cose; ne consegue che la Corte territoriale ha offerto, sul punto, una motivazione non pertinente.
Il furto di energia elettrica
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ fondato, il che impone di annullare la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Napoli.
1. Tutti i motivi di ricorso, come sopra illustrato, riguardano il riconoscimento, da parte della Corte di merito, della circostanza aggravante di cui all’articolo 625 c.p., comma 1, n. 2).
Per affrontare le censure del ricorrente, occorre precisare che, nella sentenza impugnata, si colgono due diverse rationes decidendi dell’anzidetto riconoscimento, l’una sviluppata in via principale – quella che fonda sulla ritenuta sussistenza della violenza sulle cose – e l’altra formulata in via subordinata – che riguarda la fraudolenza del mezzo adoperato.
Ebbene, ritiene il Collegio che entrambe le argomentazioni – come correttamente ritenuto dal ricorrente e dal Procuratore generale in sede – siano viziate ed impongano l’annullamento della decisione sub iudice.
1.1. Ponendo a base del ragionamento la ricostruzione in fatto riportata nella sentenza impugnata, appare, in primo luogo, errata la riconduzione della condotta ascritta al prevenuto alla circostanza aggravante della violenza sulle cose, giacche’ nella decisione e’ precisato che la condotta e’ stata posta in essere dall’imputato apponendo un magnete sul misuratore di energia del contatore, idoneo ad alterare la registrazione dei consumi. Tale manomissione, infatti, non puo’ essere ricondotta al concetto di violenza sulle cose, trattandosi dell’utilizzo di uno strumento idoneo ad agire dall’esterno ed in maniera transitoria sulla sola funzionalita’ del misuratore, senza tuttavia alterarne in via definitiva la struttura e senza danneggiarlo. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, l’aggravante della violenza si realizza tutte le volte in cui il soggetto, per commettere il fatto, manomette l’opera dell’uomo posta a difesa o a tutela del suo patrimonio in modo che, per riportarla ad assolvere la sua originaria funzione, sia necessaria un’attivita’ di ripristino, cosicche’ essa non e’ configurabile ove l’energia spiegata sulla cosa, mediante la sua forzatura, non determini una manomissione, ma si risolva in una semplice manipolazione che non implichi alcuna rottura, guasto, danneggiamento, trasformazione o mutamento di destinazione, per cui sia necessaria un’attivita’ di ripristino (Sez. 5, n. 11720 del 29/11/2019, dep. 2020, Romeo, Rv. 279042; Sez. 5, n. 7267 del 08/10/2014, dep. 2015, Rv. 262547; Sez. 4, n. 57710 del 13/11/2018, Vales, Rv. 274771).
Nel caso di specie, come si evince dalla decisione impugnata, il magnete era collocato all’esterno del contatore ed e’ stato, agevole, per i tecnici incaricati, la sua rimozione per verificarne l’incidenza sulla misurazione dei consumi, non apparendo tale attivita’ riconducibile alla nozione di “ripristino” evocata dagli arresti di questa Corte, per tale intendendosi un’attivita’ che sia tesa a porre rimedio ad un’immutazione strutturale del bene.
Piuttosto, la condotta ascritta al prevenuto va ricondotta al furto aggravato dal mezzo fraudolento, giacche’ l’apposizione del magnete si risolve in un espediente o malizioso accorgimento diretto a superare la naturale custodia e protezione delle cose predisposta dall’ente fornitore del bene. Illuminante, quanto alla definizione dell’aggravante di cui discute, e’ la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il “mezzo fraudolento” nel furto si identifica in qualsiasi azione dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosita’, astuzia, scaltrezza, idonea, quindi, a sorprendere la contraria volonta’ del detentore e a vanificare le misure che questi ha apprestato a difesa dei beni di cui ha la disponibilita’ (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, Rv. 255974; Sez. 5, n. 32847 del 03/04/2019, Lazzari, Rv. 276924; Sez. 4, n. 8128 del 31/01/2019, Canzian, Rv. 275215).
Confortano detta conclusione gli approdi di questa Corte formatisi in situazioni analoghe a quella in esame, in cui e’ stato pacificamente ritenuto che il furto di energia elettrica attraverso l’apposizione di un magnete configurasse la circostanza aggravante del mezzo fraudolento (Sez. 5, n. 48360 del 20/11/2019, Sez. 5, n. 11201 del 26/10/2018, Sez. 5, n. 27926 del 22/02/2018, tutte non massimate).
1.2. Quest’ultima conclusione – e la conseguente correttezza dell’inquadramento giuridico del fatto come aggravato dal mezzo fraudolento che si apprezza nella seconda delle rationes decidendi della sentenza impugnata -non consente, tuttavia, di reputare corretta neanche la motivazione esposta in via subordinata dalla Corte territoriale, ostandovi una questione di carattere processuale, debitamente individuata dalla parte ricorrente.
La sentenza impugnata e’, infatti, viziata laddove ha ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante del mezzo fraudolento ancorche’ di detta aggravante non vi fosse menzione nella parte descrittiva del capo di imputazione che, al contrario, vedeva indicata solo la violenza sulle cose; ne’ l’utilizzo del magnete quale connotazione modale della condotta era descritta nella contestazione. Neanche detta aggravante era stata ritenuta dal Giudice di prime cure, che aveva motivato la pronunzia di condanna reputando integrata la circostanza aggravante della violenza sulle cose, punto della decisione di prime cure su cui si era appuntato l’appello.
Da questa constatazione discende che la decisione impugnata e’ doppiamente viziata.
In primo luogo, in quanto i Giudici di appello hanno confermato la sentenza di condanna in relazione ad una circostanza aggravante diversa da quella contestata e non evincibile neanche dalla descrizione in fatto operata dal pubblico ministero nella sua contestazione, statuizione che sarebbe stata preclusa anche al Tribunale, risolvendosi in una violazione del disposto di cui agli articoli 521 e 522 c.p.p.. In questo senso vanno rievocati ancora una volta gli insegnamenti di questa Corte, a lume dei quali sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all’articolo 521 c.p.p. qualora, con riguardo al reato di furto di energia elettrica, sia contestata l’aggravante ad effetto speciale della violenza sulle cose per avere manomesso il contatore e, poi, accertata l’inesistenza della manomissione, sia ritenuta in sentenza la medesima aggravante sub specie di uso di mezzo fraudolento, poiche’ si configura un’ipotesi di fatto diversamente circostanziata (Sez. 5, n. 10769 del 21/02/2008, Di Monaco, Rv. 239483; tale principio ha trovato applicazione, in una fattispecie analoga a quella al vaglio odierno del Collegio, anche nella gia’ evocata Sez. 5, n. 11209, in cui e’ stata sancita la violazione dell’articolo 521 c.p.p. laddove vi era contestazione della circostanza aggravante della violenza sulle cose ed il Giudice aveva reputato invece sussistente il mezzo fraudolento).
In secondo luogo, fermo restando il rilievo dirimente di quanto appena esposto, vale la pena di osservare che la pronunzia sub iudice si e’ altresi’ risolta in una reformatio in peius, in quanto e’ stata ritenuta in appello una circostanza aggravante che non era stata stimata sussistente dal Giudice di primo grado e senza che vi fosse impugnazione della parte pubblica.
Merita altresi’ spazio, a conclusione della riflessione svolta, un’ulteriore considerazione. Non vale, a smentire quanto sopra, la circostanza che nel capo di imputazione fosse indicato l’articolo “625 n. 2 c.p.” e che la previsione di cui all’articolo 625 c.p., comma 1, n. 2) contempli entrambe le aggravanti in discorso. Si tratta, infatti, di due diverse circostanze, diversamente caratterizzate e strutturate e che descrivono due condotte differenti ed idonee, indipendentemente l’una dall’altra, a connotare negativamente la condotta, si’ da meritare ciascuna l’inasprimento del trattamento sanzionatorio; ne e’ conferma la giurisprudenza della Corte di cassazione che prevede la possibilita’ di concorso tra le due ipotesi, stimandone la diversa oggettivita’ giuridica (Sez. 4, n. 8860 del 11/02/2020, Cantore, Rv. 278604; Sez. 4, n. 21728 del 02/03/2004, Fiaccarini, Rv. 228576; Sez. 2, n. 12404 del 20/06/1975, Oggianu, Rv. 131590).
2. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio affinche’ la Corte di appello verifichi la procedibilita’ del reato e, in caso positivo, ridetermini il trattamento sanzionatorio.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Napoli.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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