Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 novembre 2022| n. 34516.

Il diritto di prelazione del coltivatore diretto nel solo caso di fondi confinanti in senso giuridicamente proprio

Il diritto di prelazione e riscatto del coltivatore diretto, proprietario del terreno confinante, previsto dall’articolo 7 della legge 14 agosto 1971 n. 817, integrando una limitazione della circolazione della proprietà agricola e dell’autonomia negoziale, spetta nel solo caso di fondi confinanti in senso giuridicamente proprio, cioè caratterizzati da contiguità fisica e materiale, per contatto reciproco lungo una comune linea di demarcazione (sia essa meramente ideale ovvero materializzata con muri, siepi, recinzioni o altri segnali), senza potere essere esteso alla diversa ipotesi della “cosiddetta contiguità funzionale”, ossia all’ipotesi di fondi separati ma idonei ad essere accorpati in un’unica azienda agraria. A tal fine per “fondo” deve intendersi un’estensione che abbia una propria autonomia colturale e produttiva, da intendersi riferibile sia ad una unità poderale (costituita da un complesso unitario di terreni non suscettibili singolarmente di autonoma coltivazione), sia ad un singolo terreno (anche di piccole dimensioni, che, rispetto ai terreni circostanti, sia distinto ed autonomo per caratteristiche della sua coltivazione e produttività), con la conseguenza che, nel caso di vendita di un complesso di terreni attigui tra loro e confinanti solo in parte con un fondo appartenente a coltivatore diretto, per stabilire se il diritto di prelazione debba essere esercitato in relazione a tutti i terreni oggetto della vendita, ovvero soltanto a quelli a confine con la proprietà dell’avente diritto alla prelazione, devesi accertare se quelli costituiscono un’unità poderale (nell’ambito della quale ogni terreno sia privo di propria autonomia coltivatrice), oppure un insieme di porzioni distinte e indipendenti l’una dall’altra per caratteristiche ed esigenze colturali e produttive, giacché in questo secondo caso la prelazione può esercitarsi con esclusivo riferimento a quelle porzioni confinanti con il fondo del coltivatore diretto. Ai fini di tale ultima valutazione si deve tenere conto della presenza, nell’insieme di terreni venduti, di elementi strutturali, quali strade, idonei a determinare soluzioni di continuità nel compendio, evidenziando l’autonomia delle singole particelle che lo compongono.

Ordinanza|23 novembre 2022| n. 34516. Il diritto di prelazione del coltivatore diretto nel solo caso di fondi confinanti in senso giuridicamente proprio

Data udienza 20 ottobre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Diritti di prelazione e riscatto agrari – Ipotesi tassative non suscettibili di interpretazione estensiva – Art. 7, co. 2, n. 2 L. n. 817/71 – Spettanza della prelazione al coltivatore diretto confinante purché sul terreno non sia insediati mezzadri, coloni, affittuari o enfiteuti coltivatori diretti – Qualifica di coltivatore diretto – Rilevanza dell’abitualità della coltivazione – Esclusione in caso di svolgimento di più attività tali da comportare l’assorbimento della capacità lavorativa – Configurabilità di terreni confinanti in senso giuridico in caso di contiguità fisica e materiale ma non in quella funzionale – Annullamento con rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. ROLFI Federico – rel. Consigliere

Dott. POLETTI Dianora – Consigliere

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5546/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) IN (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso della SENTENZA della CORTE D’APPELLO TRIESTE n. 901/2017 depositata il 07/12/2017.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2022 dal Consigliere Dott. Federico Rolfi.

Il diritto di prelazione del coltivatore diretto nel solo caso di fondi confinanti in senso giuridicamente proprio

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) propone ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Trieste n. 901/2017 del 7 dicembre 2017, decisa dalla corte territoriale in sede di rinvio dopo che la precedente decisione della stessa Corte triestina era stata cassata da questa Corte con sentenza Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6539 del 2016.
Cosi’, nella sede pregressa, questa Corte aveva sintetizzato i termini della vicenda:
“Con atto di citazione notificato il 14.10.2003 i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Udine (OMISSIS) onde ottenere il riscatto agrario, ai sensi della L. n. 817 del 1971, articolo 7, dell’intero fondo rustico oggetto di compravendita con atto del 15.10.2002 intercorso tra (OMISSIS) e il (OMISSIS) o, in subordine, di una porzione di esso. Il compendio compravenduto era costituito da terreni agricoli e fabbricati rurali al servizio del fondo, sito in (OMISSIS), di una estensione catastale complessiva di ettari 26.83.03 per un prezzo complessivo di Euro 1.240.000,00.
Si costituiva (OMISSIS) deducendo di aver detenuto il fondo in forza di contratto di affitto a coltivatore diretto per oltre un biennio prima dell’atto di compravendita e di essere, pertanto, preferito nell’acquisto del predio rispetto agli altri confinanti coltivatori diretti. Contestava, inoltre, la sussistenza dei requisiti richiesti per l’esercizio della prelazione da parte dei proprietari confinanti.
Istruita la causa con prova testimoniale e consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale, con sentenza del 25.2.2009, accoglieva la domanda di riscatto agrario limitatamente ad alcuni fondi, disponendone il trasferimento in favore degli attori subordinatamente al pagamento del prezzo di Euro 81.979,00, e compensava tra le parti le spese del giudizio.
Proposto appello principale da (OMISSIS) ed incidentale dai coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS), dopo il decesso di (OMISSIS) si costituivano in giudizio i suoi eredi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Disposto supplemento di consulenza, la Corte di Appello di Trieste, con sentenza del 23.1.2014, in riforma della sentenza impugnata, respingeva in toto la domanda di riscatto agrario. Dichiarava compensate le spese del giudizio di primo grado e condannava gli appellati al pagamento delle spese del giudizio di appello.

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Premesso che la determinazione della capacita’ lavorativa ai fini della qualifica di coltivatore diretto e delle sue conseguenze giuridiche in materia di prelazione doveva riferirsi alla sola attivita’ di coltivazione, ravvisava la corte territoriale, sulla base delle risultanze dell’indagine tecnica espletata, la sussistenza in capo a (OMISSIS) (come pure alla societa’ semplice (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) dei requisiti di legge, sia in relazione alla consistenza fondiaria posseduta, sia a quella oggetto di prelazione, ostativi all’esercizio del diritto di riscatto da parte degli appellati”.
2. Con la decisione ora impugnata la Corte d’appello ha respinto il gravame principale proposto da (OMISSIS) e, in accoglimento dell’appello incidentale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Udine, ha accolto la domanda di riscatto del fondo agricolo relativamente all’intero fondo agricolo materia del contendere, e non piu’ limitatamente a parte di esso come statuito in primo grado.
La Corte, nello specifico, ha affermato che rilevante ai fini della decisione era la valutazione della capacita’ lavorativa del ricorrente non solo in relazione all’attivita’ di coltivazione, ma anche in relazione all’attivita’ vitivinicola di trasformazione e vendita del prodotto, ritenendo necessaria un’interpretazione evolutiva della disciplina, tale da ricomprendere nell’attivita’ agricola anche l’attivita’ di trasformazione e vendita dei prodotti agricoli – e quindi, nella specie, vinificazione e vendita – quali “attivita’ non solo strettamente connesse, ma anche necessariamente o opportunamente complementari che, se rimangano nei limiti di una percentuale minore della complessiva attivita’ agricola e funzionalmente legate a questa, devono essere considerate”.
Operata tale premessa, la Corte, dopo aver ritenuto condivisibile l’applicazione da parte del C.Testo Unico del metodo tabellare per il calcolo ore/lavoro, ha ravvisato in capo a (OMISSIS) un deficit di 153 ore, escludendone, conseguentemente, la veste di coltivatore diretto del fondo oggetto di riscatto.
Disatteso l’appello principale, la Corte territoriale ha invece ritenuto di accogliere l’appello incidentale, estendendo il riscatto non solo alle singole particelle che risultavano confinanti con il fondo gia’ di titolarita’ degli odierni controricorrenti, ma all’intero compendio oggetto di trasferimento in favore di (OMISSIS), affermando la necessita’ di valutare il carattere di contiguita’ in relazione ai terreni come unitariamente venduti.
3. Al ricorso di (OMISSIS) resistono con controricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) IN (OMISSIS).
4. La trattazione del ricorso e’ stata fissata in Camera di consiglio, a norma dell’articolo 375 c.p.c., comma 2, e articolo 380 bis.1 c.p.c..
5. Le parti hanno depositato memorie.

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CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ affidato a sei motivi.
1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 817 del 1971, articolo 7, e L. n. 590 del 1965, articoli 8 e 31.
Lamenta il ricorso che la Corte territoriale abbia omesso di rilevare la non coincidenza tra il soggetto titolare della proprieta’ del fondo confinante e la titolarita’ dell’impresa agricola sul fondo medesimo esercitata.
Mentre, infatti, la domanda di riscatto e’ stata formulata dagli originari titolari del fondo (OMISSIS) e (OMISSIS), emergerebbe dagli atti che l’impresa agricola sul fondo stesso esercitata non faceva capo ai due attori, ma ad una societa’ semplice costituita con altri familiari.
1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, articolo 8, comma 1; L. n. 817 del 1971, articolo 7, comma 2, n. 2), e L. n. 590 del 1965, articolo 31.
Lamenta il ricorso che la Corte abbia applicato il criterio della capacita’ lavorativa di cui alla L. n. 590 del 1965, articolo 8, comma 1, al ricorrente, valutando non solo i terreni oggetto della compravendita ma anche quelli gia’ posseduti, laddove tale criterio dovrebbe essere applicato esclusivamente al soggetto che esercita il riscatto avvalendosi del diritto di prelazione. Per contro, argomenta il ricorso, in relazione al soggetto nei cui confronti e’ esercitato il riscatto dovrebbe essere unicamente verificata la stabile presenza sul fondo oggetto della vendita.
Ulteriormente, prosegue il ricorso, non solo sarebbe erroneo il computo della capacita’ lavorativa effettuato sommando l’estensione dei terreni gia’ posseduti con quelli compravenduti, ma parimenti erroneo sarebbe applicare tale criterio al soggetto nei cui confronti viene esercitata la prelazione, in quanto il dato normativo individua quale elemento ostativo all’esercizio della prelazione unicamente la presenza in capo al soggetto acquirente della qualita’ di coltivatore diretto “insediato” stabilmente sul fondo oggetto della vendita.

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1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, articolo 31, e articolo 2135 c.c..
Deduce il ricorso che erroneamente la decisione impugnata avrebbe ritenuto – ai fini del calcolo della capacita’ lavorativa del ricorrente – di comprendere nelle attivita’ di coltivazione anche l’attivita’ di trasformazione e vinificazione. Argomenta, per contro, il ricorso che tale profilo deve essere comunque tenuto al di fuori della nozione di coltivatore diretto L. n. 590 del 1965, ex articolo 31, in quanto l’attivita’ di vinificazione deve ritenersi comunque estranea alle normali necessita’ di coltivazione del fondo.
1.4. Con il quarto motivo si deduce:
a) in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, la nullita’ della sentenza ex articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e articolo 156 c.p.c., comma 2, nonche’ articolo 111 Cost.;
b) in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.
Lamenta il ricorso che la decisione impugnata abbia apoditticamente richiamato gli esiti della C.T.U., senza adeguatamente motivare le ragioni sulla cui scorta sarebbe pervenuta alla valutazione della inadeguatezza della capacita’ lavorativa del ricorrente.
1.5. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 817 del 1971, articolo 7, e L. n. 590 del 1965, articolo 8.
Con riferimento al criterio della “confinanza”, il ricorso deduce la erroneita’ della decisione impugnata nella parte in cui essa ha affermato la sussistenza del suddetto requisito, sostenendo apoditticamente il carattere unitario dell’insieme dei fondi oggetto della domanda di riscatto ed omettendo di considerare che dagli stessi atti emergeva la presenza di strade che venivano a creare una separazione tra i mappali oggetto della domanda di riscatto nel suo complesso.
1.6. Con il sesto motivo si deduce:
a) in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, la nullita’ della sentenza ex articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e articolo 156 c.p.c., comma 2, nonche’ articolo 111 Cost.;
b) in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.
Sempre con riferimento al criterio della “confinanza”, viene censurata la decisione impugnata nella parte in cui essa non avrebbe adeguatamente motivato le ragioni da cui la Corte ha tratto il proprio convincimento di dover considerare l’insieme dei terreni oggetto della domanda di riscatto come fondo unitario, omettendo peraltro di valutare le indicazioni desumibili dalla C.Testo Unico espletata nel corso del giudizio.
2. Il primo motivo di ricorso e’ infondato.

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Questa Corte ha effettivamente affermato – in fattispecie sovrapponibile a quella in esame – il principio per cui i diritti di prelazione e riscatto agrari costituiscono ipotesi tassative, non suscettibili di interpretazione estensiva, con la conseguenza che gli stessi, essendo previsti in favore del confinante dalla L. n. 817 del 1971, articolo 7, non spettano al socio della societa’ semplice, affittuaria del fondo rustico, ancorche’ egli sia anche comproprietario del fondo, ove l’attivita’ agricola sia riferibile alla societa’ quale autonomo centro di imputazione giuridica, in quanto la previsione citata richiede la coincidenza tra la titolarita’ del fondo e l’esercizio dell’attivita’ agricola (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5952 del 25/03/2016 – Rv. 639421 – 01).
Fermo tale principio, tuttavia, si deve osservare che esso non investe il profilo della legittimazione ad agire – la cui esistenza e’ da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata nell’azione, prescindendo dalla effettiva titolarita’ del rapporto dedotto in causa (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 21819 del 29/07/2021 – Rv. 662302 – 01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14177 del 27/06/2011 – Rv. 618438 – 01)- bensi’ la concreta titolarita’ nel merito del rapporto dedotto in giudizio, costituendo la coincidenza tra titolarita’ del fondo ed esercizio dell’attivita’ agricola uno dei presupposti per l’applicazione della previsione in tema di riscatto.
Da cio’ deriva che il profilo dedotto con il primo motivo di ricorso concerne il merito della controversia, palesandosi l’infondatezza del motivo sia alla luce del principio per cui nel giudizio di rinvio resta precluso l’esame di ogni questione logicamente pregiudiziale ed incompatibile non rilevata dalla Suprema Corte, o perche’ non investita della sua decisione da un motivo di ricorso o anche perche’ la questione, pur se in astratta ipotesi rilevabile d’ufficio, non lo e’ stata (Cass. Sez. L -, Sentenza n. 25153 del 24/10/2017 – Rv. 646723 – 01), sia perche’ in ogni caso tale profilo avrebbe dovuto essere precedentemente dedotto in sede di merito, essendo onere della parte che ha formulato il motivo quello di indicare – in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso – la sede processuale nella quale tale aspetto era stato sollevato, laddove il ricorso omette integralmente – rifugiandosi nella tesi della rilevabilita’ d’ufficio in ogni stato e grado – di indicare se e come quanto dedotto come motivo di ricorso sia stato parimenti dedotto innanzi al giudice del merito.
3. Il secondo motivo e’ infondato.
A venire in rilievo nella specie non e’ la L. n. 590 del 1965, articolo 8, comma 1, bensi’ la L. n. 817 del 1971, articolo 7, comma 2, n. 2), il quale dispone che “Detto diritto di prelazione, con le modifiche previste nella presente legge, spetta anche: (…).
2) al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con fondi offerti in vendita, purche’ sugli stessi non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti; (…)”.

Il diritto di prelazione del coltivatore diretto nel solo caso di fondi confinanti in senso giuridicamente proprio

La previsione in esame, quindi, individua un fattore ostativo all’esercizio della prelazione e del riscatto, costituito dalla presenza sul fondo “offerto in vendita” o venduto di – tra gli altri – coltivatori diretti, avendo il legislatore optato per la tutela preferenziale di questi ultimi, ritenendola prevalente sull’esercizio della prelazione (Cass. Sez. 3 Ordinanza n. 7023 del 11/03/2020 – Rv. 657157 – 01).
E’ sulla scorta di tale previsione che la Corte territoriale ha proceduto all’accertamento della veste di coltivatore diretto dell’odierno ricorrente, dando peraltro applicazione al principio stabilito da questa Corte, a mente del quale per l’attribuzione della qualifica di coltivatore diretto – che va stabilita, anche ai sensi della L. n. 203 del 1982, articolo 6, in base ad un rapporto di proporzionalita’ pari almeno ad un terzo fra il fabbisogno di attivita’ lavorativa del fondo considerato e la forza lavorativa dell’affittuario e del suo nucleo familiare che vi trovi impiego- detta forza lavorativa non e’ quella disponibile in astratto, quella cioe’ che il nucleo familiare del coltivatore sarebbe capace di destinare alla coltivazione del fondo, ma quella che in esso e’ effettivamente impiegata, tenendosi quindi conto di tutti i fattori che possano ridurla, come nel caso in cui l’affittuario sia in godimento di un complesso di altri fondi idoneo ad assorbire tutta la forza lavorativa della famiglia colonica (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11827 del 13/12/1990 – Rv. 470129 – 01). Principio che – con riferimento alla individuazione in se’ e per se’ della veste di coltivatore diretto – ha trovato conferma piu’ di recente con l’affermazione che la qualifica di coltivatore diretto, in relazione al requisito della “coltivazione abituale”, previsto dalla L. n. 590 del 1965, articolo 31, in linea generale non e’ esclusa dallo svolgimento di altra attivita’ lavorativa principale – in quanto il requisito dell’abitualita’ deve essere inteso quale normale ed usuale svolgimento di lavori agricoli, in maniera tale che l’attivita’ agricola venga realizzata in modo stabile e continuativo (anche se non professionale), prevalentemente con lavoro proprio o dei componenti della propria famiglia, traendo da tale attivita’ un reddito, pur se secondario – dovendosi quindi fare riferimento sia alle altre attivita’ eventualmente svolte da colui che si assume coltivatore diretto (eventualmente anche in campo extragricolo), sia la presenza di una capacita’ lavorativa residua – del soggetto che si assume coltivatore diretto e della famiglia – che consenta l’abituale coltivazione del fondo (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1107 del 20/01/2006 – Rv. 586749 – 01).
Correttamente, quindi, la Corte d’appello di Trieste ha ritenuto che, proprio alla luce dell’estensione complessiva dei fondi cui il ricorrente dedicava la propria attivita’, allo stesso non potesse essere attribuita la veste di coltivatore diretto, risultando in tal modo inoperante la fattispecie ostativa di cui alla L. n. 817 del 1971, citato articolo 7, comma 2, n. 2), non potendo tale corretto approdo essere smentito dalla qualifica contenuta nel contratto di affitto concluso dal ricorrente, la quale puo’ rilevare nel solo rapporto tra affittante ed affittuario (cui si riferisce Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8373 del 12/06/2002 – Rv. 555001 – 01 citata dal ricorrente).

Il diritto di prelazione del coltivatore diretto nel solo caso di fondi confinanti in senso giuridicamente proprio

4. Il terzo motivo e’ infondato.
Nell’affermare che nella capacita’ lavorativa del ricorrente (e della famiglia) doveva essere valutato lo svolgimento, da parte del medesimo, dell’attivita’ di trasformazione e vendita del prodotto, la Corte d’appello null’altro ha fatto se non dare applicazione ai principi poc’anzi enunciati in tema di valutazione della qualifica di coltivatore diretto, procedendo a verificare se l’insieme delle attivita’ svolte dal ricorrente – nella specie, appunto, trasformazione e vendita del prodotto – non comportassero un assorbimento della capacita’ lavorativa residua (del ricorrente medesimo e della famiglia) tale da risultare incompatibile con il requisito fondamentale dell’abituale coltivazione del fondo.
Appare, infatti, chiaro che se, in primo luogo, la valutazione della veste di coltivatore diretto viene a dipendere dall’abitualita’ della coltivazione; se, in secondo luogo, quest’ultima – a propria volta – si collega ad un normale ed usuale svolgimento di lavori agricoli, in maniera tale che l’attivita’ agricola venga realizzata in modo stabile e continuativo (anche se non professionale), prevalentemente con lavoro proprio o dei componenti della propria famiglia; se, in terzo luogo, detto profilo deve essere verificato valutando l’assorbimento della capacita’ lavorativa derivante dallo svolgimento anche di attivita’ in campo extragricolo; allora consegue che, a maggior ragione, detto assorbimento deve essere valutato in relazione ad attivita’ (come nella specie vinificazione dell’uva e vendita del prodotto finale) che, seppur non si pongono come necessariamente connaturate all’attivita’ agricola di viticoltura, ne rappresentano, nondimeno, uno sviluppo caratterizzato da non anomala – ed anzi non infrequente – complementarieta’ rispetto all’attivita’ agricola.
5. Il quarto motivo deve essere disatteso.
Quanto alla deduzione inerente la motivazione apparente, giova rammentare che questa Corte a Sezioni Unite ha chiarito che la riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione, con la conseguenza che e’ denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, e risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 – Rv. 629830 – 01 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
Nella specie, e’ ben vero che la motivazione della decisione richiama la C.T.U., ma la stessa svolge una serie di ulteriori considerazioni che permettono pienamente di ricostruire l’iter decisionale, senza che in alcun modo possa ritenersi che l’iter motivazionale risulti perplesso o meramente apparente.
Vale, quanto al resto, il principio per cui quando il giudice di merito ha aderito alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione ha tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, l’obbligo della motivazione e’ soddisfatto con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, senza che il giudice debba necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perche’ incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio gia’ valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’articolo 360 c.p.c., n. 5), (Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 8584 del 16/03/2022 – Rv. 664367 – 01; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1815 del 02/02/2015 – Rv. 634182 – 01; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 282 del 09/01/2009 – Rv. 606211 – 01).

Il diritto di prelazione del coltivatore diretto nel solo caso di fondi confinanti in senso giuridicamente proprio

Quanto al dedotto vizio di omessa considerazione di un fatto decisivo, la stessa deve ritenersi inammissibile.
Occorre premettere che l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale testo modificato dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 2, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicche’ sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019 – Rv. 655413 – 01; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018 – Rv. 651305 – 01; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14802 del 14/06/2017 – Rv. 644485 – 01).
Secondo i principi fissati da Cass. Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 (Rv. 629831 – 01), quindi, l’ipotesi di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5), deve essere riferita ad un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4), il ricorrente deve indicare: 1) il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso; 2) il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente; 3) il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti; 4) la sua “decisivita’”. Cio’ fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Occorre, infatti, ribadire che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018 – Rv. 651028 – 01), e cio’ in quanto le deduzioni aventi ad oggetto la persuasivita’ del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attengono alla mera sufficienza della motivazione, e cioe’ ad un profilo non (piu’) deducibile come motivo di ricorso (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018 – Rv. 648686 – 01).
Operata tale premessa, e’ sufficiente rilevare che, nel caso in esame, il motivo di ricorso omette persino di indicare quale sarebbe il fatto decisivo che la Corte territoriale ha omesso di valutare, risultando in tal modo carente dei minimi requisiti di ammissibilita’.
6. Il quinto motivo ed il sesto motivo vanno esaminati congiuntamente e sono fondati.
La Corte d’appello di Trieste, infatti, ha ritenuto di estendere la prelazione degli odierni controricorrenti a tutto il compendio che era stato fatto oggetto di cessione all’odierno ricorrente – e non alle singole particelle che presentavano direttamente il requisito della “confinanza” – ritenendo “arbitrario frazionare idealmente il fondo unitario venduto”, peraltro negando esplicitamente rilevanza alla presenza, all’interno del compendio, di una via poderale (stando alla medesima motivazione, laddove il ricorrente indica la presenza di piu’ di una strada).
L’opzione interpretativa seguita dalla Corte territoriale, tuttavia, confligge con i principi anche recentemente enunciati da questa Corte, la quale ha invece affermato che al fine della prelazione e del riscatto agrario, ai sensi della L. n. 590 del 1965 e della L. n. 817 del 1971, per “fondo” deve intendersi un’estensione che abbia una propria autonomia colturale e produttiva, con la conseguenza che -potendosi far rientrare nel relativo concetto tanto un’unita’ poderale (costituita da un complesso unitario di terreni non suscettibili singolarmente di autonoma coltivazione), quanto un singolo terreno (anche di piccole dimensioni, che, rispetto ai terreni circostanti, sia distinto ed autonomo per caratteristiche della sua coltivazione e produttivita’)- nel caso di vendita di un complesso di terreni attigui tra loro e confinanti solo in parte con un fondo appartenente a coltivatore diretto, per stabilire se il diritto di prelazione debba essere esercitato in relazione a tutti i terreni oggetto della vendita, ovvero soltanto a quelli a confine con la proprieta’ dell’avente diritto alla prelazione, si deve accertare se tutti i detti terreni costituiscono un’unita’ poderale (nell’ambito della quale ogni terreno sia privo di propria autonomia coltivatrice), oppure un insieme di porzioni distinte e indipendenti l’una dall’altra per caratteristiche ed esigenze colturali e produttive, in quanto in questa seconda ipotesi, la prelazione puo’ esercitarsi con esclusivo riferimento a quelle porzioni confinanti con il fondo del coltivatore diretto (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 4685 del 21/02/2020 – Rv. 656913 – 01).
Sempre questa Corte ha chiarito che il diritto di prelazione e riscatto del coltivatore diretto proprietario del terreno confinante, previsto dalla L. n. 817 del 1971, articolo 7 – integrando una limitazione della circolazione della proprieta’ agricola e dell’autonomia negoziale – spetta solo nel caso di fondi confinanti in senso giuridicamente proprio, ovvero caratterizzati da contiguita’ fisica e materiale, per contatto reciproco lungo la comune linea di demarcazione, non potendo essere esteso alla diversa ipotesi della cd. contiguita’ funzionale (fra fondi separati ma idonei ad essere accorpati in un’unica azienda agraria), con la conseguenza che deve escludersi la configurazione di tale “contatto” ove i due fondi siano separati da un corso d’acqua demaniale (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 3409 del 13/02/2018 – Rv. 647943 – 01; in precedenza, sul requisito della contiguita’ Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1244 del 02/02/1995 – Rv. 490236 – 01; Cass. Sez. U., Sentenza n. 2582 del 25/03/1988 – Rv. 458318 – 01).
Similmente, il requisito della contiguita’ e’ stato escluso: nell’ipotesi di separazione determinata dalla presenza di una capezzagna larga tre metri con funzione di strada interpoderale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25620 del 21/12/2015 – Rv. 638067 – 01); di presenza di canale irriguo che, per le rilevanti dimensioni e portata, era da considerarsi un canale a destinazione pubblica (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19251 del 29/09/2015 – Rv. 636976 – 01); di fondi posti ai lati di una strada vicinale non aperta al pubblico transito o di una strada agraria privata (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24622 del 26/11/2007 – Rv. 600474 – 01).
Da tali principi la decisione della Corte territoriale si e’ marcatamente discostata in quanto non solo ha conferito rilevanza alla sola circostanza – fortuita e non necessitata – dell’alienazione in blocco di una serie di terreni individuati da distinte particelle – dando quindi erroneamente rilievo alla cd. contiguita’ funzionale – senza invece verificare se detti terreni costituissero o meno un’unita’ poderale (nell’ambito della quale ogni terreno risultava privo di propria autonomia coltivatrice), ma anche ha negato rilievo alla presenza all’interno del compendio in relazione al quale veniva esercitata la prelazione – di una via poderale la quale invece poteva venire a costituire elemento di soluzione di continuita’ tale da determinare una scissione all’interno del compendio, facendo venire meno, in relazione al alcuni dei terreni, il requisito della “confinanza”.
7. Alla luce delle considerazioni che precedono, in accoglimento del quinto e sesto motivo la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione, la quale si atterra’ al seguente principio:
“Il diritto di prelazione e riscatto del coltivatore diretto, proprietario del terreno confinante, previsto dalla L. 14 agosto 1971, n. 817, articolo 7, integrando una limitazione della circolazione della proprieta’ agricola e dell’autonomia negoziale, spetta nel solo caso di fondi confinanti in senso giuridicamente proprio, cioe’ caratterizzati da contiguita’ fisica e materiale, per contatto reciproco lungo una comune linea di demarcazione (sia essa meramente ideale ovvero materializzata con muri, siepi, recinzioni o altri segnali), senza potere essere esteso alla diversa ipotesi della “cosiddetta contiguita’ funzionale”, ossia all’ipotesi di fondi separati ma idonei ad essere accorpati in un’unica azienda agraria.
A tal fine per “fondo” deve intendersi un’estensione che abbia una propria autonomia colturale e produttiva, da intendersi riferibile sia ad una unita’ poderale (costituita da un complesso unitario di terreni non suscettibili singolarmente di autonoma coltivazione), sia ad un singolo terreno (anche di piccole dimensioni, che, rispetto ai terreni circostanti, sia distinto ed autonomo per caratteristiche della sua coltivazione e produttivita’), con la conseguenza che, nel caso di vendita di un complesso di terreni attigui tra loro e confinanti solo in parte con un fondo appartenente a coltivatore diretto, per stabilire se il diritto di prelazione debba essere esercitato in relazione a tutti i terreni oggetto della vendita, ovvero soltanto a quelli a confine con la proprieta’ dell’avente diritto alla prelazione, devesi accertare se quelli costituiscono un’unita’ poderale (nell’ambito della quale ogni terreno sia privo di propria autonomia coltivatrice), oppure un insieme di porzioni distinte e indipendenti l’una dall’altra per caratteristiche ed esigenze colturali e produttive, giacche’ in questo secondo caso la prelazione puo’ esercitarsi con esclusivo riferimento a quelle porzioni confinanti con il fondo del coltivatore diretto. Ai fini di tale ultima valutazione si deve tenere conto della presenza, nell’insieme di terreni venduti, di elementi strutturali, quali strade, idonei a determinare soluzioni di continuita’ nel compendio, evidenziando l’autonomia delle singole particelle che lo compongono”.
La Corte d’appello provvedera’ anche in ordine alle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto e sesto motivo di ricorso, rigetta gli altri motivi, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Trieste in diversa composizione.

 

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